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La musica proveniente dal robostereo dello Hardwired rimbalzava sulle piastrelle rosa del bagno sfaccettandosi in bizzarri echi distorti, uiaouuu, uiaouuu, simili al lontano gemito di un gatto elettronico. Melanie, accesa in volto, osservava la propria immagine accaldata nel vetro incrinato dello specchio. Una serata fin troppo tiepida, per essere la metà di febbraio.

La Valedrina che aveva trovato nell’armadietto dei medicinali di sua madre le ronzava piacevolmente attraverso il cervello, provocandole appena un lievissimo stordimento. Si ravviò i capelli con un pettinino giallo, continuando a esaminare la propria immagine riflessa. Una mezza cinesina dai morbidi capelli castani la fissò di rimando. Eccola là, nient’altro che una graziosa, normalissima ragazza intenta a trascorrere una piacevole serata fuori casa.

Sì, una graziosa, normalissima ragazza… ma con gli occhi d’oro.

Si scrutò attenta il viso quasi che non l’avesse mai veduto prima, pietrificata dalla stranezza di quegli occhi, duplice insinuante promemoria della sua ambigua natura. Una mutante. Neutra, per giunta. E chi, mutante o normale, chi mai avrebbe voluto aver qualcosa a che fare con lei?

Forse, però, applicando un paio di lenti a contatto… Serrò le palpebre, godendosi la momentanea consolazione che le veniva da quel pensiero. Certo, sovrapporre al marchio dorato della mutazione un bel marrone scuro o nocciola chiaro. Almeno avrebbe preso semplicemente l’aspetto di una qualunque ragazza di origine asiatica. Chissà che strano effetto le avrebbe fatto vivere una vita da nonmutante, pensò. Camminare per strada e confondersi facilmente tra la folla…

La porta del bagno si spalancò di colpo e fecero il loro ingresso, chiacchierando fitto fitto, Tiff Seldon e Cilla Cole. Si fermarono contemporaneamente nel vedere Melanie. Poi Tiff proseguì decisa in direzione dei gabinetti. Di corporatura atletica e robusta, il cranio sormontato da un cespuglio di gialli capelli a spazzola, sopravanzava Melanie di tutta la testa.

«Oh, scusami tanto», le disse in tono esageratamente cortese nel passarle accanto, e le affibbiò a tradimento un rude colpo d’anca.

Melanie cadde in avanti e si riprese a stento, evitando per un pelo di urtare rovinosamente la fronte contro lo specchio.

«Ehi, attenta!» esclamò, rivolgendo di sbieco all’altra un’occhiata furibonda. Era sicurissima che l’avesse fatto apposta.

Intanto, appoggiata al muro piastrellato che fronteggiava il lavandino, le magre braccia spavaldamente conserte, uno spinello fra le labbra, due anellini d’argento infilati in ciascuna narice, capelli verdevivo un paio di centimetri più lunghi di quelli dell’amica, Cilla, irradiando malignità, la gratificava d’un sogghigno soddisfatto.

«Attenta tu, mutosa!» risonò sprezzante da dentro uno dei cubicoli la voce di Tiff. «Senti, perché non ci fai vedere qualche giochetto, eh?»

Melanie buttò il pettine dentro la borsetta e fece per andarsene. Ma Cilla le sbarrò il passo.

«Ehi tu, mutocchia, ti hanno fatto una domanda, non hai sentito?»

«Togliti di mezzo, Cilla», scandì Melanie con voce gelida ma col cuore che le martellava in petto. Tiff e Cilla erano due persone aggressive e crudeli, tipiche rappresentanti di quella marmaglia che amava infierire sui mutanti per puro divertimento.

«Ma guarda un po’ che razza di maleducata!» Cilla scosse la testa con aria di beffarda riprovazione, e incalzandola da destra costrinse Melanie ad arretrare fin contro la parete. Melanie cercò di sgusciare sulla sinistra, ma si ritrovò all’improvviso bloccata da Tiff, che incombeva su di lei con un sorriso cattivo. Infilandosi una mano massiccia sotto la camicetta, Tiff tirò fuori un coltello, che balenò argenteo nella luce dei fluorescenti. Poi afferrò Melanie per una spalla, agitandole davanti al viso la piccola, scintillante vibrolama.

«Graziosa vero? Mio fratello non se n’è accorto nemmeno che gliel’ho fregata dal giubbotto…» Il fiato di Tiff sapeva di vino o birra, e negli occhi le danzava un bagliore sinistro. «Pensavo di provare a farci un lavoretto d’intaglio… magari con una mutosina, eh?» A sottolineare la battuta le uscì di gola un risolino aspro.

Melanie fissò il coltello col fiato sospeso. Possibile che avessero davvero intenzione di ferirla?

La vibrolama saettò vicinissima, mentre Tiff simulava un primo affondo contro il mento della sua vittima. Melanie chiuse gli occhi. L’avrebbe sentita nessuno, se si fosse messa a urlare? Sua cugina Germyn l’aspettava al bar. Forse sarebbe venuta a cercarla. O magari poteva anche succedere che se Melanie si fosse concentrata intensamente, ma proprio al massimo delle sue forze, avrebbe scoperto di possedere lei pure qualche facoltà mutante. E allora sarebbe riuscita in un istante a scagliare Tiff lontano da sé, per poi librarsi in aria e sfuggire alle sue aguzzine. Strinse forte gli occhi già serrati, cercando spasmodicamente di proiettare contro le due nonmutanti un’ondata di energia mentale. Ma quanto più si sforzava, tanto più sentiva di indebolirsi. Infine, disperata, rinunziò. Lucidamente consapevole della propria impotenza, comprese che non avrebbe potuto sottrarsi all’aggressione.

