13

Seduta sull’idrodivano verde, intenta a osservare le baluginanti immagini che animavano la videoparete, Melanie rabbrividiva. Benjamìn si protese verso di lei, le passò un braccio attorno alle spalle, e strinse delicatamente. Era un piacere sentire sul braccio il calore della sua mano, e Melanie gli si rannicchiò contro.

«Spaventata?» le domandò.

«Non è questione di paura. È solo che non ne posso più di rivedere continuamente quella scena. La Jacobsen non aveva mai fatto del male a nessuno. E quando penso che ad assassinarla è stato quell’orribile Tamlin, mi prende un groppo allo stomaco.»

«Doveva essere uno psicopatico. Un pazzo che odiava i mutanti.»

«Se ripenso a come tentò di strangolarmi, là al club… Sapessi ancora che incubi!»

Benjamin le accarezzò il volto con mano leggera. «Ora non devi più preoccuparti di nulla. Sei con me, ora.»

Melanie sorrise, ammirando i suoi intensi e luminosi occhi color nocciola, i suoi capelli neri… Se solo l’avesse attirata un poco più vicino…

E invece, delusione, egli le diede una stretta fraterna e si alzò.

«Forse dovrei andare alla polizia…»

«Per dirgli cosa?» replicò lui in tono brusco. «Che Tamlin ti aveva aggredito? Ormai è morto. Adesso la miglior cosa che puoi fare è dimenticartene. Altrimenti finiresti solo per cacciarti in qualche inutile pasticcio.»

«Probabilmente hai ragione tu.»

Melanie si sprofondò dentro i soffici cuscini marrone chiaro. Era arcistufa di rivedere all’infinito la morte della Jacobsen. La senatrice Eleanor Jacobsen non c’era più. Melanie voleva dimenticarla. Così come voleva dimenticare Tamlin.

Benjamin sbadigliò e diede un’occhiata all’orologio. «Personalmente sono cotto, bimba. Rimani pure alzata, se vuoi, ma io me ne vado a nanna.» Le regalò uno di quei suoi sbrigativi sorrisi di traverso, e un momento dopo non c’era già più.

Sospirando, Melanie si sintonizzò su un vecchio film degli anni Ottanta, capitando nel bel mezzo di una scena d’amore. Guardò, sentendo crescere in sé il desiderio.

Vorrei che Ben lo facesse con me, pensò, vorrei sentire la sua bocca su tutto il mio corpo… Osservò gli amanti sullo schermo accoppiarsi abilmente, appassionatamente, ansimando e contorcendosi. Prese uno spinello, mordendone via l’estremità per ottenere un effetto più rapido.

Forse non gli piacciono le donne, pensò. Ma allora che ci andava a fare, al club? E io che ci sto a fare, qui? Perché mi ha salvato e mi ha trovato un lavoro? E un posto dove vivere? Ormai era lì da quasi un mese. Diede un rapido, tenero sguardo d’insieme all’elegante soggiorno, soffermandosi sulla lussuosa tappezzeria e sulla magnificenza delle rosse coperte navajo.

Trascorsa la prima settimana, aveva smesso di chiudere la porta a chiave, domandandosi se lui se ne sarebbe accorto. Nessuna reazione. Dentro casa aveva cominciato a indossare scintillanti, opalescenti sottovesti che rivelavano il suo corpo più di quanto non lo nascondessero. Per l’effetto che gli facevano, avrebbe anche potuto infilarsi un saio. Vivevano insieme come fossero fratello e sorella. Ma lei ne aveva già due, di fratelli, e di un altro non sapeva proprio che farsene.

Lo spinello la rilassò, e Melanie avvertì quel familiare, insistente, vivace pizzicorino cominciare a velllicarla in mezzo alle gambe. Al diavolo, non le andava più di masturbarsi. Fosse stata telepatica, avrebbe potuto installare a Ben qualche suggestione erotica durante il sonno… Ma non era telepatica. Sospirò. Bene, bisognava che si arrangiasse con un approccio vecchia maniera.

Spense il video e si diresse alla camera di Ben. Sotto la porta non filtrava alcuna luce. Meglio così. Premette pian pianino col palmo della mano, e il battente si dischiuse in perfetto silenzio. Entrò. La forma di lui, distesa sul letto, nella semioscurità si intravvedeva appena. Il suo respiro andava e veniva regolare. Dormiva.

Melanie scansò le coltri. Benjamin era nudo. Man mano che gli occhi si assuefacevano alla penombra, poté ammirare la sua robusta, muscolosa corporatura. Gli toccò il viso, delicatamente.

«Mel?»

Si alzò a sedere, ammiccando sorpreso.

Melanie sganciò la fibbia che le fermava la veste sulla spalla, e il serico indumento cadde a terra formando un cerchio attorno ai suoi piedi. Ne uscì con un passo, si chinò su di lui, in punta di dita percorse la sua pelle dal torace all’inguine. Bastò quel tocco leggero a farlo entrare in erezione.

Dolcemente, lo baciò. Lui fece l’atto di tirarsi indietro, allungando una mano a recuperare il lenzuolo.

«Dai, vattene a letto.»

