3 Centri nervosi

Forse era stato poco gentile inviare il rapporto nella lingua degli umani. Il tempo necessario per la traduzione avrebbe alleviato un po’ lo shock di McDevitt. La cosa peggiore, disse in seguito lo scienziato umano, era sapere che il messaggio stava viaggiando alla volta di Dhrawn e non poter fare nulla per fermarlo. Per un attimo aveva pensato di saltare sulla navetta per collocarsi tra le onde radio e il pianeta in modo da oscurare la Kwembly. Ma in effetti il pensiero non durò più di un attimo: non si poteva fare molto in trentadue secondi. Inoltre, la navetta non poteva viaggiare alla velocità della luce: si trattava di un mezzo spaziale di potenza e dimensioni ridotte, da utilizzare in caso di emergenza e per riparare i satelliti. Easy, seduta accanto a lui, sembrava non aver notato la differenza tra le previsioni dei meteorologi e le condizioni effettive del tempo. Perlomeno, non si era girata verso di lui per osservarlo con l’espressione divertita che nove su dieci dei suoi colleghi avrebbero sfoggiato. “Be’, comunque non l’avrebbe mai fatto”, pensò McDevitt. “Ecco perché fa il suo lavoro.”

La donna stava lavorando nuovamente sulla manopola di selezione, con l’attenzione rivolta a uno schermo più piccolo sopra i quattro schermi della Kwembly. Inizialmente una spia accanto allo schermo splendeva di un rosso intenso; poi, mentre Easy lavorava sui comandi la spia divenne verde e sullo schermo comparve l’immagine di una stanza arredata a ufficio con una dozzina di mescliniti che si aggiravano qua e là. Subito Easy iniziò a parlare.

Il rapporto fu breve. Tutto quello che poteva fare era ripetere le poche parole di Dondragmer. Terminò molto prima che lo schermo mostrasse le conseguenze di quanto aveva riferito.

Quando la risposta arrivò, comunque, si sentì soddisfatta. Tutti gli esseri a forma di bruco in vista si affrettarono verso la trasmittente. Anche se Easy non aveva mai imparato a leggere le espressioni sul volto dei mescliniti, non vi erano difficoltà nell’interpretare le zampe che si agitavano e le pinze che sbattevano. Una delle creature si precipitò verso una porta semicircolare sull’altro lato della stanza e scomparve dalla vista. Nonostante il colore rosso e nero dei mescliniti, Easy non poteva fare a meno di associarli alla vista di sua figlia che, qualche anno prima, portava alla bocca una forchettata di spaghetti. Un mesclinita che correva in un campo di quaranta gravità sembrava filiforme e senza zampe all’occhio umano.

Il suono non era ancora arrivato, ma nel salone il mormorio cresceva d’intensità. Non era certo anormale che i ricognitori di terra incontrassero delle difficoltà. In genere però i mescliniti affrontavano i problemi con spirito molto più tranquillo degli umani, che invece stavolta si limitavano a guardare immobili. Nonostante l’impossibilità di usare il sistema di comunicazione interno per motivi estranei al servizio, la gente cominciò a fare ingresso nella stanza e a sedere sulle poltroncine rimaste libere. Gli schermi vennero attivati e sintonizzati sul quartier generale mesclinita. Allo stesso momento, Easy e Mersereau dividevano l’attenzione tra i quattro schermi di comunicazione con la Kwembly, lanciando solo un’occhiata di quando in quando al piccolo schermo soprastante.

Dalle immagini non si sarebbe detto che la Kwembly stava galleggiando perché i movimenti venivano ripartiti tra le trasmittenti e non vi erano oggetti in vista che rotolassero o si muovessero in modo da dare l’impressione di navigare. La maggior parte dell’equipaggio era praticamente cresciuta sul mare e l’abitudine di una vita faceva sì che nulla venisse lasciato malfermo. Easy mantenne lo sguardo sul ponte sperando di vedere qualcosa all’esterno in grado di rivelarle le condizioni atmosferiche, ma nulla di riconoscibile comparve attraverso le vetrate.

Improvvisamente queste vennero nascoste dal corpo di Dondragmer che si avvicinava alla telecamera per trasmettere il suo rapporto.

— Si direbbe che non corriamo pericoli immediati. Il vento ci sta spingendo in avanti abbastanza rapidamente, a giudicare dalla scia che ci lasciamo dietro. La nostra rotta magnetica è sessantasei. Siamo immersi fino alla linea di galleggiamento, cioè fino al ponte numero due. I nostri scienziati stanno cercando di calcolare la densità di questo liquido, ma nessuno finora si era preso la briga di realizzare delle tabelle di dislocamento per questo scafo. Se voi umani avete questa informazione, la mia gente sarà felice di averla. Comunque, finché non andiamo a cozzare contro qualcosa di solido, eventualità che ritengo improbabile, non vedo cosa possa succedere. Tutti i macchinari stanno funzionando a dovere e l’unico inconveniente è che le ruote non hanno nulla su cui far presa. Se diamo potenza però funzionano. Per ora questo è tutto. Se i vostri satelliti riescono a monitorizzare la nostra posizione saremmo felici di sapere a che velocità procediamo. Riferite tutto a Barlennan e ditegli che per adesso va meglio del previsto.

