15 Conclusioni

— La morale è questa — disse Aucoin dalla sua poltroncina a un’estremità del tavolo. — Dobbiamo decidere se inviare la navetta coi soccorsi o no. Se non lo facciamo, la Kwembly e i due mescliniti che si trovano a bordo sono perduti e Dondragmer con tutto l’equipaggio rimarrà fuori dal gioco fino a quando un altro ricognitore, come il Kalliff inviato dalla colonia, non riesce a raggiungerli. Ma purtroppo esiste la seria possibilità che inviare la navetta non serva a molto. Non sappiamo perché il terreno ha ceduto sotto la Kwembly… se lo strato di sedimenti non è abbastanza compatto la stessa cosa può succedere ancora. Perdere la navetta sarebbe un disastro. Anche se atterrassimo dapprima vicino al campo di Dondragmer per trasferire lui e l’equipaggio al ricognitore non siamo affatto certi che riuscirebbero a tirarlo fuori di lì e a ripararlo. Il rapporto di Beetchermarlf mi spinge a dubitarne. Dice che ha trovato e riparato le perdite maggiori, ma l’ossigeno continua a entrare da qualche parte. Alcune vasche idroponiche sono state contaminate da queste infiltrazioni; finora i due sono riusciti a riparare i danni trasferendo idrogeno dalle altre vasche, ma questo non può funzionare per sempre. Debbono trovare e chiudere le ultime infiltrazioni. Tra l’altro né loro né nessun altro ha finora pensato a qualcosa in grado di tirar fuori quel dannato ricognitore dal fango in cui è sprofondato.

— Ma esiste una seconda, buona ragione per non far partire la navetta. Se utilizziamo i comandi a distanza dobbiamo fare i conti con i sessantaquattro secondi dell’intervallo di trasmissione che renderebbero impossibile un atterraggio su un terreno sconosciuto. Certo, potremmo programmare il computer di bordo per fare in modo che gestisca completamente l’atterraggio, ma sappiamo tutti che questo non è un sistema sicuro. Forse la cosa migliore è dare ai mescliniti una veloce lezione su come si conduce una navetta spaziale.

— Non c’è bisogno di usare quel tono ironico, Alan — intervenne Easy con voce pacata.—La Kwembly è solo il primo dei ricognitori a capitare in una situazione veramente difficile. Dhrawn è un pianeta molto grande e quasi completamente sconosciuto, e io sospetto che presto o tardi non vi saranno più ricognitori in eccesso da inviare in missioni di soccorso. Tra l’altro, persino io so che i controlli della navetta sono collegati al computer con un controllo che funziona sul principio del “premi il pulsante per dove vuoi andare”. Certo, anche così le possibilità di condurre la navetta fino al campo di Dondragmer senza precipitare sono di dieci a uno o forse peggio per qualcuno che non ha la minima esperienza di volo spaziale, ma forse Beetchermarlf e Takoorch hanno qualche possibilità in più di cavarsela adesso?

— Secondo me, sì — replicò tranquillo Aucoin.

— E come, in nome di tutto ciò che ha un cuore? — intervenne Mersereau. — Per tutto questo tempo non abbiamo fatto altro che… — e la frase si interruppe davanti alla mano alzata di Easy. Il gesto o l’espressione sul volto della donna lo obbligarono al silenzio.

— Secondo lei allora che cosa si può fare per salvare la Kwembly, i due timonieri e Dondragmer col suo equipaggio? — chiese Easy.

Aucoin arrossì visibilmente, ma ebbe l’accortezza di rispondere con voce ferma.

— Mi pare di averlo già detto e Boyd dovrebbe ricordarselo — disse. — Inviare il Kalliff dalla colonia per raccoglierli tutti.

Queste parole furono seguite da alcuni secondi di silenzio, mentre qua e là sui volti dei presenti comparve qualche sorrisetto divertito. Finalmente Ib Hoffman ruppe il silenzio. — Crede che Barlennan approverà? — chiese con voce innocente.

— La morale è questa — disse Dondragmer a Kabremm. — dobbiamo stare qui e non fare nulla finché la spedizione di soccorso che Barlennan invierà non ci raggiunge. Immagino che ricorrerà a qualche scusa non troppo evidente per insistere con gli umani dopo che l’altra volta, con la Esket, si era rifiutato.

