Non tutte le speranze però erano perdute. Un certo numero di ruote spiccava tra i grossi macigni arrotondati, evidentemente staccatesi in seguito a quell’ultimo impatto. Difficile però sapere se si trovavano tutte lì o se ne avevano perse altre più a monte negli impatti precedenti. Beetchermarlf non lo sapeva e non voleva scoprirlo. Avrebbero controllato più tardi. L’ispezione del resto dello scafo era più importante. Il timoniere si mosse per continuare il suo giro.
La parte frontale sembrava integra e priva di qualsiasi danno; le ruote erano presenti, insieme ai perni e alle funi di guida. A mezza nave, molte funi si erano spezzate nonostante l’enorme resistenza della fibra usata dai mescliniti per fabbricarle. Alcune ruote erano fuori allineamento e altre oscillarono stranamente quando vennero toccate. Le parti mancanti a poppa seguivano uno schema regolare e piuttosto incoraggiante: numerandole dal lato del portello, la serie di ruote numero uno aveva perso le sue ultime cinque ruote, le serie due e tre le loro ultime quattro, la serie quattro le sue ultime tre e la serie cinque, che si trovava a tribordo, le sue ultime due. Questo suggeriva che le ruote avessero sostenuto tutte lo stesso impatto, avvenuto probabilmente in senso diagonale lungo la pancia dello scafo, e dato che alcune delle ruote perdute si trovavano nelle immediate vicinanze tutto faceva pensare che vi si trovassero anche le altre.
I mescliniti rimasero sorpresi notando che il distacco delle ruote non aveva danneggiato lo scafo più di tanto. Beetchermarlf e i suoi compagni non conoscevano assolutamente la progettazione della Kwembly e delle sue unità gemelle. Nessuno di loro aveva la più pallida idea del tipo di filosofia che stava alla base della macchina. Non avevano mai considerato i problemi che potevano sorgere affidando una macchina azionata dalle fonti di energia più sofisticate a creature il cui livello scientifico era arrivato al periodo dei grandi velieri sospinti dalla forza del vento e dai muscoli dei marinai, creature che tra l’altro erano tagliate fuori da qualsiasi aiuto e possibilità di riparazione non appena iniziata la loro missione su Dhrawn. Ecco perché la Kwembly era guidata ruotando la barra di un timone piuttosto che da una consolle multi-integrata, ecco perché dei portelli stagni tanto semplici avevano sostituito le uscite monitorizzate con ricircolo automatico dell’atmosfera, ecco perché l’impianto di biorigenerazione non solo veniva operato manualmente, con l’eccezione delle luci che mantenevano in vita le piante, ma era stato progettato e costruito dagli scienziati e dai tecnici mescliniti.
Ad alcune centinaia di “eletti” era stato consentito di prender parte a un corso di istruzione sulle tecnologie aliene, anche se non era stato compiuto nessuno sforzo per diffondere quelle nozioni tra la gran massa dei mescliniti. Quasi tutti gli studenti dei corsi si trovavano in quel momento su Dhrawn, assieme a semplici reclute come Beetchermarlf. Le reclute erano soprattutto giovani avventurosi arruolati tra i marinai della nazione marittima di Barlennan. Erano loro a occuparsi della manutenzione e a riparare le macchine quando occorreva, e sembrava proprio che gli ingegneri umani avessero lavorato senza mai scordarlo. Progettare un veicolo capace di coprire migliaia e migliaia di chilometri in un tempo ragionevole nelle aspre condizioni ambientali di Dhrawn e contemporaneamente sicuro nelle mani dei mescliniti aveva inevitabilmente dato luogo a soluzioni stupefacenti. Beetchermarlf non doveva sorprendersi che le parti della Kwembly si adattassero una all’altra tanto facilmente e neppure che il veicolo avesse sofferto danni così ridotti. Naturalmente l’intelligenza dei mescliniti venne considerata. Dopotutto, era quello il motivo per cui l’esplorazione non era stata affidata ai robot, che avevano prodotto dei risultati insoddisfacenti. L’intelligenza dei mescliniti poteva invece paragonarsi a quella delle razze della Confederazione e a quella degli umani, dei drommiani e dei paneshk: un evento sorprendente, dato che i quattro pianeti e le loro razze dominanti si erano evoluti lungo periodi geologici di durata diversa. Pareva anche accertato che i mescliniti vivessero in media molto più a lungo degli umani, anche se apparivano stranamente riluttanti a discuterne con le altre razze. Ma in effetti quello che significava per la loro cultura e il loro apprendimento rappresentava un mistero