La sua voce viaggiò veloce, ma il punto di arrivo era distante. Le onde radio che la trasportavano attraverso la spessa atmosfera subito rarefatta di Dhrawn raggiunsero finalmente lo spazio esterno, accelerando la loro fuga secondo dopo secondo. Viaggiando si indebolivano, ma mezzo minuto dopo la loro irradiazione avevano ancora abbastanza energia per venire raccolte da un’antenna parabolica di tre metri di diametro. L’antenna a cui erano dirette si proiettava da un cilindro di circa cento metri di diametro lungo circa la metà: formava un’estremità dell’immensa struttura spaziale a blocchi che ruotava lentamente sul suo asse equilibrata dal peso delle sue sezioni.
La corrente indotta dalle onde radio nell’antenna venne ritrasmessa, in un lasso di tempo molto inferiore, a un cristallo grande quanto una capocchia di spillo che la rettificò e l’avviluppò, utilizzando quanto ottenuto per modulare un flusso di elettroni prodotto da un generatore grande quanto un dito allo scopo di influenzare un cono dinamico di concetto incredibilmente antico sistemato in una stanza di dieci metri quadri più o meno al centro del cilindro. Erano passati solo trentadue secondi dal momento in cui Dondragmer aveva pronunciato le parole al microfono, parole che ora risuonavano chiare per consentire a tre umani sui quindici seduti in un ampio locale di ascoltarle. Dondragmer non sapeva con chi avrebbe parlato questa volta, e quindi si espresse con il linguaggio degli umani come meglio poteva invece di usare il proprio. Questo permise a tutti e tre gli ascoltatori di capirlo perfettamente.
— Questo è un rapporto provvisorio dalla Kwembly. Ci siamo fermati circa due ore e mezzo fa per i controlli di routine e per scopi di ricerca. Il vento era di circa duecento cavi e soffiava da ovest, il cielo parzialmente nuvoloso. Non appena abbiamo installato la torretta di perforazione il vento è balzato a tremila cavi…
Uno degli ascoltatori assunse un’aria interrogativa, e dopo qualche istante fece in modo di catturare l’attenzione degli altri.
— Un “cavo” mesclinita equivale a circa sessanta metri, Boyds. Sta dicendo che il vento è passato all’improvviso da una decina a più di novanta chilometri l’ora.
— Grazie, Easy — rispose l’uomo, e l’attenzione di entrambi tornò al mesclinita.
— Siamo stati completamente avvolti dalla nebbia, che sembra diventare ancora più spessa. Non oso dare l’ordine di avanzare, come pensavo, e così ci limitiamo a muovere in circolo, giusto per evitare che le ruote ghiaccino. Secondo i miei scienziati, la nebbia è composta da minuscole goccioline di ammoniaca gelata, e la superficie è coperta di neve a base di acqua. Sembra che i miei scienziati non ci abbiano pensato, ma con questa temperatura e la nebbia esiste la possibilità che lo strato superficiale di neve si sciolga. So benissimo che la Kwembly dovrebbe galleggiare e immagino che lo strato in dissoluzione non sia molto profondo, ma mi chiedo se qualcuno ha mai preso in considerazione la possibilità che la neve ghiacci nuovamente bloccando le ruote. Debbo ammettere che tempo fa la questione mi è sfuggita, e anche che l’idea di liberare a mano la Kwembly non mi attira affatto. So che non abbiamo nulla a bordo che possa tornare utile in una simile situazione, perché ho assistito al montaggio e al rifornimento della Kwembly personalmente. Quindi vi ho chiamato per annunciarvi che esiste la possibilità che il nostro gruppo rimanga bloccato per un bel po’. Vi terrò informati, e nel caso rimanessimo bloccati vi annuncio che sarei felice di svolgere qualche ricerca per tenere occupati gli scienziati e l’equipaggio. Abbiamo già svolto la maggior parte dei compiti che ci sono stati assegnati.
— Grazie, Dondragmer — replicò Easy. — Rimarremo in attesa di ulteriori notizie. Chiederò ai nostri meteorologi di calcolare l’estensione della zona di nebbia e per quanto tempo ne avrete. Forse potremo dirle qualcosa molto presto, dato che ormai vi trovate nella faccia nascosta del pianeta da più di ventiquattro ore. Forse hanno già scattato qualche fotografia della zona: non saprei dirle ora i limiti dei nostri strumenti. In ogni caso, controllerò e le farò sapere.
La donna fece scattare la levetta del microfono e si rivolse agli altri mentre le sue parole si dirigevano verso Dhrawn.
— Mi piacerebbe poter capire dal tono di voce di Dondragmer se è veramente preoccupato oppure no — disse. — Ogni volta che i mescliniti si imbattono in qualche imprevisto su quell’orribile pianeta mi chiedo come abbiamo avuto il coraggio di mandarli là, e loro come possono aver avuto il coraggio di accettare.
