Seduta nell’ufficio di Jeffers, di fronte a lui dall’altra parte della scrivania, Andie percorreva rapidamente l’agenda del giorno. Erano trascorse tre settimane dal loro ritorno da Thera, le prime tre settimane del nuovo anno. E già il viaggio si era ridotto a null’altro che un piacevole, evanescente ricordo, inesorabilmente fagocitato dalla solita controllata frenesia di interviste, comunicati stampa, dichiarazioni programmatiche e allocuzioni varie.
«Non dimenticare il tuo discorso al Gregge la mattina del venti», disse Andie. «Ampi servizi garantiti a tutti i livelli. E non è affatto troppo presto per cominciare a pensare a come garantirci il sostegno di Akins nelle senatoriali d’autunno.»
«Halden mi ha assicurato che non ci sono problemi.» Jeffers si allungò sulla poltrona, incrociando le mani dietro la testa. «A proposito, Andie. Cos’è questo matrimonio cui dovremmo assistere dopo la raccolta fondi a New York?»
Andie alzò gli occhi dal terminale. «Il matrimonio di Michael Ryton. Dio, cade fra due sabati. Mi era quasi passato di mente. Te li ricordi i Ryton, vero? Quei due mutanti, padre e figlio, che chiesero l’intervento della Jacobsen per via delle restrizioni governative sull’attività delle industrie spaziali?…»
«Ah, loro? E il figlio si sta per sposare?»
«Precisamente. Me l’aveva detto, in effetti, di avere intenzioni piuttosto serie con una certa ragazza. Comunque un poco mi sorprende che il clan ci stia creando attorno tutto questo chiasso.»
«E perché? Molto spesso i matrimoni mutanti sono occasioni di feste fantastiche.»
«Be’, si dà il caso che la sposa non sia mutante.»
Jeffers inarcò incredulo le sopracciglia.
«Cosa?»
«La ragazza che Michael vuole sposare è una normale. Secondo me è una cosa stupenda che il clan si sia schierato dalla sua parte. A dire il vero sono molto lusingata di quest’invito.»
«Ho i miei dubbi che il clan si sia messo tutt’a un tratto a favorire i matrimoni misti…» ribatté Jeffers. E nella sua voce si percepiva una nota strana.
Andie si strinse nelle spalle. «Forse i tempi stanno cambiando. Può darsi che il clan sia più progressista di quanto credi.»
«Già. Può darsi.» Non sembrava molto convinto.
«Ad un matrimonio mutante cosa potrebbe andar bene come regalo di nozze?»
«Gettoni di credito.»
Andie scoppiò a ridere.
«Cosa c’è di tanto buffo?» le domandò.
«È consolante scoprire che da certi punti di vista non siamo poi così diversi, dopotutto!»
Alla porta rintoccò il consueto accordo di tre note in chiave minore. Michael fece l’atto di muoversi, ma sua madre fu più svelta di lui. Sue Li, abbigliata nel tradizionale color oro della famiglia dello sposo, corse ad aprire e diede il benvenuto agli ospiti.
«Halden, Zenora, che gioia vedervi!»
Lo zio e la zia di Michael fecero il loro ingresso, elegantissimi. Fra i capelli ingrigiti di Zenora scintillavano crioluci purpuree, perfettamente intonate alla lunga tunica che la fasciava fin sotto le caviglie. Halden indossava una elaborata tunica grigio scuro assai abbondante, che riusciva quasi a dissimulare la sua corpulenza.
Zenora diede a Michael un rapido abbraccio. Halden gli affibbiò invece sulla schiena una pacca talmente calorosa da farlo quasi stramazzare.
«Allora, pronto per il grande passo?» si informò zio Halden con voce rimbombante.
Michael chinò gli occhi a terra. «Credo».
«Niente di più facile. Vedrai.»
«Venite, andiamo di sotto», li invitò Sue Li, prendendoli entrambi per un braccio. «Stiamo aspettando qualche altro ospite, prima di cominciare.»
Accontentandosi di infliggere al nipote un’espressiva strizzatina d’occhio, Halden si lasciò trascinare via. Michael cacciò un gran sospiro di sollievo e si allentò il colletto del dorato abito da cerimonia, che lentamente ma inesorabilmente lo stava strangolando.