paragonabile alle insondabili profondità di Dhrawn. Si trattava di un progetto rischioso sotto tutti punti di vista, ma i rischi maggiori li correvano i mescliniti. La navetta spaziale in orbita non molto distante dalla stazione spaziale, che doveva servire per evacuare l’intera colonia in caso di emergenza, rappresentava poco più di un simbolo, specialmente per coloro che si trovavano a bordo dei ricognitori. Niente di tutto questo passava però per la mente dei tre marinai che ispezionavano l’esterno della Kwembly. I tre si sorpresero piacevolmente nello scoprire che le ruote si erano semplicemente sganciate dai perni su cui ruotavano e che sembrava un gioco da ragazzi rimetterle a posto dopo averle ritrovate tutte. Nonostante il problema sembrasse risolto, Beetchermarlf entrò in acqua e iniziò a scandagliare il fondo entro il raggio imposto dalla lunghezza della corda: in breve tempo ritrovò altre dodici ruote. Alcune però erano danneggiate: la forza dell’impatto le aveva stortate oppure aveva fatto saltare l’aggancio con il perno. Anche i cuscinetti sembravano non rotolare bene. I tre raccolsero tutto ciò che trovarono e lo trasportarono fino a poppa. Il timoniere considerò se era il caso di allungare ulteriormente la corda e ampliare il raggio delle ricerche, ma decise di rientrare e domandare prima l’approvazione di Dondragmer. In effetti Beetchermarlf rimase sorpreso di non vedere il capitano, vista la dichiarata intenzione di dare un’occhiatina a sua volta.
Ma la ragione di ciò apparve chiara a lui e ai suoi compagni non appena si diressero a tribordo. Dondragmer, i due che erano usciti con lui e altri sei marinai erano impegnati a rimuovere i macigni che bloccavano il portello stagno principale.
Le tute spaziali non erano dotate di radio e la capacità di trasmissione della voce dalla miscela di argon e idrogeno che le riempiva all’ambiente circostante era minima; ma la voce dei mescliniti, che si basava su un sifone mobile piuttosto che su due polmoni (le creature viventi che respiravano idrogeno non avevano polmoni) riusciva sempre a stupire i biologi umani. Il timoniere catturò l’attenzione del capitano con un lungo fischio e gli fece cenno di seguirlo sul lato opposto di poppa. Dondragmer intuì che la questione era importante e si mosse subito ordinando agli altri di continuare il loro lavoro. Un’occhiata alle ruote e alcune spiegazioni da parte di Beetchermarlf lo istruirono immediatamente sulla situazione.
Dopo qualche secondo di silenzio, il capitano respinse l’idea di cercare subito le ruote mancanti. Il livello dell’acqua continuava a scendere e la ricerca sarebbe potuta continuare con più sicurezza dopo che l’acqua fosse definitivamente defluita, naturalmente se non bisognava aspettare troppo. Nel frattempo si poteva cominciare a reinstallare le ruote riparando quanto ritrovato. Beetchermarlf cominciò quindi a suddividere il materiale per poter pianificare meglio il lavoro.
Bisognava però procedere con cautela: molte parti erano piccole e leggere, e senz’altro la corrente le avrebbe trascinate via se fossero cadute in acqua. Alcune ruote già mostravano parti mancanti, probabilmente perse proprio in quel modo. Il timoniere illuminò la catasta di materiale vario con una torcia elettrica e cominciò a lavorare dopo aver indicato a uno dei marinai di stazionare nell’acqua a una decina di metri da lui per raccogliere tutte le parti che cadevano. Beetchermarlf non poté evitare di pensare all’utilità di una rete in quel frangente, ma non erano state incluse reti nell’equipaggiamento di base; potevano fabbricarne una con le corde che riempivano la Kwembly, ma fino a quel momento nessuno aveva ritenuto opportuno farlo.
Per riparare tre delle serie furono necessarie otto ore di lavoro, interrotte di quando in quando da pause occasionali trascorse chiacchierando con Benj. Alcune parti non erano originali, poiché Beetchermarlf e i suoi aiutanti avevano improvvisato quando l’originale mancava utilizzando le corde e i tessuti mescliniti oltre a parti fabbricate dagli alieni in lega e polimeri. Gli attrezzi erano di fattura mesclinita: si trattava di una razza con un artigianato di elevata qualità e tutti conoscevano bene gli utensili più tipici quali martelli, seghe e altri ancora. Il fatto che fossero composti di materiali che equivalevano all’osso e al legno dei terrestri non sminuiva affatto la loro efficacia, anche considerando la natura generale dei materiali mescliniti.
