11 Gioco rischioso

Non fu certo colpa di Kabremm, anche se Barlennan ci mise un bel po’ di tempo a perdonarlo. La telecamera si trovava lontana e dato che muoveva dal buio verso le luci del gruppo di Stakendee, il nuovo venuto non avrebbe mai potuto notarla in tempo. Ma anche se l’avesse notata, Kabremm non se ne sarebbe preoccupato più di tanto. Gli umani sembravano tutti uguali alla maggior parte dei mescliniti e quindi diede per scontato che la stessa cosa succedesse in senso opposto. Certo non si sarebbe messo in mostra di proposito, ma una volta notato che lo strumento lo stava inquadrando pensò che uno scarto improvviso o comunque un movimento sospetto rappresentassero un pericolo ben maggiore che rimanere tranquillo dov’era.

Quando la voce di Easy eruttò dal microfono era ovviamente sessantaquattro secondi troppo tardi per fare qualcosa. Stakendee, il cui primo impulso non appena udì l’urlo di Easy fu lanciarsi contro l’apparecchio e farlo in mille pezzi, realizzò in tempo che questo non avrebbe fatto altro che peggiorare sensibilmente le cose.

Ai due fu impossibile rimediare sul momento. Non erano molto esperti in imbrogli e intrighi vari, anche se i mescliniti conoscevano perfettamente l’arte dell’inganno. Quei due comunque non brillavano molto per la loro intelligenza. Entrambi infine sostenevano con entusiasmo il progetto della colonia clandestina.

Entrambi però capirono che qualsiasi cosa facessero per cercare di rimediare al pasticcio combinato poteva contraddire quello che Barlennan o Dondragmer avrebbero fatto una volta coordinate le idee. Ma concertare l’azione era impossibile. Dopo qualche istante Stakendee pensò di rivolgersi a Kabremm come se si trattasse di Reffel o di Kervenser, ma alla fine dubitò dell’efficacia dell’espediente. Easy Hoffman doveva sentirsi molto sicura per erompere in un’esclamazione del genere e una smentita da parte di Kabremm avrebbe aiutato poco, anche perché probabilmente Kabremm non sapeva dei due elicotteri mancanti.

La donna umana non aveva aggiunto altro all’esclamazione. Probabilmente attendeva la risposta. Cosa aveva visto durante quel breve lasso di tempo!

Anche Barlennan aveva sentito l’urlo di Easy. Nonostante la distanza, in quel momento si trovava in una posizione insolitamente simile a quella di Stakendee. Poteva solo ipotizzare il motivo per cui Kabremm si trovava nelle vicinanze della Kwembly, anche se la scomparsa dei due elicotteri lo aveva preparato per un’eventualità del genere. Solo uno dei tre dirigibili in servizio veniva impiegato per le comunicazioni tra la seconda colonia e la base; gli altri erano affidati al controllo di Destigmet con compiti di ricognizione ed esplorazione. Tuttavia, Dhrawn era tanto grande da rendere la presenza di uno di essi vicino alla Kwembly un’autentica coincidenza.

Comunque, ormai era successo. Pura sfortuna, si disse Barlennan, dovuta soprattutto al fatto che l’unico umano capace di riconoscere Kabremm seguiva in quel momento la scena. Pertanto gli umani ora sapevano che l’equipaggio della Kwembly non era scomparso nel nulla. Nessuno aveva pensato a una simile possibilità e quindi non esisteva una storia plausibile che Kabremm potesse raccontare senza paura di contraddirsi all’esame dei fatti. Forse Dondragmer sarebbe riuscito a riempire il vuoto; dopotutto, aveva avuto a disposizione un po’ di tempo per pensare e, indipendentemente dalla sua opinione sull’inganno della Esket, non era tipo da tirarsi indietro davanti a una decisione. Difficile comunque capire cosa potesse mai fare; Barlennan non aveva idea di come rispondere quando la questione sarebbe saltata fuori, né tantomeno sapeva cosa avrebbe risposto Dondragmer. Forse il modo migliore di uscirne era affermare con convinzione la propria estraneità ai fatti e rimettersi completamente al rapporto di Dondragmer. Perlomeno il capitano sarebbe riuscito a impedire che qualche risposta avventata di Kabremm, che aveva fatto proprio una figura da imbecille, compromettesse tutto una seconda volta.

Per buona pace della sua tranquillità mentale, Barlennan non capì veramente dove era avvenuto l’incontro. Pochi secondi prima del suo urlo Easy gli stava dicendo che Benj aveva visto qualcosa su uno degli schermi della Kwembly, altrimenti avrebbe pensato che Kabremm fosse inavvertitamente entrato nel campo ottico di una delle telecamere della Esket. In effetti non sapeva nulla della spedizione partita alla ricerca dei due piloti dispersi e quindi pensò che l’incontro fosse avvenuto all’esterno della Kwembly e non a sette chilometri di distanza. Per i mescliniti però quei sette chilometri equivalevano a sette anni luce data l’impossibilità di comunicare al di là della portata della propria voce. Bisognava per forza passare dagli umani e quindi Dondragmer poteva solo fare quello che si preparava a fare lui: aspettare. In ogni caso, almeno sul momento il capitano della Kwembly ebbe l’idea buona per sbloccare la situazione.

