21

Potessi rendermi invisibile, pensava Michael, lasciarmi trascinare al largo dalle correnti, divenire alga fluttuante e spuma galleggiante… Assorto in questi pensieri, se ne stava, tremante di freddo, a fissare i cavalloni grigi che venivano a frangersi sulla spiaggia. Da due giorni, ormai, si nascondeva: cioè fin da poco dopo l’angoscioso momento in cui, durante l’assemblea, Jena aveva tentato di incastrarlo.

Ma confidava che da un istante all’altro gli giungesse finalmente il richiamo telepatico di Skerry, l’invito a partire. In passato, Skerry si era sempre immancabilmente accorto quando suo cugino si trovava nei pasticci. E Michael sarebbe andato, facendosi di conseguenza mettere al bando dal clan. Avrebbe quindi fatto giungere un messaggio a Kelly, e lei sarebbe volata a Vancouver per unirsi clandestinamente in matrimonio con lui, divenendo così la moglie di un esiliato, di un proscritto, di un fuorilegge.

Se solo gli fosse riuscito di mettersi in contatto con Skerry. Ma il numero che Skerry gli aveva dato mesi prima era risultato fuori servizio. Il giorno avanti per ben due ore aveva tentato, inutilmente componendolo e ricomponendolo.

Michael?

Un sussurro quasi impercettibile gli aveva attraversato la mente. Si voltò trasalendo.

«Skerry?»

Michael, mi senti?

«Sì, Skerry.» Poco ci mancò che si mettesse a piangere di sollievo. «Dove sei?»

Non sono Skerry, caro. Sono tua madre.

«Oh.» Si sentì riprendere dalla disperazione.

Sue Li camminava lungo la spiaggia dirigendosi verso di lui, col mantello che le ondeggiava nel vento simile a un vivace paio d’ali rossodorate. E a ogni suo passo, il sogno di fuga accarezzato da Michael si andava sempre più sgretolando.

«Torna da noi», gli disse.

«No.»

«Non è possibile che tu voglia farti mettere al bando. Ti rendi conto di cosa significa?»

Gli sedette accanto, sulla sabbia umida.

«Sicuro», le rispose. «Significa che non mi toccherà più partecipare a quelle maledette assemblee.»

Il volto di Sue Li s’increspò in un sorriso.

«È vero, potrebbe essere uno dei pochi lati positivi. Ma sei proprio sicuro di volerci abbandonare? E perdere così la tua famiglia, i tuoi amici, persino il tuo lavoro?»

«Se fossi costretto a farlo, lo farei.»

«Ma tu vuoi farlo?»

«Non lo so.» Teneva gli occhi fissi lontano, sulle onde.

«E allora torna», gli ripeté con voce pacata.

«Ma perché?»

«Perché devi rispettare le nostre consuetudini.»

«Non me ne frega niente delle nostre consuetudini. Jena mi ha ingannato.»

«Lo so.»

«E non t’importa?» Si girò per fissarla in viso. «Sei davvero tanto impaziente di avere quella là come nuora?»

Sue Li sospirò.

«In una circostanza come questa, le mie opinioni e i miei desideri non contano nulla. Per certi versi, avrei preferito che tu e Kelly foste fuggiti insieme. Potrei sopportare benissimo di essere la madre di un proscritto.»

«Dici sul serio?» Michael la guardava sbalordito.

Sue Li si scansò dal viso una ciocca di capelli.

«Certo. Però non posso tollerare di essere la nonna di un mezzo bastardino», soggiunse con un filo di voce.

«Ma io Jena non l’amo!»

«So benissimo anche questo. Ma adesso hai contratto una responsabilità più grande dei tuoi sentimenti.»

«Vuoi dire il bambino?»

«Sì.»

Michael si scansò da lei con rabbia.

«Dannazione, ma Jena non potrebbe semplicemente abortire?» gridò.

«Lo sai che è proibito dalle leggi del clan.»