Sistemare le ruote sui loro perni fu un lavoro faticoso anche per gli standard di quella robusta razza aliena. Inoltre, fu necessario altro lavoro manuale per raddrizzare alcuni perni piegati dall’urto che aveva causato il distacco delle ruote. I primi tre erano stati sistemati sulla serie numero quattro, dato che la serie numero cinque era ancora compressa contro uno dei macigni sul fondo del fiume e le altre tre erano troppo in alto per venire raggiunte con facilità. Beetchermarlf constatò che non poteva fare altrimenti, installò le ruote e tornò indietro per ripararne delle altre.
Il fiume continuava ad abbassarsi e la corrente scemava sempre più. Dondragmer ordinò al timoniere e ai suoi aiutanti di spostarsi da sotto la pancia della Kwembly, immaginando cosa poteva succedere quando l’acqua sarebbe scesa tanto da non poterne più sostenere il peso. Le sue paure trovarono presto conferma: tra un rumore di ciottoli frantumati, la Kwembly scivolò dalla sua posizione inclinata di sessanta gradi a una inclinazione di trenta gradi appena, consentendo un facile accesso ad altre due serie di ruote e obbligando due degli operai ad acquattarsi nel fiume per evitare di venir schiacciati, strisciando appiattiti sul fondo per uscire dall’incomoda posizione.
A quel punto divenne ovvio che anche se l’acqua fosse scesa del tutto il veicolo non si sarebbe raddrizzato. Uno dei portelli stagni di prua, situato tra la parte anteriore e il centro della Kwembly e tra le serie numero uno e due, poggiava su un macigno di circa sei metri di diametro mezzo sepolto nel letto del fiume: un peso troppo grosso da spostare comunque, anche senza la Kwembly adagiata sopra. Beetchermarlf continuò il suo lavoro ma si chiese come pensava il capitano di riuscire a spostare il loro mezzo da quella posizione. Si domandava anche cosa sarebbe successo nel caso ci fossero riusciti: la superfide ciottolosa che formava il fondo del fiume era l’ultimo tipo di substrato che gli ingegneri umani avevano considerato, e il timoniere dubitava fortemente che le ruote del veicolo riuscissero a far presa. I pianeti con elevata gravità erano in genere pianeggianti, a giudicare da Mesklin (l’unico esempio disponibile fino a quel momento) e si sarebbe detto che, secondo gli ingegneri, se capitava una zona in cui avanzare non era molto facile bisognava solo evitare di passarci. Questo rappresentava un’altra ragione per cui degli esseri viventi erano più indicati dei robot per quella missione.
Beetchermarlf, in quel momento stranamente filosofo, concluse che la preveggenza dipendeva in senso stretto dalla quantità di informazioni disponibili sul passato.
Dondragmer, anche lui completamente preso dal problema di liberare il veicolo, non aveva mosso un solo passo verso la soluzione del problema nonostante le migliaia di passi che aveva mosso in quelle ultime lunghe ore. Il primo ufficiale e gli scienziati erano ugualmente impotenti. Nessuno però dava mostra di preoccuparsi, tranne il capitano, e anche la sua preoccupazione non andava intesa in termini umani. Si era però guardato bene dal riferire all’equipaggio la conversazione avuta qualche ora prima con la base spaziale umana, e solo Beetchermarlf ne era al corrente perché era presente anche lui.
Inizialmente, doveva trattarsi solo di un normale rapporto e l’umore generale era moderatamente ottimista. Dondragmer intendeva riferire che non aveva ancora elaborato un piano efficace, ma venne frainteso. Purtroppo aveva concluso la frase dicendo: — Tanto abbiamo un sacco di tempo per pensarci.
Easy, dalla sua consolle alla base spaziale, si era sentita costretta a dissentire. — Forse non tanto quanto crede lei, Dondragmer. Qualcuno qui ha osservato bene quei macigni: sono lisci e arrotondati, come lei ci ha riferito e come possiamo vedere dalla telecamera sul ponte. La causa più probabile di una simile forma sono le continue inondazioni a cui va soggetta la zona, e per smuovere un peso del genere è necessaria una corrente tremenda. In breve, temiamo proprio che l’inondazione che vi ha travolti non sia altro che la prima della stagione, e pertanto la più debole… se non vi muovete alla svelta da lì, presto ne arriverà un’altra.
Con calma, Dondragmer elaborò la risposta.