— Questo non dovrebbe costituire un gran problema — replicò il primo ufficiale della Esket. — Uno degli esseri umani era assolutamente contrario all’invio dei soccorsi e Barlennan gli ha fatto credere di aver avuto partita vinta. Ma stavolta le cose andranno in modo diverso.

— Come se l’arrendevolezza della prima volta non avesse già insospettito alcuni umani a sufficienza. Ma lasciamo perdere. Piuttosto, non sappiamo quanto tempo dovrà passare prima che i soccorsi ci raggiungano perché non sappiamo se esiste il modo di raggiungerci via terra dalla colonia. Lei è arrivato qui col dirigibile, mentre noi galleggiando sull’acqua.

“Se decidiamo di non aspettare possiamo scegliere tra due possibilità — continuò Dondragmer. — Una è di raggiungere a marce forzate la Kwembly, trasportando le vasche idroponiche fin dove possibile per poi fermarsi e ripartire qualche ora dopo; immagino che così facendo prima o poi ci arriveremo. L’altra è di marciare verso la colonia per andare incontro ai soccorsi se vengono inviati, altrimenti per tentare di raggiungere la salvezza a piedi. Credo che questa ipotesi non sia poi così folle. Anche se riuscissimo a raggiungere la Kwembly non siamo affatto certi di poterla riparare; se gli umani ci hanno trasmesso le opinioni di Beetchermarlf in modo corretto, mi sembra che sia lui stesso il primo a dubitarne. Nessuna delle due ipotesi mi piace per via della perdita di tempo che entrambe comportano. Esistono centomila cose migliori da fare che non strisciare sulla superficie di questo pianeta per mesi e mesi.

“Infine, forse l’idea migliore è usare il dirigibile per salvare i miei timonieri, oppure per trasportare alla Kwembly l’equipaggio e l’attrezzatura eventualmente compiendo due o tre viaggi.”

— Ma questo…

— Questo chiaramente affonda la zattera per quanto riguarda la faccenda della Esket. Ma anche utilizzare il volatore di Reffel ci farebbe scoprire, perché non riusciremmo mai a spiegare cosa è successo al prendimmagini che si trovava a bordo senza dover ammettere qualcosa, indipendentemente dalla bugia che vogliamo raccontare. Semplicemente, non sono più tanto convinto che la seconda base valga il sacrificio deliberato delle nostre vite, anche se naturalmente ammetto che si potrebbe rischiare. Se il progetto non avesse avuto possibilità di riuscita mi sarei opposto tempo fa.

— Mi è stato detto comunque che ha dimostrato una certa opposizione — rispose Kabremm. — Nessuno è stato in grado di convincerla del rischio che corriamo dipendendo completamente da creature che non ci considerano al loro stesso livello.

— Esatto. Ma dimentica che gli umani spesso sono tanto diversi tra loro quanto lo sono da noi. Mi sono fatto una certa idea di questi alieni quando un giorno uno di essi rispose a una mia domanda su un argano a differenziale in modo semplice e dettagliato, introducendomi senza nulla chiedere all’uso della matematica nella scienza. Solo allora capii che lo faceva per solidarietà, e quindi che l’umano che ha tanto insistito per convincere Barlennan a non inviare soccorsi alla Esket deve essere molto diverso dai tre Hoffman o da Charles Lackand. Quindi io rifiuto e rifiuterò sempre di diffidare di loro come razza, come invece sembra fare lei. Credo che l’opinione di Barlennan sia molto più vicina alla mia perché cambia sempre discorso quando si arriva a questo punto tra noi due; Barlennan non lo farebbe mai se fosse veramente convinto di avere ragione. Comunque, io sono convinto che l’idea migliore consiste nell’arrendersi all’evidenza e domandare l’aiuto degli umani per la Kwembly, oppure correre il rischio di farsi scoprire inviando tutti e tre i dirigibili.

— Non sono più tre, i dirigibili — chiarì Kabremm sapendo che l’obiezione era irrilevante ma ben contento di cambiare argomento.