Riaprì gli occhi, domandandosi quanto mancasse al momento in cui la lama avrebbe incominciato ad affondarle nelle carni, e quanto male le avrebbe fatto. Forse sarebbe morta, e allora Tiff avrebbe passato in galera il resto dei suoi giorni. Niente male, come prospettiva. Anche il cecchino che dieci anni prima aveva ucciso tre mutanti al World Trade Center era finito in carcere. Rimaneva un fatto, però: Melanie non aveva nessuna voglia di morire.

«Tiff, non farlo», implorò. «Te ne pentirai.»

Ruotando silenziosamente sui cardini, la porta del bagno si spalancò. Kelly McLeod, bocca aperta, mani artigliate attorno alla borsetta, si bloccò sulla soglia.

«Ti consiglio di usare un altro bagno, McLeod!» intimò Tiff in tono minaccioso. «Questo è occupato.» Continuava a impugnare saldamente il coltello sotto il mento di Melanie.

Kelly venne avanti con le mani sui fianchi.

«Ehi, che sta succedendo?»

«Oh, solamente un lavoretto d’intaglio con una mutosina», rispose Cilla ridacchiando. «Sei venuta a darci una mano?»

«Ma siete impazzite?» esclamò Kelly rivolgendole uno sguardo colmo di ripugnanza. «Si può sapere cosa vi ha fatto?»

Cilla la fissò corrucciata. «E a te che te ne frega? Sarai mica una che gli piacciono i mutosi, per caso, no?… Oh, Tiff, che ne diresti di darla pure a lei una ripassatina?»

«Vattene, Kelly, o faranno male anche a te!» ansimò Melanie.

Ma Kelly non le diede retta. Avanzò invece rapidamente, afferrò gli anelli che pendevano dal naso di Cilla e tirò forte. Cilla emise uno strillo terrificante, incominciando a percuotere Kelly a piene mani.

«Lasciatela stare!» gridò Kelly. «Capito? Toglietele subito le mani di dosso!»

«Fatti i fatti tuoi, McLeod!» replicò Tiff, lasciando Melanie per puntare la vibrolama contro la nuova venuta.

«E tu vai a farti fottere!»

Tiff tentò con uno scatto di colpirla, ma Kelly lasciò andare gli anelli e si scansò schivando il coltello, che proseguì la corsa andando a scalfire invece il braccio di Cilla. La ragazza portò d’istinto una mano a coprirsi la ferita e cominciò a lamentarsi forte, mentre il sangue le filtrava tra le dita.

«Stai zitta, Cilla!» le gridò Tiff. «Devo avere un po’ di plastipelle in borsetta. Dio quante storie, ti ho appena sfiorata!»

Cilla serrò le labbra troncando a mezzo un singhiozzo e si diede precipitosamente a rovistare nella borsa di Tiff alla ricerca della benda.

Kelly scoppiò in una risata. «Ma fai sempre tutto quel che ti dice lei?»

«Amica dei mutosi!» berciò Cilla. Si girò di scatto e la colpì in pieno volto con un manrovescio che fece vacillare Kelly e mandò rosse striature di sangue a spiaccicarsi sulla parete. Tiff bestemmiò, lasciò andare Melanie e si volse sollevando la mano armata per colpire Kelly.

Melanie colse l’occasione al volo. Con un balzo fu addosso a Tiff, le afferrò la mano che impugnava il coltello e se la portò alla bocca, affondando i denti nel polso.

Tiff cacciò un urlo di dolore. Melanie serrò forte le mascelle e mantenne la presa, mentre l’altra cercava inutilmente di liberarsi. Il gusto salato del sangue di Tiff le inondò il palato. Il coltello cadde a terra tintinnando, e con un calcio Melanie lo scaraventò nell’angolo accanto alla porta. Vide Kelly e Cilla accapigliarsi furiosamente. La stanza si era fatta all’improvviso affollata e rumorosa, un putiferio di gente che si agitava e di voci che rimbombavano.

«Ahi! Lasciami, maledetta mutante!» urlò Tiff.

Va’ all’inferno, pensò Melanie continuando a stringere.

«Basta, ragazze! Fatela finita!»

Jeff, il buttafuori dello Hardwired, si insinuò a fatica nella mischia chinando il capo per schivare i colpi, e riuscì a separare Cilla e Kelly beccandosi soltanto un paio di calci. Il suo compare, il calvo e tarchiato Ron, agguantò Melanie e Tiff.

«Lasciala andare, ragazzina!» ordinò a Melanie scrollandola piuttosto brutalmente.

Seppur controvoglia, Melanie aprì la bocca per liberare il polso malconcio dell’avversaria.

Guardandole disgustato, Jeff le spinse tutte e quattro verso l’uscita. «Le ragazze sono sempre le peggiori», commentò rivolto a Ron, il quale assentì con aria da intenditore.

«Bestiacce feroci», dichiarò burbero.

«Allora, non mi importa sapere perché e nemmeno chi ha incominciato», le apostrofò Jeff in tono aspro. «Le regole le conoscete: niente risse dentro l’Hardwired. Siete espulse per due settimane. Fuori!»