Risuonò nuovamente l’accordo di tre note. Michael andò ad aprire, e restò lì pietrificato dallo stupore. Sulla soglia, sobriamente ma raffinatamente abbigliati, il senatore Jeffers e Andrea Greenberg volgevano le spalle a un turbinio di fiocchi di neve.
«Ed ecco qua lo sposo», esordì Jeffers sorridendo. «Congratulazioni, Michael. Non potevamo rincontrarci in circostanza migliore.»
Sbalordito, Michael strinse la mano che l’altro gli tendeva.
«Senatore Jeffers! Andie… Oh, entrate.»
«Michael, sei bellissimo», disse Andie. «E la sposa dov’è?»
«Di sopra a vestirsi.»
«Dunque le tue speranze si sono realizzate, vero? Sapessi come sono contenta per te!»
«Ah… grazie», rispose Michael con voce rauca.
Andie lo guardò perplessa. Jeffers la circondò con un braccio.
«Vieni», le disse. «Lasciamo il giovanotto ai suoi ultimi momenti di libertà, e andiamo a salutare il clan.»
S’inoltrarono in casa. Rimasto solo nell’ingresso, Michael si diresse verso il bar con l’intenzione di farsi uno spinello.
Un mormorio sommesso, ma intenso, giunse fino a lui diffondendosi dal vano delle scale.
Accidenti, pensò. Possibile che già cominciassero i canti?
Si volse, respirò profondamente, e scese al piano di sotto. Suo padre, lui pure in abbigliamento dorato da cerimonia, gli si fece incontro sulla soglia. Camminarono insieme verso l’improvvisato altare innalzato a ridosso del caminetto, dove Halden attendeva in piedi. Grandi mazzi di fiori gialli adornavano a festoni le pareti.
La stanza era affollata. Verso il centro, leggermente sulla sinistra, Michael vide svettare zia Zenora. Alla sua destra sedevano Chavez e Tela. Presenziava il clan al gran completo. Era intervenuta persino una rappresentanza di mutanti della costa occidentale, quei tipi dal curioso incarnato verdognolo accomodati sul fondo. Sue Li, in prima fila, dondolando la testa al ritmo del canto guardò suo figlio avvicinarsi. Una ghirlanda di garofani scarlatti le coronava le nere chiome. Anche il senatore Jeffers sedeva assieme ad Andie in prima fila. Mentre Michael prendeva posto accanto ad Halden, Andie gli fece l’occhiolino.
Con un cenno del capo, il padre di Michael sedette. Il canto mutò registro, le tonalità di soprano presero il sopravvento su quelle di baritono e basso.
Jena entrò nella sala al braccio di sua madre, procedendo armoniosamente attraverso le due ali di folla. Indossava un abito di petali di seta color avorio, percorsi dal luccichio di sottilissimi fili metallici. I suoi capelli erano stati raccolti all’indietro in una intricata spirale, intessuta di orchidee color lavanda e nastri argentati. Il suo volto risplendeva, i suoi occhi d’oro scintillavano. Tutta la sua attenzione era rivolta a Michael. Egli percepì, nettissima, la gioia che la pervadeva.
Quanto è bella, pensò Michael. E che felicità si legge in ogni particolare della sua persona…
Come in sogno, la prese a braccetto e si rivolse verso Halden.
«Questa è per tutti noi un’occasione di grande esultanza. Un’occasione per rendere grazie», declamò il celebrante. «Perché come si accresce il nostro numero, così aumenta la nostra forza.»
Halden pose una mano sul capo di Michael, l’altra su quello di Jena. Le fluenti pieghe della sua tunica abbracciarono i due giovani simili a grandi ali scure.
«Condividete insieme a me, e condividete vicendevolmente, come farete ogni giorno, per tutto il resto della vostra vita.»
La testa di Michael prese a pulsare. Una strana sensazione fluttuò attraverso la sua mente col vigore di una scossa elettrica, con l’impeto di una pulsione erotica. Jena, accanto a lui, sospirò lievemente.
Sul volto di Halden aleggiava un placido sorriso. I suoi occhi si posarono a turno sui due giovani, scrutandoli a fondo. Infine egli abbassò le mani.
«Ciò che si doveva compiere, si è compiuto. Michael James Ryton, prendi la mano della tua sposa, Jena Thornton Ryton.»
Mentre si volgeva alla dorata fanciulla che gli stava a fianco, Michael avvertì lungo le vertebre il fremito della nuova, palpitante connessione.