— Forse è vero, ma stiamo già facendo tutto quanto è in nostro potere. Possiamo farcela oppure no, ma non possiamo fare l’impossibile. Se i vostri scienziati sono riusciti a saperne di più sul clima di questa zona siamo ansiosi di sentirli, altrimenti dovremo continuare come abbiamo fatto finora. Lascerò qualcuno alla radio e se non trova nessuno vuol dire che siamo tutti troppo occupati; in tal caso, provi a chiamare il laboratorio. Grazie per le informazioni. Ci risentiamo.
Il capitano tornò al suo lavoro e ai suoi pensieri. Non era tipo da farsi prendere dal panico con facilità: nelle emergenze sembrava più calmo che durante una discussione con qualcuno. Fondamentalmente, la sua filosofia era quella appena espressa: fare il possibile nel tempo concesso, tenendo presente che un giorno o l’altro il tempo sarebbe scaduto. Al momento però, avrebbe desiderato tanto sapere cos’era che si poteva fare.
Quel dannato macigno costituiva l’essenza del problema. Impediva alle ruote di toccare terra e fino a quando non solo non toccavano il fondo ma non potevano esercitare trazione non ci sarebbe stato verso di smuovere la Kwembly con la semplice forza dei suoi motori. Forse, i muscoli di tutto l’equipaggio unito avrebbero potuto smuoverla sulla Terra, ma non certo su Dhrawn con la sua potente attrazione: persino un masso di medie dimensioni era difficile da sollevare con quella gravità.
Tra l’equipaggiamento vi erano degli attrezzi che sarebbero potuti diventare delle leve per il sollevamento, ma nessuno di essi era tanto robusto da sopportare il peso del veicolo anche se da un punto di vista meccanico poteva dirsi adeguato.
Alcune serie di ruote, quattro per la precisione, si trovavano a contatto con il macigno stesso. Un’altra, la numero cinque, toccava il fondo. Al momento, nemmeno una era alimentata ma non pareva difficile installare i generatori e renderle autonome; e se le quattro a contatto del macigno e quella a contatto del fondo venivano messe in condizione di esercitare trazione, si poteva tentare di arretrare fino a scendere.
Possibile. Sembrava non esistere obiezione al ragionamento. Nulla faceva dubitare del successo. Su terreno pianeggiante e con buona aderenza qualsiasi combinazione di ruote andava bene; con il peso tutto concentrato su poche serie, la trazione doveva essere meglio del solito e innestando la retromarcia sarebbe stata tutta discesa.
Non fu certo mancanza di confidenza nel progetto quello che spinse Dondragmer a parlarne con gli umani della base spaziale. Annunciava loro le sue intenzioni e non chiedeva alcun permesso. L’uomo che lo ascoltò non era un ingegnere e gli diede una generica approvazione; poi, come da ordini superiori, trasmise il rapporto di Dondragmer alla Pianificazione in modo che venisse distribuito. Di conseguenza, passò circa un’ora prima che un ingegnere vi desse un’occhiata, cioè molto prima che Dondragmer fosse pronto a mettere in pratica la sua idea.
Il rapporto causò un’alzata di sopracciglia, un veloce esame eseguito con un modello in scala della Kwembly e due minuti di controlli e stesura dati.
L’ingegnere era piuttosto scarso con le lingue, ma questa non fu la sola ragione per cui si mise alla ricerca di Easy Hoffman. Non conosceva affatto questo Dondragmer e non aveva idea di come un mesclinita reagisse alle critiche. Conosceva solo i drommiani, dato che alcuni partecipavano direttamente al “progetto Dhrawn”, e si sarebbe sentito molto più sicuro con la mediazione dell’ufficiale di collegamento. Non appena venne messa al corrente, Easy gli assicurò subito che Dondragmer non era il tipo da rifiutare un ragionamento basato sui fatti, ma aggiunse che una migliore conoscenza della lingua avrebbe potuto facilitare le cose anche se l’ufficiale mesclinita parlava fluentemente la lingua degli umani. Infine, i due raggiunsero insieme il salone delle comunicazioni.
Benj era là, come sempre quando non era di servizio. In quegli ultimi giorni aveva fatto amicizia con diversi mescliniti, anche se continuava a preferire Beetchermarlf. Il lavoro e le lunghe assenze di quest’ultimo non avevano impedito ai due di sentirsi di tanto in tanto, con grande vantaggio per lo stennita di Benj. Il ragazzo migliorava ogni giorno di più e ormai era quasi bravo quanto sua madre riteneva.