— Certamente non sono stati ingannati o forzati ad andare — puntualizzò uno dei presenti. — Un mesclinita che ha trascorso tutta la sua vita in giro per i mari del suo pianeta e che ha viaggiato mille volte dal polo all’equatore conosce bene i rischi che comporta una simile esplorazione. Non avremmo potuto ingannarli neppure volendo.
— Questo il mio buon senso lo sa, Boyd, ma talvolta il mio stomaco rifiuta di crederlo. Quando la Kwembly sprofondò nella sabbia a solo cinquecento chilometri dalla colonia, masticai amaro fino a quando non seppi che erano riusciti a liberarla. Quando la Smof di Densingeref venne trascinata in una gigantesca fenditura da una improvvisa ondata di fango, fui la sola a dichiararmi d’accordo con la decisione di Barlennan di inviare una missione di soccorso. Quando tutto l’equipaggio della Esket sparì nel nulla, e con esso due miei ottimi amici, litigai sia con Alan sia con Barlennan per la loro decisione di non inviare alcun mezzo di soccorso. E ancora oggi, penso che abbiano sbagliato. So benissimo che c’è una missione da compiere e che i mescliniti hanno accettato il lavoro ben conoscendo i rischi che comportava, ma quando uno dei ricognitori a terra finisce in qualche pasticcio non posso evitare di sentirmi laggiù con l’equipaggio, e di insistere sempre affinché i soccorsi vengano inviati il più rapidamente possibile. Suppongo che un giorno o l’altro perderò addirittura il lavoro per le mie insistenze, ma non posso farci nulla: sono fatta così. Boyd Mersereau ridacchiò. — Non si preoccupi, Easy: lei lavora qui proprio perché è fatta in questo modo. Ricordi comunque che ci troviamo a dieci milioni di chilometri e a quaranta G di potenziale dalla superficie di Dhrawn e quindi in caso di discussione con Barlennan o qualcuno dei suoi decidono comunque loro cosa fare. Quando si arriva a certi punti, è sempre molto utile che lui sappia che qui c’è qualcuno che sta dalla sua parte e da quella della sua gente: quindi, sono io che la prego di non cambiare.
— Umpf! — commentò Easy, il cui vero nome era Elise Hoffman, senza però dare minimamente a vedere se il commento di Boyd l’aveva divertita o fatta infuriare. — Anche Ib dice sempre così, ma io non ascolto i suoi consigli perché penso sia troppo compromesso.
— Posso anche ammettere che lo sia, ma questo non squalifica automaticamente la sua opinione. Qualcosa di buono nelle sue idee c’è senz’altro.
— Grazie Easy — risuonò la risposta di Dondragmer, interrompendo la piccola discussione. Parlava adesso nella sua lingua, che nessuno dei due uomini presenti capiva più di tanto. — Sarei felice di sentire qualcosa di positivo dai vostri scienziati. Non credo comunque sia il caso di avvertire Barlennan, a meno che non vi sia qualche motivo particolare per farlo. Non siamo ancora nei guai, dopotutto, e sono certo che ha già abbastanza a cui pensare senza venir seccato dai rischi potenziali. I risultati delle ricerche possono venir trasmessi sulla ricevente numero due, direttamente al laboratorio. Meglio evitare di ritrasmetterle, per non confondere i dati. Ora interromperò la comunicazione, ma manterrò in funzione tutte e quattro le riceventi. — La trasmissione si interruppe e Aucoin, il terzo ascoltatore, si alzò in piedi osservando Easy per una traduzione. Lei prontamente eseguì.
— Questo significa lavoro — commentò Aucoin. — Avevamo un certo numero di programmi a lungo termine per la Kwembly, ma se Dondragmer si ritrova bloccato per molto in quel punto e meglio darsi da fare per vedere che lavoro affidargli. Se ho capito bene, non crede di riuscire a liberarsi dall’impiccio in cui si trova molto presto. Passerò per prima cosa dalla sezione informazioni e domanderò loro di riprodurre un preciso rapporto basato sulle osservazioni dei satelliti nella zona d’ombra, poi passerò dalla sezione meteorologia per analizzare le formazioni e infine alla sezione di pianificazione.
— Ci vediamo alla sezione meteorologia — replicò Easy. — Ma prima volevo procurarmi le informazioni che ci ha chiesto Dondragmer, sempreché lei voglia rimanere qui di guardia, Boyd.
— Va bene, per un po’. Anch’io ho delle cose piuttosto urgenti da fare, ma farò in modo che il canale con la Kwembly rimanga sempre aperto. Meglio comunque avvisare Dondragmer: non vorrei che inviasse una richiesta di soccorso in stennita, o come diavolo si chiama la lingua dei mescliniti. Trovo sia meglio che sappia con chi dovrà parlare. Sessanta secondi in più o in meno non faranno una gran differenza comunque, considerando il poco che potremo fare per lui.