L’intero club se ne stava buono e cheto. Era stato spento anche il robostereo. File di facce osservarono curiose mentre Tiff e Cilla, imprecando, varcavano in fretta la soglia del bagno. Giunta all’estremità del bar, Tiff si fermò.

«Attenta a te, mutosa, prima o poi ti ritrovo!» gridò.

Melanie le rispose con un gesto osceno. Tiff replicò allo stesso modo, poi uscì dal locale sempre stringendosi con l’altra mano il polso ferito.

Jeff agevolava l’operazione tenendo la porta aperta. «Fuori di qui, signorine. Avanti, anche voi due.»

Melanie cercò in extremis d’individuare Germyn percorrendo con lo sguardo la folla assiepata, poi lasciò perdere. Con ogni probabilità sua cugina doveva aver ripreso la strada di casa al primo accenno di agitazione, portandosi via il libratore. Poco male, pensò. Germyn non era mai stata un granché, come compagnia. Recuperò quindi la sua giacca a vento arancione dall’attaccapanni a muro e uscì nel parcheggio. Kelly le andò dietro senza fiatare. Melanie la sbirciò con la coda dell’occhio. Per quale motivo l’aveva aiutata? In fondo, a parte una saltuaria frequentazione scolastica, si conoscevano appena.

Il peso di quel silenzio andò crescendo su di loro, finché a un certo punto Melanie non ne poté più.

«Grazie», sbottò. «Comunque non eri obbligata, sai?»

Kelly si strinse nelle spalle. «Be’, mica potevo star lì a guardare mentre ti facevano a fettine, non credi? E poi quelle due serpi non le ho mai potute soffrire. Tu però dovresti stare più attenta. Non ci vuol niente a provocarle.»

«Già, me ne sono accorta», dichiarò Melanie con amarezza. «Ad ogni modo sono state loro a creare il casino. Io pensavo solo ai fatti miei.»

«Me l’ero immaginato», replicò Kelly, dando un calcio a un sassetto vagabondo.

L’attimo dopo, colpita da un pensiero improvviso, Melanie si fermò.

«Ascolta, sei tu che frequenti mio fratello, vero?»

«Già.»

A questo punto Melanie osservò con maggiore attenzione la sua salvatrice. Kelly, pur secondo canoni decisamente nonmutanti, poteva senza dubbio definirsi una bella ragazza. Tutti quei capelli neri, e quei grandi occhi azzurri… Ma, a parte questo, cosa ci trovava Michael in lei di tanto interessante? Da un punto di vista puramente erotico Jena risultava assai più conturbante, e poi era bravissima in tutti gli sport telecinetici. Ma forse a Michael non importava.

Tutto sommato, Kelly appariva molto più attraente di Jena. A scuola i ragazzi normali le ronzavano attorno di continuo; mezza squadra di calcio, per lo meno. Non che lei li degnasse della minima attenzione. Be’, poteva anche darsi che avesse una propensione per i mutanti. Succedeva, a volte. A Melanie tornò in mente il ragazzo lentigginoso che quando lei frequentava il secondo anno le era stato appresso per almeno sei mesi. Certa gente provava un’attrazione irresistibile per i mutanti. Forse suo fratello provava un’attrazione irresistibile per i normali… Comunque era pazzo a rischiare un provvedimento disciplinare da parte del clan solo per il gusto di incontrarsi con una ragazza normale, pur se graziosa come Kelly McLeod.

«Serve un passaggio?» domandò Kelly.

«Be’, diciamo di sì. A quanto pare mia cugina mi ha lasciato a piedi», rispose Melanie. «Spero che non ti dispiaccia.»

«Non c’è problema. Dai, andiamo.» E Kelly fece strada verso un libratore color grigioargento.

«Bello», commentò Melanie con una punta d’invidia. «È tuo?»

«No, di mia madre. Coraggio, salta su.»

Una volta a bordo Kelly premette il pulsante di accensione, ma tutto quel che ottenne fu un sordo brontolio. Provò ancora, inutilmente. Il motore non voleva saperne di mettersi in moto.

«Miseriaccia.» Kelly azionò l’apertura del cofano e ridiscese dal libratore. Pochi secondi dopo era di ritorno, scura in volto, stringendo una manciata di cavetti arancioni.

«Cos’è successo?», domandò Melanie.

«Hanno tagliato i figli dell’accensione», spiegò Kelly. «Scommetto che è stata quella schifosa di Tiff. Non credevo che ne avrebbe avuto il tempo.» Si spostò sul retro del libratore e incominciò a frugare nel bagagliaio.

Melanie la seguì. «E adesso che si fa?» domandò in tono smarrito. Lei non ne aveva mai capito granché di libratori.

«Voglio tentare una riparazione di fortuna prendendo qualche filo nella borsa degli attrezzi di papà», rispose Kelly, tirando fuori qualcosa dal bagagliaio e tornando poi rapidamente sul davanti della vettura. «Ne tiene sempre una di scorta, in questo libratore. Ecco, prendi qua.» Porse a Melanie una torcia elettrica. «Illumina qui sopra.»

E chinatasi sul motore si mise a trafficare con quelle che a Melanie parvero due file di spinotti metallici, collegandoli sopra e sotto con un verde conduttore a treccia, e serrando ogni tanto l’estremità di un conduttore con l’aiuto di un piccolo cacciavite.

«Ti spiace tenere la lampada un poco più alta?»

Melanie si affrettò a eseguire.

Infine, risollevandosi con un borbottio soddisfatto, Kelly si pulì le mani con uno straccio.

«Ecco fatto. Speriamo che funzioni.»