«Quindi la mia felicità non conta proprio nulla?» insisté lui con voce stridula.

Sue Li sorrise malinconicamente. «Potresti scoprire che la felicità viene col tempo. E quando meno te l’aspetti.»

«Faccio ancora in tempo a scappare.»

«È vero. C’è una stazione del metrò poco distante. Ti darò anche i soldi per il biglietto. Ma dove andrai, Michael? E cosa farai?» Poi con voce tenera, sommessa, concluse: «E cosa farò, io, se perdo un altro dei miei figli?»

Michael tirò su le ginocchia, ci appoggiò la fronte, e rimase lì, a dondolarsi disperatamente sulla sabbia umida. Di sotto le palpebre serrate, copiose gli sgorgavano le lacrime.

Kelly, pensava. Oh, Kelly, mi dispiace, mi dispiace…

Sentì la mano di sua madre poggiarglisi delicatamente sul collo. Soffocando un singhiozzo rialzò la testa, a pugni stretti si cacciò via le lacrime dagli occhi. Fissò per qualche tempo i flutti grigioverdi, impegnati nella loro eterna, ritmica danza con la gravità. Infine annuì.

Va bene.

«Tornerò. Per il bambino. E per te.»

«Dici sul serio?»

Ancora una volta Michael annuì.

Si rialzò. Aiutò sua madre a fare altrettanto.

«Ti voglio bene, Michael», gli disse, sollevandosi in punta di piedi per deporgli un bacio sulla guancia. «E soffro insieme a te.»

«Mamma, continuerò ad amarla sempre.»

«Lo so.»

Lo prese per mano. S’incamminarono insieme per fare ritorno all’assemblea del clan, col mantello di Sue Li che palpitava al vento avvolgendoli nelle sue pieghe.

Al loro ingresso nella sala del convegno, Halden li accolse con un sospiro di sollievo.

«L’hai trovato? Bene. Non mi andava proprio di aspettare un altro giorno.» Trasmise mentalmente un invito all’ordine che tutti i presenti con prontezza recepirono. Quindi si rivolse a Michael.

«Sei tornato di tua spontanea volontà?»

Michael rimase qualche attimo in silenzio. Volse lo sguardo attorno, sui membri del suo clan. Cento occhi dorati scintillarono di rimando.

«Sì», rispose. «Chiedo perdono per l’interruzione.»

«Lo credo bene!» osservò Tela con voce dura.

«Ritengo che dovremmo mostrare comprensione per il momentaneo disorientamento del nostro giovane confratello», propose Halden in tono benevolo.

Attorno al tavolo, cinquanta teste annuirono.

Michael sedette accanto a Jena. Lei gli sorrise trepida, raggiante in volto.

Mi ama veramente, pensò Michael. Abbastanza da aver deciso di legarmi a lei in questo modo. Al punto di rischiare la mia collera, il mio odio, la mia ripulsa.

Guardò la sua promessa sposa. Era bella. Alta, giovane, bionda.

Gli venne subito in mente un’altra donna, più bassa, capelli neri e sorriso vivace. Le sue labbra si strinsero in un moto d’angoscia.

Kelly, pensò. Ho aspettato troppo.

Jena gli strinse la mano. Michael posò nuovamente lo sguardo su di lei. Non l’amo, si disse. Ma forse neppure la odio. E può darsi che col tempo riesca a mostrarle almeno gentilezza, se non amore.

Si afferrò a quella mano, Michael, e chiuse gli occhi, mentre Halden iniziava a intonare il canto che segnava definitivamente il suo destino.


Fra le braccia del clan, noi siamo una famiglia.

Nei limiti del cerchio interno, noi siamo uno.

Dalle epoche lontane fino al futuro più remoto,

Andiamo innanzi come abbiamo sempre fatto,

Insieme, mano nella mano, cuore dentro cuore,

mente nella mente. Il diritto a nuova vita

ci congiunge, e siamo uno.