La donna si strinse nelle spalle, pronunciò nel microfono qualche parola in stennita, fece un cenno a Mersereau e lasciò il salone prima ancora che Dondragmer ebbe ricevuto la sua ultima frase. Alan Aucoin era già andato.
Il laboratorio di meteorologia si trovava all’“ultimo” livello del cilindro, abbastanza vicino al centro di rotazione della stazione spaziale da rendere una persona dieci volte più leggera che nel salone delle comunicazioni. Le strutture per l’esercizio fisico erano limitate, gli ascensori non erano stati previsti nella stazione e l’apparato di comunicazione a circuito chiuso doveva venir utilizzato per motivi strettamente di servizio. Easy Hoffman poteva scegliere tra una scala a chiocciola che avvolgeva a spirale l’asse simmetrico del cilindro o una delle molte e ripide scale a pioli. Dato che non trasportava nulla, non si scomodò fino al punto di salire le scale a chiocciola. Il laboratorio si trovava direttamente al di sopra del salone delle comunicazioni, e lei lo raggiunse in meno di un minuto.
Quello che maggiormente spiccava nel laboratorio erano due mappe emisferiche di Dhrawn, il cui diametro raggiungeva i sei metri. Si trattava di due schermi continuamente aggiornati con dati quali la temperatura, la pressione, il vento e altri ancora, ottenuti grazie ai satelliti orbitanti a bassa quota e ai rapporti degli esploratori mescliniti. Una macchia di luce verde poco a nord dell’equatore indicava la colonia, e nove deboli puntini gialli in ordine sparso entro un certo raggio dalla colonia i ricognitori di terra. Sullo sfondo del gigantesco pianeta, l’area coperta dai ricognitori risultava incredibilmente piccola, estendendosi per non più di tredicimila chilometri da est a ovest e trentamila da nord a sud. Tutti comunque rimanevano a ovest della zona battezzata “Alfa inferiore” dai planetologi.
I puntini gialli, a eccezione di due un po’ spostati verso le fredde regioni occidentali, formavano una specie di arco intorno all’Alfa inferiore. In futuro, quella zona sarebbe stata delimitata da una serie di rivelatori atmosferici, ma fino a quel momento questo riguardava solo diecimila chilometri di perimetro.
I costi erano stati elevatissimi non solo in termini economici, che Easy cercava sempre di considerare come la misura degli sforzi effettuati, ma anche in termini di feriti, morti e dispersi. I suoi occhi cercarono la luce gialla bordata di rosso appena all’interno di Alfa inferiore. La Esket. Sette mesi, o tre giorni e mezzo di Dhrawn, erano passati dall’ultimo messaggio scambiato con il suo equipaggio. La telecamera continuava a inviare immagini del suo interno. Talvolta Easy ricordava con tristezza i suoi amici Kabremm e Destigmet e qualche volta colpiva la coscienza di Dondragmer, anche se lei ne era del tutto ignara, parlando con il capitano mesclinita della triste fine dei suoi amici.
Un “salve Easy”, seguito da un “ciao mamma”, la distolse dai suoi cupi pensieri.
— Salve, signori del tempo — rispose lei. — Un certo mio amico gradirebbe sapere che tempo farà nei prossimi giorni. Potete aiutarmi?
— Ma certo, naturalmente se è un amico che vive qui alla stazione spaziale — rispose Benj.
— Non fare il cinico, figliolo mio. Ormai sei cresciuto abbastanza da intuire la differenza tra non capire nulla e non sapere niente. Il mio amico è Dondragmer, della Kwembly — specificò Easy, indicando una delle luci gialle sul gigantesco schermo e spiegando in breve la situazione. — Alan arriverà tra poco con la loro esatta posizione in caso possa servire.
— Probabilmente non servirà — chiarì subito Seumas McDevitt. — Ma se non le piace il cinismo dovrò misurare attentamente le parole. Tra la posizione a terra dei ricognitori e quella riportata dallo schermo possono esistere differenze anche di un centinaio di chilometri, e io dubito seriamente che le nostre previsioni possano arrivare a un tale grado di precisione da far sì che una simile differenza conti veramente.
— Veramente, non ero neppure certa che i dati vi permettessero di fare una previsione — ribatté Easy. — Ho sentito dire che anche su questo pianeta i cambiamenti del tempo procedono da ovest, e nell’area a ovest della Kwembly la notte è già calata da due giorni e mezzo. Abbiamo abbastanza dati sulle turbolenze a ovest da poter fare una previsione?