Easy si sintonizzò con la base mesclinita e iniziò a ripetere il rapporto di Dondragmer. Si rese conto, dopo un po’, che tutto veniva trascritto su carta da un zelante graduato. Dentro di sé si augurò che avesse qualcosa da domandarle: non avrebbe potuto rispondere a molte domande, ma stava cominciando a provare nuovamente quella sensazione di inutilità e precarietà che l’angosciava tante volte. Il mesclinita, invece, si limitò ad annunciare che la trasmissione era stata ricevuta alla perfezione e si avviò verso la porta con le sue note. Easy fu lasciata sola a chiedersi quanto lontano doveva andare per portare gli appunti a Barlennan. Nessun umano aveva un’idea precisa della configurazione della base mesclinita.

In effetti però il tragitto fu breve. La maggior parte del viaggio sembrò svolgersi all’esterno per via del timore dei coloni per qualsiasi tipo di copertura, un timore difficile da dimenticare persino su un pianeta dove la gravità equivaleva a una frazione del valore normale su Mesklin. La copertura della base era eseguita interamente in materiale trasparente portato appositamente dal loro pianeta natale. La sola differenza nei confronti di una comune sezione di città a più livelli consisteva nel fatto che tutti gli edifici erano a un singolo piano. Infatti, il pensiero di una struttura a più piani non era mai passato per la mente dei mescliniti: la struttura multi-piano della Kwembly e degli altri ricognitori si doveva principalmente alla progettazione umana e paneshk.

Il mesclinita avanzò zigzagando lungo un corridoio, da cui si dipartivano altri corridoi, per non più di centocinquanta metri prima di raggiungere l’ufficio del comandante. L’ufficio si trovava sul lato settentrionale dell’insieme di strutture alte un metro che formavano il corpo centrale della colonia. Il terreno circostante era ondulato e la base mesclinita si trovava a ridosso di una balza alta forse un paio di metri che si estendeva per un chilometro e mezzo da est a ovest, interrotta qua e là da una dozzina di rampe artificiali. Subito dietro la base, con il ponte che pareva torreggiare sulla colonia, si trovavano due dei giganteschi ricognitori. Anche la parete dell’ufficio di Barlennan era trasparente e dava direttamente sul più vicino dei due veicoli. L’altro era parcheggiato a due-trecento metri verso est. Dall’ufficio erano visibili anche degli operai in tuta spaziale, decisamente minuscoli paragonati all’enorme mezzo di trasporto che stavano revisionando.

Barlennan stava seguendo con aria critica il lavoro degli operai quando il messaggero bussò ed entrò. Il marinaio non pronunciò alcun saluto formale ed entrò subito nei dettagli del rapporto giunto dalla stazione spaziale umana non appena il comandante gli fece cenno di parlare. Quando Barlennan si girò per prendere il rapporto scritto, l’altro lo aveva già illustrato oralmente.

Naturalmente quanto sentì non suonò per nulla soddisfacente. Aveva pensato a una serie di domande, e il rapporto appena inviato da Easy non rispondeva a nessuna di esse. Il comandante decise di controllare la sua impazienza.

— Immagino quindi che i meteorologi umani non siano stati di nessun aiuto — disse.

— No signore, almeno per noi. Ma forse hanno parlato direttamente con la Kwembly senza consultarci.

— Già, è possibile. I nostri meteorologi sono stati messi al corrente?

— Che io sappia no, signore. Non avevamo nulla di utile da riferire, ma Guzmeen ha forse inviato un messaggio anche a loro.

— Va bene. Voglio parlare io direttamente con gli scienziati. Sarò alla sezione scientifica tra mezz’ora al massimo. Riferisca a Guzmeen.

