23

Dopo le nozze, Jeffers dedicò tre giorni a raccogliere fondi e a tenere discorsi lungo la costa orientale, facendo sosta presso ogni comunità mutante da Baltimora a Bangor. Al momento di accompagnare Andie dallo spazioporto a casa sua, erano entrambi esausti.

Andie si distese sul sedile del libratore, assaporando la morbidezza della lussuosa tappezzeria blu scuro.

Jeffers affrontò una curva con scrupolosa precisione.

È bravo in tutto quel che fa, pensò Andie. Cullata dal ritmo del motore, finì col scivolare in un leggero dormiveglia, in cui rivisse alcuni momenti della loro vacanza a Thera.

La voce di Jeffers la strappò ai suoi sogni. «Chissà Ben come se la sarà cavata, in ufficio.»

Andie aprì gli occhi di scatto. «Ottimamente, di sicuro.»

Jeffers le rifilò un’occhiata obliqua. «Vorrei tanto che ti fosse più simpatico.»

Irritata, Andie si tirò su a sedere. «Perché, così non basta?» replicò in tono tagliente.

«Ben mi è stato di enorme aiuto.»

«Quant’è che lo conosci?»

«Oh, anni.»

Jeffers rallentò in prossimità di un incrocio, poi sfrecciò via prima che il semaforo cambiasse.

«Quindi hai conosciuto anche la sua ragazza mutante.»

«No», disse in tono studiatamente indifferente. «No, non l’ho mai incontrata.»

«Be’, lui mi ha raccontato di questa ragazza e di come gli ha conciato la macchina. Roba da matti.»

Sul volto di Jeffers, un sorriso ambiguo. «Cose che capitano.» Fermò il libratore proprio davanti all’ingresso di lei. «Ecco qua, servizio a domicilio.»

«Non male. Vuoi salire?»

«Stasera no, Andie. La mia giornata non è ancora finita.»

«Va bene.» Cercò di non mostarsi delusa.

Un bacio veloce, e Jeffers filò via.

Varcata la soglia dell’appartamento, per prima cosa Andie fece un po’ di coccole a Livia, poi calciò via le scarpe e diede un’occhiata alla posta in arrivo. Eliminò il solito immancabile ciarpame, conservando un messaggio di sua madre da leggere dopo con calma. Un avviso di messaggio urgente dall’ufficio continuava a lampeggiare fastidiosamente, e pur controvoglia finì per richiamarlo.

Emergendo da un verdognolo sfarfallamento, prese forma sullo schermo l’immagine di Ben Canay.

«Andie? Rayma Esteron, sostituto di Jackie Renstrow, ti vuol vedere al più presto. Ha detto che ti aspetta domattina in ufficio. Ho voluto avvertirti.» Le fece l’occhiolino e scomparve.

Diavolo, pensò Andie. Un’altra ficcanaso.

Si ordinò un bourbon dal robobar e incominciò a disfare i bagagli. Livia collaborò saltando sul letto a intrufolarsi fra gli indumenti.

«L’azzurro decisamente non ti dona», spiegò Andie alla sua flessuosa gatta abissina. «Magari il rosso. I mici con gli occhi d’oro dovrebbero preferire il rosso. Prendi esempio dai mutanti.»

Accidenti che matrimonio, pensò. Doveva essergli costato il guadagno di un anno. D’altre parte era pur giusto che i Ryton festeggiassero un po’. Da quando gli era sparita la figlia…

Si raggelò, sotto l’impatto dell’immagine che le era esplosa in mente: una ragazza mutante, dai lineamenti misti caucasico-orientali, che impugnando un coltello se ne serviva per squarciare l’elegante tappezzeria in pelle di un lussuoso libratore.

Melanie.

Ben Canay. No, pensò, non è possibile.

Scolò il bicchiere in tre sorsi e ne ordinò un altro.

E invece potrebbe essere e come, si disse. Devo sapere.

Diede un’occhiata al cronometro a parete. Le sei. Abbastanza presto, di martedì pomeriggio, perché Bailey fosse ancora al lavoro. Compose il numero della polizia di Washington, aggiungendo il codice privato di Bailey. Ci vollero cinque squilli prima che rispondesse. Le borse scure, sotto i suoi occhi, sembravano anche più profonde del solito.

«Oh, Rossa.» La salutò con un cenno del capo. «Ho avuto una giornata molto lunga…»

«Mi spiace, Bailey, ma ho qualcosa che non può aspettare.» Gli rivolse uno sguardo implorante. Lui sospirò.

«Va bene. Sentiamo.»

«Benjamin Canay.»