— Ma certo — rispose subito Benj, mentre il sarcasmo lo abbandonava e l’entusiasmo per la fisica atmosferica cresceva. — In ogni caso la luce riflessa del sole non conta molto nelle nostre tecniche di rilevamento: quasi tutta l’energia viene irradiata direttamente dalla superficie del pianeta, che ne emette molto più di quanta non ne riceva dal suo sole. Immagino che tu sappia — continuò, rivolto alla madre — della vecchia questione su Dhrawn, cioè se sia un pianeta o una stella. Ormai sappiamo abbastanza da prevedere la temperatura al suolo, fenomeni locali, spostamenti delle masse nuvolose e loro formazione, ma i venti… i venti sono difficili — disse, esitando e sentendo su di lui l’occhio di McDevitt, che lo osservava con espressione da giocatore di poker. Il meteorologo comprese l’imbarazzo del giovane e annuì prima che quest’ultimo perdesse l’impeto mostrato fino allora. McDevitt non aveva mai fatto l’insegnante, ma ne aveva la stoffa.
— I venti sono difficili da prevedere per via delle approssimazioni nel determinare l’altezza delle nuvole e perché le variazioni di temperatura adiabatica, cioè che avvengono senza trasferimento di calore, spesso sono legate alla formazione di nubi più dello spostamento di masse d’aria. Con quella gravità, la densità dell’aria si dimezza ogni cento metri di altitudine e questo provoca dei cambiamenti di temperatura spaventosi — spiegò, lanciando nuovamente un’occhiata a sua madre. — Hai già sentito queste cose o debbo spiegarmi meglio?
— Non vorrei dare l’impressione di voler tagliare corto — replicò Easy — ma credo di aver capito una cosa: non volete rischiare e cercare di prevedere quando si alzerà la nebbia che ha intrappolato Dondragmer. Forse contattare la Kwembly e farsi riferire la pressione e i venti in superficie potrebbe aiutarvi? Anche sulla Kwembly vi è della strumentazione, lo sapete.
— Sì, potrebbe — ammise McDevitt mentre Benj annuiva silenziosamente. — Posso parlare direttamente con Dondragmer? E… mi capirà? Il mio stennita non esiste ancora.
— Tradurrò io, se promette di limitare al minimo i termini tecnici — rispose Easy. — Se ha intenzione di star qui più di un mese, comunque, sarebbe una buona idea imparare qualche parola della lingua dei nostri piccoli amici. Molti di loro parlano la nostra lingua, ma comunque lo apprezzano sempre moltissimo.
— Lo so, ed è mia intenzione imparare. Sarei felice che lei mi aiutasse.
— Non appena potrò, sicuramente. Ma lei si troverà un po’ indietro rispetto a Benj.
— Benj? Ma se siamo arrivati insieme, tre settimane fa! Non può aver avuto più occasioni di imparare una lingua di quante ne abbia avute io. Abbiamo a malapena avuto il tempo di familiarizzarci entrambi con le osservazioni di chi ci ha preceduto e di imparare i programmi dei computer, oltre a conoscere i dettagli del progetto.
Easy sorrise a suo figlio. — In effetti è così. Ma Benj è un genio per le lingue come sua madre e credo proprio che lo troverà utile in futuro, anche se debbo ammettere che ha imparato lo stennita da me e non dai mescliniti. Ha sempre insistito per imparare una lingua che sua sorella non fosse in grado di capire. La consideri una semplice prova di orgoglio familiare ma gli dia una possibilità più tardi; ora dobbiamo cercare di fare qualcosa per Dondragmer. Nel suo rapporto ha detto che il vento soffiava a novanta chilometri orari.
McDevitt ci pensò sopra un attimo.
— Inserirò i dati che abbiamo nel computer e proverò qualche simulazione, considerando anche quest’ultimo elemento — disse infine. — Così avremo qualcosa su cui discutere quando chiameremo Dondragmer. Se poi i dati che lui ci fornirà risulteranno molto diversi da quelli inseriti li reinseriremo e faremo scorrere qualche altra simulazione. Niente di più facile. Aspetti un attimo.
I due meteorologi cominciarono a lavorare sul computer. Per un po’ quello che facevano risultò poco significativo per Easy. Certo, sapeva che stavano inserendo dati nei computer programmati per processarli e ottenerne delle proiezioni, ed era molto compiaciuta di vedere Benj che apparentemente faceva la sua parte senza alcun bisogno di supervisione da parte dello scienziato più anziano. A lei e suo marito era stato detto una volta che le buone capacità matematiche di Benj potevano provarsi insufficienti per delle missioni nello spazio. Naturalmente, quello che i due facevano non era altro che routine che chiunque con una minima infarinatura tecnica sarebbe stato in grado di svolgere, ma non poté fare a meno di sentirsi comunque incoraggiata a quella vista. — Naturalmente — disse McDevitt quando ebbe finito di inserire i dati — le previsioni possono sbagliare. Questo sole non si sente molto sulla superficie di Dhrawn ma il suo effetto non è del tutto trascurabile e il pianeta si sta avvicinando al suo sole da almeno tre anni, cioè da quando siamo arrivati qui. I primi rapporti dalla superficie erano però molto incompleti e venivano inviati da una mezza dozzina di sonde robotizzate. Poi, un anno e mezzo fa, sono arrivati i mescliniti ed è stata costruita la colonia, ma anche così i rilevamenti riguardano a malapena un terzo del pianeta. Quindi, le nostre previsioni si basano su dati puramente empirici e sulle leggi conosciute della fisica senza domandarsi quanto siano affidabili qui. Non abbiamo ancora abbastanza elementi per poter stabilire una serie di regole.