Il messaggero confermò serrando la chela e uscì dall’accesso da cui era entrato. Barlennan invece uscì da un’altra parte, avanzando lentamente verso ovest e attraversando edificio dopo edificio tramite i corridoi coperti che rendevano il complesso un’unica, grande struttura. La maggior parte dei corridoi sul suo percorso tendeva a salire, cosicché quando dovette svoltare verso sud e allontanarsi dalla balza si trovava circa un metro e mezzo più in alto del suo ufficio, anche se non raggiungeva ancora il ponte del ricognitore parcheggiato vicino al suo ufficio. La copertura trasparente tendeva a piegarsi leggermente verso l’esterno man mano che saliva dato che l’atmosfera della base, composta quasi per intero di idrogeno, non soffriva la repentina caduta di pressione con l’aumentare dell’elevazione a cui invece andava soggetta l’atmosfera densa e mista di Dhrawn. La colonia era stata edificata a un’elevazione notevole per Dhrawn. La pressione esterna complessiva equivaleva alla pressione registrata a livello del mare su Mesklin. Era solo quando i ricognitori scendevano a quote inferiori che si rendeva necessario l’utilizzo di argon, per mantenere stabile la loro pressione interna.

Dal momento che l’atmosfera di Dhrawn conteneva il due percento di ossigeno, i mescliniti facevano di tutto per prevenire qualsiasi infiltrazione. Barlennan ricordava ancora gli imbarazzanti risultati di un’esplosione dovuta a miscelazione di ossigeno e idrogeno poco dopo il suo primo incontro con gli esseri umani.

Il complesso di ricerca era l’edificio più a ovest e più alto della base. Era decisamente ben separato dalla maggior parte delle altre strutture, e differiva da queste ultime per il suo solido tetto, nonostante anche questo fosse trasparente. Era anche l’unico tra tutti gli edifici che potesse vantare una piccola storia separata, in quanto molti strumenti erano stati installati sul tetto e una serie di rampe e portelli stagni consentivano l’accesso fin sopra. In nessun modo i mescliniti avevano accettato di utilizzare gli strumenti forniti loro dagli sponsor alieni: avevano avuto cinquant’anni per prepararsi e, grazie alla loro immaginazione e nonostante le molte ingenuità, la strumentazione funzionava benissimo, anche se naturalmente nessuno poteva esserne certo prima di aver iniziato le operazioni su Dhrawn.

Come nei ricognitori, anche nel complesso di ricerche faceva mostra un misto di crudezza e sofisticazione. L’energia era fornita da reattori a fusione all’idrogeno, ma provette e alambicchi erano di vetro soffiato; le comunicazioni con la stazione spaziale umana avvenivano per mezzo di una trasmittente a stato solido di raggi elettromagnetici, ma i messaggi venivano portati a mano da appositi fattorini attraverso i lunghi corridoi della base. Ma questo stava per cessare, anche se gli umani non lo sapevano. I mescliniti avevano afferrato il principio del telegrafo e stavano per realizzare i primi telefoni. In ogni caso, la base non era dotata di telefono o di telegrafo perché la maggior parte degli sforzi amministrativi di Barlennan era concentrata sul progetto che aveva provocato la simpatia di Easy per l’equipaggio della Esket. Ci voleva molto impegno per realizzare linee telegrafiche attraverso il nudo suolo di Dhrawn.

Barlennan non riferiva nulla di tutto questo ai suoi sponsor umani. Non gli dispiacevano gli umani, in effetti, anche se non spingeva tanto in là le sue simpatie quanto Dondragmer. Era sempre stato cosciente della loro brevissima esistenza, che impediva l’instaurarsi di un rapporto confidenziale tra lui e i suoi datori di lavoro prima che questi venissero sostituiti da altri. Ogni tanto si preoccupava della possibilità che gli umani, i Drommiani e i Paneshk scoprissero quanto effimera era in realtà la durata della loro vita, per paura che la cosa potesse deprimerli. Difatti, era divenuta un po’ una politica da parte mesclinita evitare il discorso dell’età con le altre razze aliene. Un’altra politica che tutti seguivano era evitare di dipendere da loro più di quanto fosse realmente necessario. Non si riusciva mai a sapere se un nuovo arrivato dimostrava le stesse propensioni di chi l’aveva preceduto. Gli alieni erano intrinsecamente inaffidabili secondo la maggior parte dei mescliniti; la fiducia che Dondragmer nutriva in loro era solo una lampante eccezione.

Gli scienziati che Barlennan era venuto a visitare conoscevano tutto questo. La loro prima preoccupazione riguardava la sua presenza nel loro laboratorio. — Si tratta di un’ispezione o c’è qualche problema? — domandarono.

— Problemi, temo — replicò Barlennan riferendo brevemente la situazione di Dondragmer. — Riunite tutti coloro che pensate possano avere qualche idea e andiamo alla stanza della mappa — ordinò, aprendo la strada verso un locale di una quindicina di metri quadrati il cui pavimento equivaleva a una mappa della zona immediatamente prossima ad Alfa Inferiore. Fino a quel momento però non molte sezioni riportavano una mappatura accurata e ogni volta che Barlennan osservava quel pavimento non poteva evitare di pensare a quanto lavoro rimaneva ancora da fare. Tuttavia, si sentiva più incoraggiato lui da quella mappa incompleta che la sua controparte umana sulla stazione spaziale che orbitava a centinaia di migliaia di cavi di distanza. Entrambe le mappe mostravano la zona ad arco coperta dai ricognitori e qualche particolare del paesaggio. I mescliniti riportavano la rotta dei ricognitori con lunghe linee di colore nero, il cui insieme ricordava alla lontana la struttura delle cellule nervose umane con tanto di massa della cellula.