«…Canay, eh?» Bailey si volse alla tastiera che aveva accanto, digitò il nome, attese. Dopo qualche istante tornò a fissare Andie.

«Niente.»

«Niente?»

«Non c’è. Non esiste.»

«Chissà la faccia che farà quando glielo dirò», fu il commento di Andie. «Insomma non risulta proprio?»

«Te l’ho appena detto, no?» confermò Bailey con voce irritata. «Non hai, per caso, qualche altro elemento identificativo?»

Andie si accigliò. «No… però, aspetta, potrebbe servire un’impronta vocale, per la ricerca?»

«Forse. Ci vuole un po’ di più.»

«Proviamo, eh?» Andie fece passare il messaggio di Ben.

«Va bene. Ho registrato voce e immagine», le disse Bailey. «Resta in linea.» Scomparve dal monitor. Al suo posto, l’immagine di una sorridente poliziotta a cavallo. Andie sedette sul divano, sorseggiando nervosamente e aspettando. Cinque minuti dopo la poliziotta svanì e riapparve Bailey.

«Certo che te li vai a cercare col lumicino», esordì.

Andie mise giù di colpo il bicchiere.

«L’hai trovato?»

Bailey annuì. «Tre kilobytes tutti per lui. Benjamin Carrera, alias Cariddi, alias Canay. Ha un certificato penale che ti farà rizzare i capelli. Da che parte devo incominciare?»

«Dall’inizio.»

«Età, trentaquattro. Nazionalità, sconosciuta. Forse canadese, o brasiliano. Recluso in carcere minorile nel 1997, giudicato incorreggibile. Cacciato da tre famiglie adottive, prima di finire dentro. Rilasciato nel 2003, il giorno del suo diciottesimo compleanno. Due anni dopo, denunciato a piede libero per esportazione illegale di minori. Sospettato di trafficare in sostanze controllate. 2010, arrestato per occultamento su libratore di mezzo chilo di brina. Processo annullato per vizio di procedura. 2013, denunciato a piede libero con due capi d’accusa per sequestro di minore. Sospettato di agire per conto di interessi stranieri. Assai di recente ritenuto implicato in traffico illegale di manodopera dagli Stati Uniti all’Africa, Estremo Oriente e Brasile. Cinque denunce per violazione delle leggi sul lavoro minorile e per esportazione di minori per scopi illeciti. Ancora a piede libero.»

Bailey alzò la testa del terminale. «Questo tizio non è per niente una brava persona, Rossa. Tu come fai a conoscerlo?»

«Lavora nel mio ufficio.»

«Per il senatore comesichiama?»

«Il senatore Jeffers, sì.»

Bailey la fissò dritto negli occhi.

«Non mi piace», disse. «Il senatore è a conoscenza dei precedenti di questo individuo?»

«Non lo so. Non credo», rispose Andie, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. «Bailey, come si chiama quel tizio che aveva sporto denuncia per il furto del libratore da parte di Melanie Ryton?…»

«Chi?»

«Ma sì, quella ragazza mutante scomparsa di cui ti chiesi di occuparti l’anno scorso.»

Bailey digitò qualcosa sulla tastiera, imprecò, tornò a fissare Andie.

«Cariddi. Ma come hai fatto?»

«Intuizione femminile.» Gli rivolse un sorriso sarcastico. «È stato divertente fare il tuo lavoro, Bailey. Se ti venisse voglia di curare un po’ di pubbliche relazioni al senatore, fammelo sapere, mi raccomando.»

Bailey pareva un cane bastonato. «Pietà di me. Ascolta, hai avuto qualche problema, con questo Canay?»

«Finora no.»

«Vedi di continuare così, Rossa. È una persona infida.»

«In effetti mi era parso.»

«C’è qualcos’altro che possa fare?»

«Andare a casa a riposarti. Grazie, Bailey.» Gli lanciò un bacio.

«Stai attenta, Andie.» Dalla voce di Bailey era scomparsa ogni inflessione anche solo vagamente scherzosa. «E fammi sapere.»

«D’accordo.»

Lo schermo si oscurò.

Andie finì di disfare le valigie e si versò un altro goccio.

Chissà Stephen quando glielo dirò, pensava con cupa soddisfazione. Ci rimarrà di stucco.

Posò il bicchiere e cominciò a camminare per la stanza. Si fermò. Si coprì la bocca con la mano.

E se invece non ci rimanesse, di stucco?

Se invece l’avesse sempre saputo, che razza d’individuo è Ben?

Che cosa devo fare?


Andie passò gran parte della notte a sedere sul divano, rimuginando sulle medesime angosciose perplessità.

In che rapporti era, Stephen, con Ben? Quanto sapeva dei suoi trascorsi?