Quando Easy entrò con l’ingegnere, Benj stava ascoltando Takoorch e non gli dispiacque affatto interrompere la conversazione con la scusa che erano arrivate importanti notizie per il capitano. Passarono parecchi minuti prima che Dondragmer raggiungesse il ponte. Aveva lavorato costantemente, come il resto dell’equipaggio, e solo per un colpo di fortuna si trovava all’interno della Kwembly quando la chiamata era arrivata.
— Eccomi qua, Easy — disse finalmente la sua voce. — Takoorch mi ha riferito che ha qualcosa di importante da dire. Forza allora, l’ascolto.
— Riguarda il metodo da lei suggerito per liberare la Kwembly dalle rocce — cominciò Easy. — Naturalmente non conosciamo la situazione bene quanto lei, ma ci sono due particolari che danno da pensare ai nostri ingegneri. Primo, sopra la roccia vi sono circa tre metri di scafo che comprendono parte del ponte; siete sicuri che la parte di prua non precipiti direttamente sul macigno quando, arretrando, le ruote non la sosterranno più? Secondo: verso la fine della manovra il peso della Kwembly graverà tutto sulle estremità. Certo, il materasso pneumatico dovrebbe distribuire il peso in modo uniforme su tutte le ruote ma l’ingegnere che vede al mio fianco non ne è molto certo, così come non è certo che le serie di ruote posteriori terranno il peso. E se lo scafo precipita bruscamente a terra, possiamo stare certi che ci penserà la gravità di Dhrawn a spaccarlo in due come una mela. Ha pensato a queste obiezioni?
Dondragmer ammise dentro di sé di non averci pensato e che sarebbe stato meglio fermare tutto e fare qualche calcolo prima di proseguire. Ripeté questi concetti per radio, ringraziò Easy e l’ingegnere e si diresse al portello stagno principale, ormai agibile da molte ore.
Fuori, il livello dell’acqua era sceso tanto che le funi di emergenza non servivano più. La profondità raggiungeva al massimo i due metri, secondo il livello medio del macigno più piccolo. La linea dell’acqua si trovava in effetti al livello più sconveniente possibile per osservare la Kwembly e i marinai che vi lavoravano. Dovette arrampicarsi sul grosso masso su cui il mezzo si era arenato, una cosa non facile anche galleggiando nell’acqua, e da lì dovette aggrapparsi alle ruote anteriori fino a raggiungere un punto in cui fosse possibile confrontare la curvatura della Kwembly con quella del macigno su cui si trovava. Non poteva esserne completamente sicuro, perché arretrare avrebbe alterato la distanza tra lo scafo e la roccia, ma ciò che vide non gli piacque per nulla. L’ingegnere umano aveva probabilmente ragione. Non solo esisteva il rischio di danneggiare seriamente lo scafo, ma l’albero del timone attraversava la pancia della Kwembly Proprio vicino al macigno e una tenuta meccanica tra l’albero e il bordo del foro impediva all’atmosfera esterna di penetrare internamente. L’albero si congiungeva poi con la parte centrale del dedalo di funi di guida. Incrinare o addirittura rompere l’albero non avrebbe significato mettere la Kwembly fuori gioco, perché ve n’era un secondo a poppa, ma non era certo un rischio da correre alla leggera.
La risposta a tutti i problemi stava già di fronte ai suoi occhi, ma Dondragmer impiegò più di un’ora per vederla. Uno psicologo umano, quando molto dopo sentì raccontare la storia, mostrò una certa delusione. Stava cercando differenze significative di personalità tra i mescliniti e gli umani, ma scopriva solo punti in comune. Bisognava lavorare, naturalmente. Persino i massi più piccoli pesavano esageratamente. Tuttavia i dintorni erano pieni di piccoli massi e non fu necessario molto tempo per ammucchiarne a sufficienza. Con l’intero equipaggio al lavoro, tranne Beetchermarlf e coloro che lo aiutavano con le ruote, la rampa composta di pietre crebbe a vista d’occhio e presto coprì ogni spazio dalla parte di poppa della Kwembly alla roccia su cui poggiava la prua.
Il lavoro di Beetchermarlf ne risultò grandemente avvantaggiato. Non appena finiva di riparare una serie di ruote un’altra risultava raggiungibile. Il suo lavoro e quello dell’equipaggio terminarono quasi contemporaneamente e solo quattro coppie di ruote rimasero bloccate per mancanza di parti di ricambio. Il timoniere aveva sfruttato al meglio i pochi pezzi disponibili, smontando le ruote e i perni inutilizzabili per riciclarne le parti laddove richiesto e facendo di tutto per ripartire equamente peso e trazione del veicolo in modo che non soffrisse la mancanza di quanto non era riuscito a riparare. Per lavorare sulla serie numero cinque, completamente immersa nell’acqua, dovette sgonfiare parzialmente i pneumatici e quando li rigonfiò lo scafo si mosse leggermente, allarmando non poco Dondragmer e gli altri che lavoravano sotto la pancia del veicolo. Fortunatamente lo spostamento si rivelò insignificante.