«Non ho sonno.»

Gli prese l’altra mano e se l’appoggiò sul petto.

«Mel, non dovresti farlo», le disse in tono quasi supplichevole. Però non ritrasse la mano.

Lei si mosse lievemente, perché meglio avvertisse la sensazione del capezzolo turgido contro il palmo. Quando lasciò la presa, lui mantenne la mano dov’era, le si fece più accanto, coprì l’altra mammella con la mano libera. Melanie sospirò e chiuse gli occhi. Un attimo dopo sentì l’umido calore della sua bocca leccare, succhiare, spostandosi da una mammella all’altra.

Scivolò sul letto aderendo con tutto il corpo a quello di lui, provando l’esaltante contatto della sua virilità e la strana, solleticante sensazione del villoso intreccio che Benjamin aveva sul petto e sulle braccia. Voleva toccare ed esplorare ovunque. Essere toccata ed esplorata.

La strinse a sé baciandole i seni, il collo, le labbra. E lei rispose, ansimando, strofinandosi contro di lui sull’impulso di una cadenza ignota eppure irresistibile. Le mani di Ben si mossero fra le sue gambe, dapprima lentamente titillando, poi audacemente, rapidamente, ritmicamente arpeggiando. Melanie udì una voce gridare e comprese che doveva essere la sua stessa voce, ma non le importava. Ben era dentro di lei, adesso, e lei stava esplodendo, prorompendo in ondate di intenso piacere. Lui era suo per sempre. Per sempre.


Riuniti attorno al tavolo in tek nel seminterrato di Halden, gli anziani del clan sedevano cupi e silenziosi. Non gli era mai capitato, pensò Michael, di assistere a un consiglio così fiacco e abbacchiato. Persino i distintivi della fraternità che la maggior parte di loro ostentava apparivano opachi, privi del consueto sfavillio. Suo padre, soprattutto, che in camicia azzurra dalle maniche disegualmente arrotolate se ne stava lì inerte a trastullarsi con una tazza di tè…

«È necessario concordare la candidatura di qualcuno che porti a termine il mandato di Eleanor Jacobsen», dichiarò Halden. «Mi incontrerò lunedì col governatore Akins, e per allora dobbiamo esserci accordati sulla sostituzione. Prima decidiamo, più possibilità abbiamo di vedere ratificata la nostra scelta.»

«Ma perché prendersi il disturbo?» obiettò Zenora. «Finiremo solo per fornire un altro bersaglio alle armi dei normali.»

«Se assumiamo un atteggiamento del genere, allora sì che verremo sconfitti!» ribatté Halden in tono aspro.

«E bravo zio, fatti sentire!» si intromise una voce ben nota. L’intero gruppo si volse, all’unisono: cinquanta paia di occhi dorati videro una fiammeggiante colonna colore arancio che in lenta rotazione accanto al fluidivano grigio argento andava pian piano plasmandosi in forma umana: un atletico mutante maschio in stivali neri, jeans, maglietta viola, giaccone militare e ampio sorriso incorniciato da una riccioluta barbetta castana. Skerry. Al suo fianco, con aria timorosa, una donna dai capelli rossi, abbigliata con un impeccabile completo grigio. Michael la riconobbe per Andrea Greenberg, l’assistente di Eleanor Jacobsen. Che diavolo ci faceva, qui, insieme a quella testa balzana?

«Pace e bene a tutta la compagnia!» esclamò Skerry giovialmente. «Scusate l’intrusione ad effetto, ma come sapete ho un debole per i colpi di scena. Dunque, desidero innanzitutto presentarvi una mia cara amica. Su, coraggio, di’ ciao ai bravi mutanti, Andie.»

Lei annuì, esitante. «Salve.»

«Skerry, che significa questa bravata?» insorse Zenora. «Portare una nonmutante a una nostra riunione privata, e proprio in un momento come questo? Ti ha dato di volta il cervello?»

«Non ancora, zietta. Ho solo trent’anni, ricordi? E poi questa non è mica una normale qualsiasi, sai? Andie Greenberg è stata assistente di Eleanor Jacobsen.»

«Calmati, Zenora. Garantisco io per lei», intervenne James Ryton.

«Continuo a non capire il motivo della sua presenza.»

«Capirai, capirai», promise Skerry.

Facendo levitare attraverso tutta la stanza una sedia bianca pieghevole, Michael la depose accanto ad Andie. Mentre lei prendeva posto, egli le rivolse una rassicurante strizzatina d’occhio.

«È raro averti fra di noi, Skerry. A cosa dobbiamo l’onore?» domandò Halden.

«Date un’occhiata a questa.» Skerry gettò sul tavolo una memocassetta.

Halden si accigliò. «Che roba è?»

«Ti va di dare una smossa a questo branco di poltroni? Di indurii a trovare qualcuno che completi il mandato di Eleanor Jacobsen? Ecco, lì dentro c’è qualcosa che dovrebbe far battere forte forte i vostri cuori mutanti, gente. C’è il motivo per cui dobbiamo riavere qualcuno al Congresso appena possibile. C’è la prova che in Brasile si svolgono ricerche mutagene.»