Molto prima che albeggiasse rinunciò definitivamente a ogni tentativo di prender sonno, e si vestì.

La stazione del metrò le apparve misteriosa e deserta, illuminata dal chiarore azzurrino delle crioluci. Aveva la sensazione di essere rimasta l’unica persona viva in tutta Washington. Giunse in ufficio prima delle sei.

Una donna dalla pelle scura, in completo color malva, se ne stava tranquillamente fuori della porta dell’ufficio, neanche fossero le due del pomeriggio.

«La signorina Greenberg?» domandò, con gradevole voce di contralto.

«Sì?»

«Sono Rayma Esteron, del Washington Post.» Mostrò le proprie credenziali. «Potremmo parlare da qualche parte in privato?»

Andie la osservava perplessa. «Ma non è un po’ presto, signora Esteron? Come ha fatto a entrare? Non sarà mica rimasta accampata qui fuori tutta la notte?

La donna sorrise con aria semplice. «Macché. Sa, conosco qualcuno…»

«Comunque non posso riceverla, senza appuntamento», troncò Andie con estrema freddezza.

«Si tratta di una cosa molto importante, signorina Greenberg. È sicura di non potermi concedere pochi minuti?»

«Temo di no.»

«Riguarda il senatore Jeffers. E il signor Canay.»

«Ah.»

Rayma Esteron la fissava impassibile.

«Va bene», assentì Andie guardinga. «Vuole accomodarsi in ufficio?»

Rayma Esteron scosse la testa. «Meglio da un’altra parte. Nel mio libratore. È parcheggiato qui fuori.»

Andie la fissò sbalordita.

«È una procedura estremamente irregolare!»

«La prego, mi accontenti», insisté l’altra in tono conciliante.

Andie si strinse nelle spalle. «Faccia strada.»

Il libratore color vinaccia di Rayma Esteron era in sosta davanti all’ingresso di servizio dell’ala nord. Rabbrividendo, Andie seguì la donna nell’aria gelida di quella mattina di febbraio.

Deve cononoscere davvero un mucchio di gente, pensò. A quest’ora sul mio libratore ci sarebbero almeno cinque multe.

La giornalista azionò il telecomando che portava al polso e gli sportelli si spalancarono. Andie prese posto dalla parte del passeggero.

«Allora? Qui siamo al sicuro da orecchie indiscrete. Mi dica tutto.»

«Facciamoci un giro», disse la Esteron. Programmò il robopilota e si rilassò sul sedile rivolgendosi ad Andie. Il libratore partì spedito verso la circonvallazione.

«Signorina Greenberg, prima di morire Jackie Renstrow aveva raccolto un’ampia documentazione sulle operazioni finanziarie del senatore Jeffers. Le è mai capitato di rilevare qualche irregolarità nei movimenti contabili del senatore?»

«Perché lo chiede a me? Io mi occupo di pubbliche relazioni.»

Rayma Esteron le lanciò un’occhiata d’intesa. «Ma lei è anche molto vicina al senatore…»

«Credo che farebbe meglio a parlare con qualcuno in contabilità», replicò Andie immediatamente. «Per quanto mi riguarda, non ho nulla da dire in proposito.»

L’altra sospirò. «Speravo che lei avrebbe deciso di collaborare.» Cercò nella borsetta, ne estrasse un sottile portafoglio, lo aprì. Un distintivo dorato percorso dal reticolo bluverde di un complesso oloschema ammiccò ad Andie.

«Signorina Greenberg, sono un’agente dell’FBI. Stiamo conducendo un’indagine sulle finanze del senatore Jeffers. Pare che ingenti somme di denaro siano state e vengano tuttora stornate dal vostro ufficio.»

«Cosa? E a che scopo?»

«È quello che vorremmo scoprire.»

«Ma perché dirmelo? Non ha paura che possa parlarne a lui?»

La Esteron annuì. «Francamente sì. Siamo a conoscenza della sua relazione col senatore. Tuttavia lei è una delle uniche due persone nonmutanti che lavorano in quell’ufficio. E, capirà, non possiamo certo rivolgerci a Canay.»

«Che intende dire?»

«Joe Bailey è mio amico», rispose l’agente in tono pacato. «E anche suo. È preoccupato per lei. Dopo la vostra conversazione di ieri pomeriggio mi ha chiamato. Abbiamo messo immediatamente il suo appartamento sotto controllo. Per questo, stamattina, mi ha trovato ad aspettarla nonostante l’ora.»

«Bailey le ha detto di Canay?» Andie scosse la testa. «Lo ucciderò, quel chiacchierone!» esclamò stringendo i pugni. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Rayma Esteron, e alle labbra le affiorò quasi un sorriso.