Per tutto quel periodo, il capitano aveva in pratica fatto la spola tra l’esterno e la radio, perché sperava che gli umani sapessero indicargli il momento in cui sarebbe avvenuta la seconda inondazione; quando non si preoccupava per questo dirigeva i lavori della rampa e misurava con lo sguardo il livello dell’acqua. Tempo dopo, a lavori conclusi, l’acqua non raggiungeva un metro e la corrente sembrava completamente cessata: ora si trovavano in una pozza invece che in un fiume.
La notte di Dhrawn avvolgeva tutto nelle sue tenebre. Il sole era calato ormai da più di cento ore e il cielo appariva completamente sereno. Il violento baluginare delle stelle guidava coloro che lavoravano sotto la Kwembly; tra di esse però non vi era il sole di Mesklin, che appariva solo in certe ore ed era scarsamente visibile dal suolo per via della densa atmosfera. Al momento doveva trovarsi troppo vicino alla linea dell’orizzonte, e neppure Dondragmer sapeva dire se sarebbe sorto in poco tempo oppure se bisognava attendere. Sol e Fomalhaut, che persino il membro più ottuso dell’equipaggio sapeva indicare a sud, brillavano e pulsavano poco sopra un’altura a qualche chilometro di distanza. La linea immaginaria che le congiungeva appariva spostata di venti gradi, in termini umani, oppure di quattro in termini mescliniti rispetto al momento in cui erano sorte.
Oltre la zona illuminata dalle luci esterne della Kwembly si estendeva un buio impenetrabile. Dhrawn non aveva alcuna luna e le stelle non illuminavano molto di più di quanto facessero sulla Terra o su Mesklin.
La temperatura non sembrava aver subito variazioni di rilievo; gli scienziati della Kwembly continuavano a misurare i cambiamenti nell’ambiente con tutta la precisione consentita dalla loro conoscenza e dalla loro tecnologia per comunicarli immediatamente alla stazione spaziale. Il capitano aveva sperato di venir contraccambiato con qualche informazione utile, anche se capiva che gli umani non dovevano certo sdebitarsi per qualcosa: i rapporti che la Kwembly inviava facevano parte del lavoro che i mescliniti erano stati assunti per svolgere.
Dondragmer aveva anche suggerito ai suoi scienziati di pensare con la propria testa. La risposta di Borndender a quello che gli sembrò sarcasmo gratuito fu che se gli umani gli avessero fornito un computer e tutti i dati conosciuti sulle precipitazioni da un lato all’altro del pianeta sarebbe stato felice di provare. Il capitano però non intendeva affatto fare del sarcasmo; conosceva anche lui benissimo la differenza che passava tra il sapere perché una nave galleggia sull’acqua o sull’ammoniaca e il sapere perché due virgola tre millicavi di pioggia a sessanta ventesimi era caduta sulla colonia tra la quarantesima e la centesima ora del secondo giorno. Sospettò quindi che la reazione di Borndender fosse alquanto interessata: i mescliniti erano tali e quali agli umani quando volevano nascondere le proprie lacune e Borndender assumeva in genere un’aria seccata quando si sentiva in qualche modo inutile. Evitando di portare alla luce questo aspetto della vita di bordo, Dondragmer si limitò ad affermare che le buone idee erano sempre le benvenute e uscì.
Anche gli scienziati dovettero uscire quando giunse il momento di usare la rampa. Borndender si irritò per questo e borbottò qualcosa riguardo la natura accademica della differenza tra stare dentro o fuori della Kwembly se succedeva qualcosa di grave. Quello di Dondragmer non era comunque un consiglio, ma un ordine e persino gli scienziati non potevano mettere in dubbio il diritto e l’autorità che la sua posizione di comando gli conferiva. Solo lui, Beetchermarlf e un tecnico di nome Kensnee specialista delle colture idroponiche dovevano trovarsi a bordo al momento di muoversi. Dondragmer aveva pensato di ricoprire il ruolo di timoniere e di sperare nella fortuna per quanto riguardava l’integrità delle colture, ma concluse che Beetchermarlf conosceva meglio il sistema di funi di guida e quindi poteva sentire subito se qualcosa non andava mentre il tecnico sarebbe tornato utile se dei cedimenti nella rampa avessero causato problemi con la copertura delle vasche, anche se la potenza utilizzata internamente non era strettamente connessa al movimento. Le colture erano troppo importanti: le vasche che le contenevano potevano venir trasportate, per cui anche se la Kwembly fosse finita male l’equipaggio poteva sperare di raggiungere la colonia a piedi portando con sé le vasche e tutto il materiale necessario.