Michael? Lo senti? Mi senti?
Sì.
Non è meraviglioso? Pensi che durerà? Oh, quanto ti amo…
Silenzio. Halden non ha ancora finito.
Il dialogo mentale risultava facilissimo. Michael si sentiva talmente stordito da non poter fare altro che accettarlo con stupore.
«Gli anelli?» domandò Halden inarcando un sopracciglio.
Michael si frugò le tasche. Vuote. Ma se appena un’ora prima la scatola coi due anelli era lì!
Si guardò attorno e fissò sua madre. Lei chiuse gli occhi. Con un guizzo disperato il fratellino Jimmy, che le stava accanto, saltò giù dalla sua sedia rosso in viso, tirando subito fuori da una tasca della giacca la scatolina di velluto grigio.
«Ecco qua. Ahi, mamma! Mi spiace! Mi spiace!»
Trattenendo un sorriso, Michael ricevette la scatola dalle mani di suo fratello. Jimmy tornò di corsa a sedere, mentre attorno il clan ridacchiava.
Halden annuì. Michael aprì la scatola, ne estrasse il cerchietto d’oro di minor diametro, lo fece scivolare all’anulare di Jena. Poi prese il suo anello e se lo pose al dito. Freddi riflessi opalescenti danzarono sulla superficie degli anelli.
Jena gli sorrise, gli aprì la mente.
Michael, ti amo. Ti renderò felice. Vedrai.
Le diede un lieve bacio sulle labbra, mentre Halden dirigeva il canto rituale. Poi la cerimonia ebbe termine, e Michael, tenendo per mano sua moglie, si girò verso il mare di volti.
Affascinata e confusa, Andie seguì con grande attenzione ogni istante della cerimonia. Michael aveva un’aria assente, pareva quasi ipnotizzato. La sposa, senza dubbio splendida, contemplava il suo Michael con evidente adorazione. Ma quando la coppia si volse a fronteggiare le folla degli invitati, Andie si avvide che Jena aveva gli occhi d’oro. Una mutante! Che fine aveva fatto l’intenzione di Michael d’impalmare la sua morosa nonmutante? Non c’era da stupirsi che le avesse lanciato quell’occhiata strana, quando lei gli aveva parlato di speranze realizzate!
Andie prese Jeffers a braccetto, e insieme seguirono la festosa compagnia degli invitati nell’ampia sala da pranzo sfarzosamente illuminata. Innumerevoli sedie si allineavano lungo le pareti, e sulla grande tavola centrale abbondavano vassoi ricolmi d’ogni sorta di ghiottonerie e sgargianti fiori esotici. Il convito era stato organizzato dalla moglie di Halden, quel donnone in tunica rossoviolacea. Andie non aveva dimenticato l’aggressiva determinazione con cui Zenora si era opposta alla sua presenza nel corso dell’assemblea mutante tenutasi dopo la morte di Eleanor Jacobsen. Chissà che faccia avrebbe fatto, scoprendo che il bersaglio di quel suo sfoggio di ostilità aveva assistito alla cerimonia di nozze…
Piuttosto a disagio, Andie si rassettò accuratamente la giacca del suo severo completo scuro. Tutti i mutanti che vedeva attorno a sé sfoggiavano rutilanti, policrome tuniche. Le elaborate acconciature femminile erano adorne di fiori di crioluminescenza. Andie si sentiva come uno scricciolo capitato in mezzo a uno stormo di uccelli tropicali dal chiassoso piumaggio.
Jeffers le aveva spiegato che ogni matrimonio rappresentava un momento di intensa celebrazione. Il rinsaldamento dei legami di clan, e la prospettiva di un matrimonio fecondo, venivano tradizionalmente considerati ottimi motivi per festeggiare. Andie era estranea a tutto ciò. Rimase quindi alle costole di Jeffers mentre lui si dava da fare a felicitarsi coi novelli sposi, a salutare i vecchi amici, a lavorarsi comunque, da buon politico, i presenti. Halden, sbarazzatosi dei seriosi abiti da cerimonia, arrivò ballonzolando come un orso in maniche di camicia.
«Allora, senatore. Immagino che tu ti stia dando già da fare per le elezioni di novembre, dico bene?»
«Si capisce. E col vostro aiuto, Halden, credo di potercela fare.»