Anche Dondragmer udì l’esclamazione di Easy Hoffman e molto più forte di Barlennan, dato che si trovava proprio davanti allo schermo. Comunque, tutto questo rappresentava per lui solo un diversivo; la sua attenzione andava piuttosto ad alcune parole pronunciate da Benj con noncuranza. Il loro effetto fu tale da spingerlo a interrompere una comunicazione con una chiamata urgente, cosa che in genere veniva accuratamente evitata. — Ascoltatemi! — esclamò. — Prima di procedere oltre con le speculazioni vorrei ricevere maggiori informazioni su quell’acqua… quella di cui Benj ha riferito e che si trova a poca distanza dal gruppo di ricerca. Se si tratta di un corso d’acqua, questi sono i miei ordini: Stakendee con due aiutanti deve risalirlo portando con sé il prendimmagini per informare voi, e quindi me, della sua natura e delle sue origini e in particolare se il flusso di liquido sembra aumentare. Gli altri invece debbono discenderlo fino a scoprire quanto vicino arriva alla Kwembly. Una volta accertatolo debbono tornare immediatamente a bordo. Mi occuperò più tardi dell’identità del nuovo venuto. Comunque, sono lieto del risultato positivo della spedizione. Per tornare al corso d’acqua, se saltasse fuori che rappresenta l’inizio del nuovo disgelo dobbiamo smettere immediatamente qualsiasi attività e concentrare tutti gli sforzi nella rimozione delle colture idroponiche prima che sia troppo tardi: non basta portarle fuori dalla Kwembly, dobbiamo trasportarle completamente fuori dalla valle. Questi sono gli ordini, e vanno eseguiti al più presto.

Questa richiesta cominciò ad arrivare alla stazione subito dopo la ricezione a terra dell’urlo di Easy e sollevò Kabremm e Stakendee dall’obbligo di dire qualcosa. Mersereau e Aucoin non c’erano e quindi Benj ripetè l’ordine ai membri del gruppo senza creare difficoltà. Dopo qualche esitazione, Easy si ripromise di approfondire i suoi dubbi in seguito e iniziò a riferire gli ultimi sviluppi a Barlennan. Se Dondragmer riteneva possibile una nuova emergenza sentiva di dover operare in modo da non mettergli i bastoni tra le ruote: dopotutto era lui che rischiava. In ogni caso, non riuscì a staccare gli occhi dallo schermo su cui era comparso Kabremm. Come poteva trovarsi lì? La sua presenza necessitava una spiegazione. Ma l’emergenza fece il gioco di Barlennan.

Dopo aver riferito dell’ordine di Dondragmer, Easy pensò bene di aggiungervi un rapporto che chiarì molte cose a Barlennan.

— Non ho idea di che quadro abbia della situazione, comandante, perché gli avvenimenti si stanno succedendo piuttosto confusamente. Dopo la scomparsa degli elicotteri, Dondragmer ha inviato una spedizione dotata di telecamera in cerca di Reffel e Kervenser. Questo è il gruppo che ha scoperto il corso d’acqua che preoccupa tanto Dondragmer e che allo stesso tempo ha trovato Kabremm. Non ho idea di come possa essere arrivato fin lì, a migliaia di chilometri dalla Esket, ma immagino che Dondragmer lo interrogherà e ci riferirà la sua storia non appena possibile. Mi sono domandata spesso se lui e gli altri non erano ancora vivi, ma mi sembrava impossibile dopo tanto tempo. Sapevo che il sistema di biorigenerazione può venir rimosso e installato in un campo provvisorio in caso il veicolo debba venir abbandonato, ma sembrava che dalla Esket non fosse stato portato via nulla. Questa notizia rappresenta una grande novità e fornisce una speranza: che voi mescliniti possiate vivere da qualche parte su Dhrawn senza bisogno dell’aiuto umano.

La risposta di Barlennan si limitò a un generico “ricevuto” con qualche distratto ringraziamento di prammatica. L’ultima frase di Easy aveva dato in qualche modo un nuovo corso ai suoi pensieri.

Benj prestò scarsa attenzione alle parole di sua madre dato che doveva prestare attenzione a quello che stava facendo. Ripeté gli ordini di Dondragmer alla spedizione e vide il gruppo dividersi come richiesto, anche se mancò di notare la confusione causata da Kabremm quando raccontò a Stakendee come era giunto fin lì. Successivamente il ragazzo riferì al capitano mesclinita dell’inizio della missione. Si comportò complessivamente come dovuto, anche se non poté evitare di metterci del suo tra la serie di comunicazioni che si intrecciavano.