«In Brasile? Ma allora non erano solo vuote dicerie?»

Skerry annuì. «Stanno facendo studi sui tessuti germinali. In particolare, procedure di mappaggio cromosomico in soggetti umani.»

«… Cercando, evidentemente, di individuare e isolare mutazioni che possano essere riprodotte in vitro… quindi la cosa è molto più seria di quanto immaginassimo», commentò Halden, pallido in volto. Porse la memocasseta a Zenora, e lei la inserì nel lettore della videoparete.

Le luci si attenuarono, e sullo schermo, in un chiarore azzurro, trascorse il contenuto della cassetta. A Michael parevano semplicemente diagrammi tratti da un testo di genetica, ma suo padre e suo zio, pietrificati dall’inquietudine, fissavano il grande monitor con attenzione spasmodica.

«Replicazione di geni? Scissione di zigoti? E in embrioni umani?» trasecolò Ryton.

«A quanto pare.»

«Incredibile. Noi non siamo neppure in grado di avvicinarci, a un simile grado di accuratezza», dichiarò Halden con voce rotta dall’emozione. «Nemmeno tramite la psicocinesi.»

«Ma sono poi riusciti a innestare qualcuno di questi embrioni, e a portarne a termine la gestazione?» domandò Ryton.

«Non lo so», rispose Skerry. «Non è chiaro fin dove possano essersi già spinti. Né chi sia a finanziare gli esperimenti. Queste registrazioni risalgono a un paio d’anni fa, e sono incomplete.»

«Dove le hai trovate?»

Skerry si strinse nelle spalle. «Diciamo semplicemente che una fortunata circostanza mi ha consentito di scoprirle…»

Halden sospirò. «Il che probabilmente vuol dire che le hai rubate.»

Michael trattenne un sorriso. Che fenomeno, pensò, mio cugino!

«Risparmiami i tuoi moralismi, zio!» scattò Skerry. «Lo sai benissimo che abbiamo sempre tirato avanti come potevamo. Mi ricordo ancora di quando usavamo metterci tutti quanti lì dopo il convegno annuale a discutere di sistemi d’effrazione e metodologie di truffa… e nessuno si scandalizzava, figuriamoci. Per noi era roba di ordinaria amministrazione, no?»

«Ha ragione lui», intervenne Michael. «E poi le informazioni ormai ce le abbiamo. Che importa come ci sono arrivate?»

Con un cenno di assenso, Halden mostrò di accettare le loro argomentazioni. «Comunque tu le abbia avute, ci hai reso un favore enorme», ammise. «A questo punto non possiamo più fare a meno di prenderle sul serio, quelle dicerie.»

«E se fosse tutto un imbroglio?» insinuò Zenora. «Skerry potrebbe anche aver truccato le registrazioni. Non si può certo dire che sia il più affidabile membro del clan.» Gli lanciò un’occhiataccia, e lui gliela restituì con veemenza.

«Per quale motivo mi sarei dovuto prendere tutto questo disturbo, cara zia Zenora? Sono d’accordo che è tempo e fatica sprecata cercare di salvarvi il culo, ma visto e considerato che ormai l’ho fatto, il minimo che potete fare voi è credere a quello che vi metto davanti agli occhi.»

«Se solo Eleanor fosse ancora viva…» si lamentò Ryton. «Qualunque iniziativa si decida d’intraprendere, mi sentirei molto più tranquillo se potessimo contare sul suo apporto.»

Skerry si sporse avanti, poggiandosi sul tavolo a palme in giù. «Veniamo alla seconda buona nuova, James. In Brasile, con Eleanor Jacobsen, c’era anche Andie. È per questo che ve l’ho portata.»

Halden si rivolse a lei. «Può dirci qualcosa delle vostre indagini?»

«Be’, sì…» rispose Andie. Parve a Michael che fosse piuttosto a disagio. «… e no. In effetti avete appena visto le uniche prove sicure che abbiamo sugli esperimenti mutageni. Tuttavia sono convinta che in Sudamerica stia avvenendo molto più di quello che possiamo scoprire. E credo che la senatrice Jacobsen ne fosse perfettamente consapevole.»

«Impressioni soggettive, assurdità», fu il commento di Zenora.

«Può darsi», replicò Andie. «Ma allora dove se li sono procurati quegli agenti mutageni? E perché l’intera città pareva sotto l’effetto di una nube mentale?»

«Nube mentale?» Halden indirizzò a Skerry uno sguardo severo. «Quanto le hai rivelato di noi?»

«Parecchio. Smettila di fare quella faccia affranta, Halden. Lei ci può aiutare. E noi non possiamo assolutamente permetterci di rifiutare l’aiuto dei nonmutanti.»

«Ma perché dovremmo crederle?» insisté Zenora. «Forse ha solo accettato di darti una mano a portare scompiglio nella nostra riunione.»

«E secondo te che cosa diavolo ci guadagnerebbe?» ribatté Michael con rabbia. Incominciava a pensare che sua zia stesse diventando paranoica.