Dopo di che si allungò da fuori sul sedile di guida e premette di nuovo il pulsante di avviamento. Per un attimo non accadde nulla. Poi, con uno stridulo lamento, il libratore riprese vita. Le ragazze si scambiarono un sorriso di sollievo. Kelly ripose gli attrezzi nel bagagliaio.

«Accidenti, che brava!» esclamò Melanie sbalordita. «Ma dove hai imparato?»

«Mio padre ha sempre avuto il pallino della meccanica», spiegò Kelly. «Probabilmente per via del suo lavoro di pilota. E io non facevo altro che stargli attorno finché lui non incominciava a insegnarmi come riparare questo o quell’aggeggio.» Guidò il libratore fuori del parcheggio. «A Michael sembra molto buffo che io sia capace di usare utensili e roba del genere.»

«Quant’è che uscite insieme?»

«Circa due mesi. Praticamente da quando siete tornati da quel vostro raduno.»

«Devi volergli davvero bene», azzardò Melanie misurando le parole.

«Proprio così», rispose Kelly. Fermò il libratore a un incrocio, e intanto che aspettava il verde diede un’occhiata a Melanie. «Non sembreresti molto d’accordo.»

Melanie esitò. Che i mutanti fossero poco socievoli lo sapevano tutti, ma non le andava di fornire troppe informazioni a un estraneo. Tuttavia, se Kelly aveva intenzione di legarsi seriamente a Michael, bisognava che conoscesse la verità.

«Oh, per me non c’è problema. Michael sembra contento. Ma a mio padre verrebbe un colpo, se venisse a saperlo.»

«E perché?»

«Ai mutanti non sono concessi legami sentimentali al di fuori del clan.»

Kelly la fissò sbalordita. «Stai scherzando.»

«Neanche un po’. Le amicizie nonmutanti sono a malapena tollerate. Ma niente di più. Chi si vuole sposare deve scegliere all’interno del clan. È considerato un buon sistema per mantenere il clan integro e forte nel caso che la situazione torni a peggiorare, come successe negli anni Novanta.»

«Insomma, vi preparate all’assedio.»

«Diciamo così.»

Il semaforo passò finalmente dal rosso al verde.

«E chi non si sposa all’interno del clan?»

«Rischia un provvedimento disciplinare. O peggio.»

«Provvedimento disciplinare?» Kelly non poté trattenere una risata. «E che cosa vorrebbe dire? Vi danno bacchettate sulle mani? O vi mandano a letto senza cena?»

«Non c’è niente da ridere», ribatté Melanie. «È una brutta faccenda, invece. I membri del clan sottoposti a provvedimento diventano dei paria.»

«Chi l’avrebbe immaginato…» Kelly si scansò dagli occhi una ciocca di capelli. «Sembra quasi uno di quegli antichi culti.»

«A te, forse», ribatté Melanie freddamente. «Ma è il modo in cui viviamo. E se vuoi continuare a vederti con mio fratello, farai bene a renderti conto dei rischi che corre per te.»

Kelly rimase in silenzio per qualche istante, concentrandosi nella guida. Rosse, gialle, bianche, infinite luci di altri libratori sfrecciavano accanto a loro.

«Grazie per l’avvertimento», disse infine in tono sommesso. «Non volevo essere scortese, né offenderti in alcun modo.»

«Oh, dai, lascia perdere», concluse Melanie. «Ma dimmi, i tuoi come l’hanno preso, il fatto che frequenti mio fratello?»

Kelly si strinse nelle spalle. «Non è che facciano salti di gioia, ma insomma cercano di abituarsi all’idea. Sono sicura che a mia madre Michael piace. Quanto a mio padre… be’, diciamo che comunque lo tratta educatamente.»

«Tu, per lo meno, Michael a casa tua puoi farcelo entrare apertamente. Dubito che lui ti porterà a conoscere i nostri genitori. E ad ogni modo non credo che ti darebbe molto gusto incontrare mio padre.»

«Ti dirò, ai miei è proprio piaciuto vedere Michael levitare. Sapessi però quanto l’ho dovuto pregare, prima di riuscire a convincerlo… A proposito, tu che cosa sai fare?»

«Che cosa vuoi dire?»

«Qual è il tuo potere mutante?»

«Nessuno. Sono una neutra.» Melanie si rincantucciò nel sedile, cercando di far trasparire il meno possibile l’amarezza che le incrinava la voce.

«Davvero? Non sapevo che esistessero anche mutanti neutri.»

«E invece è così. Ogni tanto succede. Io sono l’unica, nella mia famiglia, a non avere neanche un briciolo di capacità. Incredibile, vero? I miei genitori cercano di fare buon viso, ma io lo so che ci sono rimasti parecchio male. A volte penso di non essere affatto una mutante. Può darsi che all’ospedale, quando sono nata, mi abbiano scambiata con un’altra.»

«E quegli occhi, allora, da dove ti sarebbero venuti?»

Melanie sospirò. «Anche le mie teorie sono disfunzionali.»

Mentre ancora le aleggiava in volto un sorriso di affettuosa comprensione, Kelly fermò la macchina davanti alla casa di Melanie. Spense il motore e si volse a guardarla.

«Senti, Melanie, ti ringrazio sinceramente per tutto quello che mi hai detto. A tuo fratello voglio bene sul serio, e nonostante le difficoltà spero che potremo essere amiche.»

«Be’, sì, certo, se vuoi…»

Kelly annuì.