— Capitano, spero che questo non la spinga ad abbandonare il lavoro a metà. Immagino che per portare fuori le colture sia necessario tutto l’equipaggio, ma credo che valga la pena di tentare di liberare la Kwembly. Non può abbandonare così il ricognitore e Beetchermarlf è ancora prigioniero là sotto col suo amico: moriranno se i lavori si fermano. Non credo ci vogliano molti marinai per far funzionare il dispositivo a resistenza.

Dondragmer ormai si era fatta un’opinione chiara della personalità di Benj Hoffman, anche se alcuni comportamenti sembravano fondamentalmente oltre la sua portata. Rispose quindi con tutto il tatto possibile.

— Fino a quando esisterà qualche possibilità di salvarla non ho certamente intenzione di abbandonare la Kwembly — disse — ma la presenza di acqua a pochi chilometri da noi mi obbliga a pensare che il rischio di una seconda inondazione sia molto elevato. L’equipaggio, come gruppo, viene per primo. La barra metallica che abbiamo tagliato verrà posta a contatto del ghiaccio tra pochi minuti. Una volta attivata, rimarranno ad occuparsene solo Borndender e un altro marinaio. Tutti gli altri, a eccezione naturalmente di Stakendee e il suo gruppo, inizieranno a trasportare le colture e le lampade fuori dalla vallata. Non ho alcuna intenzione di abbandonare i miei timonieri, ma se mi dovessero riferire con certezza che l’acqua sta salendo non esiterei a ordinare l’evacuazione abbandonandoli al loro destino. L’idea può apparire sgradevole e me ne rendo conto, ma sono certo che capirà che non c’è altro da fare.

Il capitano non aggiunse altro domandandosi senza troppa enfasi cosa avrebbe risposto Benj. Ma non poteva stare ad aspettare: aveva troppo da fare.

Si spostò verso la vetrata per osservare il pesante pezzo metallico, destinato a diventare un elemento riscaldatore se l’idea degli umani funzionava, che veniva abbassato lungo il lato a tribordo dello scafo. Delle funi lo avvolgevano per intero passando per dei morsetti disposti lungo tutta la barra e mantenute sempre tese dai marinai sul ghiaccio, che la- i sciavano correre le funi centimetro dopo centimetro sotto l’occhio attento di Praffen. Appollaiato sulla paratia dell’hangar degli elicotteri con il corpo sollevato in tutta la sua altezza, Praffen osservava le attività sotto di lui emanando a gesti una serie di ordini quando la sezione di tribordo della barra metallica venne calata lentamente per lasciar posto qualche istante dopo alla sezione opposta. Dondragmer fremette leggermente quando il marinaio sembrò sul punto di perdere l’equilibrio tradito dal leggero dondolio della barra metallica, ma Praffen la lasciò scorrere mantenendo un buon numero di zampe sul cornicione della paratia mobile e almeno tre paia di chele saldamente attaccate alle maniglie. Una volta passata la sbarra i rischi erano terminati, e lui fece cenno ai marinai che tenevano le corde di accelerare un poco la discesa. Furono necessari meno di cinque minuti per posare la barra metallica sul ghiaccio. Approfittando di quell’ultima parte dell’operazione Dondragmer si infilò la tuta spaziale e uscì dalla Kwembly dove emanò un certo numero di ordini con gran dispendio di fischi e suoni. Alla fine tutti si avvicinarono al portello principale per iniziare il trasferimento delle vasche di biorigenerazione, mentre il capitano rientrò all’interno per riprendere il contatto radio con Benj e Stakendee.

Mentre la barra veniva calata Benj, che seguì tutte le fasi del lavoro grazie alla nuova posizione della telecamera sul ponte, non proferì parola. Quello che vedeva non necessitava di commenti. Il ragazzo però non poté evitare di fremere quando vide l’equipaggio al gran completo raggiungere il portello principale. Dondragmer aveva ragione, ma non gli piaceva comunque vedere che le operazioni destinate a salvare la vita di Beetchermarlf venivano sospese così crudamente, lasciando tutto in mano a due soli mescliniti. Le loro difficoltà con il generatore servirono comunque a distrarlo e contribuirono a farlo sentire utile.

Benj non sapeva quale dei due fosse Borndender. Tuttavia quello che fecero lo interessò più delle loro identità, soprattutto quando armeggiarono malamente con i contatti.

La barra metallica era abbastanza rigida da sopportare bene gli urti e anche posata sul ghiaccio mantenne discretamente la sua forma originale. Ricordava una stretta e gigantesca forcina per capelli, con una protuberanza ricurva al centro per evitare la grande paratia mobile dell’hangar, le cui estremità si trovavano a sessanta, settanta centimetri una dall’altra. I componenti originalmente verticali della sua curvatura, prima forzati in posizione dalla forma stessa dello scafo, tendevano però ad appiattirsi per via dell’attrazione gravitazionale. I morsetti sarebbero rimasti: si trovavano disposti verso l’alto e quindi rimuoverli era inutile: il contatto con il ghiaccio era ottimo lungo tutta la resistenza.