«Be’, se decide di farlo lo tenga per sé.» Nella voce della Esteron aleggiava un pizzico di amichevole ilarità. Ma il suo volto era serio. «Signorina Greenberg, noi nutriamo forti sospetti nei confronti di Canay. Il senatore potrebbe anche essere innocente. Nel caso dubitasse delle mie affermazioni, posso mostrarle i riscontri contabili. Ma sono convinta che lei mi crede.»

«Ha ragione.»

«Bene. Vorrei dunque chiederle di aiutarci nelle indagini.»

«Cosa?» Andie la fissò incredula.

«Dovrebbe semplicemente riferirci quello che vede, una volta al giorno.»

«Non credo di poterlo fare.»

Rayma Esteron sorrise lievemente. «Si rende conto, vero, che se il senatore o il signor Canay venissero incriminati per appropriazione indebita e falso in bilancio lei potrebbe essere accusata di complicità?»

«Si risparmi pure le sue ridicole minacce», replicò Andie. «Come senza dubbio risulterà dai vostri documenti, io sono avvocato, e saprei benissimo come difendermi in un’aula di tribunale. Innanzitutto parlerei di deliberati atti discriminatori e persecutori nei confronti dell’unico senatore mutante presente in Congresso. E poi, se siete andati in giro a curiosare quanto credo, dovreste sapere che non agirò mai contro Stephen per fare un piacere a voi. Mai.»

«Temevo che l’avrebbe presa a questo modo.» Per un attimo lo sguardo dell’agente si perse, pensieroso, fuori del finestrino. «Gli dirà tutto?»

«Non lo so.» Andie sollevò le mani in un gesto di esasperazione. «Ma perché dovete coinvolgermi in questa storia? Perché il vostro lavoro non lo fate da voi?»

«Ci serve il suo aiuto.»

«Be’, fatevi aiutare da qualcun altro.»

«Solamente lei ci può aiutare.»

«E allora mi sa proprio che vi è andata male!» esclamò Andie con voce aspra. «Jackie Renstrow lavorava per voi?»

«Sì, era una nostra informatrice. E sospettiamo che la sua morte sia da collegarsi a questa vicenda.»

«Non ci posso credere», ribatté Andie. «E non ci credo. Stephen non può essere implicato in niente di tutto questo.»

«Speriamo di no.»

Andie si sforzò di mantenere l’autocontrollo. «Non voglio discuterne oltre. Gradirei solo essere riportata al mio luogo di lavoro.» E, incrociate le braccia, fissò ostentatamente lo sguardo all’esterno, verso i primi, esitanti raggi di sole.

«Come vuole», assentì Rayma Esteron con voce sommessa, colma di rammarico. Premette un pulsante e il libratore svoltò al primo angolo, invertendo la rotta in direzione Campidoglio. Per tutto il resto del viaggio nessuna delle due aprì bocca.

Il libratore tornò esattamente da dov’era partito, fermandosi dinanzi all’ingresso di servizio dell’ala nord. Mentre Andie scendeva, Rayma Esteron le porse un’olocarta.

«Se dovesse cambiare idea.» Poi l’agente le rivolse un breve cenno di saluto e se ne andò.

Andie si affrettò a salire in ufficio. Erano passate da un pezzo le sette. Possibile che il colloquio con la Esteron fosse durato tanto? Aveva le idee confuse. Un palpito incessante le aggrediva le tempie. Si programmò una tazza di caffè. Cosa poteva dire, a Jeffers? Il colpevole doveva essere Canay. Stephen non avrebbe mai commesso qualcosa di illegale. Mai.

Arrivò Canay vispo e baldanzoso. Nel vederla le fece un gran sorriso.

«Buon giorno! Mattiniera, eh?»

Andie si sforzò di ricambiare il sorriso. «Dev’essere che non riesco a star lontana dall’ufficio.»

Si risvegliò, insistente, l’avvisatore del terminale. Una chiamata di Jeffers, seduto all’interno del suo libratore.

«Andie, grazie a Dio ti ho trovata. Prima ho provato da te, ma non c’eri.»

«Stephen, è successo qualcosa?»

«Ho dimenticato a casa una della mie videoborse, e alle otto in punto ho una colazione di lavoro. Potresti mandare un fattorino a prenderla?»

Un’ispirazione repentina le attraversò il cervello con la forza di un cortocircuito.

«Non mi fido, dei fattorini», rispose. «Potrei fare una corsa io, a prenderla. Tanto ho una mattina poco impegnativa.»

Sul viso di Jeffers si allargò un sorriso di sollievo. «Davvero non ti scoccia?»

«Anzi, lo faccio volentieri.»