«Ciao, allora. E grazie per il passaggio.» Melanie scese dalla macchina, richiuse lo sportello, e mentre Kelly usciva a marcia indietro dal viale rimase lì a guardare i fari gialli del libratore tracciare il loro sentiero di luce attraverso la nebbia che si andava infittendo.

Che strano, pensò, essersi fatta un’amica a causa di una rissa. E una nonmutante, per giunta.


Bill McLeod guardò con raccapriccio il livido che segnava il volto della sua primogenita. E che cos’erano quelle macchie rossastre che aveva sui vestiti? Sua moglie, seduta accanto a lui sul divano, si distolse dalla sua lettura per levare su Kelly uno sguardo preoccupato.

«Si può sapere cosa diavolo ti è successo?»

«Ero all’Hardwired. Sono rimasta coinvolta in una rissa.»

«Una rissa?»

«Proprio così. Dentro i bagni. Due ragazze hanno aggredito Melanie Ryton. Avevano una vibrolama.»

«Un coltello?» McLeod provò una stretta allo stomaco. Ma allora era sangue, quello che chiazzava la camicetta di sua figlia! «Dio mio, Kelly, ti hanno ferito?»

«No. Comunque era un coltello piuttosto piccolo.»

«Ti consola scoprire che tua figlia è un’esperta di coltelli!» commentò lui in tono caustico. «E poi chi sarebbe, questa Melanie Ryton? Qualcosa a che vedere con Michael?»

«È sua sorella.»

McLeod scosse la testa. Un altro Ryton! Come avrebbe fatto a liberarsi di quella maledetta famiglia?

«Sei proprio sicura di star bene?» domandò Joanna.

«Tutto a posto, mamma. Solo un po’ in disordine, capirai.»

«Ma dovevi per forza entrarci anche tu?» domandò McLeod.

Kelly gli gettò un’occhiata colma di disgusto. «E secondo te che cosa avrei dovuto fare? Starmene lì buona buona a guardare?»

Il tono di quella risposta fece sbottare l’ira che già gli covava dentro. «Kelly, avresti potuto rimanere ferita! E incomincio a pensare che te lo saresti meritato!»

«Che cosa vorresti dire?»

«Voglio dire che stai andando in cerca di guai! Sempre attorno a questi mutanti… Lo vedi che bei risultati? Possibile che tu non abbia altre amicizie?»

«Bill!» l’ammonì Joanna con voce indignata.

Tranquillamente appoggiata al muro, con le mani in tasca, Kelly non parve accusare il colpo.

«Papà, Melanie è una persona del tutto inoffensiva. Non ha nemmeno qualcuno di quei poteri che hanno gli altri mutanti. Solo quegli occhi strani. Eppure le danno tutti addosso perché è una mutante. E io non lo sopporto.»

«Questo ti fa onore», convenne Joanna. «E infatti noi ti abbiamo sempre insegnato a difendere i tuoi ideali, non è vero, Bill?»

Lui annuì impaziente. «Ma certo, chi dice il contrario? Però non è questo il punto. Il fatto è che ormai dovresti avere imparato a tenerti alla larga dai guai. Le beghe dei mutanti non ti riguardano. Perché non ti trovi un po’ di amici con gli occhi normali?»

L’autocontrollo di Kelly incominciava a sgretolarsi. «Perfetto», replicò, gli occhi ridotti a due fessure sotto l’impeto d’una collera crescente. «Quindi domani, per prima cosa, dirai a Cindy che deve smetterla di incontrarsi con Reta. Sì, facciamola finita, con questi mutanti. Ma ci pensi? Diventeremo i famosi McLeod, implacabili avversari dei mutanti!…» Poi, con voce stridula di rabbia, soggiunse: «E invece a me, guarda caso, i mutanti piacciono, e non m’importa se la pensi diversamente!»

«Bill, mi state facendo venire il mal di testa. Non potreste lasciar perdere per un po’?» si lamentò Joanna con tono irritato.

McLeod incominciava a pensare di avere gestito male la situazione. «Non posso far finta di niente», insisté, sulla difensiva. «Cerca di capirmi, Kelly, non è che io voglia proibirti di vedere questi mutanti, ma sarei molto più contento se tu passassi più tempo in compagnia della gente normale. E se dessi un taglio a quella tua storia con Michael Ryton. Hai sempre avuto da scegliere, con tutti i bei ragazzi che ti fanno il filo. Me lo sai dire per quale ragione devi metterti per forza insieme a un mutante?»

«Dio santo, ho sempre più spesso l’impressione che in questa famiglia trattiate anche me come una mutante!» ribatté Kelly. «Perché mai non dovrebbero piacermi? E comunque non ho la minima intenzione di smettere di incontrare Michael. È molto più interessante di qualunque altro ragazzo abbia mai conosciuto. E anche se si tratta di un mutante, be’, che male c’è?»

«Calmati, Kelly», intervenne Joanna. «Tuo padre è giustamente rimasto sconvolto al pensiero di quel coltello. Non ti sembra una reazione motivata? Rifletti: ti presenti a casa col viso contuso, coi vestiti coperti di sangue…»

«Sono solo poche macchie.»

«… e ci racconti che sei reduce da una rissa in un bar. Be’…»

«Certo, mi rendo conto», ammise Kelly, dondolandosi imbarazzata da un piede all’altro. «E mi dispiace. Ma preferite che vi racconti bugie?»

«No, ovviamente no. Anzi, sono fiera che tu abbia avuto il coraggio di difendere Melanie. Anche tuo padre è orgoglioso di te.»