Il Custode del Libro gli strinse amichevolmente una spalla. «Tu ci hai donato nuove speranze, Stephen. Ci hai recato conforto in una stagione di dolore.»
«Ne sono felice.»
Si fece avanti Zenora. «Senatore Jeffers, siamo fieri di te. È vero quel che ho sentito dire, a proposito di un tuo vigoroso impegno per l’abrogazione del Principio d’Imparzialità?»
Jeffers le sorrise. «In effetti ci stiamo lavorando. Conto di buttarmici a corpo morto subito dopo le elezioni.» Giratosi verso Andie le pose un braccio attorno alla vita. «Questa è Andrea Greenberg. La ricorderete forse come assistente di Eleanor Jacobsen.»
«Oh, sì, me la ricordo benissimo», disse Zenora. Le rivolse un cenno di studiata freddezza. «Bentrovata, signorina.»
Halden la salutò con più calore, stringendole cordialmente la mano. «Lieto di rivederla, signorina Greenberg.»
«La prego, mi chiamo Andie.»
«Ma certo.»
«Mi sorprende non vederla insieme a Skerry», commentò Zenora in tono acido.
«Skerry?» Jeffers appariva perplesso.
«Vi prego di scusarci», intervenne Halden. «È stato un vero piacere rivederla, Andie. Spero che più tardi avremo occasione di fare quattro chiacchiere.» Prese fermamente sua moglie per un braccio e la condusse via, fuori portata d’orecchio.
«Ma che avrà voluto dire?» domandò Jeffers.
Andie alzò le spalle. «E chi lo sa?» Sbirciò controluce il suo bicchiere vuoto. «Quasi quasi mi farei un altro goccetto.»
«Ottima idea. Io intanto vado a scambiare due parole col novello sposo.» E si allontanò.
Andie era giunta a metà strada dal bar, allorché si vide fluttuare dinanzi uno scintillante calice di champagne.
Non startene lì imbambolata, cuoricino. Coraggio, prendilo.
Poco mancò che Andie, sbigottita, lasciasse cadere il bicchiere che aveva in mano. Con gran cautela, afferrò il sottile stelo della flûte levitante.
Se permetti, anche a quello vuoto penso io.
Si sentì togliere di mano l’altro bicchiere, e lo vide andarsi a posare sul ripiano del bar.
Cominciò a guardarsi attentamente intorno, cercando di localizzare la sorgente dei messaggi telepatici.
«Allora, novità?» domandò alle sue spalle una lieve voce tenorile.
«Skerry!» Andie si volse di scatto, spandendo champagne.
«Per servirti.» Le fece un profondo inchino. Indossava un cangiante completo oltremare, tutto variegato di minuscole saette argentee.
Andie sorrise. Ma il barbuto giovanotto che la fissava con simpatia appariva scuro in volto.
«Non credevo che ci fossi anche tu», gli disse.
«Ti vorrei parlare.»
Attraversando il salone, Andie lo seguì fino a una piccola stanza adibita a biblioteca. Skerry chiuse la porta e si lasciò andare pesantemente in una morbida idropoltrona. Andie si accontentò di un panchetto, lieta comunque di poter concedere un po’ di sollievo ai suoi piedi doloranti.
«Dunque adesso lavori per l’eminente senatore?» domandò Skerry.
«Certo. Che c’è di male?»
«Se pensassi che mi darai retta, potrei anche cercare di spiegartelo.» E annusò il garofano verde che portava infilato sul risvolto della giacca.
Andie sbatté il bicchiere sul tavolo.
«La sai una cosa? Ne ho abbastanza dei tuoi accenni misteriosi e delle tue ambigue allusioni!» lo investì. «Prima in Brasile mi hai rifilato quella memocassetta. Poi m’hai buttato in pasto a quella vostra assemblea mutante. Perché dovrei darti retta anche stavolta?»
«Perché io so alcune cose che tu non sai. E te lo dico francamente. Stai commettendo un grosso errore.»
«E io penso invece che tu sia geloso di Stephen», ribatté lei. «Ti sei opposto alla sua nomina… Dio solo sa perché. Ma su un punto hai ragione. Non voglio starti ad ascoltare. Jeffers è un uomo eccellente. Un eroe. Ha ridato speranza a tutti quelli che credevano che la speranza fosse morta insieme a Eleanor Jacobsen.»