«È sul tavolino dell’ingresso, proprio vicino alla porta. Trasmetterò alla serratura di lasciarti entrare.»

«Perfetto.»

«Andie, non so come ringraziarti.» Le fece l’occhiolino e chiuse la comunicazione.


La corsa in taxi fino al lussuoso quartiere di Jeffers richiese un quarto d’ora. Il paesaggio mutò rapidamente dalla marmorea nobiltà degli edifici governativi all’armoniosa eleganza di abitazioni suburbane, inserite in una cornice di fitte macchie arboree e curatissimi giardini. Una zona pittoresca persino in inverno, pensò Andie.

Mentre scendeva davanti alla villetta di Jeffers, un pallido sole riuscì finalmente ad aprirsi un varco fra le brume del mattino. Andie poggiò il palmo della mano sull’apertura romboidale dell’analizzatore. La serratura rispose con uno scatto, consentendole di entrare.

Il vestibolo riceveva abbondante luce da opalini pannelli color avorio. La videovaligetta di Jeffers era esattamente dove aveva detto lui: stava infatti poggiata sopra un lucido tavolino a parete accanto alla porta.

Andie non era mai stata in casa di Jeffers. Afferrata la videoval, risalì guardinga alcuni scalini ricoperti di moquette verdescuro sbucando in un’ampio, soleggiato ambiente rivestito con pannelli in tek. Da sinistra si dipartiva un lungo corridoio. La prima stanza in cui giunse conteneva un terminale a scrivania, uno schedario magnetico, un idrodivano grigio. Mise giù la videoborsa e fissò il monitor.

Ho assolutamente bisogno di sapere, si disse.

A mo’ di prova, batté sulla tastiera un codice qualsiasi.

Lo schermo rimase vuoto.

Neppure il codice del terminale dell’ufficio diede alcun esito.

Continuò a osservare il video. Jeffers aveva programmato la serratura in modo da lasciarla entrare. Come fare per convincere il terminale a usarle la medesima cortesia? Occhieggiò il sensore palmare a lato della tastiera.

E se tutti gli aggeggi elettronici di casa fossero stati serviti dallo stesso circuito di protezione? Poteva darsi che Jeffers, non volendo, le avesse dato accesso anche al terminale… Poggiò il palmo sulla nicchia. Lo schermo si accese immediatamente.

Andie percorse l’interminabile elenco di file. Da dove incominciare?

Il suo sguardo fu attratto dalla dicitura «JACOBSEN». Provò a selezionarla. Apparve una tabella contabile, che riportava cifre relative a somme di denaro per A.T.

«Chiarire A.T.», ordinò Andie.

«Arnold Tamlin», sciorinò obbediente lo schermo. «Vedi file MARZO.»

Tamlin?

Le mani di Andie incominciarono a tremare.

Aprì il file. Conteneva una serie di istruzioni a Tamlin, formulate da Ben Canay e corrette da Jeffers.

Dio mio, pensò Andie, ma allora è stato Jeffers a organizzare l’assassinio di Eleanor!

Le si piegarono le gambe, e dovette lasciarsi cadere di schianto nella poltroncina della scrivania.

No. Non ci posso credere.

Si nascose il volto fra le mani.

E adesso?

Potrei andarmene, si disse. Far finta di non sapere nulla.

No.

Tornò a fronteggiare lo schermo.

Non posso andarmene proprio ora, pensò. Devo scoprire fino a che punto, fino a che punto… Trasse un respiro profondo, e tornò a esaminare il lunghissimo elenco.

Un’ora dopo aveva individuato tre fogli contabili che dimostravano, senz’ombra di dubbio, dove fossero andati a finire tutti quei soldi.

In Brasile. In cliniche mediche di Rio de Janeiro e dintorni.

Le ricerche sul supermutante, pensava Andie. Anche di quello, era responsabile. Provava un’isterica, insopprimibile voglia di scoppiare a ridere, ma l’unico suono che le uscì di gola fu un singhiozzo, fievole e acuto.

Mi serve una copia di questo materiale, si disse. Ma poi, dove la nascondo? Il mio terminale d’ufficio è troppo accessibile. E anche quello di casa potrebbe essere facilmente violato.

Le tornò in mente per un attimo il Brasile. L’eleganza delle palme svettanti. La bellezza e la simpatia della gente. Karim.

Karim!

Ricordava ancora il suo numero privato… Poteva trasmettere tutto al terminale di casa sua! Anche se lei non avesse avuto subito modo di contattarlo personalmente, Karim, ritrovandosi quel materiale, non l’avrebbe certo cancellato senza prima consultarla.