«Sono venuta qui per offrirvi ogni possibile collaborazione», dichiarò Andie con voce pacata. «La morte della senatrice Jacobsen è stata una terribile tragedia non solo per i mutanti, ma anche per i nonmutanti. E, per me, una grave perdita personale. Nutrivo nei suoi confronti una profonda ammirazione. E credevo sinceramente nello scopo che lei perseguiva… la cooperazione e integrazione fra mutanti e nonmutanti. Ci credo ancora. Ma voi?»

Le sue parole vennero accolte da un profondo silenzio, e fu evidente a Michael che tutti i presenti ne erano rimasti colpiti. Il giovane sentì rinascere in sé l’ottimismo.

«Se desiderate ulteriori prove del fatto che in Brasile sta avvenendo qualcosa di infame», soggiunse Andie, «vi propongo di condividere le esperienze da me vissute a Rio de Janeiro. Skerry mi ha spiegato come funziona la cosa, e sono disposta a sottopormi al procedimento, se ciò può in qualche modo favorire la continuazione dell’opera iniziata da Eleanor Jacobsen.»

«Ma si rende conto di quello che ci sta offrendo?» le chiese Halden.

«Sì.»

Per qualche istante nessuno fiatò. Poi, come per tacito consenso, un lieve mormorio si diffuse per la stanza. Michael si sporse a prendere la mano di Andie, augurandosi che lei sapesse davvero quello che faceva.


Mordicchiandosi nervosamente un labbro, Andie pensò che si era presentata a questo convegno segreto pronta a vedersi accogliere con ostilità e rabbia, sì, ma senza la reale intenzione di dare in pasto i suoi ricordi a un gruppo di sconosciuti mutanti.

D’altronde se l’era aspettato di scontrarsi con un muro di diffidenza, e se non fosse riuscita a convincerli a prestar fede alle informazioni di Skerry, allora l’intera missione brasiliana diveniva inutile e priva di senso. E l’unico modo per convincerli, a quanto pare, consisteva nell’accettare un’esperienza che la metteva profondamente a disagio. Nell’afferrarle la mano, Skerry le rivolse uno sguardo di affettuosa solidarietà. Andie respirò a fondo, e chiuse gli occhi.

Nel volgere di qualche istante provò la sensazione di galleggiare in una pozza di tiepida luce dorata, scivolando lungo un’onda mentale di pulsanti armonie. Ma sì, non c’era nulla da temere, qui. Anzi, fratellanza e cordialità le recavano conforto. La cruda, angosciosa ferita che le piagava l’animo nel ricordo dell’assassinio di Eleanor Jacobsen cessò di martellarle dentro, la sofferenza si acquietò in lieve dolore. Poi dolcemente, delicatamente, il mormorio andò affievolendosi, l’onda s’indebolì, scomparve, e Andie si ritrovò seduta al solito posto, ammiccando, stringendo la mano di Skerry.

«Ma che bella l’escursione a Teresópolis…» l’apostrofò sogghignando il giovanottone.

Andie arrossì e gli lasciò di scatto la mano. «Hanno visto tutti?»

«Macché. Ho provveduto io a schermarti. E poi la mente di gruppo ha certe limitazioni. Può vedere solo dove viene diretta o invitata. Io però non ho resistito alla tentazione di andarmene un pochino a zonzo…»

Andie gli rivolse un’occhiataccia. Avrebbe dovuto immaginarselo che non c’era da fidarsi del tutto. Prendi, per esempio, quella ridicola esibizione all’arrivo… Skerry era un tipo decisamente imprevedibile. Cercò di ignorare il pensiero di lui che le andava sbirciando nei ricordi più intimi, dedicandosi piuttosto a verificare le reazioni dei presenti.

L’uomo in camicia rosso scuro, quell’Halden che presiedeva la riunione, le sorrise. «Grazie, signorina Greenberg. Davvero molto convincente.» Volse lo sguardo in giro sui convenuti. «Allora, c’è rimasto qualche scettico fra noi?»

Cinquanta teste dissero di no. «In tal caso siamo tutti d’accordo nel concludere che in Brasile stanno avendo luogo eccezionali e pericolosi esperimenti», dichiarò Halden. «Propongo dunque di formare noi stessi una commissione d’indagine. Se aspettiamo l’avvio di un’altra inchiesta governativa, potrebbe essere troppo tardi.»

«Ma cosa c’è di tanto terribile in questi supermutanti?» domandò Andie.

«Nulla», rispose Halden, «finché non cadono sotto il malaugurato controllo di certe fazioni.»

«Per esempio?»

Halden si strinse nelle spalle. «Se ci riflette, signorina Greenberg, di gruppi che perseguono proprie specifiche mire antisociali vedrà che se ne possono citare almeno una dozzina. Terroristi, fascisti, neonazisti… tanto per cominciare.»

«E voi credete che dietro gli esperimenti sui supermutanti possa nascondersi uno di questi gruppi ostili?»

«Un gruppo ostile, esatto. Perché, altrimenti, tanta segretezza? E per quale motivo non hanno richiesto la nostra collaborazione? I genetisti mutanti sono ben noti per la loro abilità.»

«Senza offesa, zio, ma sembra proprio che non abbiano alcun bisogno della nostra abilità», obiettò Skerry.