Il ragionamento che stava dietro la chiamata a bordo del tecnico e del timoniere imponeva che anche il capitano rimanesse a terra, ma non ci fu nulla da fare: la ragionevolezza di Dondragmer non arrivava fino a quel punto. Rimase al suo posto sulla Kwembly.
La tensione tra il gruppetto di grandi bruchi radunato intorno al veicolo alieno salì quando un rumore secco indicò che le ruote motrici erano state innestate. Dondragmer non poteva vedere le loro espressioni dal ponte e quindi rimase tranquillo, ma Beetchermarlf udì i loro commenti e ne rimase turbato. Gli spettatori umani, che osservavano la scena da una telecamera presa dalla stanza delle colture e installata su una roccia in mezzo all’acqua a una cinquantina di metri di distanza, non videro nulla se non quando la Kwembly cominciò ad arretrare. Nel salone delle comunicazioni tutti erano tranquilli, tranne Easy e Benj.
Il ragazzo prestava poca attenzione allo schermo esterno e seguiva uno degli schermi interni, che mostrava il ponte e parte di Beetchermarlf. Il mesclinita teneva una chela sulla barra, stringendola forte, mentre le altre tre chele saettavano continuamente tra le molte funi che servivano al controllo dei motori, cercando di equalizzare la diversa spinta esercitata sulle ruote. La potenza raggiungeva a malapena i valori normali, cioè l’equivalente di dieci; le funi, che solitamente si congiungevano in modo da controllare tutti i motori per mezzo di una sola, erano state riallineate per ottenere un controllo singolo su ogni motore. Beetchermarlf era molto, molto occupato.
Mentre la Kwembly cominciava lentamente a muoversi, uno degli umani che seguivano la scena comodamente seduti commentò: — Ma perché non hanno installato qualche indicatore di potenza e di giri su quel ponte? Guardate quel poveraccio: sta diventando matto a tirare tutte quelle corde con quelle ridicole chele. Tra l’altro non sa neppure se una certa ruota fa presa… per non parlare della direzione, che gli deve risultare del tutto sconosciuta.
— Se dovesse basarsi su degli strani oggetti come degli indicatori, probabilmente sarebbe vero — replicò Mersereau. — Barlennan non ha voluto nulla di troppo sofisticato su quei veicoli in modo che la sua gente fosse in grado di riparare tutto sul posto. Ha accettato certe cose solo perché non aveva alternativa. Io mi sono dichiarato d’accordo, e così han fatto tutti gli ingegneri. Guardi: la Kwembly sta scendendo quella rampa in retromarcia tranquilla come non mai.
Un coro di fischi e lunghi suoni a sirena accompagnava ogni movimento del veicolo, attutiti dal fatto che la maggior parte dei mescliniti che li emetteva si trovava sott’acqua. Per un lungo momento, una ventina di ruote a mezza nave rimasero sospese nel vuoto quando la parte a poppa della Kwembly abbandonò la rampa e mosse all’indietro nel letto del fiume. L’ingegnere che aveva avvisato contro “l’effetto ponte” incrociò le dita e alzò gli occhi al cielo. Poi la parte a prua si abbassò quando le ruote anteriori discesero la rampa e il peso si riequilibrò in modo accettabile. Lo sforzo di torsione, i cui rischi nessuno aveva seriamente considerato, diminuì man mano che il veicolo guadagnava una posizione relativamente orizzontale sul greto del fiume per fermarsi una volta disceso completamente. L’equipaggio girò in ordine sparso attorno alla Kwembly e si affollò nuovamente vicino al portello stagno principale. Nessuno si ricordò più della telecamera. Easy pensò di ricordarlo al capitano, ma si trattenne ritenendo opportuno non dire nulla in quel momento.
Dondragmer infatti non si era scordato lo strumento. Non appena i primi membri dell’equipaggio emersero dal portello interno dell’accesso principale, la sua voce echeggiò nei tubi acustici.