— Karfregin e il suo equipaggio mancano all’appello ormai da due giorni di questo pianeta.

— Questo non lo sapevo — rispose Dondragmer sorpreso. — Come ha reagito Barlennan? A questo punto credo proprio che farebbe meglio a rivedere la sua politica e a ricorrere all’aiuto degli umani: cominciamo a perdere equipaggi interi uno dopo l’altro!

— Barlennan non lo sa ancora. Stiamo ancora cercandoli usando dei veicoli costruiti con le ruote della Esket e non vogliamo riferire la cosa fino a quando le ricerche non verranno completate.

— Cosa significa “completate”? Karfregin e i suoi sono morti a quest’ora se nessuno li ha ancora trovati. I dirigibili non sono dotati dell’attrezzatura necessaria per una base d’emergenza.

Una leggera vibrazione percorse il corpo di Kabremm dalla testa all’estremità caudale. — Se la veda con Destigmet. Io ho già abbastanza problemi.

— Perché il suo dirigibile non è stato usato per le ricerche? — Lo era fino a quando non è calato il sole. Comunque vi sono altri problemi alla miniera. Un enorme fronte di ghiaccio avanza, per fortuna lentamente, proprio in direzione della seconda colonia travolgendo ogni cosa gli si pari davanti. Ha raggiunto la Esket spostandola di molti metri e rovesciandola: ecco perché siamo riusciti a smontare le ruote tanto facilmente. Destigmet mi ha ordinato di risalire il ghiacciaio per scoprire se avanzerà ancora o se i depositi da cui trae origine stanno per esaurirsi. In effetti non sarei dovuto arrivare tanto lontano, ma non ho voluto interrompere l’esplorazione. È sempre lo stesso fiume per tutto il percorso, a volte liquido e a volte solido; è la cosa più strana che abbia mai visto su questo pianeta tutto strano. Ma mi rendo conto che l’avanzata del ghiaccio non si fermerà mai in tempo: la seconda colonia è spacciata.

— E naturalmente Barlennan non sa nulla di tutto questo.

— Non c’è modo di farglielo sapere! Abbiamo scoperto l’avanzata del ghiaccio solo poco prima che facesse buio… prima di allora era solo una collina all’orizzonte.

— In altre parole non solo abbiamo perso il mio primo ufficiale, un volatore e un dirigibile con cinque marinai, ma perderemo con tutta probabilità l’intera seconda colonia e la Kwembly? E lei è ancora convinto che non dovremmo metter fine al nostro inganno, raccontare agli umani l’intera storia e farci aiutare da loro?

— Ora più che mai. Se sapessero che siamo incorsi in tanti guai deciderebbero che non siamo più utili al progetto e ci abbandonerebbero qui.

— Cosa? Che sciocchezza! Nessuno abbandonerebbe mai un investimento come questo. La trovo una convinzione molto futile. In ogni caso è inutile discutere. Vorrei…

— Mi auguro che non vorrà usare i nostri guai come scusa per raccontare tutto ai respira-ossigeno!

— Dovrebbe sapere che non lo farei mai senza autorizzazione. Mi piace giudicare le cose secondo le mie convinzioni personali, ma conosco abbastanza la storia da temere i cambiamenti improvvisi in faccende come queste.

— Meno male. Anch’io trovo gentili alcuni umani, ma pochi sono come gli Hoffman. Questo lo ha ammesso anche lei, no?

— La morale di tutto questo — disse Barlennan a Bendivence — è che abbiamo inviato troppo presto Deeslenver alla Esket per oscurare tutti e quattro i prendimmagini. La faccenda degli oggetti che si muovevano in laboratorio sembra essersi quietata e questo riporterà l’attenzione di tutti su quella storia. Non siamo ancora pronti per l’atto finale e non lo saremo ancora per un altro anno. Non mi sembra tanto grave aver tirato fuori la faccenda della minaccia dei nativi con un certo anticipo, ma Destigmet e i suoi non saranno in grado di interpretare la loro parte fino a quando non possiederanno molti più automi e macchine elettriche, cose che gli umani pensano noi non abbiamo. Chiaramente fino a quando la minaccia dei nativi non sembrerà molto più reale gli umani non prenderanno mai le decisioni che noi vogliamo far loro prendere.