«Siete mai riusciti a produrre un supermutante con metodi naturali?» chiese Andie.

Halden scosse la testa. «Il massimo che abbiamo ottenuto, finora, sono i mutanti doppi, come per esempio il giovane Ryton. Ma mutanti superiori sviluppati tramite esperimenti genetici clandestini, e probabilmente illeciti, al fine di venire manipolati da chissà quali centri di potere per ignoti e perversi scopi, potrebbero avere terribili conseguenze.»

«Vede, signorina Greenberg», intervenne James Ryton, «le forze armate di tutto il mondo hanno fatto la corte ai mutanti fin da quanto abbiamo reso pubblica la nostra esistenza. Se l’immagina quanti servizi segreti potrebbero trarre beneficio dalle capacità dei nostri migliori chiarudenti? Quante situazioni di guerriglia potrebbero venire drasticamente alterate da interventi telecinetici? Attualmente i nostri talenti sono troppo inaffidabili per interessare davvero i militari. Ma un mutante con capacità potenziate desterebbe notevole interesse in un mucchio di governi… ci può scommettere. L’apparizione di una simile creatura potrebbe essere un fatto meraviglioso… o costituire un pericolo per l’intera umanità. Lei ha purtroppo avuto esperienza diretta di quanto violenta può essere la reazione di certi normali nei confronti dei mutanti convenzionali. Pensi con quale indignazione l’opinione pubblica accoglierebbe eventuali mutanti potenziati.»

«Be’, ma allora perché non vi rivolgete al governo federale esponendo le vostre preoccupazioni?»

«Avevamo sperato che l’indagine brasiliana potesse produrre risultati ufficiali da usare appunto come base per un dialogo in tal senso. Sfortunatamente, la morte di Eleanor Jacobsen ha distolto la nostra attenzione… e anche quella del governo.»

Andie annuì. «È vero. Passeranno degli anni prima che si decidano a riconsiderare il problema. Ormai è praticamente questione chiusa, in Congresso.»

«Anche se forse è una delle cause del delitto», soggiunse Skerry. «E ciò significa che non possiamo permetterci di attirare ulteriore attenzione su questa storia.» Sorbì un sorso di tè da una vecchia tazza di porcellana azzurra.

«Skerry ha ragione. Dobbiamo innanzitutto condurre un’indagine per conto nostro», convenne Halden. «Fra noi ci sono senza dubbio diversi individui in grado di occuparsene. Ad esempio il dottor Lagnin, in congedo sabbatico da Stanford. Christopher Ruschas, che dirige un laboratorio genetico a Berkeley. E altri. Col suo aiuto, signorina Greenberg, ci muoveremo sulla traccia dell’indagine governativa.»

«Contateci pure», disse Andie sorridendo.

«Skerry, potremmo aver bisogno anche di te.»

«Non lo so, Halden. Di solito preferisco agire da solo.»

Andie l’avrebbe preso volentieri a calci. Ma come, prima faceva in modo di coinvolgerli tutti e poi voleva tirarsene fuori?

«Bene, vedi allora se ti riesce una volta tanto, nell’interesse della causa, di superare la tua istintiva ripugnanza…» replicò Halden in tono sarcastico. «Ma se non te ne frega nulla, mi dici qui cosa ci sei venuto a fare?»

Skerry scrollò le spalle. «Sono venuto a vedere il mio vecchio al manicomio dei mutanti.»

Halden increspò le labbra. «Diavolo, era ora che ti decidessi a far visita a tuo padre!»

«Mah, per quel che ci guadagna… L’hanno talmente imbottito di porcherie che nemmeno si ricorda più il suo nome.»

«Fin quando non avremo trovato un sistema per curare le vampate mentali, i sedativi sono l’unico sistema per rendere sopportabile il dolore in fase terminale.»

«E l’eutanasia?»

Halden incrociò le braccia. «Basta così, stiamo andando fuori tema. Skerry, la tua presenza nel gruppo ci farebbe molto piacere. Se ti serve un po’ di tempo per decidere, non hai che da dirlo. Ma con te o senza di te, noi andremo avanti comunque.»

Andie seguiva, affascinata, lo svolgersi di quelle discussioni. Vampate mentali? Si ripromise di chiedere lumi a Skerry.

«Altra questione di primaria importanza è, naturalmente, l’indagine in corso sul delitto», dichiarò Halden. «Non sappiamo ancora né per conto di chi abbia agito l’omicida, né quale sia la vera causa della sua morte. Ed è già trascorsa più di una settimana dall’assassinio di Eleanor Jacobsen.»

«Halden, servirci di canali ufficiali per ottenere questo genere di informazioni non ci sta portando a nulla», osservò Michael Ryton. «Forse è giunto il momento di ricorrere a sistemi non ufficiali.»

«In pratica, cosa suggeriresti? Di scendere in piazza compatti a manifestare, esigendo da governo e polizia circostanziate spiegazioni?…»

«Perché no? Ti sembra forse meglio starcene zitti e buoni ad aspettare che ci ammazzino tutti i nostri rappresentanti?» Diversi membri del clan annuirono, e alcuni manifestarono a gran voce il loro assenso.