Con un sospiro di sollievo mise in collegamento i due terminali e inoltrò la documentazione incriminata, cancellando poi immediatamente il codice di trasmissione. Infine si abbandonò nella poltroncina.

«Cerchi qualcosa?» domandò una voce familiare.

Andie boccheggiò.

Disinvoltamente appoggiato alla porta c’era Jeffers. Non sorrideva.

Il cuore le martellava di terrore, ma Andie riuscì a mantenere calma la voce.

«Stephen, credevo che tu fossi all’appuntamento.» Con simulata indifferenza allungò una mano a spegnere lo schermo.

«L’appuntamento è stato cancellato. Non vedendoti tornare, Ben si è preoccupato e mi ha avvertito. Come hai fatto ad accedere al mio terminale?»

Andie alzò le spalle. «Quando sono arrivata l’ho trovato acceso. Forse te n’eri dimenticato.»

«Già, forse», disse Jeffers aggrondato. «Ma tu perché lo stavi usando?»

«Avevo bisogno di riprogrammare la mia robodomestica, e ho pensato che non ci fosse nulla di male a farlo col tuo terminale.»

«Non avevi portato il videotaccuino?»

«L’ho lasciato in ufficio», mentì ancora Andie, sapendo che la sua videoborsa se ne stava acquattata fuori vista dall’altra parte del divano.

«Be’, niente di male», concesse Jeffers.

La abbracciò, stringendosi provocante contro di lei.

«Dato che siamo qui, potrei anche offrirti un giro panoramico. Hai già visitato la camera da letto?»

Incominciò a sbaciucchiarle il collo. Lo stomaco di Andie si contrasse, sotto l’effetto di una singolare mistura di terrore, ripugnanza e desiderio. Lo respinse.

«Innanzitutto gradirei fare una visita in bagno», replicò. Sorridendo nervosamente corse in corridoio e si andò a rifugiare al gabinetto. Una volta che si fu chiusa dentro, rimase lì a guardarsi allo specchio contando una trentina di secondi. Poi ancora trenta.

Mica posso restare qui all’infinito, pensò. Forse mi converrebbe fingere un gran mal di testa e filarmela alla svelta.

Stai calma e muoviti, si disse.

Quando rientrò nello studio, trovò Jeffers seduto sul divano, col videotaccuino sulle ginocchia. La guardò nel modo in cui un gatto guarda un uccello posarglisi davanti.

«Non avevi detto di averlo lasciato in ufficio?» le domandò in tono pacato.

Andie si sentì sbiancare in volto. «Oh, be’, sì, mi pareva…»

«Non sforzarti di mentire, Andie. Ho appena controllato la memoria dello schermo. Per l’appunto ti sei scordata di cancellarla, e così ho trovato traccia degli ultimi file usati.»

Mise da parte il videotaccuino e si alzò.

«Immagino che tu ci sia rimasta male.»

«In che senso?» provò a dissimulare.

«Per via di Tamlin.»

«Perché? Cosa c’entra Tamlin?»

«Andie, è inutile che cerchi di fare la furba con me», la avvertì in tono gelido. «Ad ogni modo è stata tutta un’idea di Ben.»

Andie si rilassò leggermente.

«Vuoi dire che è stato Ben a fare in modo che Tamlin potesse giungere fino a Eleanor?»

«Infatti.»

«E tu non sapevi cosa stava combinando?»

«Si è occupato lui di tutto.» Diritto e inflessibile, lo sguardo di Jeffers non l’abbandonava un istante.

«Mio Dio ti ringrazio», esclamò Andie. «Lo sapevo, lo sapevo che non potevi essere stato tu, a organizzare l’assassinio di Eleanor!»

Un sorriso arrogante gli contorse le labbra. Il sollievo di Andie vacillò.

«Esatto. Che morisse non era affatto nei miei programmi. Tamlin aveva solamente ricevuto l’incarico di ferirla. Ma era troppo instabile, e ha esagerato.»

Andie lo fissò sgomenta. «Allora volevi che venisse ferita? Sei stato tu a organizzare l’attentato contro di lei?»

«Certo. Dovevo toglierla di mezzo. Tanto per incominciare avrei dovuto essere io, a vincere le elezioni. Io, che avevo un’assai più chiara consapevolezza della situazione e delle relative necessità.»

«Di quali necessità stai parlando?»

Jeffers la prese per mano. «Andie, sarai senza dubbio d’accordo con me che la frattura tra mutanti e nonmutanti dev’essere saldata, e alla svelta.»

«Ma si capisce.»

«La Jacobsen era troppo lenta. Non si rendeva conto che il particolare momento storico esigeva da noi interventi rapidi e decisi.»