La mappa dei mescliniti prendeva come punto di riferimento la posizione della Esket, marcata in rosso. Questa informazione era stata ottenuta senza bisogno di ricorrere agli umani. In quella stanza non vi erano telecamere e mai ve ne sarebbero state fino a quando il comando spettava a lui.

In quel momento però la sua attenzione si spostò parecchio più a sud del cerchiolino rosso, dove quasi nulla era ancora marcato. La linea che rappresentava il percorso della Kwembly appariva tristemente sola. Barlennan sollevò la parte anteriore del suo corpo in modo da vedere comodamente, e portò gli occhi a quindici, venti centimetri dal suolo. La mappa appariva vuota, e con quella sensazione la osservò fino all’ingresso degli scienziati. Bendivence si mostrava sempre troppo ottimista, oppure troppo pessimista. Il comandante non riuscì a capire perché altrimenti doveva chiamare una ventina di scienziati per un problema semplice come quello. Gli scienziati si radunarono vicino a lui e sollevarono i loro corpi, pronti ad ascoltare educatamente il comandante e a rispondere alle sue domande. Barlennan cominciò senza preamboli.

— Questo è il punto dove si trovava la Kwembly all’ultimo rapporto — disse, indicandolo a tutti. — Stava attraversando una zona pianeggiante coperta di neve, neve d’acqua praticamente priva di detriti e grossi ostacoli ma piuttosto sporca, secondo quanto affermano gli scienziati di Dondragmer.

— Borndender? — domandò qualcuno. Barlennan confermò con un gesto e continuò a parlare.

— La zona innevata comincia qui — aggiunse, strisciando fino a un punto situato a circa un metro e mezzo di distanza verso nord. — Si estende tra due catene montuose che abbiamo indicato solo parzialmente. I dirigibili di Destigmet non si sono ancora spinti tanto a sud, o forse non ci è ancora arrivato il rapporto, e i piloti della Kwembly non hanno visto molto. Una ventina di ore fa, mentre la Kwembly era ferma per dei controlli di routine, si è alzato un forte vento che ha portato una densa nebbia composta di ammoniaca quasi pura. Poi, senza preavviso, la temperatura è salita di parecchi gradi e loro si sono trovati a galleggiare, sospinti dal vento verso ovest. Abbiamo bisogno di spiegazioni e di urgenti consigli su cosa fare. Come mai la temperatura è salita e la neve si è sciolta di colpo? Esiste qualche connessione tra i due fenomeni? Tenete presente che la più alta temperatura riportata dalla Kwembly era di soli centotre gradi, ventisei o ventisette gradi in meno del punto di fusione dell’acqua. E perché un vento così forte? Sta spingendo la Kwembly verso le regioni calde interne ad Alfa Inferiore, molto più a sud della Esket — disse, indicando il cerchiolino su una sezione del pavimento poco più in là. — Sareste in grado di prevedere quanto a ovest verranno sospinti? Non volevo che Dondragmer partisse per questa missione, e non voglio certamente perderlo nonostante i disaccordi esistenti tra noi. Domanderemo agli umani tutto l’aiuto che possono concederci, ma anche voi dovrete lavorare. So che qualcuno tra voi ha cercato di capire qualcosa sul clima di Dhrawn. Non avete qualche idea sul perché tutto questo sia successo?

Seguirono alcuni minuti di silenzio. Perfino i più portati per i lunghi discorsi conoscevano Barlennan abbastanza da sapere che non valeva la pena di rischiare in un momento come quello. Per un po’ nessuno si fece avanti con qualche idea costruttiva. Poi uno degli scienziati si affrettò verso la porta dicendo: — Torno subito. Debbo controllare una tabella.

Passarono meno di trenta secondi e lo scienziato rientrò. — Credo di poter spiegare il rialzo di temperatura e l’improvviso scioglimento della neve — disse con sicurezza. — La superficie era coperta di acqua gelata, e la nebbia composta di ammoniaca. Il riscaldamento dovuto all’incontro e alla miscelazione delle due sostanze può aver provocato il rialzo di temperatura, mentre è risaputo che esistono soluzioni di acqua e ammoniaca che si sciolgono a temperature molto inferiori di centotré gradi, addirittura a settantuno.