Andie volse in giro per la sala uno sguardo preoccupato. Con quell’umore che volgeva al peggio, aveva quasi l’impressione che tutti la guatassero furibondi.

«Michael, è la collera che ti fa parlare», ribatté Halden. «Capisco benissimo come ti senti, ma dobbiamo procedere con cautela. Condurremo senza dubbio una nostra indagine sulla morte di Eleanor Jacobsen. Per ora, comunque, propongo di discutere la candidatura del suo successore, visto che devo a breve scadenza conferire in proposito col governatore Akins.»

«E io propongo che la signorina Greenberg se ne vada ad aspettare di sopra», intervenne Zenora. «Quel che aveva da condividere era interessante, ma non credo che il resto del nostro incontro la riguardi in alcun modo.»

Andie trasalì. L’ostilità che grondava dalla voce di quella bruna, corpulenta, iraconda femmina mutante la faceva rabbrividire.

«Non avevo intenzione di intromettermi», disse. «Vogliate scusarmi.» E se ne andò su per le scale, chiudendosi la porta dietro.


«Zenora, quando imparerai a tenere un po’ a freno il tuo caratteraccio?» inquisì Halden in tono severo.

Lei puntò addosso a suo marito uno sguardo bellicoso. «Non c’è alcuna necessità che le normali che Skerry si porta a letto vengano a immischiarsi nelle nostre faccende private!»

Michael si sentì imbarazzato per sua zia. Non aveva mai visto Zenora in preda a una simile irritazione. Che incominciasse anche lei a soffrire di vampate mentali?…

«Dedichiamoci al problema della successione», suggerì James Ryton.

L’immagine di un uomo in abiti color marrone chiaro, gran massa folta e arruffata di capelli castani, sorriso beffardo e forte mascella quadrata, apparve nella mente di Michael. Aveva un’aria familiare.

«Questo è Stephen Jeffers», spiegò Halden. «Come forse ricorderete, fu in lizza contro Eleanor Jacobsen alle primarie per il Senato. Essendo stato sconfitto, si trasformò in un valido sostenitore della campagna elettorale della sua ex avversaria. Fa da dieci anni l’avvocato a Washington, ma ha conservato la residenza nell’Oregon. Ha lavorato con la senatrice Jacobsen in numerose occasioni. È serio, fidato, stimato anche dai normali.»

Mentre l’immagine svaniva, Michael ricordò di aver visto Jeffers in primavera, quando insieme a suo padre si era recato nell’ufficio di Eleanor Jacobsen. A lui pareva buona, come scelta.

«Sì, ci è capitato d’incontrarlo», disse James Ryton. «Politicamente com’è?»

«Aggressivo. Vuole far abrogare il Principio d’Imparzialità… Sebbene, ovviamente, abbia portato avanti anche alcuni dei programmi di conciliazione propugnati da Eleanor.»

«Sarebbe ora», intervenne Ren Miller. «Sono francamente stufo di tutti questi penosi tentennamenti. Secondo me dovremmo pretendere più rappresentanza. Più voce. Che diavolo ci sta a fare l’Unione mutante, se poi non ce ne serviamo?»

«E cosa mai ci vorresti dire, con questa voce?» Ryton era in piedi, ora, e fissava Miller con aria di sfida. Il robusto giovanotto gli restituì lo sguardo, sollevandosi dalla sedia e appoggiandosi sui nerboruti avambracci.

«Ne ho pieni i coglioni d’inchinarmi davanti a questi normali… a questi inferiori!» La voce di Miller rimbombò nella stanza.

«E quindi ci vorresti mettere tutti quanti in pericolo! Ma sei impazzito?» Anche Ryton, adesso, gridava.

«In alternativa che cosa ci rimane?» ribatté Miller. «Lasciare che ci ammazzino impunemente? E poi andargli per giunta a leccare i piedi, scongiurandoli se per favore, anzi, per carità, si degnano di far sapere qualcosina pure a noi disgraziati?»

Michael scattò su, pronto a recare aiuto a suo padre se per caso Miller l’avesse aggredito. Voci furibonde si gonfiavano tutt’intorno prendendo vigore dall’alterco, ma il ruggito di Halden risuonò ancora più forte.

«James! Ren! Fatela finita!» Il Custode del Libro balzò in piedi rovesciando a terra la propria sedia. Halden era uno dei più formidabili telepati dell’intero clan, e lo dimostrò una volta ancora proiettando una bordata di echi mentali a rimbalzare nei cervelli di tutti i presenti finché, nell’intera sala, non rimase un solo paio di occhi dorati che non fosse puntato su di lui.

«Ne abbiamo già ampiamente discusso altre volte», dichiarò in tono alquanto più calmo. «Non siamo abbastanza forti per poter avanzare pretese. L’unico risultato che otterremmo consisterebbe nell’alienarci gran parte dell’opinione pubblica senza in compenso ricavarne nulla. Qualche piccolo passo avanti l’abbiamo fatto, ma dobbiamo procedere con estrema cautela.»

Michael si rimise a sedere. Halden aveva ragione, pensò.