Easy annuì. — Lo so, e immagino lo sappia anche Dondragmer. Tuttavia, voi avete accesso a molte più informazioni di lui e credo proprio che sarebbe contento di qualche notizia, buona o cattiva che sia. Se fossi io al posto suo, bloccato a migliaia di chilometri da qualsiasi possibile aiuto m una macchina ancora in prova e neanche in grado di vedere cosa succede intorno a me, be’… direi che un contatto con il mondo esterno mi solleverebbe un po’ il morale. E non intendo un puro e semplice contatto a scopo di conversazione, anche se questo aiuta, ma informazioni che possano dare un quadro preciso della situazione.
— Non sarà facile vederlo sullo schermo — si intromise Benj. — Anche con un’atmosfera limpida, è difficile per i satelliti trovare un ricognitore in particolare; non parliamo di trovare un ricognitore in un fittissimo banco di nebbia.
— Hai ragione, naturalmente, ma immagino tu abbia capito cosa intendo — disse calma sua madre. Benj si strinse nelle spalle e non aggiunse altro. Un silenzio abbastanza teso cadde nel laboratorio per circa mezzo minuto.
Il silenzio fu interrotto dal computer, che espulse una pagina piena di simboli di fronte a McDevitt. Gli altri due si piegarono sulle sue spalle per vedere meglio, anche se vedere non aiutò affatto Easy. Il ragazzo osservò i simboli stampati in linee ordinate per non più di cinque secondi, ed emise un suono a mezza strada tra un grugnito di disapprovazione e una risata. Il meteorologo alzò lo sguardo verso di lui.
— Parla tu, Benj. Qui puoi sfogare tutto il tuo sarcasmo. Personalmente, sarei contrario a trasmettere questi dati a Dondragmer così come sono.
— Perché? Cosa c’è di sbagliato? — chiese la donna.
— Be’, la maggior parte dei dati proviene senz’altro da satelliti che si trovano sulla faccia nascosta. Ho aggiornato i dati con le sue informazioni sulla velocità del vento, cercando di considerare anche un pizzico di incertezza. Non ho idea della strumentazione di cui sono dotati i ricognitori, né della precisione dei dati trasmessi. Per il vento, lei mi ha dato una velocità di circa novanta chilometri l’ora… la nebbia non l’ho proprio menzionata, dato che sappiamo solo che in effetti copre quell’area senza altre informazioni. La prima linea dello stampato mi dà delle condizioni di visibilità normali, cioè fino a ventotto chilometri, con foschia pari a un grado.
Easy inarcò le sopracciglia. — Questo come lo spiega? Pensavo che con i satelliti non avessero più senso tutti i vecchi scherzi sui soleggiati fine settimana previsti dal metereologo il venerdì.
— In effetti, quegli scherzi sono solo un po’ ammuffiti. Il rapporto me lo spiego con il fatto che non abbiamo e non possiamo avere tutte le informazioni che ci servono: innanzitutto una conoscenza dettagliata della superficie del pianeta; in secondo luogo, una carta topografica della zona in cui si trova la Kwembly e di quella immediatamente confinante verso ovest. Un vento che scende lungo una pendenza del tre per cento a una velocità rispettabile può alterare la temperatura della propria massa d’aria in modo rapido e impressionante, come Benj ha già detto qualche minuto fa. In effetti, le poche mappe che abbiamo sono state realizzate proprio studiando questo effetto ma rimangono sempre abbastanza approssimative. Dondragmer e il suo equipaggio dovranno fornirci maggiori informazioni. Mi diceva che Aucoin sta cercando di stabilire la posizione esatta della Kwembly…
Easy non fece in tempo a rispondere, perché lo stesso Aucoin fece ingresso nella stanza. Non si disturbò a salutare i presenti e andò subito al sodo, convinto che i meteorologi fossero già in grado di fornire a Easy le informazioni richieste.
— Otto virgola quattro cinque cinque gradi a sud dell’equatore e sette virgola nove due tre a est del meridiano della colonia. C’è ancora qualche chilometro di insicurezza per i nostri scienziati, o pensate vi possa andar bene?
— Ma come sono spiritosi oggi tutti quanti — borbottò McDevitt. — Grazie, penso possa andar bene. Easy, perché non scendiamo di sotto e facciamo una chiacchierata con Dondragmer?
— Va bene, ma Benj non potrebbe unirsi a noi? Vorrei fargli conoscere Dondragmer, naturalmente se qui non ha nulla da fare.