Skerry annuì con espressione sarcastica. «Oh, sicuro, è il più bell’ometto cui i miei ingenui fratelli mutanti siano stati capaci di appendere le loro speranze da un bel po’ di tempo in qua.»
«Io lo amo. Voglio lavorare con lui e dargli tutto il mio appoggio.»
«Non confondere l’idolatria con l’amore, bambina.»
Andie balzò in piedi, appuntandosi bellicosamente le mani sui fianchi.
«Ma tu che ne sai, dell’amore?» gli domandò con voce rabbiosa.
«Abbastanza da voler aiutare qualcuno che lo merita.»
Le fu accanto in due passi, fissando i suoi occhi in quelli di lei.
«Lo sai? Mi piaci veramente», disse, racchiudendole con ferma delicatezza il volto fra le mani.
Il cuore di Andie cominciò a galoppare. Cercò di sottrarsi alla sua stretta. «Skerry, no, ti prego.»
«Non respingermi. Non voglio farti del male. Voglio solo aiutarti. E adesso chiudi gli occhi. Da brava, chiudili.»
Contro la sua stessa volontà, le palpebre di Andie si serrarono.
«Bene. E adesso appoggiati indietro. Non ti preoccupare. Ti sorreggo io.»
Sentì il suo braccio circondarle la schiena.
«Su, coraggio.»
Poi, fresco e lieve sulla fronte, il palmo della sua mano.
«Conta all’indietro partendo da cento, Andie.»
«Cosa? Ma è ridicolo!»
«Fai come ti dico.»
«Cento, novantanove, novantotto…»
«No, mentalmente.»
Andie eseguì. La pressione della mano aumentò.
D’improvviso si sentì afferrare come da una vertigine. Stelline azzurre danzarono dietro le sue palpebre chiuse. Un suono possente venne a riempirle le orecchie.
Novantasette, novantasei, novantacinque…
Centinaia di persone, un esercito di voci, contavano insieme a lei. Una cantilena ipnotica, assordante. Ma com’era possibile? Poi il coro prese ad affievolirsi, e il fronte sonoro continuò lentamente a retrocedere, fino a perdersi nel silenzio.
Andie riaprì gli occhi, ammiccò due volte. Si sentiva la gola secca. «Che cos’è successo?»
Skerry la lasciò andare. «Ti ho innestato un’autonenia. Con attivazione automatica nel caso qualcuno si mettesse a curiosare.»
«Curiosare?» Andie tornò a sedere, concedendosi un bel sorso del suo champagne. «Vuoi dire intrusione telepatica? Pensavo che negli ambienti mutanti fosse considerata una pratica sconveniente. I mutanti non rispettano l’intimità mentale?»
«Qualcuno sì. Ma non tutti.»
Le implicazioni di quella risposta le fecero accapponare la pelle.
«Ora non ti spaventare, passerotto. Ho voluto solo darti un pizzico di protezione in più.» Le sorrise dolcemente. «Vedrai che non ti servirà.»
«Cosa vuol dire attivazione automatica?»
«Che la tiritera incomincerebbe da sé non appena un telepate cercasse di avere accesso a qualsiasi livello della tua infrastruttura cosciente. Avrebbe l’effetto di respingere l’intrusione, e cesserebbe non appena il ficcanaso decidesse di ritirarsi. Comunque puoi anche attivarla volontariamente pensando la parola corodif. Basta che ti ricordi di tenere gli occhi chiusi. La cantilena va avanti da sola per quindici conteggi di cento numeri ciascuno, ma puoi interromperla in qualunque momento riaprendo quei tuoi occhioni belli.» Allargò le braccia in gesto teatrale. «Presto e bene, coi mutanti conviene. Soddisfatta o rimborsata.»
«Ma insomma, scherzi a parte, credi davvero che possa averne bisogno?»
«Speriamo di no.»
Andie lo fissò con aria scettica. Pareva sincero. Forse poteva fidarsi.
«Skerry, perché Michael ha sposato una ragazza mutante?»
Lui scoppiò in un’aspra risata.
«S’è fatto fottere. O meglio, è lei che s’è fatta fottere. Letteralmente.»
«È incinta.» Non era una domanda.
«Già. E il fortunato paparino è appunto il nostro Michael. Fu così che convolarono, inquantoché il motto del clan è: crescete e moltiplicatevi. E viceversa.»