La spiaggia era formata di nera sabbia vulcanica, costellata di sfavillanti scagliuzze di mica. In questa insolitamente tiepida giornata d’inverno, la scura coltre assorbiva con avidità l’energia di un solicello pallido, divenendo talmente calda che era un’impresa camminarvi a piedi nudi. Andie corse strillando verso la salvezza del grande telo da bagno. Stephen alzò la testa dal videotaccuino, sorridendo di sotto l’ampio panama.

«Ah, che razza di paradiso!» esclamò Andie in tono afflitto, massaggiandosi le dita sbollentate. «Quando mi proponesti Thera, chi mai avrebbe immaginato che mi sarebbero venute le vesciche sotto i piedi…»

«Su, prendi un goccio», propose Jeffers, passandole una caraffa a pressione colma di vino resinato. «Sentirai che sollievo.»

E tornò al suo miniterm.

Andie inghiottì un lungo sorso della bevanda verde chiaro, odorosa di pino, dal cui gusto fresco e acidulo trasse immediato refrigerio. Si distese sulla sedia a sdraio e rimase a contemplare le acque turchesi dell’Egeo. Che bella idea era stata venire fin lì! Avevano trascorso i tre giorni precedenti esplorando le rovine ammantate di cenere di Akrotiri, avventurandosi per i sentieri che percorrevano la dorsale dell’isola, e facendo l’amore nel loro appartamento privato, lussuoso rifugio fra le mura bianche di calce dell’albergo appollaiato sulle pendici dell’antichissimo vulcano. Washington era lontana migliaia di miglia. Andie chiuse gli occhi, lasciando alla carezza del sole il compito di versarle sulle membra il nettare di una deliziosa sonnolenza…

Un urlo la ridestò dal dormiveglia. Due donne tarchiate in neri costumi da bagno, ferme sulla battigia, gridavano e si sbracciavano a indicare qualcosa. Lontano dalla spiaggia, laggiù dove l’acqua si faceva azzurro intenso, una piccola testa nera ballonzolava tra i flutti. Troppo lontano. La testolina andò sotto. Riemerse sputacchiando. Andò sotto di nuovo.

«Stephen! C’è un bambino che sta annegando!» gridò Andie.

Balzò in piedi e corse verso la linea dei frangenti. Discreta nuotatrice, Andie, fra le placide sponde di una piscina. Ma questo era il mare, freddo e possente, percorso da onde inesorabili. Non appena in acqua, dovette fare i conti con la corrente di marea. Era così lontana, quella testolina nera. Dopo poche bracciate si trovò a corto di fiato. Poi si vide sorpassare da un altro nuotatore, che senza muovere le gambe procedeva rapido lasciandosi dietro una turbolenta scia biancheggiante.

Riguadagnata a fatica la riva, Andie restò lì ansimante a guardare la piccola testa che ancora una volta andava giù. Attese, col fiato sospeso, di vederla rispuntare. Poi un’altra testa, più grande, dai capelli più chiari, fluttuò nel medesimo punto.

Jeffers.

Come poteva esser giunto fin là tanto in fretta?

Si immerse: la sua schiena, un guizzo lucido nel sole, scomparve. La gente, sulla spiaggia, guardava e aspettava, ansiosa. I secondi si trascinavano interminabili. D’improvviso, un fiotto d’acqua verde eruppe dai marosi e il bambino schizzò fuori come un turacciolo di sughero, seguito immediatamente da Jeffers. Questione di attimi, e i due furono sulla spiaggia, attorniati da una folla vociante.

Jeffers boccheggiava esausto, ma il ragazzo giaceva immobile, con le labbra cianotiche. Andie cominciò a praticargli la respirazione artificiale. Chiamare un robomedico? Ma avrebbe fatto in tempo? Il bambino rimaneva inerte, insensibile.

«Per favore…» mormorava Andie. «Non morire… Per favore…»

Due mani fredde l’afferrarono per le spalle, tirandola via.