— Venire con noi e, naturalmente per caso, dare una dimostrazione delle sue capacità linguistiche. Va bene, Benj, unisciti pure a noi. Viene anche lei, Alan?
— No, ho molto da fare. In ogni caso, riferitemi qualsiasi informazione che secondo voi vale la pena di conoscere. Il blocco di Dondragmer potrebbe avere delle ripercussioni sulla pianificazione delle risorse. Sarò proprio in pianificazione, se mi cercate.
Il meteorologo annuì. Aucoin si avviò e i tre discesero la scala a pioli fino al salone delle comunicazioni. Mersereau era sparito, come aveva annunciato, ma uno degli addetti aveva cambiato posto per seguire gli schermi della Kwembly. Quando vide Easy e gli altri entrare li salutò e tornò al suo posto. Gli altri addetti alle comunicazioni prestarono loro scarsa attenzione. Si erano accorti dell’assenza di Easy e di Mersereau semplicemente perché il regolamento stabiliva che non dovessero mai rimanere meno di dieci persone nel salone delle comunicazioni. Le stazioni riceventi non venivano assegnate secondo un programma rigido: si era scoperto che in questo modo le consolle erano tutte ugualmente coperte.
I quattro canali di comunicazione stabiliti con la Kwembly terminavano ognuno su un proprio schermo, che davano su un gruppo di sei poltroncine. Gli schermi erano situati in posizione più elevata dei rispettivi altoparlanti, in modo da risultare visibili anche dalle consolle circostanti. Ogni consolle era dotata di microfono con relativo selettore, che consentiva di mettersi in contatto con una delle quattro riceventi della Kwembly, oppure con tutte le riceventi allo stesso momento.
Easy sedette comoda in una delle poltroncine centrali e posizionò l’interruttore del suo microfono in modo da contattare il ponte, su cui si trovava Dondragmer. Non vi era molto da vedere sullo schermo corrispondente, dato che l’occhio della trasmittente inquadrava la vetrata sulla parte anteriore del ponte e la nebbia era anche più fitta di come descritto dal mesclinita. Il posto del timoniere e i suoi occupanti erano parzialmente visibili in basso a sinistra sullo schermo; il resto risultava avvolto in un’ovattata atmosfera grigia, suddivisa in rettangoli dalla struttura portante della vetrata. Easy notò che le luci sul ponte erano al minimo, ma la nebbia al di là della vetrata era illuminata dalle luci esterne della Kwembly.
— Dondragmer, parla Easy. Si trova sul ponte? — disse, e posizionò l’interruttore in modo da parlare con il laboratorio. — Borndender, o chiunque mi ascolti — chiamò, sempre in stennita. — Non riusciamo a ottenere una previsione affidabile con i dati che abbiamo. Ci siamo messi in contatto con il ponte, ma saremmo felici di sentire da voi la temperatura attuale, la velocità del vento, la pressione esterna e qualsiasi elemento abbiate sulla nebbia, oltre a… — disse, esitando.
— Oltre alle stesse informazioni per le ultime ore — si intromise Benj nella stessa lingua.
— Saremo pronti per ascoltarvi non appena terminata la comunicazione con Dondragmer — concluse la donna.
— Sarebbe utile anche conoscere le vostre considerazioni su aria, nebbia e composizione della neve — aggiunse suo figlio.
— Inoltre, se avete qualche idea che pensate possa tornare utile vorremmo sentirla anche noi — riprese Easy. — Voi siete là e noi no, e dovete esservi fatta un’idea sulle condizioni atmosferiche di Dhrawn.
Il timer emise un suono simile a un tocco di campana. — Stiamo per ricevere la risposta dal ponte. Attendiamo la vostra risposta subito dopo la comunicazione con il capitano.
Le prime parole che l’altoparlante emise si sovrapposero al finale della sua frase. Il timer era programmato su un lasso di tempo pari a quello impiegato dalle onde radio per andare e tornare, e il ponte aveva risposto immediatamente.
— Qui parla Kervenser, signora Hoffman. Il capitano si trova di sotto, in biorigenerazione. Posso chiamarlo, se crede, oppure posso dirottare la comunicazione e metterla in diretto contatto con lui, ma se avete qualche consiglio da darci non mi dispiacerebbe ascoltarlo in prima persona. La visibilità è calata a zero, e non osiamo più muoverci se non in circolo. La situazione è seria. I volatori ci hanno dato un’idea dei dintorni prima che calasse la nebbia e il terreno sembrava abbastanza solido, ma non possiamo certamente correre il rischio di finire in una buca. Avanziamo mortalmente lenti, tracciando un cerchio di venticinque cavi di diametro. Tranne quando prendiamo il vento di prua o di poppa, la Kwembly sembra doversi capovolgere da un momento all’altro. La nebbia gela non appena viene a contatto delle vetrate e questo è il motivo per cui non riusciamo a vedere nulla. Le ruote sembrano pulite, immagino perché ci stiamo muovendo e il ghiaccio si rompe prima di poter far male veramente, ma mi aspetto che i perni comincino a gelare da un momento all’altro e ripulirli poi dal ghiaccio sarà un lavoraccio incredibile. Credo che sia possibile lavorare là fuori, ma debbo confessare che odio l’idea di dover uscire in queste condizioni. Ritrovarsi con la tuta spaziale coperta di ghiaccio mi sembra un’idea terrificante. Bene, ecco tutto. Avete qualche idea?