I mescliniti trascorsero alcuni minuti tentando di raddrizzare la barra. Benj pensò che agissero così per liberare la porzione maggiore di scafo nel minor tempo possibile. Finalmente qualcuno capì che le due estremità dovevano trovarsi vicine comunque per poter entrare nello stesso generatore; quel lavoro venne abbandonato e i due si affrettarono a portare a poppa il generatore. Uno di essi si abbassò per esaminare le prese e il collegamento realizzabile con la barra, mentre l’altro rimase immobile nelle immediate vicinanze.

Benj non riuscì a vedere bene il generatore, dato che sullo schermo appariva molto piccolo, ma conosceva quel tipo di apparato. Era un normale convertitore standard, leggermente modificato a beneficio dei mescliniti. Comprendeva numerose prese di corrente che traevano energia modificando gli impulsi del campo magnetico che consentiva il moto meccanico. La corrente elettrica continua necessaria al funzionamento della resistenza poteva venir tratta da una qualunque di quelle prese. Il generatore era inoltre fornito di piastre di contatto a cui poteva venir data corrente, di connettori a spina per circuiti e di semplici prese unipolari che si trovavano alle estremità opposte dell’involucro. Le piastre sarebbero state le più facili da impiegare, ma Benj apprese poi che i mescliniti rifiutavano di usarle perché le ritenevano troppo pericolose. Finalmente i due decisero di usare le prese. Questo significava che un’estremità della gigantesca forcina doveva venir connessa a una presa e l’altra a una presa diversa sul lato opposto. Borndender sapeva che le estremità erano troppo grosse per entrare nel foro della presa e che sarebbe stato necessario assottigliarle sensibilmente, e quindi aveva pensato di portare con sé tutta l’attrezzatura necessaria. Questo aspetto del lavoro non presentò particolari problemi. Piegare le estremità una verso l’altra fu però molto più difficile. Mentre ancora lavorava su questo problema, il resto dell’equipaggio emerse dal portello principale con il suo carico di vasche per colture idroponiche, pompe, lampade e generatori di energia dirigendosi subito verso il lato nord della valle. Borndender li ignorò, rivolgendo loro solo una breve occhiata per domandarsi se qualcuno poteva abbandonare il suo lavoro per venire ad aiutarlo. Piegare le estremità della barra una verso l’altra a novanta gradi non comportava solo una certa forza fisica. La barra era semicircolare, con un diametro inferiore al centimetro. Sullo schermo pareva un grosso cavo metallico, anche se da vicino il suo spessore appariva evidente. La lega rimaneva sufficientemente compatta anche a centosettanta gradi Kelvin e quindi non sussistevano rischi di rottura. La forza dei mescliniti era certamente sufficiente allo scopo. Quello che mancava ai due scienziati e che rendeva l’operazione un’avventura era la trazione. Il ghiaccio sotto le loro zampe, composto di acqua con una certa percentuale di ammoniaca neppure troppo ghiacciata, risultava estremamente scivoloso. Le zampe dei mescliniti avevano un diametro tanto ridotto da penetrare nel terreno a ogni passo e questo, combinato con la loro struttura appiattita e molteplicità di punti di appoggio, impediva loro di scivolare sulla superficie gelata che circondava la Kwembly. In quel momento però Borndender e il suo assistente cercavano di applicare una potente spinta verso l’interno sulle estremità della barra e il loro peso limitato non bastava per piantare le zampe saldamente nel ghiaccio. Il metallo rifiutò di piegarsi e i lunghi corpi affusolati vennero proiettati lontano con la terza legge della gravità di Newton in completo controllo della situazione. Quella vista fu tanto comica da far scoppiare Benj in una risata nonostante le sue preoccupazioni, risata condivisa da Seumas McDevitt che era appena sceso dal laboratorio.

Borndender risolse i suoi problemi rientrando nella Kwembly per uscirne poco dopo con la trivella. Con questa eseguì nel ghiaccio sei fori profondi una trentina di centimetri in cui sistemò alcune putrelle della torre di trivellazione, in modo da creare una serie di punti d’appoggio per le proprie zampe, e finalmente la grande forcina divenne più simile a un calibro.

Inserire le estremità nei fori appropriati risultò relativamente facile dopo la limatura. Bisognava sollevarle leggermente per portarle all’altezza delle prese, ma trattandosi di un lavoro di muscoli che non implicava alcuna trazione venne svolto in meno di mezzo minuto. Con qualche esitazione, evidente anche agli spettatori umani, Borndender si avvicinò ai comandi del generatore. Benj e McDevitt seguivano altrettanto tesi. Dondragmer non era affatto certo che la Kwembly non corresse rischi, visto che poteva basarsi solo sulla parola degli umani, ma anche i due spettatori nutrivano qualche dubbio sulla reale efficacia di un simile meccanismo.