«Non mi pare un motivo sufficiente per ucciderla.»

Jeffers scosse la testa con impazienza. «Te l’ho già detto. Non volevo che venisse uccisa. Diciamo stordita. Resa momentaneamente inabile. In seguito avrebbe avuto modo anche lei di fare la sua parte.»

«Una parte in che cosa?»

«Nel mio governo. L’avrei vista benissimo come segretario di Stato. Oppure avrebbe potuto scegliere un qualunque altro incarico di governo, e sarei stato lieto di affidarglielo.»

Andie sottrasse la mano alla sua stretta.

«Incarico di governo? Ma che stai dicendo?»

«Andie, quale miglior modo di ritrovarci tutti uniti, se non sotto un presidente mutante?»

«Un… presidente… mutante?» La risata di Andie risuonò stridula, quasi isterica. «Ma se eravamo appena riusciti, dopo tanti sforzi, a far eleggere una donna! Che intenzioni avresti? Di buttare il presidente Kelsey giù da un balcone della Casa Bianca?»

Jeffers continuò come se non avesse udito nemmeno una parola. «Sì, un presidente mutante. Con una moglie nonmutante.» Le rivolse uno sguardo colmo di entusiasmo e desiderio. «Sposami, Andie. Non è troppo tardi. Potresti lavorare con me. Aiutarmi a raggiungere i miei obiettivi. Contribuire a realizzare l’unione che ci sta a cuore.»

Andie indietreggiò, andando a rannicchiarsi in un angolo del fluidivano. «Sposarti?» ripeté sbalordita. «Aiutarti? Stephen, ma ti rendi conto che sei resposabile di un omicidio? E il denaro che hai sottratto per far compiere esperimenti su cavie umane?»

Jeffers le lanciò un’occhiata sospettosa. «Sai anche del progetto supermutante?»

Lei annuì.

«Non ho potuto farne a meno», spiegò con voce concitata. «Le mie risorse personali non erano sufficienti. Non c’era altro modo. Con un po’ più di tempo a disposizione avrei potuto occultare ogni prova, e l’Ufficio Generale Contabilità non avrebbe scoperto nulla.» Dopo una breve pausa continuò deciso. «Ma non capisci che un mutante potenziato rappresenta il prossimo logico gradino nell’evoluzione umana? Sarebbe criminale ostacolare il progredire dell’umanità.»

«Quello che hai fatto tu, è criminale!», ribatté Andie. «Stephen, ti rendi conto che hai finanziato attività come il sequestro di minori, l’esecuzione di esperimenti genetici illegali e persino l’omicidio? Non provi nessun disagio, a rifletterci?»

«Il fine giustifica i mezzi.»

Andie lo scrutò con grave attenzione, come se si trattasse di un essere piovuto da un altro mondo. «Quale fine? Hai ucciso una donna coraggiosa, una degnissima esponente dalla causa mutante. Non c’è giustificazione a un crimine del genere. E poi dove sarebbe, il tuo famoso supermutante?»

«Ci riusciremo. Questione di poco.»

«Ancora però non ci siete riusciti.»

«Sei sicura di non voler lavorare con me?»

Comprese all’istante che, in pratica, lui le stava offrendo la possibilità di sopravvivere. Ma il prezzo era troppo alto.

«Non posso.»

Con espressione di rammarico, Jeffers scosse la testa.

«Peccato. Sei una donna abbastanza in gamba, per essere una normale.» Le si sedette accanto sospirando. «E adesso che ne faccio, di te?»

Andie si sentì attanagliare dal panico. «Lasciami andare, Stephen», lo supplicò affannosamente. «Ti giuro che non dirò mai nulla…»

«Andie, non sono così ingenuo. Anche ammettendo che in questo momento tu sia assolutamente sincera, prima o poi non potresti fare a meno di rivelare quanto hai saputo. Immagino quindi che l’unica soluzione logica consista nell’assicurarmi che tu non possa comunque far nulla.»

«No!»

Scattò in piedi e corse verso la porta. Ma egli la inseguì con agilità felina, riacchiappandola a metà scale e afferrandola in una morsa poderosa.

«Assassino! Ti sei servito di me!» gli urlò.

«Ma credevi davvero di interessarmi oltre i limiti di un banale esperimento sessuale?» replicò Jeffers in tono sprezzante.

Tentò, con gesto disperato, di artigliargli la faccia.