McLeod si sentì riprendere da una vampata d’irritazione. «Jo, fammi il favore di non parlare di me come se io non fossi nemmeno presente!»

«Papà, non ti accorgi che la mamma sta solo cercando di metter pace?»

McLeod si domandò quando sua figlia aveva incominciato a usare con lui quel detestabile tono condiscendente…

«Lo vedi bene anche da te, vero, che i nostri timori non sono ingiustificati, e che può rivelarsi pericoloso essere troppo amici dei mutanti?…» continuò Joanna.

Kelly alzò le spalle. «Mamma, capisco benissimo quel che stai cercando di dire. Ma se ci fossi stata io, nella situazione di Melanie, non avreste voluto che i miei amici venissero ad aiutarmi?»

«Be’, si capisce.»

«E allora, che differenza fa? Cosa importa se Melanie è una mutante? È mia amica, tanto basta. Senza contare, poi, che lei di quei poteri mutanti non ne ha nemmeno uno.»

«È la prima volta che sento dire una cosa del genere», intervenne brusco McLeod.

«Eppure è vero.»

«Certo che dev’essere dura, per lei», osservò Joanna aggrottando la fronte.

Per qualche istante anche il pessimo umore di McLeod non poté fare a meno di addolcirsi. Povera, piccola Melanie, pesce fuor d’acqua sia di qua che di là… Ma poi gli venne in mente il padre, il gelido, altero James Ryton, e la sua irritazione si risvegliò.

«Ascolta, non metto in dubbio che questa Melanie incontri qualche difficoltà, a scuola. Ma non è mica l’unica, sai? Un mucchio di gente deve lottare per tirare avanti. E alcuni non sono nemmeno mutanti. Lei avrà di sicuro altre amicizie. Amicizie mutanti. Quindi non mi pare il caso che tu debba star lì a compatirla.»

«Mi sarebbe piaciuto essere anch’io una mutante, per un quarto d’ora, là in quei gabinetti», dichiarò Kelly ridacchiando. «Avrei fatto volare Tiff Seldon dritta dritta dentro la tazza, e poi giù, una bella lavata di capo!…»

McLeod capì che sua figlia stava cercando di curargli l’umor nero mettendola sullo scherzo, e pur controvoglia si degnò di sorridere. Ma un attimo dopo gli balenò in mente un’immagine del volto di Kelly… perfettamente identica all’originale tranne che per quei due estranei occhi dorati, e dovette fare uno sforzo per non mettersi a tremare. Si accorse che il gran fuoco della sua rabbia era bruciato completamente, lasciandosi dietro solo sparse braci vacillanti e una massiccia dose di depressione.

«Va bene, lasciamo perdere, incidente chiuso, d’accordo? Vedi magari se puoi metterti addosso qualcosa di pulito…» Ciò detto, si distolse dalla famiglia e accese il grande schermo a parete, sintonizzandosi sulla finale del campionato di pallacanestro a gravità zero. Aveva urgente bisogno di pensare a qualcosa di assolutamente diverso dai mutanti…


La casa era buia, punteggiata appena qua e là dal tenue chiarore azzurroverde, grato agli occhi mutanti, delle minuscole lampade di sicurezza. Un canto gutturale, proveniente dai fonodinamici di rame tubulari piazzati in soggiorno, accolse Melanie. Era la preghiera della sopportazione tratta dal terzo libro delle Cronache, una delle invocazioni preferite di suo padre. Il resto della casa attendeva silenzioso. L’intero mondo esterno pareva remoto. Di più: cancellato.

«Presumo che tu sia in grado di fornire una spiegazione, vero?» risuonò gelida la voce di James Ryton dopo che ebbe levato lo sguardo sulla sua scarmigliata figlia. Melanie avrebbe voluto farsi piccola piccola, fino a scomparire. Era inutile attendersi una parola di conforto da quell’uomo. Se almeno fosse potuta rientrare insieme a Kelly…

«Allora? Che cos’hai da dire, signorina?»

Melanie cercò con lo sguardo sua madre, che, raggomitolata sul divano come un gatto, le rivolse un sorriso d’incoraggiamento. La ragazza trasse un respiro profondo, e si lanciò.

«Due ragazze mi hanno assalito all’improvviso mentre ero nei bagni. Una era armata di coltello. Aveva bevuto. Voleva colpirmi.»

«Maledetti normali! Non saranno contenti finché non ci avranno sterminati dal primo all’ultimo!»

«James!» lo richiamò Sue Li lanciandogli un’occhiataccia. Quindi si rivolse a Melanie. «Vai avanti, cara. Dopo che cos’è successo?»

«È arrivata Kelly McLeod e mi ha aiutato a respingerle.»

«La figlia di McLeod ti ha aiutato? Una nonmutante?» domandò Ryton in tono di evidente sorpresa.

«Be’, sì.»

«Com’è che conosci quella ragazza?» le chiese dolcemente Sue Li.

«Ci si vede ogni tanto a scuola.»

Melanie osservava suo padre camminare inferocito avanti e indietro sul tappeto azzurro. Un’espressione sofferta gli incupiva il volto. Una vena gli pulsava sulla fronte, indubitabile brutto segno.

«E cosa stavi facendo, per averle indotte ad aggredirti?»

«Niente. Mi pettinavo.»

«Eri sola?»

«Sì.»

«Innanzitutto non capisco per quale motivo tu debba frequentare un locale di nonmutanti. E poi dov’era Germyn? Credevo che stasera saresti uscita insieme a lei.»