— Kervenser! Reffel! Ricognizione immediata con i volatori. Reffel, raccolga il prendimmagini che è rimasto fuori. Si assicuri che sia al sicuro dentro il volatore prima di ripartire; poi esplori per una decina di minuti la zona da est a nord. Kervenser, si spinga a sud per un periodo di tempo analogo. Borndender, mi faccia sapere quando tutti i suoi strumenti sono stati caricati a bordo. Beetchermarlf e Takoorch, provvedete immediatamente a riallineare le funi di guida.
La radio sul ponte era attivata e quindi Easy sentì gli ordini emessi dal capitano traducendoli prontamente ai presenti. Qualcuno ridacchiò sentendo la donna designare la telecamera col nome mesclinita di “prendimmagini”. Easy e i suoi colleghi seguirono la scena sullo schermo collegato alla telecamera esterna osservando con interesse il decollo dei due velivoli simili a piccoli elicotteri, che avvenne direttamente dall’hangar tramite una paratia mobile orizzontale. Il primo piegò verso la telecamera e tutti pensarono che presto le immagini sarebbero venute meno; il secondo stava ancora salendo quando abbandonò l’immagine lasciando comunque intuire la sua intenzione di virare verso est. Poi le immagini si fecero confuse mentre la telecamera veniva issata a bordo da Reffel, con lo schermo che mostrava l’interno del velivolo ripreso da angolazioni impossibili. Quando le immagini si fecero stabili e apparve chiaro che Reffel aveva intenzione di filmare il lago con gli infrarossi, Easy allungò distrattamente una mano e attivò il registratore. Sarebbe stato un filmato utilissimo per la mappatura della zona.
Dondragmer avrebbe certamente apprezzato la possibilità di seguire in diretta le immagini su schermo, ma poteva solo attendere il rapporto verbale di Reffel oppure di Kervenser, ben sapendo che quest’ultimo lo avrebbe trasmesso un po’ in ritardo. Ma anche Reffel non si prese il disturbo di riferire subito al capitano come andavano le cose. Non aveva visto nulla che richiedesse l’adozione delle procedure di emergenza. In ogni caso, Dondragmer poté finalmente riferire agli ascoltatori umani che la Kwembly si trovava in una valle larga circa una ventina di chilometri, delimitata da pareti di roccia decisamente più scoscese di quanto fosse normale su Dhrawn. I piloti stimarono la loro pendenza tra i venti e i trenta gradi e riferirono che sembravano abbastanza alte raggiungendo, in alcuni punti, anche i venti metri. Kervenser comunicò che a ovest non vedeva alcun segno che indicasse la ripresa del deflusso delle acque. Riferì inoltre che i macigni, che da terra sembravano estendersi a perdita d’occhio, terminavano bruscamente a un paio di chilometri dalla loro posizione lasciando spazio a una vasta pianura rocciosa e che il panorama appariva costellato di grosse pozze d’acqua come quella in cui si trovava la Kwembly. Verso est invece i macigni e Se pozze continuavano molto oltre il punto raggiunto da Reffel. Dondragmer valutò attentamente le informazioni ricevute dai piloti e le commentò dopo qualche istante con gli umani della stazione spaziale. Poi ordinò agli elicotteri di ampliare il campo di perlustrazione.
— Kervenser, si porti più in alto. I timonieri termineranno il loro lavoro solo tra qualche tempo e io voglio che lei segua la valle verso ovest per un’ora intera. Usi tutte le luci esterne del volatore per la ricognizione al suolo e mi informi subito se vede dell’acqua in movimento. Anzi, segua la valle per tre ore se non vede qualcosa che vale la pena di studiare o se non deve tornare indietro a causa della nebbia. Io mi prenderò un attimo di riposo. Riferite tutto a Stakendee, che mi sostituirà sul ponte.
Anche i mescliniti si stancavano, ma Dondragmer aveva scelto il momento sbagliato per andare a riposare, come più tardi commentò Barlennan. Quando il capitano rispose che non avrebbe potuto far nulla anche da sveglio il suo superiore gli rispose con l’equivalente di un grugnito di rabbia.
— Lei avrebbe dovuto capire che qualcosa stava per succedere: quando lo ha capito, ormai era tardi.
Dondragmer si trattenne dal rispondere che dopotutto questo provava lo scarso peso della sua omissione, ma tra sé e sé ammise che sul momento era parsa una tragedia.
Dovettero passare otto ore dalla partenza degli elicotteri prima che qualcuno osasse disturbare il capitano. Quando un assonnato Dondragmer rispose, il marinaio concentrò la situazione in una singola frase: — Signore, Kervenser e i due timonieri sono ancora fuori e la pozza d’acqua in cui ci troviamo è diventata un unico blocco di ghiaccio.