«Mah!…» Andie pensò, scuotendo la testa, che più conosceva i mutanti e meno li capiva.
«Hai l’aria di una che un’altra flûte la rimetterebbe al mondo.» L’acchiappò per un braccio, tirandola in piedi. «Forza, bella, torniamo fra la gente.»
Michael si era aspettato, sì, un’ampia partecipazione, ma non avrebbe mai immaginato di vedere alle sue nozze anche il senatore Jeffers.
La carica gli si adattava alla perfezione, pensava Michael. Così sicuro di sé. E due volte più dinamico di quanto non fosse stata la povera Eleanor.
Una piccola folla di mutanti aveva fatto capannello attorno a Jeffers. Quando il senatore se ne distolse per rivolgersi a lui, Michael provò un moto di compiacimento.
«Ti senti un po’ stordito, vero?» gli domandò Jeffers gentilmente.
«Sì. Più che un poco.»
«Passerà, passerà», commentò Jeffers dandogli una pacca sulla spalla. «Tua moglie è davvero una magnifica ragazza.»
«Grazie.»
«Mi hanno detto i tuoi che sei un duplice. E ugualmente la tua sposa. Questo vi dà grandi possibilità.»
Michael lo fissò perplesso. «Grandi possibilità?»
«Esatto. Di rendere dominante il carattere trasmettendolo alla prole. Più duplici abbiamo, meglio è.»
«Oh, certo.» Michael sorrise. «Credo che lo scopriremo presto…»
Il senatore ridacchiò educatamente. «Questo è l’atteggiamento giusto, Michael. Nell’Unione mutante ce ne vorrebbero tanti, di giovani come te. Sei già membro?»
«In effetti avevo pensato di iscrivermi…» rispose Michael, sebbene fosse un’idea che fino a quel momento non aveva mai preso in seria considerazione.
«Bene. Se vieni a Washington, ricordati di passare dal mio ufficio.» Gli porse una memoscheda. «Qui troverai alcune informazioni che potrebbero interessarti.» Accompagnò il gesto con un sorriso radioso.
Alla loro sinistra spuntò Halden. «Oh, senatore, eccoti qui. Allora, a proposito di quella campagna elettorale…»
«Ci vuoi scusare, Michael?» Senza attendere risposta, Jeffers se ne andò insieme al Custode del Libro.
Michael si guardò attorno. Scorse Jena che laggiù in disparte, mantenendosi accanto due piatti di cibo sospesi a mezz’aria, discorreva tutta infervorata con una cugina di Petaluma dal mantello color turchese, dall’incarnato verdognolo e dagli occhi irrequieti.
Jena? chiamò mentalmente.
Nessuna risposta.
Forse il legame mentale che Halden aveva creato fra loro funzionava solo quando si trovavano a diretto contatto.
Masticò, senza sentirne il sapore, una fettina di pane speziato. Immaginò per un attimo il viso di Kelly inghirlandato di orchidee purpuree. Poi scacciò dalla mente quella sua visione.
Niente più Kelly, pensò. Adesso è questa, la mia vita. Forse mi iscriverò all’Unione mutante. Perché no?
«Mediti sul matrimonio?» si sentì chiedere da una voce familiare. La faccia barbuta di Skerry, inaspettatamente priva di corpo, apparve fluttuando a due passi dalla tavola imbandita.
Michael annaspò maldestramente col piatto che teneva in levitazione, quasi rovesciandolo prima di riprenderne il controllo.
L’intera figura di Skerry si raggrumò in un guazzabuglio di folgori in miniatura. Sogghignando, ristette accanto al tavolo.
«Pensavo che tu fossi in Canada», disse Michael. «Per sempre. Perché non mi hai detto che saresti venuto?»
«Vado matto per le visite a sorpresa. Ma direi che oggi il re delle sorprese sei proprio tu, cugino. Matrimonio? E con lei? Sbaglio o avevi preso una tremenda scuffia per una normale?»
Michael fece del suo meglio per non trasalire. «Già… Be’, diciamo che mi è capitato un imprevisto.»
Skerry crollò il capo. «Ti ha preso in trappola, eh? Ci avrei scommesso.» Si avvicinò a Michael, e in tono da cospiratore soggiunse: «Puoi sempre squagliartela insieme a me dopo la festa. E al diavolo il clan. Vieni via. Incomincia una nuova vita».