Dagli ascoltatori si levarono moderati suoni di approvazione, mentre chele e zampe si sollevavano per esprimere soddisfazione. Barlennan si unì all’entusiasmo degli scienziati anche se la spiegazione non era ancora completa. Ma non aveva ancora finito con le domande.

— Questo può aiutarci a stabilire fin dove verrà sospinta la Kwembly?

— Di per sé non credo… dovremmo sapere fin dove si estendevano la zona pianeggiante e il banco di nebbia — rispose lo stesso scienziato — e dato che l’unico ricognitore nella zona era la Kwembly, per saperlo abbiamo bisogno delle fotografie scattate dai satelliti umani. Ma sappiamo tutti quanto imprecisi sono questi satelliti: la maggior parte delle volte è impossibile distinguere tra nuvole e ghiaccio. Inoltre, quei satelliti sono stati costruiti prima che noi arrivassimo qui.

— Proviamo lo stesso — ordinò Barlennan. — Con un po’ di fortuna, perlomeno sarà possibile vedere se la catena montuosa a occidente incrocia il percorso attuale della Kwembly e in tal caso lo scafo non potrebbe venir trascinato per più di qualche migliaio di cavi.

— Va bene, controlleremo. Bendivence e Deeslenver, venite con me. Siete più pratici di quelle foto di quanto lo sia io — disse uno dei ricercatori. I tre uscirono dalla stanza, mentre la riunione si frammentò in piccoli gruppi che discutevano animatamente tra loro indicando ora la mappa sul pavimento, ora qualcosa nel laboratorio al di là della parete. Barlennan li lasciò discutere per parecchi minuti prima di decidere che era ora di riprendere in pugno la situazione.

— Scusate, ma se la pianura che Dondragmer stava attraversando era coperta di pura neve d’acqua, è logico pensare che da molto tempo non si verificava in quella zona una precipitazione di ammoniaca. Perché allora le cose sono cambiate tanto rapidamente?

— Deve trattarsi di uno degli effetti legati al cambio di stagione — rispose uno dei presenti. — Si tratta solo di una congettura, ma direi che il fenomeno è dovuto a qualche repentino cambiamento nel corso dei venti. Le masse d’aria di diverse parti del pianeta vengono saturate di acqua o ammoniaca a seconda della natura del terreno che attraversano, con un ruolo importante giocato dalla temperatura. La distanza tra Dhrawn e il suo sole raddoppia nella stagione fredda e il pianeta ruota su un asse molto più inclinato di quello di Mesklin. A questo punto, è logico pensare che in un determinato periodo dell’anno quella pianura riceva solo precipitazioni a base d’acqua, mentre in altri solo a base di ammoniaca. In effetti, la tensione di vapore dell’acqua è tanto bassa che è difficile concepire una situazione in cui l’acqua evapori nell’atmosfera senza trascinare con sé eventuali vapori di ammoniaca, ma sono sicuro che è possibile. Ci lavoreremo sopra, ma si tratta di un’altra situazione in cui avremmo vita più facile con informazioni che riguardano tutto il pianeta nella sua rivoluzione completa. Questi umani sembrano avere una fretta indiavolata: potevano aspettare ancora qualche anno prima di dare il via alle esplorazioni.

Barlennan rispose con un gesto che tradotto in termini umani significava un grugnito di accettazione.

— I dati attuali debbono bastare. Comportatevi come se foste qui a scoprire il resto, piuttosto che trovarlo già pronto.

— Naturalmente. Ha intenzione di mandare il Kalliff o la Hoorsh in aiuto di Dondragmer? Questa situazione è certamente diversa da quella della Esket.

— Dal nostro punto di vista è vero. Ma potrebbe sembrare strano agli umani se insistessi per dirottare su Dondragmer un ricognitore dopo tutte le discussioni dell’ultima volta. Ci penserò sopra. Vi è più di un modo di navigare controvento. Voi fate partire quel lavoro di ricerca di cui parlavamo cominciando anche a pensare come potremmo fare per andare incontro alla Kwembly a nostra volta.

— Va bene, comandante — dissero più o meno all’unisono tutti i presenti, facendo per girarsi e andare. Ma Barlennan voleva aggiungere qualcos’altro.

— Jemblakee, capisco benissimo che sia ansioso di parlare con i suoi colleghi umani per sapere cosa hanno scoperto, ma le raccomando di non menzionare assolutamente quanto abbiamo discusso. Eviti anche di parlare di questa storia della miscelazione tra acqua e ammoniaca che fa salire la temperatura: lasci che ne parlino loro per primi, e mostri autentica sorpresa quando ci arriveranno, va bene?