«Se non siamo neppure capaci di ragionare con calma fra di noi, non abbiamo alcun diritto di aspettarci ascolto, comprensione e collaborazione da parte di estranei», proseguì Halden volgendo attorno lo sguardo sull’assemblea ammutolita. «Trovo molto preoccupante questa crescente arroganza nei confronti dei normali. Voglio ricordarvi che siamo tutti esseri umani, ciascuno provvisto di sue peculiari capacità. Non mi stancherò mai di mettere in guardia contro i pericoli della presunzione.»

«Be’, in tal caso fareste meglio a non scegliere Jeffers», avvertì Skerry. «… A meno che non andiate in cerca di guai.»

Halden raddrizzò la sua sedia e ci si ripiazzò. «Perché dici così?»

«Perché Jeffers è più conservatore di quanto crediate.»

«Smettila di parlare per enigmi», intervenne James Ryton massaggiandosi la fronte.

Skerry posò la tazza sul tavolo. «Possibile che non disponiate di altri candidati? Ad esempio proprio tu, Halden?…»

Halden scosse la testa. «È un lavoro che non voglio e per il quale non sono portato.»

«Ma in effetti cosa ne sapete, di Stephen Jeffers?» domandò Skerry.

«Gode di buona reputazione. Negli ultimi tempi ha un poco disertato le riunioni di clan, però è comunemente ritenuto individuo diligente, cauto e responsabile.»

«Secondo me dovreste scegliere qualcuno meglio conosciuto e più collaudato. Personalmente non mi fido di lui.»

Ryton scostò la sua sedia dal tavolo. «Direi che provenendo da te è davvero un bel complimento.»

Skerry fece finta di nulla. «… E vi chiedo, se potete, di credermi sulla parola. Che ne dite?»

«Eppure lo sai che potremmo obbligarti a condividere con noi», minacciò Zenora in tono iroso.

«Violenza mentale? E con l’appoggio di quale esercito mutante?» li sfidò Skerry a voce alta, sprezzante. «Non dimenticare che sono uno dei più forti, qui. Sei proprio sicura di volermi mettere alla prova?»

Aveva davvero l’aria di essere pronto al combattimento. Michael rabbrividì. Skerry sarebbe stato un formidabile avversario.

«Ma no, che discorsi. Però devi ammettere che in effetti non ci stai fornendo informazioni molto sostanziose», intervenne Halden, lanciando a sua moglie un’occhiata caustica.

Skerry si voltò verso di lui. «Sono venuto qui per schiarirvi le idee circa la situazione in Brasile e per suggerirvi di votare contro Jeffers. Non ho alcuna accusa a suo carico. Però credo che vi stiate sbagliando sul suo conto.»

«Se tu partecipassi un po’ più spesso alle riunioni di clan, forse potremmo avere più fiducia nelle tue sensazioni», commentò Zenora.

«Lascia perdere», tagliò corto Skerry. «Lo sai benissimo che non voglio averci niente a che fare. E se solo riusciste a rendervi conto che vi sono più utile standomene per conto mio e rimanendo estraneo alla vostra piccola cerchia claustrofobica, allora capireste pure che ho ragione io, a proposito di Jeffers.»

«Skerry, non sei proprio in grado di fornirci alcuna prova?» insisté Michael.

«Nulla che possa risultarvi convincente.»

«Be’, è chiaro che non possiamo semplicemente operare sulla base della tua parola», disse Halden. «Cerca di essere ragionevole. Probabilmente ti sei fatto trasportare dall’emotività. Jeffers è un ottimo candidato.»

«È il nostro funerale, invece.» Skerry incrociò le braccia.

Al di sopra del tavolo si formò l’immagine di un gigantesco distintivo della fraternità mutante. D’improvviso ognuno dei bracci contornanti il dorato occhio centrale si sollevò, e ciascun pugno si serrò in gesto minaccioso. Le braccia si distesero, si allungarono, si protesero verso i membri del clan, per poi ripiegarsi con strane angolazioni. La distanza fra ciascun gomito e il rispettivo polso aumentò. I pugni scomparvero. Divenute assurdamente sottili, le braccia parvero far leva in aria su un invisibile piano di appoggio sollevando di scatto il disco centrale. Ed era un corpo, ora, non più un occhio. Il corpo di un gigantesco ragno dorato che sgattaiolava via con le mandibole schioccanti, in cerca di preda. Skerry sorrise. L’immagine scomparve.

Per un attimo nessuno parlò. Poi James Ryton sbatté la sua tazza sul tavolo.

«Ora basta, con questi stupidi giochetti di società!» esclamò. «A prescindere dall’opinione di Skerry, propongo di sostenere Stephen Jeffers e appoggiare la sua nomina.»

«Mi associo», disse Sue Li.

Halden chiese una votazione, e il risultato fu quasi unanimemente a favore di Jeffers, a parte l’astensione di Skerry.

«Mozione approvata», proclamò infine Halden. «L’Unione mutante centrorientale appoggia pertanto la candidatura di Stephen Jeffers.» Accanto al Custode del Libro, Zenora manovrava un piccolo terminale collegato in rete nazionale.