I loro dubbi vennero subito dissipati. I meccanismi di sicurezza di cui il generatore era dotato si comportarono adeguatamente per quanto riguardò la sicurezza del generatore stesso, ma non furono in grado di analizzare in dettaglio la corrente esterna effettiva. I meccanismi di sicurezza consentivano al generatore di emettere corrente, e non voltaggio, fino al limite selezionato con i comandi manuali. Naturalmente Borndender selezionò la potenza minima disponibile. La resistenza tenne per parecchi secondi e avrebbe potuto tenere per sempre se le estremità non si fossero trovate fuori dal ghiaccio.

Per la maggior parte della lunghezza del circuito tutto andò bene. Una nuvola di microscopici cristalli di ghiaccio cominciò a salire qualche secondo dopo aver dato corrente, come se il ghiaccio si trasformasse direttamente in vapore sotto il calore della barra per ritrasformarsi nuovamente in ghiaccio a contatto dell’aria densa e gelata. Il vapore gelato nascose alla vista la barra che penetrava nel ghiaccio, ma nessuno dubitò che stesse succedendo.

Gli ultimi trenta centimetri del circuito non erano però protetti a sufficienza dagli elevati specifici e dalla dispersione di calore nell’acqua. Quella sezione metallica non diede inizialmente mostra in alcun modo della corrente elettrica che vi transitava, ma dopo tre secondi circa cominciò a diventare incandescente. La resistenza della barra crebbe naturalmente con la temperatura e nello sforzo di mantenere costante l’emissione di corrente il generatore aumentò il voltaggio. Il calore addizionale che ne seguì si concentrò soprattutto nelle sezioni già surriscaldate. La nuvola di cristalli di ghiaccio venne illuminata da un bagliore rosso che immediatamente iniziò a trasformarsi in bianco, obbligando Dondragmer a spostarsi istintivamente verso l’altra estremità del ponte mentre Borndender e il suo compagno si appiattirono sul ghiaccio il più possibile.

I due osservatori umani emisero un urlo, Benj senza senso mentre McDevitt esclamò: — Non può scoppiare! — Naturalmente le loro reazioni erano troppo tardive per risultare di qualche efficacia. Quando l’immagine raggiunse la stazione un’estremità della barra aveva già iniziato a fondersi e il generatore si era fermato da solo. Borndender, alquanto sorpreso di ritrovarsi vivo e integro, corresse la procedura automatica con i comandi manuali e senza perder tempo a contattare il suo capitano iniziò ad analizzare l’accaduto.

Non gli ci volle molto per capirlo. Era capace di analisi ordinate e approfondite e aveva appreso molta più tecnologia aliena di quanto avessero potuto fare i due timonieri che aspettavano di venir salvati a pochi metri di distanza. Comprendeva la struttura e il funzionamento dei generatori quanto uno studente di liceo comprendeva la struttura e il funzionamento di un televisore. Non sarebbe mai stato in grado di costruirne uno per conto suo, ma era capace di dedurre col ragionamento le cause di una malfunzione come quella. Ma era più un chimico che un fisico, perlomeno per quanto riguardava il suo corso di istruzione.

Mentre Benj e McDevitt osservavano la scena stupiti e Dondragmer provava un profondo disagio, i due scienziati piegarono nuovamente le estremità in modo da provare un’altra volta. Con la trivella eseguirono una buca larga abbastanza da contenere il generatore alla fine della profonda scanalatura scavata dalla resistenza in quei pochi secondi di funzionamento. I due sistemarono il generatore nella buca, collegarono le estremità e seppellirono il tutto sotto del ghiaccio lasciando fuori solo i comandi. Finalmente Borndender diede corrente, allontanandosi poi molto più velocemente di prima.

La nuvola di cristalli di ghiaccio ricomparve, ma stavolta crebbe e si estese avvolgendo in breve la sezione più vicina della Kwembly, che comprendeva il ponte. Dondragmer e la telecamera si ritrovarono così avvolti nella nebbia. Anche in lontananza la nube, illuminata dalle luci esterne del ricognitore, si fece visibile e i mescliniti che stavano portando via le colture idroponiche si fermarono per osservare il fenomeno mentre Stakendee e i suoi notarono un bagliore a chilometri di distanza in direzione della Kwembly. Stavolta la resistenza penetrò per l’intera sua lunghezza nella superficie gelata, trasformando all’istante il ghiaccio in vapore bollente, che si ritrasformò in acqua a pochi millimetri di distanza a causa dell’effetto condensa per ritrasformarsi in vapore mentre precipitava e in cristalli di ghiaccio non appena varcata l’area soggetta all’effetto del calore. La pozza d’acqua calda che si formò, lunga circa tre quarti della lunghezza della Kwembly e larga più di due metri, cominciò a infiltrarsi nel ghiaccio circostante mentre un soffio di vento spazzava via la nube di cristalli di ghiaccio che fluttuava sul terreno.