— Perfetto — rispose Jemblakee. Lo scienziato avrebbe senza dubbio condiviso una smorfia di mutua soddisfazione con il suo comandante se il volto dei mescliniti fosse stato in grado di assumere un’espressione del genere. Finalmente Jemblakee uscì, e dopo qualche istante Barlennan fece lo stesso. I rimanenti tecnici e ricercatori avrebbero volentieri approfittato della sua presenza per discutere altre cose, ma in effetti aveva altro da fare. Se non riuscivano a lavorare senza le sue pinze sul timone… be’, dovevano andare per qualche ora alla deriva.

Presto avrebbe dovuto parlare con la stazione spaziale umana; ma se avveniva una discussione, cosa che sembrava abbastanza probabile, era meglio essere aggiornato sugli ultimi sviluppi. Alcuni dei giganti con due zampe, per esempio Aucoin, che sembravano avere molto da dire sulla loro politica, erano riluttanti a perdere o addirittura rischiare anche una minima parte dell’equipaggiamento di riserva, senza riguardo per l’importanza che i mescliniti davano a determinate situazioni. Dato che erano gli alieni a pagare, questo sembrava logico se non lodevole. Tuttavia non vi era nulla di riprovevole nel cercare di convincerli ad assumere un atteggiamento più realista. Se possibile, la cosa migliore era cercare di far leva su quella donna stranamente simpatetica chiamata Hoffman. Era un vero peccato che gli umani mantenessero degli orari così strani. Se avessero installato dei grandi orologi nel salone delle comunicazioni lui avrebbe potuto decidere con chi parlare. Si chiese, non per la prima volta, se non lo avessero fatto apposta proprio per impedirlo; non c’era modo però di appurarlo: non poteva certo domandarlo.

Il centro di comunicazioni della base si trovava abbastanza distante dai laboratori da dargli il tempo di pensare lungo la strada. Era anche abbastanza vicino al suo ufficio da concedergli il tempo di una pausa per stendere qualche nota in preparazione dello scontro verbale prossimo futuro.

L’argomento centrale sarebbe stata la questione del salvataggio se il veicolo di Dondragmer si fosse guastato. Se l’allarme precedente, che aveva coinvolto la Esket mesi prima, poteva servire da indicazione, il parere degli umani sarebbe stato di lasciar perdere e di non distogliere il Kalliff dalle sue mansioni. Naturalmente non c’era nulla che gli umani potevano fare se lui avesse deciso di inviare i soccorsi comunque, o se decideva di fare di testa sua in mille altre cose, ma Barlennan sperava di mantenere le cose entro i limiti di un’accorata discussione. Meglio evitare discussioni inutili: ecco perché sperava di trovare Easy Hoffman. Per qualche ragione quella donna sembrava propensa a mettersi dalla loro parte ogni volta che sorgeva una discussione. La Hoffman rappresentava certamente uno dei motivi per cui non si era verificato alcuno screzio tra mesciutiti e umani durante l’emergenza della Mesklin, anche se senza dubbio la ragione principale era che lui, Barlennan, non aveva mai avuto l’intenzione di inviare una squadra di soccorso e pertanto non si era opposto ad Aucoin.

Bene, poteva comunque arrivare fino al centro di comunicazioni e scoprire chi era di servizio in quel momento alla stazione spaziale. Con l’equivalente di un’alzata di spalle, un movimento che increspò tutto il suo corpo, Barlennan si sollevò dal pavimento con i suoi quarantacinque centimetri di corporatura da bruco e si avviò nel corridoio. E fu in quel momento che il vento raggiunse la base.

Inizialmente la visibilità rimase buona. Per alcuni minuti non vi fu traccia della nebbia che aveva intrappolato Dondragmer. Notando che la copertura trasparente cominciava a incresparsi, Barlennan cambiò immediatamente idea e tornò indietro verso il laboratorio, ma prima che riuscisse a ottenere qualche informazione costruttiva dai suoi scienziati le stelle cominciarono a offuscarsi. In pochi minuti, le luci mostrarono un soffitto tanto grigio da sembrare cemento a mezzo metro sopra i mescliniti. I soffitti del laboratorio erano in materiale rigido e non vibravano per il vento come quelli dei corridoi, ma il suono che veniva da fuori era tale da spingere più di uno scienziato a porsi dei dubbi sull’effettiva resistenza del complesso. Nessuno ne fece parola ad alta voce in presenza del comandante, ma Barlennan sapeva cosa significavano quegli sguardi intensi che gli venivano rivolti non appena risuonava l’urlo del vento.

Solo in quel momento Barlennan realizzò che la sua attuale posizione era la meno indicata per un comandante nel momento del bisogno. Tra l’altro non era neppure uno scienziato, e pertanto il laboratorio era l’unica sezione della base in cui non poteva assolutamente dare ordini. Si limitò quindi a domandare una sola cosa, e venne informato che la velocità del vento equivaleva a circa la metà di quella dichiarata da Dondragmer, che si trovava a circa quindicimila chilometri di distanza. Saputo questo, si diresse verso il centro di comunicazione.