«Halden, anche la commissione di San Bernardino e il gruppo di Berkeley hanno scelto Jeffers. E così pure l’Alaska, le Hawaii e il Midwest.»

«Perfetto. Lunedì comunicherò l’esito della votazione al governatore Akins.»

Skerry si alzò. «Be’, io la mia buona volontà ce l’ho messa tutta.» Si avviò verso la porta e svanì. Michael si guardò attorno. L’assemblea pareva prossima alla conclusione. Decise di andare a cercare Andrea Greenberg.


«Quel collegamento telepatico non è stato affatto come l’avevo immaginato», disse Andie. Sorseggiava caffè da una tazza gialla godendosi l’aromatico tepore.

«E che cosa ti aspettavi?» replicò Michael sorridendo. «Che t’incatenassimo a un tavolaccio facendoti ballare a suon di scosse elettriche? Trasformandoti in una specie di zombie?»

«Ecco, non proprio. Comunque non credevo che sarebbe stato così… be’, diciamo pure piacevole. Quasi quasi vi invidio per esser capaci di collegarvi a quel modo.»

«In effetti è uno dei lati migliori del nascere mutanti.»

«E le vampate mentali sono uno dei peggiori?»

Michael annuì.

«Parlamene un po’.»

«Più che altro paiono colpire i mutanti maschi di una certa età. Mio padre comincia a soffrirne proprio in questo periodo.»

«Sono mortali?»

«Di per sé no. Ma non è affatto raro che al dolore e al rimbecillimento qualcuno preferisca il suicidio.»

Andie fece una smorfia. «Mica allegra, come prospettiva.»

«Non posso certo dire di attenderla con ansia.»

«E non c’è cura, a questo disturbo?»

Michael si strinse nelle spalle. «I nostri guaritori sono in grado di tenerlo sotto controllo, fino a un certo punto. Poi ci affidiamo alle droghe.»

«Come ti è parso il nostro ingresso trionfale?»

«Tipico di Skerry. Mio cugino è sempre stato un po’ stravagante. E a me piacciono sia lui sia il suo modo di fare.»

«Non sembra che gli anziani del clan condividano la tua opinione.»

«Vedi, loro sono piuttosto conservatori. Tradizionalisti. Troppo tradizionalisti.» Si accigliò.

«In che senso?» Parve ad Andie che sul volto di Michael aleggiasse un’espressione esasperata.

«Be’, nelle relazioni umane, per esempio. Io mi vedo con una ragazza, e siccome loro non approvano, debbo stare attentissimo a non incorrere in sanzioni disciplinari.»

«È una mutante?»

«No.»

«E cosa ti farebbero?»

«Mi ordinerebbero di scegliere fra troncare la relazione e venire espulso. Vogliono che sposi qualcuno all’interno del clan.»

Andie lo fissò sorpresa. «Matrimoni combinati? Veramente credevo che fossero fuori moda da tempo immemorabile.»

«Non nella stagione dei mutanti.»

«Come?»

«Oh, scusa, una battuta mia. Vedi, non ha importanza quel che succede nel mondo esterno. Qui dentro è sempre la stagione dei mutanti. E ciò significa che quel che importa è la tradizione.»

«E scommetto che una storia d’amore non consentita è sempre fuori stagione, vero?» Andie gli batté amichevolmente sulla spalla. «Non lasciarti scoraggiare. Michael.»

«Farò il possibile.» Sorrise. «Cambiando argomento, che te ne pare di Stephen Jeffers? È lui che abbiamo deciso di proporre in sostituzione di Eleanor Jacobsen.»

«Be’, mi sembrerebbe una buona scelta», rispose Andie. «A Eleanor piaceva di sicuro. Ricordo che lui le stava continuamente alle costole per sollecitarla a promuovere emendamenti legislativi in favore dei mutanti. Ma pensi che quelli del tuo clan riusciranno a convincere il governatore Akins a nominare Jeffers?»

Annuendo, Michael si appoggiò contro un ripiano della cucina. «Certo. Halden riesce ad essere molto persuasivo, quand’è il momento. E Akins sa che è indispensabile tener buoni in qualche modo i mutanti, se non vogliamo che abbiano a ripetersi le violenze del Novantacinque, quando nacque l’Unione mutante.»

«Dio, speriamo di no.»

«Se c’è qualcuno in grado di scongiurare una simile evenienza, è proprio Jeffers. Lavorerai anche tu per lui?»

«Ne dubito. Probabilmente vorrà tutto personale nuovo. E io ne approfitterò per prendermi un periodo di vacanza. Continuo a fare sogni orribili in cui rivivo di continuo la scena del delitto. Per tenerli a bada pensavo di sottopormi a un innesto ipnotico.»

«Nel caso continuassero, ti converrebbe magari provare a chiedere aiuto ai nostri guaritori.»

Andie sorrise. «Be’, se la loro terapia dovesse consistere in qualcosa tipo quella mente di gruppo che ho sperimentato, potrei anche prenderti in parola.» Diede un’occhiata all’orologio. «Cielo, com’è tardi! Bisogna che scappi, se non voglio perdere la navetta per Washington. Buona fortuna, Michael. Teniamoci in contatto.»

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