“Se esistesse un modo per raggiungere Deeslenver e cancellare gli ordini non esiterei a utilizzarlo. Come vorrei averle dato l’autorizzazione per continuare gli esperimenti con la radio! Se il Deedee ora avesse uno di quegli arnesi a bordo il problema non si porrebbe neppure.”

— Si possono riprendere — ribatté lo scienziato. — Sarei più che felice di ricominciare. Certo, le onde possono venir captate dagli esseri umani, ma se ci limitassimo a brevi e rari messaggi con un semplice codice a due voci nessuno potrebbe localizzare con certezza la sorgente. In ogni caso è troppo tardi ormai per fermare Deeslenver.

— Già. Mi piacerebbe sapere perché dalla stazione spaziale non è più giunta parola riguardo a Kabremm. L’ultima volta che ho parlato con la signora Hoffman ho ricevuto l’impressione che non fosse più così sicura di averlo visto. Crede possibile che si sia sbagliata veramente? Oppure gli umani ci stanno mettendo alla prova esattamente come noi vogliamo fare con loro? Forse Dondragmer ha fatto qualcosa per distogliere la loro attenzione; ma se la Hoffman si è sbagliata dobbiamo rielaborare completamente le nostre strategie.

— E che ne è dell’altro rapporto, quello in cui si diceva che qualcosa si è mosso sul pavimento della Esket? — aggiunse Bendivence. — Si trattava di un’altra prova oppure sta veramente succedendo qualcosa da quelle parti? Ricordiamoci che gli ultimi contatti con la seconda colonia risalgono a più di centocinquanta ore fa. Ormai se veramente qualcosa sta muovendo la Esket dalla sua posizione siamo troppo in ritardo per rimediare. Sa, pur senza criticare la scelta che sta alla base della seconda colonia, è terribile dover lavorare senza informazioni affidabili.

— Se vi sono seri guai alla Esket dovremo fidarci delle decisioni di Deeslenver — disse Barlennan cercando di ignorare l’ultima frase. — Ma in effetti anche questo non è un problema insormontabile. Il vero punto qui è cosa fare con Dondragmer e la Kwembly. Suppongo che abbia avuto degli ottimi motivi per evacuarla e lasciarla in balia delle correnti, ma i risultati sono stati disastrosi e il fatto che due dei suoi marinai si trovassero ancora a bordo peggiora ancor di più la sua posizione. Se la Kwembly fosse stata abbandonata del tutto avremmo potuto dimenticarcela e inviare il Kalliff a raccogliere i dispersi.

— Ma perché non possiamo farlo comunque? L’umano chiamato Aucoin non l’ha forse suggerito di sua iniziativa? — Esatto. Io ho risposto che ci devo pensare sopra.

— Perché?

— Perché le possibilità che il Kalliff arrivi in tempo a salvare i due timonieri bloccati con la Kwembly sono meno di una su dieci. In effetti, vi sono molte poche possibilità che il Kalliff riesca a raggiungerli del tutto. Ricorda la pianura innevata da cui sono partiti tutti questi guai? Cosa crede che sia diventata adesso quell’area? E quanto crede che quei due marinai, abili e intelligenti finché si vuole ma privi del tutto di preparazione tecnica o scientifica, riescano a mantenere abitabile uno scafo pieno di infiltrazioni di ossigeno?

— Naturalmente — aggiunse Barlennan — potremmo sempre confessare agli umani l’esistenza della seconda colonia e domandare loro di mettersi in contatto con Destigmet, tramite la guardia che tiene sempre d’occhio gli schermi sulla Esket, ordinandogli di organizzare una missione di soccorso con i due dirigibili.

— Questo significherebbe mandare a monte un’impressionante mole di lavoro, rovinando quella che sembra un’esperienza promettente — ribatté Bendivence pensieroso. — Immagino che lei non voglia farlo più di quanto non voglia io, ma d’altro canto non possiamo condannare a morte quei due marinai.

— No, non possiamo — concordò lentamente Barlennan — ma mi chiedo se rischieremmo troppo tentando un’altra strada ancora.