Pensò per un attimo di passare dal suo ufficio già che era sulla strada, ma dopotutto chiunque volesse trovarlo sapeva di doverlo cercare anche da Guzmeen. In quel momento una domanda gli attraversò la mente, una curiosità che poteva venir soddisfatta dagli umani a bordo della stazione spaziale molto più velocemente che in qualsiasi altro modo. La faccenda gli sembrò sempre più importante a ogni secondo che passava. Dimenticando completamente di assicurarsi che Easy Hoffman fosse di guardia alle riceventi Barlennan entrò con decisione nel piccolo centro di comunicazioni, salutò i presenti e si diresse verso la più vicina trasmittente. Cominciò a parlare prima ancora di veder comparire il viso di Easy, ma quando vide che era veramente lei la sua controparte non poté trattenere un moto di soddisfazione.

— Il vento e la nebbia sono arrivati fin qui — dichiarò secco. — Alcuni dei miei erano in servizio esterno… be’, suppongo che per loro non si possa far nulla al momento. Alcuni però erano in servizio di manutenzione sui ricognitori parcheggiati appena fuori: potreste chiamarli dal vostro centro radio e domandare loro come vanno le cose. Non sono molto preoccupato, perché la velocità del vento si è dimezzata rispetto a quella annunciata da Dondragmer e l’aria è molto meno densa per la maggiore altitudine alla quale ci troviamo. Ma anche noi siamo bloccati per la nebbia: mi fareste veramente un gran favore a sincerarvi delle condizioni dei miei mescliniti là fuori.

L’immagine di Easy aveva cominciato a parlare molto prima che Barlennan finisse. Naturalmente non poteva trattarsi di una risposta a quanto il mesclinita aveva detto, perché non era trascorso abbastanza tempo da permettere al segnale di andare e tornare; evidentemente, anche gli umani avevano qualcosa di urgente da dirgli. Barlennan si concentrò sul suo messaggio fino a quando non ebbe finito, sapendo che Guzmeen o qualcun altro avrebbero registrato quello di Easy in arrivo. La sovrapposizione di più messaggi in queste situazioni era una cosa frequente, e veniva trattata seguendo una normale routine.

Una volta inviato il suo messaggio il comandante si girò per chiedere un riassunto delle parole di Easy, ma la sua domanda venne interrotta. Uno degli ufficiali entrò affannato nella stanza e cominciò a parlare non appena lo vide.

— Signore, tutti i gruppi in servizio esterno sono riusciti a tornare alla base, tutti meno due che vengono attesi all’ingresso settentrionale. Uno è il gruppo al lavoro sulla Hoorsh, mentre l’altro stava livellando il terreno per la costruzione del nuovo complesso venti cavi a nord, sull’altro lato del piazzale di parcheggio: il primo era composto di otto tecnici, mentre il secondo di venti tra operai e ingegneri.

Barlennan serrò contemporaneamente tutte e quattro le chele per segnalare che aveva capito. — La stazione spaziale sta cercando di mettersi in contatto con la Hoorsh: presto avremo loro notizie — replicò. — A proposito, quanti erano di servizio esterno oggi? Quanti sono i dispersi, e cosa dicono coloro che sono riusciti a tornare di questa nebbia? Ci sono feriti?

— Nessun ferito, signore. Il vento non ha rappresentato un grave problema: sono tornati perché non si vedeva più nulla. Alcuni però hanno avuto difficoltà a trovare la strada. Personalmente credo che la squadra di operai e ingegneri stia ancora cercando di tornare, oppure che abbia deciso di fermarsi dove si trova in attesa che qualcuno li vada a prendere. Il gruppo al lavoro sulla Hoorsh invece può anche non essersi accorto di nulla, visto che tutti lavorano all’interno. Se nessuno di loro si fa vivo, penso sia opportuno inviare qualcuno.

— Inviare qualcuno? E come pensa di evitare che si perda?

— Con la bussola, e mandando con lui un operaio che abbia lavorato molto all’esterno e conosca bene il terreno.

— Io non ho alcuna… — fece per replicare Barlennan, ma la voce di Easy lo interruppe.