Easy aspettò pazientemente che Kervenser finisse. L’intervallo di sessantaquattro secondi con cui venivano ricevuti i messaggi sortiva un effetto comune a tutti coloro che si trovavano a comunicare spesso tra stazione spaziale e superficie del pianeta: la tendenza a comprimere al massimo i messaggi, a dire quanto più possibile in una sola volta cercando di indovinare cosa l’altra parte voleva sapere. Quando capì che Kervenser aveva terminato e stava aspettando una risposta, Easy riassunse velocemente le informazioni note agli scienziati della stazione spaziale evitando però di menzionare la simulazione effettuata ai computer che insisteva nel dichiarare che le condizioni del tempo dovevano essere limpide. I mescliniti sapevano benissimo che la scienza umana non era infallibile, e difatti molti di loro ne avevano un’opinione più distaccata e realistica della maggior parte degli umani stessi, ma era inutile fare una figuraccia se poteva essere evitato. Lei non era un meteorologo, naturalmente, ma era un essere umano e Kervenser l’avrebbe probabilmente considerata alla stessa stregua degli altri.
Il gruppo seguì quasi in silenzio la risposta del primo ufficiale. Benj tradusse a bassa voce la conversazione a McDevitt, impiegando solo qualche secondo in più del messaggio stesso. La replica di Easy si limitò a una conferma e alle scuse per non essere in grado di fornire ai mescliniti in difficoltà un aiuto più concreto. Forse si poteva fare qualcosa di più dopo aver sentito gli scienziati del laboratorio.
Easy e suo figlio si prepararono a tradurre il messaggio con i dati richiesti. La donna fece partire un registratore, in caso vi fossero dei termini tecnici difficili da tradurre sul momento, ma il messaggio arrivò nella lingua degli umani. Evidentemente era Borndender che trasmetteva. McDevitt si sorprese solo per un attimo e iniziò a prendere nota di quanto veniva detto, mentre il ragazzo teneva lo sguardo sulla punta della penna e l’attenzione su quanto usciva dall’altoparlante.
Andava bene anche a Easy di non dover tradurre. Per quanto conoscesse bene lo stennita non era molto ferrata in argomenti scientifici e non avrebbe saputo tradurre molte cose perché non le conosceva. Sapeva di non dover provare il minimo imbarazzo per questo, ma non poteva farne a meno. Non riusciva a evitare di considerare i mescliniti come esponenti di una cultura antica come quella di Robin Hood o di Harun al Rashid, anche se sapeva bene che un programma di educazione attivo ormai da cinquant’anni aveva istruito in modo completo molte centinaia di soggetti. La cosa non era stata resa pubblica, perché vi era la tendenza generale a pensare che fosse un male trasmettere troppa conoscenza alle razze “arretrate”… meglio invece regalar loro un complesso di inferiorità e prevenire ulteriori progressi.
Tutto questo a McDevitt importava poco. Quando anche l’ultimo dato venne trascritto, lo scienziato e il suo giovane assistente pronunciarono un veloce “grazie e arrivederci” nel microfono più vicino e si affrettarono verso il laboratorio. Easy, notando che il selettore era posizionato in modo da parlare con il ponte, lo corresse e salutò come dovuto i ricercatori mescliniti prima di congedarli. Poi, ritenendo di non avere nulla da fare nel laboratorio di meteorologia, sedette nuovamente nella poltroncina che le consentiva la vista migliore sui quattro schermi attivi decidendo di aspettare che succedesse qualcosa.
Mersereau ritornò pochi minuti dopo l’uscita dei meteorologi, e dovette venir aggiornato sugli ultimi sviluppi. Per il resto, nulla degno di nota accadde. Di quando in quando una figura dalle molte zampe faceva la sua comparsa nel campo visivo della telecamera, ma senza prestare la minima attenzione al fatto di venire osservato ed evidentemente impegnato in altre faccende.
Easy pensò di avviare di nuovo una conversazione con Kervenser. Conosceva e gradiva quell’ufficiale quasi quanto il suo superiore. In ogni caso, il pensiero dell’intervallo di tempo che divideva un’affermazione dalla successiva la scoraggiò parecchio, come sempre succedeva quando si trattava di comunicazioni non strettamente importanti.