«Lascia fare a me.»

Jeffers si accovacciò, pose una mano sul petto del bambino, l’altra sulla sua testa, e chiuse gli occhi. Profonde rughe di concentrazione gli solcarono la fronte. Prese a borbottare qualcosa di gutturale, una bizzarra sequela di suoni indefinibili. Le labbra gli si ritrassero sui denti in una smorfia selvaggia. E d’un tratto il piccolo corpo fu squassato da una contrazione violenta. Tesi allo spasimo, fasci di muscoli sporgevano sul collo di Jeffers. Il bambino tossì e incominciò a piangere. La giovane madre cadde in ginocchio e se lo strinse al petto, singhiozzando di gioia, mentre intorno la folla applaudiva.

Pallido e stordito, Jeffers ricadde all’indietro, respirando affannosamente. Andie afferrò la caraffa del vino e gliela porse. Egli bevve avidamente. In pochi istanti il suo viso riprese colore, il suo respiro rallentò.

«Mi è toccato andare parecchio a fondo, per ritrovarlo», disse.

«L’acqua era molto alta, laggiù?» gli chiese Andie.

«Non l’acqua. La sua mente. Quasi persa.» Inghiottì un’altra sorsata di vino. «Per prima cosa ho cercato di riattivargli il cuore. Ma era stato sotto tanto di quel tempo… l’ho dovuto chiamare, chiamare… Non sono molto bravo, in questo. Ma mia madre era una guaritrice. Qualcosa mi ha insegnato.»

Andie sentì un brivido correrle per la schiena.

«Come hai fatto a raggiungerlo così alla svelta?»

«Telecinesi. Ma appena in tempo.»

«Sei stato bravissimo.» Stringendolo a sé lo accompagnò fino al telo, senza far nemmeno caso alla sabbia bollente che le cuoceva i piedi. Completamente svuotato di energie, Jeffers giacque nel sole.

«Penso che dormirò un poco», disse. Chiuse gli occhi, e si assopì all’istante.

Andie gettò un’occhiata al miniterm abbandonato sulla sabbia scura, mezzo coperto dai neri granellini. Gli diede una ripulita con la mano. Sullo schermo, in brillanti lettere ambra, un elenco di cliniche mediche delle isole Cicladi.

Lo lasciò riposare per mezz’ora, poi lo svegliò titillandolo con l’alluce.

«Vieni. Rientriamo. Sono quasi le cinque.»

Giunti in camera, Andie si tolse di dosso lo strato di sinpelle e programmò la doccia, fissandone temperatura e durata. Liquidi filamenti argentei proruppero dai due soffioni gemelli, e inondarono il rivestimento di piastrelle rosse.

«Ti va di farmi compagnia?» gli domandò con voce insinuante.

Lui le rivolse un sorriso malizioso.

«Speravo proprio che tu me lo chiedessi.»

La seguì a ruota dentro la cabina, l’incalzò col suo corpo contro la parete.

«Stephen!»

Jeffers la baciò impetuosamente, insinuandole una mano fra le cosce. Bruciante, al richiamo di quelle dita imperiose, l’eccitazione la pervase. Ansimò, mentre Jeffers la sollevava e la penetrava. Rabbrividendo di piacere l’avviluppò fra le sue gambe, intanto che l’acqua calda scendeva a carezzarle il collo, le spalle, i seni. Venne in fretta, con frenetiche grida di godimento. Numerosi decisi affondi, e Jeffers la raggiunse. Si accasciarono sul pavimento della doccia. Dopo un minuto i due getti s’interruppero. Andie si protese ad acchiappare un asciugamano.

Avvolta nel morbido sincotone rosa, andò a gettarsi sul letto. Jeffers, nudo, le si distese accanto.

Prese distrattamente a carezzargli il petto.

«Raccontami di tua madre», gli disse.

Sotto i due corpi appagati, lenzuola color pesca deliziosamente lisce e fresche. Andie si sentiva pervadere dalla gradevole languidezza che seguiva sempre i loro amplessi.