Una parte della pozza raggiunse lo scafo e Dondragmer, che notò la cosa grazie alla momentanea dispersione della nube per opera del vento, fu assalito da un pensiero terrorizzante. Si infilò in fretta e furia la tuta spaziale e scese di sotto per raggiungere la paratia interna del portello principale. Una volta arrivato però si sentì indeciso su cosa fare. Con adesso la tuta spaziale era impossibile dire se il calore penetrava nello scafo, sprovvisto di termometri a eccezione del laboratorio. Per un attimo pensò di scendere e prenderne uno, ma poi decise che ci voleva troppo tempo per andare e tornare. Aprì quindi senza esitazioni la valvola di sicurezza situata sulla paratia esterna, manovrabile anche dall’interno per mezzo di un sistema di funi che passava per il liquido contenuto nella vasca. Non sapeva se il calore sviluppato dalla resistenza fosse in grado di riscaldare la Kwembly al punto da causare l’evaporazione dell’ammoniaca che fungeva da isolante nei portelli, ma non se la sentiva di rischiare. Certo lo scafo era perfettamente isolato e la dispersione del vapore sarebbe avvenuta lentamente, ma se il vapore fosse stato tanto da generare pressione, e quindi un’esplosione, tutto era perduto. Questo rappresentava un esempio di scarsa conoscenza capace di portare a preoccupazioni inverosimili: la temperatura necessaria per portare la tensione di vapore dell’ammoniaca a valori vicini ai valori ambientali avrebbe reso la paura di un’esplosione l’ultimo dei pensieri di qualunque mesclinita. In ogni caso aprire la valvola non poteva arrecare alcun danno e il capitano tornò velocemente sul ponte sentendosi decisamente sollevato.

La brezza gentile che soffiava da ovest spazzò via le spirali di nebbia gelata provenienti dalla pozza, che gli parve subito notevolmente più grande e profonda. Anche l’area della Kwembly a contatto dell’acqua si era estesa, ma man mano che passavano i minuti sentiva che doveva pur esistere un limite all’uso di quella cosa. Di tanto in tanto riusciva a vedere Borndender e l’altro marinaio muoversi nei paraggi in cerca del punto di osservazione più indicato. Finalmente i due si sistemarono quasi sotto il ponte con il vento alle spalle.

Per qualche tempo il livello del liquido sembrò statico, anche se nessuno degli osservatori sapeva dire perché. Più tardi si pensò che la pozza aveva raggiunto una sacca d’acqua rimasta sotto la Kwembly che impiegò almeno quindici minuti per evaporare del tutto. Passato quel periodo, tra l’acqua ribollente cominciarono a spuntare i massi del fondo e Dondragmer cominciò a considerare il problema di disattivare il generatore prima che la barra cominciasse di nuovo a fondere.

Sapeva ormai che il generatore non poteva esplodere, ma la barra si era già accorciata di diversi centimetri e un altro corto circuito avrebbe reso del tutto impossibile rimettere in funzione l’impianto di condizionamento. Bisognava fare di tutto per evitarlo; fondere altri centimetri dell’elemento metallico era quindi l’ultima cosa che desiderava. L’acqua evaporava a una velocità considerevole e la barra metallica si trovava ormai a contatto del fondo sotto pochi centimetri di acqua. Il capitano si chiese se avrebbe fatto in tempo a raggiungere i controlli per evitare il ripetersi del cortocircuito avvenuto in precedenza. Non sprecò neppure un secondo per rimproverare mentalmente gli scienziati per non aver connesso una fune ai comandi appropriati del generatore: anche lui dopotutto se n’era scordato.

Si infilò nuovamente la tuta spaziale e uscì all’esterno passando dal portello sul ponte. In quel punto la curvatura dello scafo nascondeva la pozza alla vista. Dondragmer iniziò a scendere nella nebbia il più in fretta possibile, mantenendosi saldamente agli appigli. Mentre scendeva urlava a squarciagola: — Borndender, disattivi il generatore! Borndender, non voglio perdere neppure un altro millimetro di barra!

Un fischio proveniente dal basso gli rivelò che era stato sentito, ma attraverso la nebbia non giunsero conferme o richieste di chiarimenti. Dando fondo a tutta la sua agilità, Dondragmer discese a tempo di record. La vista incoraggiante di qualche voluta di vapore proveniente da sotto il materasso pneumatico e le ruote, tornate visibili, lo aiutò a vincere la paura dell’altezza. Naturalmente l’acqua non bolliva, data la pressione esistente su Dhrawn, ma risultava caldissima anche per gli standard dei mescliniti e Dondragmer non si fece troppe illusioni sulla capacità della tuta spaziale di proteggerlo. Solo in quel momento gli venne in mente che la temperatura doveva esser troppo calda anche per i due timonieri dispersi. Facile quindi che fossero morti, bolliti vivi dall’apparato destinato teoricamente a salvarli. Ma questo pensiero non durò molto: c’era troppo lavoro da fare.