Michael gli fece un sorriso malinconico. «Arrivi un po’ tardi.»
«Comunque tieni presente che mi trattengo un attimino in zona… se per caso cambiassi idea», aggiunse Skerry con una scrollata di spalle. Occhieggiò di sbieco in direzione di Jeffers. «Che ci fa, da queste parti, sua magnificenza il senatore?»
«Notevole, eh?» disse Michael. «Doveva tenere un discorso a New York, e Halden se l’è accaparrato, almeno credo. E poi avevo piacere che al matrimonio ci fosse anche Andie.»
«Secondo te è contenta di lavorare per Jeffers?»
«Credo di sì. Perché, cosa c’è di strano?»
Per la prima volta da quando si conoscevano, Michael ebbe l’impressione che suo cugino non sapesse cosa rispondere. Infine Skerry scosse la testa.
«Niente.»
«Non dirmi che ti sei preso una cotta per lei», insinuò Michael.
Skerry gli rifilò un’occhiataccia. «Amico, non sono certo io quello che ama portarsi a letto le normali.»
Michael lo fulminò di rimando. «Accidenti a te, Skerry, lascia perdere, chiaro?»
«Scusa, Michael. Come non detto. In fondo è la tua festa, oggi.»
Skerry assaggiò un po’ d’insalata dal piatto di Michael. «Hmmm, non male. La vecchia Zenora non ha perso il suo tocco. Bene, caro cugino, le condoglianze te le ho fatte. Ci vediamo dopo.»
E riprese il suo giro.
Si avvicinò James Ryton, scrutando il figlio con espressione perplessa.
«Parli da solo?» gli domandò.
«Ogni tanto.» Michael sorrise. Forse lui era l’unico ad aver visto Skerry.
«Maledette vampate.» Ryton si strofinò la fronte. «Bisogna che faccia una visita dal guaritore, la settimana entrante. Michael, ti ricordo che ci sarebbe quella casa pronta per te e Jena. Sei sicuro di non volerti prendere una settimana di vacanza? Andare in luna di miele è un fatto naturale, e nessuno avrebbe niente da ridire, lo sai.»
«E tu sai bene che siamo in ritardo con quel trasmettitore a microonde», ribatté Michael. «La seconda partita di quei maledetti calibratori aveva metà pezzi difettosi. Voglio visitare un altro fornitore che ha aperto in Virginia. Tu non è il caso che ti sobbarchi la trasferta.»
«Ma sono diversi anni che ci serviamo dalla Kortronics.»
«Già, però negli ultimi tempi non han fatto altro che peggiorare. Ora hai bisogno di me in ditta, non in giro a divertirmi. Il viaggio di nozze lo faremo un’altra volta.»
Suo padre gli batté affettuosamente sul braccio. «Fai come ritieni meglio, Michael. Ormai sei un uomo adulto. Probabilmente la luna di miele può aspettare finché non ti sembrerà il momento opportuno.»
Fece per andarsene.
«Papà?»
«Dimmi.»
«Credi davvero che il senatore Jeffers possa venire eletto?»
James Ryton rispose con fermezza. «Senza dubbio. È un uomo di notevole sagacia. E non sarà il primo mutante che mandiamo in Senato.»
Annuì convinto, e tornò via.
Michael lasciò scendere delicatamente il piatto sul candore della tovaglia. Era sola immaginazione, o davvero suo padre camminava già col passo cauto di un vecchio?
Andie vagava inutilmente in cerca di Jeffers.
Ne ho abbastanza, di questa festa, pensava. Skerry mi ha dato il colpo di grazia.
Entrò in una stanza silenziosa, vuota, a parte una figura solitaria che si stagliava sullo sfondo della finestra. Lo sposo. Le volgeva le spalle, e stava con la testa appoggiata al plastivetro.
Andie esitò un istante. Che si trattasse di un altro rituale mutante? L’isolamento dello sposo? Oh, al diavolo, pensò.
«Michael? Come mai non sei giù con gli altri a festeggiare?» gli domandò gentilmente.
Si volse, sulle labbra un sorriso lieve.
«Andie. Ti diverti?»
«Certo. Però non mi hai risposto.»