Jeffers si strinse nelle spalle. «Te l’ho detto. Era una guaritrice.»

«Solo per i mutanti?»

«No. Di professione faceva la psicologa. Quindi penso che curasse anche i nonmutanti.»

«Adesso dov’è?»

«Rimase uccisa nei tumulti del Novantacinque.»

«Dio mio! C’eri anche tu?»

Le volse le spalle, girandosi verso la parete. «Sì. La folla ci investì, ci travolse. Lei riuscì a farmi rifugiare sotto un libratore, e mi disse di non uscire fuori sino a quando il pericolo non fosse passato. Rimasi non so per quanto tempo a guardare il suo corpo steso a terra. Finalmente arrivò la polizia, e lo tolse di lì.»

Parlava a voce bassa, in tono misurato, ma Andie riusciva a percepire l’orrore di quei momenti quasi come se li avesse vissuti anche lei. Le venne freddo tutt’a un tratto, e tirò su le coltri per coprirsi.

«Poi come facesti a venir via?»

«Mi trovò mio padre che era già notte.»

Jeffers tornò a girarsi verso di lei, fissandola. Nella penombra della stanza, dai suoi occhi parevano balenare arcani bagliori.

«Tu non te le ricordi, le sommosse?»

Andie scosse la testa. «A quel tempo avevo solo otto anni. Rammento i miei genitori che ne parlavano. E un giorno che a scuola dovevo presentare una ricerca e invece mi toccò restare a casa e ci rimasi molto male. Comunque, no, personalmente le sommosse non me le ricordo.»

Lo guardò, pensando al bambino che poc’anzi aveva strappato alla morte. E a quel giorno di ventidue anni prima in cui lui aveva aspettato, con gli occhi inchiodati sul cadavere di sua madre, che qualcuno venisse a salvarlo. E si sentì trafiggere da un’emozione strana. Sembrava amore. O compassione, forse.

Disteso su quel letto, egli pareva un idolo d’oro. Una scultura pagana appartenente a qualche culto di adoratori del sole. Emanava luce, da lui, dalla sua pelle abbronzata, dai suoi occhi dorati, dai suoi capelli fulvi.

Assolutamente splendido, pensava Andie. Un uomo come questo non esiterei un istante, a sposarmelo.

Sposare quest’uomo d’oro? L’osservò fra le palpebre socchiuse. Per la prima volta, non le pareva una prospettiva così assurda. Avrebbero potuto andare avanti assieme. Sì. E stare bene assieme. Avrebbero potuto rendere più vicini mutanti e nonmutanti. Lavorare per lo stesso scopo. Amarsi reciprocamente. Sì. In un modo o nell’altro sarebbe riuscita a sposarlo, quell’uomo. Sì. Sì. Sì.

Vinta da un crescente torpore, si rannicchiò sotto le coltri. «È stato bello. Magari mi faccio un sonnellino.»

«Ottima idea.» Le carezzò una spalla, e scese dal letto.

Andie scivolò in un vorticare di sogni bizzarri. C’era Stephen che salvava il ragazzino, più e più volte. Poi la sua faccia si trasformava, diventava la faccia di Ben Canay, e anche lui cercava di salvare un ragazzino. Anzi, no, adesso era una ragazzina. Una bambina mutante. Ma cercava di salvarla o di annegarla? E poi quella bambina aveva un aspetto stranamente familiare…

«No!» gridò Andie nel sogno. «Salvala! Salvala!»

Si alzò di colpo a sedere sul letto. Il cuore le batteva all’impazzata, e un groviglio di capelli madidi le si era scompostamente appiccicato sulla schiena e sulle spalle. Il posto al suo fianco era vuoto. Udì la voce di Jeffers provenire da un’altra stanza dell’appartamento, ma le fu impossibile distinguere le parole. Probabilmente in linea con qualcuno a Washington, pensò confusamente.