— Barlennan — disse la donna. — Le ricetrasmittenti del Kalliff e della Hoorsh sono perfettamente funzionanti. Per quanto possiamo vedere, sul Kalliff non c’è nessuno: lo scafo è deserto e nulla si muove. Sulla Hoorsh invece vediamo dell’animazione: ci sono da tre a cinque mescliniti nella sala di biorigenerazione. L’uomo in servizio agli schermi della Hoorsh ha visto almeno tre mescliniti muoversi nel giro di due minuti, ma non conosce la vostra razza al punto di poter affermare con certezza che si tratti di individui diversi. Nessuno però sembra preoccuparsi. I mescliniti che abbiamo visto sono tutti presi dal loro lavoro, e non prestano alcuna attenzione agli schermi. Sicuramente però non hanno alcuna intenzione di inviare richieste di soccorso. Jack Bravermann sta cercando di attirare la loro attenzione verso lo schermo, ma io non credo vi sia nulla di cui preoccuparsi. Come ha detto lei, un vento a velocità ridotta e un’atmosfera più sottile dovrebbero significare che la base non è in pericolo se nulla finora è successo alla Kwembly.

— Non è quello che mi preoccupa, perlomeno non molto. Ma se aspetta un momento, ascolterò quanto mi ha detto prima e le risponderò — disse Barlennan, girandosi verso l’addetto alle comunicazioni per affermare: — Suppongo che abbiate registrato quello che ha detto.

— Sì signore, ma non era nulla di urgente anche se può essere considerato interessante. Ma abbiamo un nuovo rapporto dalla Kwembly. Lo scafo sta ancora galleggiando e il vento lo spinge in direzioni diverse. Dondragmer afferma di esser stato un paio di volte sul punto di incagliarsi. Visto che anche la Kwembly si muove, a bordo ritengono impossibile misurare la velocità del vento e stabilire se è rimasta invariata. — Il comandante fece un gesto di accettazione, si girò di nuovo verso il comunicatore e disse: — Grazie, signora Hoffman. Mi fa piacere parlare con lei anche se mi comunica che non vi è nulla di cui preoccuparsi. Rimarrò qui per un po’, così se vi sono novità potrà comunicarmele immediatamente. A proposito, i vostri meteorologi sono riusciti a elaborare una previsione attendibile? Sono riusciti a spiegare cosa sta succedendo?

A tutti i presenti nella stanza risultò ovvio che Barlennan faceva del suo meglio per mantenere un’espressione neutra e distante mentre formulava la domanda. Le zampe erano immobili e rilassate e le protuberanze che reggevano le chele rimanevano vicino al corpo con le pinze leggermente dischiuse. La testa si trovava proprio all’altezza giusta, né troppo vicino al pavimento né troppo rialzata, e gli occhi fissavano intensamente schermo e telecamera. Nessuno poteva sapere cosa gli passava per la testa, ma i mescliniti sapevano che stava dando a quella domanda un’importanza maggiore del solito. Qualcuno si domandò perché si preoccupava di controllarsi così, dato che era difficile credere che un umano potesse afferrare le sottigliezze del loro comportamento. Ma quelli che lo conoscevano meglio sapevano che non avrebbe mai rischiato di far trapelare i suoi pensieri più profondi. Dopotutto gli umani erano una razza evoluta, e fra loro vi erano soggetti come Easy Hoffman capaci di parlare stennita e di afferrare al volo il punto di vista dei figli di Mesklin, anche se con tutte le limitazioni della sua razza aliena.

Tutti osservarono lo schermo con interesse, domandandosi se l’umano avrebbe dato mostra di qualche reazione verso l’atteggiamento del comandante, poi la sua risposta arrivò. Tutto il personale del centro di comunicazioni conosceva le espressioni facciali degli umani e la maggior parte di loro riusciva a riconoscere almeno una mezza dozzina di persone diverse basandosi solo sulla faccia o sulla voce, anche perché il comandante aveva tempo prima espresso un forte desiderio affinché queste abitudini venissero coltivate. Barlennan, con gli occhi che avevano abbandonato lo schermo per osservare a uno a uno i presenti nella stanza, si divertiva delle loro espressioni quasi quanto si annoiava del suo atteggiamento scontato. Si chiese come avrebbero reagito alla risposta di Easy, qualunque fosse; ma non ebbe il tempo di scoprirlo.

La donna umana aveva evidentemente ricevuto il suo ultimo messaggio e stava per iniziare a rispondere quando la sua attenzione venne richiamata da qualcosa d’altro. Per molti secondi ascoltò evidentemente un altro umano e i suoi occhi si distrassero dalla telecamera. Poi la sua attenzione tornò a Barlennan.

— Comandante — disse. — Abbiamo appena ricevuto un rapporto da Dondragmer. La Kwembly si è arenata, o perlomeno sta per arenarsi sulla terraferma. Il vento però li spinge ancora: le correnti non sono cessate. Hanno toccato terra, ma le ruote non fanno presa sulla superficie sotto di loro. Comunque, se il vento non li disincaglia sono destinati a fermarsi anche perché Dondragmer afferma che il livello dell’acqua sta scendendo.

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