— Quale?

— Se gli umani fossero convinti che noi non riusciremo mai a inviare i soccorsi in tempo è possibile, specialmente se i tre Hoffman insistono, che decidano di intervenire direttamente.

— Ma cosa possono fare? L’oggetto volante che chiamano navetta può atterrare solo qui alla colonia perché nessuno lo comanda. Serve solo per portarci via in caso di emergenza e i comandi sono automatici… non è possibile sorvolare la superficie controllandolo dalla stazione spaziale: con sessanta e più secondi di intervallo, la navetta precipiterebbe al primo errore. Escluderei anche che qualcuno possa guidarlo personalmente. Tutto è predisposto per salvare noi, con la nostra atmosfera, temperatura e pressione; d’altro canto, non va dimenticato che il debole scheletro umano non resisterebbe più di dieci secondi su Dhrawn per via della gravità troppo elevata.

— Non sottostimiamo questi alieni, Bendivence. Forse non hanno dato prova finora di grande ingegnosità ma i loro antenati hanno dovuto inventare e costruire dal nulla tutto quello che vediamo e molto altro ancora. Non ne parlerei se sapessi che esistono delle concrete possibilità di arrivare a salvare i due timonieri in tempo, ma così facendo non mettiamo in pericolo la loro vita più di quanto non lo sia già. Io penso che l’idea migliore sia aspettare che gli umani decidano di andarli a salvare per conto loro e in ogni caso se succede non saremo obbligati a rinunciare a tutto.


— La morale di tutto questo — disse Beetchermarlf a Takoorch — è che dobbiamo sia cercare le infiltrazioni sia pompare il veleno fuori dalle vasche per convincere tutti che vale la pena di salvare la Kwembly. Certo il modo migliore sarebbe riuscire a tirarci fuori di qui da soli, anche se dubito molto che sia possibile. Comunque, sarà la salvezza del ricognitore l’elemento decisivo delle discussioni. La tua vita e la mia non significano nulla per gli umani, tranne che per Benj che non ha grande peso nelle decisioni. Ma se la Kwembly rimane attiva, cioè se riusciamo a salvare le colture e a ricavarne aria e cibo, se evitiamo di rimanere intossicati dall’ossigeno a nostra volta e se compiamo dei progressi sufficienti nell’individuazione e riparazione delle infiltrazioni, allora forse si convinceranno che vale la pena di inviare una missione di soccorso. Se poi non lo facessero, potremo comunque sopravvivere a lungo per conto nostro. Se però riuscissimo a tirar fuori la Kwembly da qui e a proseguire la marcia, il comandante ci darebbe senz’altro un premio.

— Pensi sia possibile riuscirci?

— Noi due siamo i più difficili da convincere — replicò il marinaio più giovane. — Convincere il resto del mondo sarà molto più facile.


— La morale di tutto questo — disse Benj a suo padre — è che non vogliamo rischiare la navetta per due sole vite, anche se si trova qui proprio per quello.

— Spiacente ma entrambe le conclusioni sono sbagliate — rispose Ib Hoffman. — La navetta fa parte di una procedura di emergenza ben specifica, pianificata per scattare se l’intero progetto si fosse dimostrato impossibile, e serve per evacuare la colonia con urgenza. Questa possibilità è sempre presente: la maggior parte del materiale non è stata provata in anticipo per ovvie ragioni e nulla sappiamo della resistenza di cui darà prova qui. Per esempio, il trucco di compensare la pressione nei ricognitori e nelle tute spaziali con quella esterna usando argon è nato dall’esperienza ma non eravamo affatto certi che l’argon fosse del tutto innocuo per i mescliniti. L’argon è un gas inerte secondo gli standard normali, ma lo è anche lo xenon che ha effetti anestetici sugli esseri umani. Gli organismi viventi sono semplicemente troppo complessi per pretendere di sapere tutto in via sperimentale, anche se il metabolismo dei mescliniti è molto più semplice del nostro. Ecco perché sopportano una gamma di temperature molto più ampia.