Si rimise giù tremando, aspettando che il cuore le si calmasse.

Era stato un sogno, pensava. Soltanto un sogno.

Riaffondò, pian piano, in un dormiveglia sconclusionato, tormentato dall’immagine di una ragazzina mutante in procinto di annegare.


Il ritorno a casa dopo l’assemblea fu rapido. Anche troppo. Dal decollo all’atterraggio, Michael ne visse ogni istante immerso nell’angoscia di quello che l’attendeva. Ma una volta giunto in camera sua, non ebbe la forza di rimandare oltre.

Con dita tremanti, compose al terminale il numero di Kelly.

Per favore, fa’ che non sia a casa…

Rispose al terzo squillo.

«Michael! Sei tornato presto!» lo salutò, il volto illuminato di gioia. «Pensavo che saresti stato via fino ai primi dell’anno. Dimmi, com’è andata?»

«Kelly, ho bisogno di vederti.»

Il sorriso di lei si affievolì. «È successo qualcosa?»

«Ti debbo parlare. Possiamo trovarci fra un quarto d’ora all’acquedotto?»

«Questa notte?» Lo guardava sbigottita. «Ma sì, certo. Michael, c’è qualcosa che non va?»

«Ti spiegherò tutto quando ci vediamo.» Con mano tremante, interruppe la comunicazione.

Michael giunse all’acquedotto in cinque minuti. Il lastricato appariva percorso da infinite screpolature, simili a quelle che incrinavano lo smalto di uno degli antichi vasi in ceramica tanto cari a sua madre. Sopra un cumulo di neve languiva, tristemente abbandonato su un fianco, un derelitto albero di Natale, che scintillava ancora qua e là di nastri decorativi.

Immerso in una tetraggine abissale, imbacuccato nel suo giaccone grigio, Michael tirava calci agli informi pezzi d’asfalto, bordati di catrame, che giacevano sparpagliati al suolo. Il sole stava tramontando, e un esercito di densi nuvoloni in rapido avvicinamento non pareva promettere nulla di buono.

Potessi essere in Canada, pensava. In Sudamerica. In qualunque altro posto, a fare una qualunque altra cosa.

Il vecchio acquedotto era tradizionalmente uno degli imboscamenti preferiti dagli adolescenti desiderosi di godersi in santa pace il gusto degli spinelli e l’ebbrezza delle ipodermiche, ma a quell’ora, e con quel freddo, risultava adeguatamente deserto.

Sbrigati, Kelly, implorava Michael nel malinconico turbinio dei suoi pensieri.

Un libratore azzurro cupo si fermò a pochi metri. Da dietro il volante Kelly gli sorrise radiosa, poi spense tutto e saltò fuori. Indossava una giacca a vento rossa, pantaloni neri, stivali argentei. Aveva un aspetto magnifico.

«Dio, quanto mi sei mancato! Fortuna che l’assemblea è finita presto!»

Gli gettò le braccia al collo. Michael la baciò teneramente. Gli pareva di avere un foglio di carta vetrata, in fondo alla gola. Si sciolse dal suo abbraccio.

«Facciamo due passi», propose con voce rauca.

Perplessità e inquietudine scavavano un solco fra le sopracciglia di Kelly.

«Allora, Michael, cosa c’è che non va?»

Lui sospirò. Le mezze bugie che aveva tentato di escogitare si sgretolarono all’istante.

«Tutto.»

«Che vuoi dire?»

Si volse a guardarla dritto in viso.

«Che non posso vederti più.»

Lo fissò a occhi sbarrati.

«Non puoi o non vuoi?»

«Non posso. Non guardarmi in quel modo, Kelly, ti prego. Sapessi quant’è difficile, da spiegare…» Serrò spasmodicamente i pugni. Lei glieli prese fra le mani.

«Provaci.»

«Ha a che fare con le leggi dei mutanti. Mi devo sposare.»

Kelly si fermò di colpo.