«Se l’è filata non appena è cominciato il casino. Come al solito.»

Melanie scorse la bocca di sua madre contrarsi in quello che avrebbe potuto essere un sorriso, immediatamente dissimulato. Papà, invece, non parve trovarci nulla di divertente.

«Andarsene in giro da soli equivale a fare da bersaglio», dichiarò.

«Quindi sarebbe tutta colpa mia?» reagì Melanie stizzita. «L’ho chiesto io di farmi infilzare con un coltello?»

«Non usare quel tono con me, ragazza.»

Al che la mamma pensò bene d’intervenire. «James, ora sei troppo alterato per discutere di questa faccenda. Non sarebbe meglio rimandare a più tardi?»

«È inutile che cerchi di calmarmi, Sue Li. Le mie opinioni circa il socializzare coi normali le conosci benissimo. Troppo rischioso.»

«Sì, certo, però credo che in questo caso tu stia reagendo in modo eccessivo. Insomma, James, non siamo più negli anni Novanta. E non vedo nulla di pericoloso nel fatto che Melanie trascorra un poco del suo tempo insieme ai normali.» Fece un attimo di pausa, quindi proseguì. «Tutti i ragazzi frequentano l’Hardwired. Melanie non c’è andata di sicuro in cerca di guai. E se ogni tanto capita che qualcuno alzi un po’ troppo il gomito e diventi aggressivo, be’, non possiamo certo farne una colpa a nostra figlia. Secondo me sarebbe potuta andare molto peggio.»

Immobile, imperturbabile, languidamente avvolta nel suo maglione rossofuoco, la mamma diede a Melanie l’impressione di un piccolo Buddha in versione femminile. Chissà che in quel preciso momento non stesse cercando di influenzare in meglio gli accesi umori che surriscaldavano l’ambiente… Non sarebbe stata certo la prima volta che Sue Li poneva fine a una disputa casalinga facendo sottilmente uso delle sue doti telepatiche.

«Sue Li, non ho la minima intenzione di farmi distrarre dalle tue chiacchiere», replicò Ryton. «Il continuo coinvolgimento coi normali rappresenta un grave pericolo, per i nostri figli. È una situazione intollerabile!»

«Non vedo proprio come potrei fare altrimenti», intervenne Melanie. «Non siamo abbastanza per metter su una scuola riservata ai mutanti, e ad ogni modo non posso certo passare la vita intera standomene alla larga dai normali.»

«Già, ma quanto meno potresti usare maggior discernimento nello scegliere dove andare e che cosa fare», la rimbeccò suo padre con voce dura. «E tanto per cominciare ti proibisco di rivedere quella tale McLeod.»

«Ma papà», insisté Melanie con labbra tremanti, «Kelly mi ha aiutato. E vuole essermi amica.»

«Dentro il clan ne hai già quante ne vuoi, di amicizie,»

«Eh sì, figuriamoci. E invece lo sai benissimo che nel clan non c’è nessuno che desideri veramente entrare in amicizia con me. Oh, certo, sono tutti molto carini, come no, però mi trattano come se fossi una deficiente, invece che semplicemente una neutra. E tu sei uguale agli altri.»

Una volta tanto, suo padre non seppe che cosa replicare. La fissò come se avesse di fronte un’estranea. Melanie si rendeva conto che avrebbe fatto molto meglio a piantarla lì e a ritirarsi nella tranquilla intimità della sua stanza, ma non riuscì a trattenersi. Le parole che per anni aveva soffocato le scaturirono fuori inarrestabilmente.

«A tutti quanti, faccio schifo!» gridò. «A scuola mi danno addosso perché sono una mutante. A casa e alle riunioni del clan mi guardate come se avessi tre teste. Oh, lo so, voi credete che non me ne accorga, ma vi ingannate. E so pure quello che pensate: povera ragazza, neutra com’è chi vuoi che se la pigli? Dentro il clan non la sposa nessuno di sicuro. Guarda un po’ se doveva capitare proprio a noi, questo guaio di avere una figlia disfunzionale!…»

«Ma no, Melanie, ti sbagli…» La voce della mamma, smarrita ogni imperturbabilità, suonava ora colma d’angoscia.

Melanie si volse a fronteggiarla. «Ah, davvero? Eppure mio padre è talmente impegnato a rimproverarmi di ogni cosa che faccio da non essersi nemmeno reso conto che poco fa qualcuno è quasi riuscito a pugnalarmi. Certo, capisco, fosse successo sul serio vi avrebbe reso tutto molto più facile, vero?» E tacque, soddisfatta, vedendo sua madre sbiancare in volto e suo padre irrigidirsi dolorosamente per la brutale trafittura di quell’insinuazione.

«Melanie, tu non sai che cosa stai dicendo. Come puoi parlare in questo modo?» Nell’udire la voce di sua madre rotta dall’emozione, Melanie avvertì una punta di rammarico. Non aveva avuto davvero intenzione di ferirla, ma in fondo si era limitata a dire la verità. Non sarebbe stato un sollievo per tutti, se lei si fosse tolta dalla circolazione?

«Stai dicendo un mucchio di sciocchezze, di puerili assurdità», dichiarò suo padre scuotendo la testa, in un tono che non ammetteva repliche. «All’interno del clan non c’è nessuno che non ti voglia bene e non ti tratti nel migliore dei modi. Quindi devi smetterla di sentirti assurdamente esclusa e perseguitata.»