“Ma il discorso è che la navetta è programmata per atterrare guidata da un trasmettitore in un certo punto vicino alla colonia. Non è possibile farla atterrare da altre parti su Dhrawn. Certo è possibile guidarla a distanza, ma non a questa distanza.

“Risponderai che volendo si potrebbe modificare il programma del computer di bordo per permetterle di atterrare dolcemente su un’altra superficie, supponiamo una distesa rocciosa pianeggiante. Ma questo dovrebbe avvenire tramite comando a distanza o tramite il computer di bordo? Ricorda che la navetta impiega motori a protoni, ha una massa di quindici tonnellate e deve atterrare molto, molto dolcemente in quaranta gravità, anche perché i reattori sono diffusi per evitare la formazione di crateri” concluse Ib. Benj lo guardava pensieroso.

— Perché non possiamo avvicinarci alla superficie del pianeta, in modo da ridurre l’intervallo di trasmissione? — domandò dopo alcuni minuti di silenzio. Ib lo guardò sorpreso.

— Lo sai benissimo il perché, o Perlomeno dovresti. Dhrawn ha una massa pari a tremilasettecentoquarantuno volte la Terra e impiega poco più di millecinquecento ore per compiere una rotazione completa. L’unica orbita sincrona in grado di mantenere la nostra posizione costantemente sull’equatore si trova pertanto a dieci milioni di chilometri dalla superficie del pianeta. Se per esempio stazionassimo a centocinquanta chilometri dal pianeta ci muoveremmo a più di novanta chilometri al secondo e compiremmo il giro di Dhrawn in qualcosa tipo quarantacinque minuti. Qualsiasi area della superficie rimarrebbe visibile ai nostri strumenti per non più di due o tre minuti e dato che il pianeta ha un’area complessiva pari a ottantasette volte quella terrestre, quante stazioni orbitali credi siano necessarie per controllare anche solo un atterraggio?

Benj rispose con un gesto di impazienza.

— Conosco benissimo tutto questo, ma abbiamo già un gran numero di stazioni a poche centinaia di chilometri da Dhrawn: i satelliti artificiali. Persino io so che sono dotati di apparecchiatura ricetrasmittente, dato che sono in collegamento costante con i computer qui alla stazione e in ogni momento la metà di essi deve trovarsi sulla faccia nascosta di Dhrawn. Perché non possiamo usare uno dei satelliti per controllare l’atterraggio della navetta? L’intervallo di trasmissione dalla minima orbita sicura non dovrebbe superare il secondo o due. — Perché… — cominciò Ib, che però non terminò la risposta. Rimase in silenzio per più di due minuti. Benj si guardò bene dall’interromperlo: sapeva che quando il padre faceva così aveva colpito nel segno.

— La trasmissione neutrinica di dati dal satellite dedicato al controllo della navetta si interromperebbe per parecchi minuti — disse finalmente Ib.

— Quanti anni sono che questi dati vengono raccolti per niente? — ribatté pronto Benj. Il ragazzo non appariva mai sarcastico con i genitori, ma i suoi sentimenti stavano di nuovo scaldandosi. Suo padre annui silenziosamente, concedendo questo punto al figlio, e continuò a pensare.

Trascorsero almeno cinque minuti, anche se Benj avrebbe giurato che erano molti di più, prima che Hoffman padre si alzasse all’improvviso dalla sedia.

— Vieni con me, Benj. Hai perfettamente ragione. Funzionerà per un semplice atterraggio su terreno pianeggiante e per un altrettanto semplice ritorno in orbita e questo basta. Per sorvolare la superficie e atterrare nuovamente anche un semplice secondo di intervallo è troppo, ma ne faremo a meno.

— Certo! — rispose Benj entusiasta. — Tornare in orbita, prendere fiato, aggiustare la rotta e scendere nuovamente al punto di atterraggio programmato alla colonia.

— Questo funzionerebbe, ma non farne menzione. Intanto se la cosa divenisse un’abitudine si verificherebbe veramente un’interruzione del travaso di dati dai satelliti; a parte questo, debbo dirti che ho cercato fin da quando mi sono unito al progetto di trovare una scusa plausibile, e ora che l’ho trovata ho intenzione di usarla.