«Ti devi sposare? Che significa?»

«C’è una… ragazza mutante. È… incinta.»

«Di te?» La voce di Kelly s’incrinò.

«Sì.»

La osservò in silenzio, mentre Kelly lottava con se stessa per non perdere il controllo.

«Non potrebbe ottenere l’aborto?» domandò infine lei.

«No.»

«E perché?»

«È proibito dalle leggi del clan.»

«Cosa vuol dire che è proibito? Che razza di clan sarebbe? Un clan di polizia?»

«Niente del genere, te lo assicuro. Purtroppo immaginavo che non avresti capito.»

Kelly si mise a sedere sopra uno sporgente blocco di cemento.

«Ma tu le vuoi bene?»

«No.»

Le si accovacciò accanto. Lei gli prese il viso fra le mani.

«E a me, vuoi bene?» gli sussurrò, dopo un lungo silenzio.

«Sì.» Michael distolse lo sguardo, ringoiando le lacrime. «Ma non basta. Non posso sposarti, Kelly. Non ora. Vorrei, ma non posso.»

Si rialzò.

«Ma perché no?» gli domandò. «Cosa ci potrebbero fare, loro?»

«Verrei cacciato dal clan. Non è mai successo, finora. La mia famiglia verrebbe ricoperta di vergogna. Se non onorassi le mie responsabilità verso il clan, i miei diverrebbero dei paria. Non me la sento di fargli una cosa del genere.»

«E quindi hai deciso di legarti con una donna che non ami, rovinandoti l’esistenza? Per loro?» ribatté Kelly alzando la voce. «Per quei mutanti? Ma ti rendi conto del male che ti farai?»

«Tu non capisci.»

«In questo hai perfettamente ragione, Michael. Come puoi distruggerti così? Come puoi distruggere così il nostro futuro?»

Prese a camminare verso il libratore. Michael la raggiunse, l’afferrò per le spalle.

«Lo sapevo che ti avrei dovuto mentire», commentò amaramente.

Kelly scosse la testa con violenza, in un tempestoso svolazzare di capelli neri.

«Ma io non ti avrei mai creduto. Ascolta, Michael.» Gli prese le mani, stringendole forte. «Possiamo fuggire. Stanotte. Possiamo andare a sposarci in Delaware. E loro dovranno accettare il fatto compiuto.»

Michael trasse un respiro profondo. Le lacrime gli bruciavano gli occhi, gli chiudevano la gola. «Vorrei tanto poterlo fare. Oh, Kelly, se tu sapessi quanto vorrei poterlo fare… Ma non è per niente facile come dici tu.»

Gli occhi di lei mandavano lampi. «È difficile solo perché sei tu a volerlo rendere tale.»

Michael ripensò a Mel, scomparsa ormai da più di sei mesi. Ripensò a Skerry, che gli aveva proposto di andare in Canada. E meno male che attualmente pareva essersi eclissato, così non vedeva il casino in cui lui si era andato a cacciare. Non gli era affatto difficile immaginare suo cugino dirgli, con un sorrisetto di compatimento: «Ti hanno incastrato, ragazzo. Dovevi filartela finché eri in tempo».

«Non è vero che sono io a volerlo!»

Le volse le spalle, ribollendo di collera impotente. Ma perché non capiva e lo lasciava andare? In questo modo stava solo rendendo tutto più penoso.

«Non posso farci nulla. È la legge mutante, Kelly. Mi dispiace. Ti amo, e avevo sperato di poterti sposare. Ma ora tutto è cambiato, e la situazione mi è sfuggita di mano.»

Lei indietreggiò. Lo fissò con espressione fredda.

«Vedo che sei convinto di quel che dici. Ed è l’unica cosa che conta davvero. Buona fortuna, Michael.» Corse via. Michael sentì sbattere lo sportello, udì il ruggito del motore. Seguì, con sguardo appannato, il libratore che si allontanava, portandosi via il suo futuro in una scia di polvere.

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