Il generatore si trovava molto a poppa rispetto alla sua posizione ma poteva avanzare al sicuro solo in avanti. In ogni caso raggiungere l’unità non sarebbe stato facile, dato che ora si trovava presumibilmente immersa nell’acqua bollente. Se bisognava saltare, darsi la spinta sugli appigli dello scafo non rappresentava certo la soluzione migliore. Dondragmer decise di avanzare.

Finalmente uscì dal banco di nebbia gelata. Borndender e il suo assistente non erano in vista. Probabilmente stavano girando attorno allo scafo per tentare di eseguire i suoi ordini. Il capitano continuò ad avanzare e pochi metri più avanti trovò il modo di scendere su un cornicione di ghiaccio rimasto attorno allo scafo.

Fu obbligato però a fermarsi quasi subito, in quanto il cornicione penetrava nuovamente nella nebbia gelata: era troppo stretto per rischiare. Lanciò un richiamo nell’assoluto silenzio e fu molto confortato nel sentire che qualcuno rispondeva. I due membri del suo equipaggio non erano caduti nell’acqua bollente. Li raggiunse quasi sotto la prua del ricognitore, dopo aver compiuto un mezzo giro attorno alla Kwembly dalla parte ancora prigioniera del ghiaccio. I risultati erano estremamente scarsi, in quanto non solo il generatore risultava fuori portata, ma anche fuori vista. Saltare nell’acqua rappresentava come minimo un’idea balzana, anche se normalmente i mescliniti tendevano a considerare simili ipotesi. Borndender e il suo assistente però non lo avevano fatto e Dondragmer si ritrovò a pensare che a lui succedeva per via delle esperienze vissute durante l’esplorazione della zona equatoriale a bassa gravità di Mesklin molto tempo prima.

Ma non restava molto tempo. Guardando oltre il margine del cornicione i tre notarono che la parte superiore arrotondata dei massi si era asciugata e che l’acqua tendeva ad abbassarsi sempre più. La resistenza doveva ormai trovarsi quasi esposta; con un po’ di fortuna poteva scivolare verso il punto più basso della pozza e conceder loro ancora qualche minuto per agire, ma non vi si poteva certamente far conto. Il capitano considerava i rischi connessi alle varie possibilità ormai da diversi minuti: senza esitare oltre e senza dire nulla ai due sottoposti si lasciò scivolare oltre il cornicione cercando di raggiungere il masso più vicino, circa ottanta centimetri più sotto.

La botta fu sensibile. Il salto equivaleva a una caduta di una trentina di metri sulla Terra e persino il mesclinita accusò il colpo. Ma Dondragmer si riprese subito. Un fischio prolungato rivelò ai due rimasti sopra che non aveva sofferto serie conseguenze e li avvisò di non seguirlo in caso il loro orgoglio li spingesse a fare qualcosa che la loro intelligenza certamente rifiutava. Dopo aver ordinato loro di rimanere dov’erano, Dondragmer relegò i due scienziati in fondo ai suoi pensieri e si preparò a compiere i passi successivi.

Il masso più vicino su cui saltare si trovava a più di sessanta centimetri, un poco oltre una lunghezza corporea, ma perlomeno lo vedeva. Ancora meglio, un altro masso un po’ fuori linea mostrava una superficie piatta di circa cinque centimetri quadrati dove poter atterrare. Due secondi dopo aver analizzato la situazione Dondragmer si trovava cinquanta centimetri più vicino al generatore e stava cercando un altro masso appropriato. Quei cinque centimetri quadrati scarsi di superficie piana offrirono appoggio a forse una dozzina di zampe quando il corpo rosso e nero del mesclinita si distese dopo il lungo salto.

Avanzare ora era però più complicato. Difficile stabilire da che parte andare, dato che lo scafo non poteva più fungere da punto di orientamento perché scarsamente visibile. Inoltre non vedeva altri massi nelle vicinanze tranne quello da cui aveva saltato. Esitò, guardandosi intorno e cercando di pensare in modo chiaro, ma prima che riuscisse a raggiungere una decisione il problema si risolse da solo. Il profondo sibilo presente nell’aria da parecchi minuti e che si doveva all’acqua trasformata istantaneamente in vapore dalla resistenza incandescente e di nuovo ritrasformata dalla pressione e dal freddo di Dhrawn cessò all’improvviso. Dondragmer capì che era troppo tardi per salvare la barra. Si rilassò immediatamente e attese con pazienza il raffreddamento dell’acqua, la dispersione del vapore e il precipitare della nebbia ghiacciata. A un certo punto però gli sembrò che l’aria stesse diventando insopportabilmente calda e si domandò più di una volta se non era il caso di tornare indietro, ma l’obbligo di doversi arrampicare sul cornicione di ghiaccio con il rischio di precipitare nell’acqua bollente lo obbligò a rimanere dov’era.