Per evitare quel colpo feroce lui si ritrasse di scatto, dandole modo di sfuggire alla sua stretta. Spinta da una forza che nasceva dalla paura, Andie balzò su per le scale, proiettandosi di slancio lungo il corridoio e poi dentro la camera di lui. Sbatté la porta, la chiuse a chiave, e si guardò attorno per trovare nella stanza un qualche mobile che contribuisse a ostacolare l’inseguitore. Ma proprio mentre spingeva verso la soglia il pesante cassettone di quercia, sentì la serratura girare e vide riaprirsi la porta. Aveva dimenticato i suoi poteri telecinetici. Mani invisibili si impadronirono di lei e la trascinarono verso l’uscita, dove l’attendeva Jeffers.

Ridendo brutalmente egli l’afferrò, mandandola a sbattere contro il muro con una violenza che la lasciò senza fiato.

Andie boccheggiò in cerca d’aria. Gli occhi dorati di Jeffers le scavarono dentro, togliendole la voglia di lottare.

«Sei un telepate?» gli domandò con voce fievole. «Ma allora la telecinesi?…»

«Possiedo entrambi i poteri», le rispose. «Non ti sei chiesta come ho fatto a curare quel ragazzo, sulla spiaggia?»

«Credevo che tutti i mutanti fossero potenziali guaritori.»

Jeffers sbuffò. «Normali! Mai una volta che riusciate a capirci davvero.»

Gli si abbandonò dolcemente fra le braccia. Jeffers le appoggiò una mano su ciascuna tempia.

«Sì, davvero un peccato», soggiunse. «L’addetta stampa del senatore Jeffers s’è presa un brutto esaurimento nervoso proprio prima delle elezioni. Necessita di cure e attenzioni incessanti; è ridotta a un vegetale, né più né meno.»

D’un tratto la sua espressione cambiò.

«Forse sarebbe meglio l’ipnosi», disse. «In quel modo potresti tornare ancora utile.»

La trascinò accanto a sé sul letto.

Del tutto inerme, lei venne immediatamente catturata dal suo sguardo scintillante.

«Tu sai che sono innocente», le disse con voce sommessa. «Sai che Canay ha collaborato con i miei nemici per screditarmi. È stato lui a falsificare i documenti contabili, e tu l’hai aiutato.»

Usava un tono di voce suadente, insinuante. Le pose una mano sulla guancia come una carezza, e la lasciò lì.

«Sì, tu e la tua rete di sabotatori. Avete lavorato contro di me per tutto questo tempo, probabilmente in combutta con Horner. Perché voi odiate i mutanti. E avete corrotto giovani come Canay, insegnando anche a loro a odiarci.»

«Odiare?» ripeté Andie con voce già incerta. «Chi?»

Jeffers tagliò corto. «Stasera chiamerai Cable News e renderai piena confessione, ammettendo le tue colpe.»

«Le mie colpe.» Le parole di Jeffers incominciavano a riecheggiarle ossessive nella mente. Avrebbe voluto controbattere, ma si sentiva la lingua spessa, impastata. E i pensieri confusi. Le sue colpe. Sì, le sue colpe. Chiuse gli occhi.

Cento, novantanove, novantotto, novantasette, novantasei…

Una possente cacofonia esplose nel cervello di Andie: voci, centinaia di voci che intonavano monotone una serie di numeri. E la voce di Jeffers, che sbraitava nel tentativo di soverchiare il prorompente coro. Senza riuscirci.

Ottantasei, ottantacinque…

Sentì che Jeffers allentava la presa, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.

Sessantadue, sessantuno…

Il coro si ridusse a un sussurro, poi tacque.

Andie riaprì gli occhi.

Jeffers giaceva scompostamente a terra, privo di sensi.

Mi venisse un accidente, pensò Andie. Ha funzionato. La ridicola difesa mentale di Skerry ha funzionato!

Si alzò in piedi con gran cautela. La stanza le roteava attorno. Aggirò barcollando il corpo di Jeffers e imboccò malferma il corridoio, fermandosi solamente a recuperare il videotaccuino. Sentiva l’equilibrio migliorarle a ogni passo. Quando giunse alle scale, già correva.

Schizzò fuori dal portone principale, scavalcò una siepe, mise un piede in una pozza d’acqua semighiacciata e superò d’un balzo un’altra fila di cespugli, ritrovandosi in una stradina.

Nessuna traccia di inseguitori.

Corse per cinque lunghi minuti, ansimando a ogni passo. Finalmente, coi polmoni che le bruciavano sotto l’impatto dell’aria gelida, rallentò l’andatura.

Le ci volle un attimo a ritrovare in borsa l’olocarta, e un altro istante ad aprire il videotaccuino. Digitò il numero con mano tremante.

Apparve sullo schermo una gaia ragazza dalle gote rosse.

«FBI, divisione Crimini Speciali.»

Andie trasse un profondo respiro.

«Rayma Esteron», disse. «E in fretta. È urgente.»

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