Ma anche senza quell’intervallo, la conversazione languiva. Lei e Mersereau potevano dirsi poco che non fosse già stato detto in precedenza. Un anno di missione lontano dalla Terra bastava per esaurire tutti gli argomenti di conversazione che non fossero legati a questioni di lavoro o trattassero di affari personali. Sentiva di aver poco in comune con Mersereau, anche se trovava la sua compagnia gradevole e lo stimava; ma le loro professioni si sovrapponevano solo quando bisognava parlare con i mescliniti.
Di conseguenza, il salone delle comunicazioni risultava alquanto silenzioso. Di quando in quando i vari ricognitori di terra inviavano rapporti da ritrasmettere alla colonia su Dhrawn. La maggior parte degli addetti alle consolle non aveva tempo da dedicare a una chiacchierata, e così Easy si ritrovò a cercare di indovinare quanto sarebbe trascorso prima che i due meteorologi fossero di ritorno con qualcosa di accettabile. Calcolando due minuti per arrivare al laboratorio, che potevano anche diventare uno se si fossero affrettati, più un minuto per inserire i dati nel computer, due per le simulazioni, cinque di discussione perché conosceva suo figlio e già lo vedeva domandarsi polemico se quella previsione fosse in effetti più affidabile della precedente… e infine, due per un’altra serie di simulazioni con dati e variabili modificate e due per tornare al salone delle comunicazioni, perché stavolta non si sarebbero certamente affrettati dato che avrebbero fatto la strada discutendo. Sarebbero entrati a momenti, probabilmente sempre discutendo.
Ma le cose cambiarono all’improvviso prima del loro ingresso. A un certo momento lo schermo che inquadrava il ponte domandò attenzione. Fino ad allora tutto era stato tranquillo, con le vetrate annebbiate dall’ammoniaca gelata che dominavano l’immagine parziale del timoniere. Quest’ultimo era rimasto praticamente immobile, con la barra spostata di molto su un lato per guidare la Kwembly nel suo lento moto circolare.
Poi, d’un tratto, le vetrate sembrarono tornate trasparenti anche se dallo schermo non poteva vedervi attraverso. La telecamera non era inclinata abbastanza per consentire al grandangolo di inquadrare il terreno davanti allo scafo. Comparvero due mescliniti, che si affrettarono verso le vetrate e guardarono di sotto gesticolando con grande agitazione. Mersereau indicò un altro schermo: anche nel laboratorio sembrava regnare la massima confusione. Fino a quel momento, nessuno dei piccoli alieni aveva inviato un rapporto su quanto stava succedendo. Easy pensò che sembravano troppo occupati dai problemi immediati per pensarci. I microfoni erano disattivati, come sempre quando non volevano comunicare con gli umani che stazionavano in orbita.
A questo punto Benj e McDevitt fecero il loro ingresso. Easy vide suo figlio con la coda dell’occhio, e senza girarsi domandò loro: — Avete qualche previsione credibile questa volta?
— Sì; adesso Benj la tradurrà — rispose concisamente McDevitt.
— Meglio di no. Si direbbe che stia succedendo qualcosa. Meglio far parlare loro per primi. Dondragmer si trova certamente sul ponte, o vi si recherà non appena gli riferiranno della comunicazione. Sieda pure qui. Può usare questo microfono.
McDevitt la guardò senza rispondere. Non avrebbe più degnato Easy di un simile riguardo per molti mesi a venire. Cominciò a parlare prima ancora di essersi seduto.
— Dondragmer, riteniamo che la scarsa visibilità non possa durare più di diciannove, venti ore; pertanto, la nebbia si dissolverà nel giro di un’ora. La temperatura dovrebbe scendere, e le goccioline di ammoniaca che la compongono precipiteranno sotto forma di cristalli che non dovrebbero aderire alle vostre vetrate. Se riuscite a liberarvi del ghiaccio che vi rallenta, non correrete più il rischio di trovarvi bloccati. Il vento diminuirà gradualmente per cessare del tutto nel giro di quattro, cinque ore. Per allora, la temperatura sarà tanto bassa da eliminare completamente il rischio di disgelo superficiale. Le nuvole rimarranno ad alte quota per altre quarantacinque ore… — e la previsione continuò, anche se Easy ormai non ascoltava più.
Quasi a metà discorso, prima comunque che il messaggio di McDevitt raggiungesse la superficie di Dhrawn, un mesclinita si era avvicinato tanto alla telecamera sul ponte da coprire completamente con la sua espressione grottesca il campo ottico dello schermo. Una delle sue zampe dotate di chele si protese verso qualcosa che si trovava a lato della telecamera, e Easy pensò che stava per inserire l’audio. Senza provare sorpresa, ascoltò la voce del capitano risuonare molto più calma di quanto paresse logico in condizioni di emergenza.
— Easy, o chiunque mi ascolti, sono Dondragmer. Avvisate subito Barlennan. La temperatura è salita di sei gradi in pochi minuti, superando quota cento. Il ghiaccio si è sciolto, e stiamo galleggiando.