Finalmente l’aria si schiarì e attorno alle cime arrotondate dei massi cominciarono a prender forma incredibili combinazioni cristalline. Bastò un’occhiata per rendersi conto che si trovava a meno di due metri dal generatore, facilmente raggiungibile saltellando sulle rocce. Pochi secondi dopo l’apparecchio veniva disattivato. Fu solo dopo che Dondragmer alzò la testa per dare un’occhiata in giro.

Borndender e il suo assistente avevano girato nuovamente attorno alla Kwembly raggiungendo il punto dove avrebbe dovuto trovarsi la curvatura superiore della “forcina”. Dondragmer pensò che forse era lì che la barra si era nuovamente fusa.

Dall’altra parte, sotto lo scafo, si era formata una profonda caverna buia impossibile da illuminare con i riflettori della Kwembly. Il capitano non provò alcun desiderio di entrarvi: con tutta probabilità vi avrebbe trovato i corpi dei due timonieri. La sua esitazione venne notata da sopra.

— Perché rimane lì immobile vicino al generatore? — borbottò McDevitt. — Cosa sta aspettando? Forse i rischi che già corrono non sono abbastanza?

— Dondragmer sa quello che fa. Conosce la situazione meglio di noi — ribatté Benj con un tono di voce tale da far girare bruscamente lo scienziato.

— Non capisco. Che succede? — domandò McDevitt.

— Beetchermarlf e l’altro mesclinita si trovano ancora là sotto, ecco cosa succede. Non avevano via di scampo: come potevano sfuggire all’acqua bollente? Scommetto che solo ora il capitano se ne è ricordato perché altrimenti non avrebbe dato il permesso di procedere dopo il primo tentativo, come non l’avrei dato io. Riesce a pensare a come sono ridotti ormai quei due poveretti?

McDevitt pensò rapidamente. Difficile convincere o anche solo confortare il ragazzo a quel punto con la sola forza della ragione, che d’altro canto gli suggeriva formalmente che Benj aveva ragione. In ogni caso decise di provare.

— Mi sembra una brutta situazione, ma la speranza è l’ultima a morire. Non mi sembra che la resistenza abbia fuso il ghiaccio tutt’intorno alla Kwembly, ma potrebbe averlo fatto; e anche se fosse così rimarrebbero delle speranze. L’acqua calda può aver formato delle aperture o delle rientranze nel ghiaccio e forse i due timonieri sono riusciti a riparare sul lato opposto della Kwembly invisibile alla telecamera. Tra l’altro, potrebbero benissimo trovarsi altrove.

— Il ghiaccio avrebbe potuto salvarli? Pensavo avesse detto che il liquido era gelato per via della perdita di ammoniaca, non per la temperatura dell’aria. L’acqua gela a zero gradi centigradi, cioè una temperatura da colpo di calore per un mesclinita.

— In effetti così si ritiene — ammise il meteorologo — ma personalmente non ne sarei troppo sicuro. Non esistono abbastanza studi sulle loro reazioni. Certo, i due mescliniti là sotto possono essere morti entrambi, ma sappiamo così poco di quanto è successo che sarebbe sciocco perdere ogni speranza. Limitiamoci ad aspettare: tanto a questa distanza non potremmo fare altro comunque. Anche Dondragmer sta aspettando, ma possiamo star certi che scenderà a controllare il più presto possibile.

Benj cercò di controllarsi e fece del suo meglio per pensare in termini positivi, ma gli occhi che avrebbero dovuto seguire le mosse di Stakendee non riuscivano a staccarsi dall’immagine del capitano.

Molte volte ancora Dondragmer si allungò sul ghiaccio per ritrarsi subito dopo, con estrema irritazione del ragazzo. Finalmente sembrò convinto della resistenza del ghiaccio e la sua figura avanzò centimetro dopo centimetro sulla nuova superficie gelata. Una volta allontanatosi completamente dal generatore, il mesclinita attese qualche istante come se temesse qualcosa. Il ghiaccio tenne, e Dondragmer riprese ad avvicinarsi alla Kwembly. Gli umani seguivano la scena passo dopo passo; Benj serrava i pugni per la tensione, ma anche McDevitt dava mostra di un insolito nervosismo.

Non riuscirono a sentire nulla, neppure il richiamo lanciato da Dondragmer che attraversò la struttura della nave e venne raccolto dal microfono della telecamera. Non riuscirono neppure a capire il motivo per cui il capitano mesclinita si girò improvvisamente proprio quando stava per entrare nella buia caverna. Poterono solo vederlo correre sulla superficie gelata gesticolando affannosamente verso i due marinai che seguivano la scena dal cornicione di ghiaccio rimasto attorno alla Kwembly, apparentemente indifferente alla sorte toccata ai suoi due timonieri.

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