— Una scusa per cosa?

— Per fare esattamente quello che credo Barlennan abbia cercato di farci fare tutto il tempo: far salire un pilota mesclinita sulla navetta. Immagino che voglia assistere ai varo di un’astronave interstellare mesclinita prima di invecchiare, in modo che possa condurre tra le stelle la stessa vita che era abituato a condurre sugli oceani. Forse non sa ancora che può utilizzare solo un balzo quantistico alla volta.

— Tu pensi davvero che Barlennan punti a questo? Ma perché dovrebbe importargli di avere i suoi propri piloti spaziali? E adesso che ci penso, perché non è stato già fatto se i mescliniti possono imparare?

— Perché è andata così. Ma non ci sono dubbi sul fatto che i mescliniti siano in grado di condurre un’astronave.

— Ma perché è andata così? Mi sembra assurdo.

— Preferirei non approfondire troppo l’argomento adesso. Sono un tipo a cui piace cercare quanto di positivo esiste nella gente, e in questa faccenda i miei sentimenti non riflettono molto credito sia sull’intelligenza che sulla razionalità della razza umana.

— Posso solo indovinare, allora — replicò Benj. — Ma cosa ti fa pensare che questa impostazione possa cambiare adesso?

— Perché adesso, al costo insignificante di discendere tutti allo stesso livello di ragionamento emozionale abbiamo un argomento per far leva sui sentimenti dell’uomo, siano essi nobili o meno nobili. Adesso scenderò di sotto al laboratorio di planetologia e mi metterò a protestare. Ho intenzione di chiedere ai chimici perché ancora non sanno come mai la Kwembly è stata risucchiata nel torrente in quel modo e quando mi risponderanno che non potranno mai saperlo fino a quando non hanno per le mani un campione di quel fango domanderò loro come mai non ce l’hanno. Ho intenzione di chiedere come mai perdono tempo con dati sulla sismicità e rifrazione neutrinica quando potrebbero benissimo analizzare campioni di minerali inviati qui ogni volta che un ricognitore si ferma per dieci minuti. Se invece non vogliamo scendere a questo livello e preferiamo lavorare sui sentimenti più nobili, farò appello a quel minimo di sensibilità che dovrebbe esistere in tutti noi per raccontare dell’ingiustizia e della crudeltà insita nella sorte dei due timonieri, condannati a soffocare lentamente su un mondo alieno ad anni luce di distanza da casa. Questo potrebbe funzionare se dobbiamo portare il caso davanti a un’alta autorità o renderlo di dominio pubblico. Mi auguro che non sia il caso, ma non rifiuterei adesso di combattere con tutte le armi per far valere le mie ragioni.

“Se Alan si oppone per gli alti costi di esercizio della navetta (la parsimonia è il suo motto, ma a volte esagera) ribatterò a ogni argomento fino a travolgerlo. L’energia è praticamente illimitata e gratuita da quando abbiamo scoperto i generatori a fusione; quello che costa è il personale. Ma comunque dovrà utilizzare un equipaggio mesclinita, evitando quindi di sobbarcarsi i costi per istruirli eventualmente in futuro. Inoltre, lasciare la navetta inutilizzata significa sprecare comunque una risorsa. So benissimo che esiste un piccolo controsenso in questa logica, ma se tu la farai notare a qualcuno ti sculaccerò per la prima volta da quando avevi sette anni anche se non hai più l’età per queste cose.”

— Non c’è bisogno che te la prenda con me, papà.

— Non me la sto prendendo con te. In effetti, non sono tanto arrabbiato quanto nervoso.

— Nervoso? E per cosa?

— Per quello che può succedere a Barlennan e ai suoi su quello che tua madre chiama “quell’orribile pianeta”.

— Ma perché? Perché adesso più di prima?

— Perché sto lentamente realizzando che Barlennan è una creatura intrepida e intelligente, capace di profondi sentimenti, ambiziosa e ragionevolmente ben educata, proprio come il mio solo figlio sei anni fa: ricordo benissimo la tua abilità alla scuola di volo spaziale. Vieni. Dobbiamo aprire la nostra scuola di astronautica e cominciare a radunare gli studenti.

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