«Forse ho bisogno di starmene un po’ per conto mio.» Lanciò un’occhiata verso la finestra. «Mi piace stare a guardare la neve. A volte in febbraio vengono certe tormente…»
«È proprio vero che ognuno ha i suoi gusti», sorrise Andie. «Ah, datemi una spiaggia calda e un bel brasiliano premuroso…»
«Mica male, come idea…» ammise Michael. Ma era evidente che pensava a tutt’altro.
«Sei felice?» gli domandò.
Michael fece un mezzo sorriso. «Bisognerebbe che rispondessi di sì.»
«Che cos’è successo?»
«In che senso?»
«Con quella ragazza nonmutante di cui eri innamorato.»
Occhi perduti nel vuoto, mascella contratta. «Tutto finito.»
Più che il senso di quelle due parole, fu il loro tono a provocarle una fitta di compassione.
«Perché l’hai voluto tu?» gli mormorò.
«No», rispose lui chiudendo gli occhi.
«Mi dispiace, Michael.»
«Anche a me.»
«E lei come l’ha presa?»
«Kelly? Non bene. Ho saputo che è partita. È entrata all’Accademia Aeronautica. Un giorno o l’altro finirà di sicuro a pilotare qualche navetta.» Gli risuonava, nella voce, un’artificiosa indifferenza.
Andie gli sfiorò un braccio. «Ma ti va di parlarne?»
«Non molto.»
«Scusami, allora.»
«Oh, figurati.»
Poi la fissò, con improvvisa intensità. «Sei innamorata di Jeffers, vero?»
Andie arrossì. «Ecco, vedi, Michael…»
«No, lascia perdere. Non voglio impicciarmi. Promettimi una cosa, però. Che darai retta solo a ciò che ti dirà il tuo cuore. Che non consentirai a nessuno di intromettersi nella tua vita. Promettimelo.»
«Te le prometto.»
Michael tornò di nuovo a volgere lo sguardo fuori della finestra. Verso la neve turbinante. Verso le tenebre che si infittivano.
«È la cosa più importante e più difficile per chiunque», disse. «Sapere qual è la via che ci indica il nostro cuore, e seguirla.»
Gli invitati si trattennero tutta la sera, e Michael non se la sarebbe sentita di biasimarli. Ai mutanti non capitava spesso di avere motivo per simili festeggiamenti.
Riunitosi alla compagnia, aveva trovato Halden che piazzato in un angolo della stanza strimpellava il suo vecchio banjo, intonando con voce sguaiata un’indecente canzonaccia. Una dozzina di mutanti gli sedevano attorno, battendo le mani e accompagnandolo nel canto.
Con l’aiuto di Tela, Zenora fece levitare la grande tavola centrale contro il muro di fondo per far spazio alle danze. E subito i mutanti si slanciarono gioiosamente in aria, sfiorando il soffitto, librandosi in cerchio, riscendendo con ampie oscillazioni, riproiettandosi più e più volte in alto con elaborate giravolte ed eleganti ghirigori sino a ridursi rossi in viso e senza fiato. Quelli incapaci di levitare venivano spinti dai più dotati.
Senza starci troppo a pensare, anche Michael si gettò nell’aerea mischia, guizzando e ruotando.
«Ecco lo sposo!» gridò qualcuno. «E la sposa? Vogliamo la sposa!»
«È di sopra!» disse un’altra voce. «Portiamola qui, che festeggi insieme a noi!»
Coordinato da Chavez, un gruppetto dei più infervorati fece levitare Jena giù per le scale, depositandola, vezzosa e ridacchiante, in piedi davanti a Michael.
Egli le fece una profonda riverenza. «Mia cara, vuol concedermi questo ballo?»
«Onorata», rispose, e lo prese per mano.
Insieme fluttuarono in alto, girando lentamente su se stessi mentre percorrevano in cerchio la sala. La tunica di Jena ondeggiava lieve. Lei rivolse a Michael un sorriso impertinente, per poi salutare Halden con mossa civettuola mentre gli transitavano sul capo.
«Non ti ci riprovare, sai», ordinò Michael, scimmiottando con buffo cipiglio il tono di un marito geloso.
La strinse a sé, la fissò un attimo negli occhi, poi la baciò teneramente. Dal basso, gli spettatori levarono applausi e grida d’incoraggiamento.
Forse, dopotutto, non sarà così difficile, si disse. Anzi, poteva addirittura rivelarsi uno spasso.
Stringendo sua moglie fra le braccia, Michael tornò a baciarla. E a baciarla.