Per qualche istante rimasero lì tutti e tre a fissarsi in un gelido silenzio. Poi la mamma si alzò.

«È tardi. Siamo stanchi. Andiamocene a letto, e vedrete che domani ci apparirà tutto sotto una luce più rosea.»

Melanie si sentì dispiaciuta per loro. Non sopportavano di sentirsi dire la verità. Lei, invece, era capace di affrontarla a viso aperto. Non aveva altra scelta.

«Buonanotte, mamma. Buonanotte, papà.»

Senza aggiungere altro, volse loro le spalle e se ne andò in camera sua. Appena richiusa la porta inibì il sensore all’infrarosso prima di attivare automaticamente l’illuminazione con la sua presenza. Preferiva rimanere al buio.

Seduta sul letto, tenendosi le ginocchia strette al petto, Melanie ripercorse ancora una volta gli avvenimenti della serata. Lo scontro allo Hardwired. La conversazione con i suoi genitori. Non poteva continuare a vivere in quel modo. Non poteva e non voleva.


Bill McLeod si rigirò fra le coperte per posare lo sguardo sull’orologio a muro, il quale ricambiò quell’attenzione fornendogli l’ora col soffuso bagliore delle sue cifre color ambra: le quattro del mattino. Udiva, accanto a sé, il profondo e regolare respiro di Joanna. Avrebbe desiderato poterla imitare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi tornavano a riecheggiargli in mente le parole di Kelly, e addio sonno.

Ho sempre più spesso l’impressione che in questa famiglia trattiate anche me come una mutante.

Be’, si disse, Kelly aveva buttato là quella frase spinta dall’ira, in un impeto di ribellione contro il suo vecchio e le sue ottuse osservazioni. Probabilmente non lo pensava davvero.

E se invece avesse detto sul serio? Sembrava così distante, da qualche tempo, così estranea alla famiglia… Cosa poteva aver fatto o non fatto, lui, per indurla ad allontanarsi? Oh, che diavolo, presto o tardi succedeva a tutti i ragazzi di architettare una fuga dal nido. Imprescindibile rito di passaggio. Anche lui, a quattordici anni, era rimasto fuori una notte intera a camminare sulla spiaggia. E suo padre gliele aveva date di santa ragione, quand’era tornato a casa. Poi, crescendo, aveva imparato a fare a meno delle pensose passeggiate lungo spiagge solitarie. Specialmente in aviazione. E adesso, inchiodato com’era a un lavoro da tavolino, di tempo per estraniarsi gliene avanzava decisamente molto poco. Troppi contratti.

Joanna s’impegnava in modo encomiabile, coi ragazzi. Quanto a lui, cercava di fare del suo meglio per condividerne gioie e dolori, per essere attento e disponibile a ogni loro necessità, per astenersi dal far pesare il proprio giudizio ogni qual volta riteneva che i suoi figli avessero bisogno di imparare da sé…

Eh, già: in questa occasione i buoni propositi erano andati davvero a farsi benedire. Serrò con violenza i pugni in istintiva quanto vana reazione al suo brutale comportamento di poche ore prima. McLeod lo sapeva benissimo che avrebbe dovuto essere più tollerante nei confronti dei mutanti. Ma gli facevano accapponare la pelle. Anche in servizio se ne era sempre tenuto alla larga. A causa loro sua figlia aveva rischiato di essere malmenata. O peggio. E adesso si era messa persino a filare con quel giovanotto…

Ho sempre più spesso l’impressione che in questa famiglia trattiate anche me come una mutante.

«Bill, se non la smetti di rigirarti non mi fai dormire.» La voce di Joanna, impastata di sonno, non nascondeva l’irritazione. «Che cosa stai rimuginando? Kelly?»

«Già.»

«Devi aver pazienza. È l’età, lo sai.»

«Meno male che diciassette anni vengono una volta sola.»

«Amen.» Morbida e calda, nel buio, andò a rannicchiarsi addosso a lui. «E cos’è, in particolare, che ti rode?»

«Quella sparata sul fatto di sentirsi trattata come una mutante. Secondo te diceva sul serio?»

Joanna ridacchiò. «Ah, in quel momento senza dubbio. Evidentemente stava cercando di scombussolarti. E a quanto pare c’è riuscita.»

«Ecco, in effetti sembra scontenta. È chiaro che me ne dispiace.»

«Non credo proprio che sia più scontenta di quanto eravamo io e te alla sua età.»

«Be’, in fondo non le facciamo mancare nulla.»

«Bill, la devi far finita di preoccuparti per questa faccenda. Ti assicuro che sei un padre favoloso. Cerca solo, per un po’, di ammorbidirti sulla questione dei mutanti. Altrimenti le dai un pretesto per ribellarsi. Sono sicura che alla fine questa mania le passerà. Te lo ripeto: devi solo aver pazienza.»

«Sei tu l’esperta in materia, mica io.»

«Ascolta, mi è venuta un’idea che in quattro e quattr’otto dovrebbe alleviarti la sindrome ansiosa…» E incominciò a baciargli la schiena, poi passò davanti e gli accarezzò il petto, quindi prese pian piano a puntare verso il basso.

«Chissà perché, ma ho la netta sensazione di esser trattato come un oggetto sessuale…»

Nonostante il chiarore dell’orologio, era troppo buio perché gli riuscisse di vedere il sorriso di lei. Ma lo avvertì nella sua voce. «Smettila di bofonchiare. Stai giù e goditela.»

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