8 Previsioni

Il giorno seguente, Janine Gamboul convocò Kaufmann nel suo ufficio. Al posto dei suoi soliti abiti eleganti, indossava un semplice tailleur, ma egli notò all’istante che vi era qualcos’altro di mutato in lei; aveva assunto un’aria di dedizione e, nello stesso tempo, innaturalmente esaltata.

Non alzò gli occhi dalla scrivania, quando Kaufmann entrò, ed egli si fermò rigido ed attento a qualche distanza da lei.

Quando ebbe terminato di scrivere, la Gamboul gli dette un’occhiata fredda, senza invitarlo a sedersi.

«La situazione è perfettamente tranquilla,» disse in tono che non ammetteva replica, «le consiglio di informarne il suo reparto e di mandare un rapporto di quello che è successo. Spieghi loro che abbiamo il controllo della situazione, e che continueremo così.»

«E il colonnello Salim?» domandò il tedesco diffidente, «cosa dovrò dire di lui? Godeva di una certa considerazione, nell’ufficio di Vienna.»

Janine si strinse nelle spalle. «Dica loro i fatti. Che io… che gli hanno sparato perché si era messo in mezzo. Era un piccolo nazionalista; se avesse avuto il potere, avrebbe usato il calcolatore per i suoi stupidi, piccoli scopi. Saprà spiegare questo?»

Abbandonò l’argomento, e prese il foglio di carta sul quale stava scrivendo. «Questa mattina il presidente darà udienza al Consiglio. Povero ometto. È molto meravigliato e spaventato. Ma si è reso conto di dover collaborare. È perfettamente manovrabile, specialmente da quando Salim è stato trattato a dovere. Ci assicurerà la fedeltà di tutti quei vecchioni del governo. Lei sarà presente alla riunione per rappresentare la Intel. Io ho già abbozzato qualche proposta per quello che ci riguarda.» Gli porse il documento.

Kaufmann lo prese e lo lesse attentamente. Di tanto in tanto annuiva con aria soddisfatta. «Ho sempre fatto del mio meglio,» mormorò, «potrà contare su di me per il futuro.»

«Bene,» disse lei con un gesto di congedo, «adesso vada al palazzo e dia istruzioni al segretario del presidente.»

I membri del Consiglio erano seduti intorno al banco presidenziale: una dozzina di arabi anziani dall’aria fiera, nei loro abiti tradizionali. Fedeli alla loro razza, dissimulavano l’emozione che provavano mentre il presidente, con una specie di stanca dignità, forniva loro una versione accuratamente preparata di quanto era accaduto e li assicurava che avrebbe mantenuto di persona il controllo degli avvenimenti. Il traditore Salim, rimanendo inspiegata la ragione della sua morte, sarebbe stato sepolto senza gli onori militari; tutti gli ufficiali che avevano preso parte alla rivolta erano automaticamente sospesi ed avrebbero dovuto passare la corte marziale. Le truppe e tutti i funzionari civili del governo avrebbero obbedito solamente agli editti personali del presidente. Al momento giusto si sarebbero fatte delle elezioni, ma, nell’intervallo, il Parlamento attuale non si sarebbe più riunito.

Ad un cenno del presidente, queste decisioni furono tradotte dal suo segretario in inglese, per cortesia verso Kaufmann.

Un membro del Consiglio si alzò in piedi. «E verso chi sarà responsabile il presidente?» domandò, parlando espressamente inglese e fissando Kaufmann.

«Verso se stesso,» rispose Kaufmann tagliente.

Il presidente rimase impassibile, ed il membro del Consiglio sedette, borbottando nella barba.

«Signori,» disse Kaufmann, alzandosi orgogliosamente in piedi, «il presidente, e quindi il paese, possono contare su un proseguimento di aiuti in scala crescente da parte dell’impresa commerciale che io rappresento, la Intel. Perché possiamo continuare a migliorare le condizioni dell’Azaran senza interferenze, è desiderio dei miei superiori che questa nazione non rinnovi i rapporti diplomatici con le altre nazioni.»

Le parole vennero tradotte, causando un lungo mormorio tra i membri.

«Dovrebbe dire qualcosa di più del tipo di aiuti che avete l’intenzione di fornirci,» disse il presidente a disagio.

Kaufmann era raggiante. «L’impresa sta costruendo nuovi strumenti di difesa e di grande valore tecnico. Presto potremo usare un nuovo processo, perfezionato nei nostri laboratori dell’Azaran, che cambierà il deserto in una fertile terra di coltivazione.»

Attese fino a che il segretario non ebbe tradotto, e mentre un vecchio arabo sussurrava con aria agitata all’orecchio dell’interprete.

«Lo sceicco Azi ben Ardu desidera sapere di quale processo si tratta.»

«Consiste in una vaporizzazione,» disse Kaufmann brevemente, «ve lo mostreremo tra breve.»

Il membro del Consiglio che aveva fatto la domanda a proposito della responsabilità presidenziale guardò Kaufmann. «E per il vento che è giunto fuori stagione e soffia via tutta la nostra terra, cosa possono fare i vostri laboratori?»

Kaufmann non aveva preparato una risposta per questa domanda. Guardò il presidente, in cerca di aiuto.

«Cosa possono fare?» disse il presidente mitemente. «Il vento è un servitore di Allah. Non possiamo discuterlo.»

Fleming non si era mai fatto delle illusioni sulla propria situazione, sapeva di essere virtualmente prigioniero; ma in quel primo giorno del nuovo regime ne sentì veramente il peso. Non c’era nessun lavoro che avesse voglia di fare o fosse possibile convincerlo a fare, dal momento che sapeva di cosa si trattava. Non c’era nessuno con cui parlare; persino Abu era scomparso nell’edificio degli uffici, dopo una chiamata della Gamboul. C’erano guardie in ispezione dovunque. Prima di colazione, gli avevano impedito di raggiungere l’infermeria, dove giaceva André. Tutto quello che era riuscito a fare, era stato di insistere per parlare con l’infermiera, la quale era venuta fuori e gli aveva detto che la paziente era un poco peggiorata, ma stava dormendo.

Rimase per molto tempo seduto davanti ad una tarda colazione, ignorando il duro pane nero, la frutta e le olive che gli venivano sempre serviti, e bevendo invece molte tazze di denso caffè dolce.

Poi prese a passeggiare, dirigendosi verso il laboratorio della Dawnay. Le guardie lo guardarono sospettosamente, ma non gli impedirono di entrare nell’edificio. La Dawnay era curva su un tavolo del laboratorio. Lo salutò con aria molto assente, senza reagire affatto ai suoi discorsi preoccupati su André.

«Non possiamo fare nulla per lei,» mormorò. Fece una pausa, poi prese una grande provetta da una lunga fila disposta in una speciale rastrelliera.

«Mi piacerebbe che dessi un’occhiata qui, John,» disse. Fleming guardò la provetta che teneva in mano. Era piena di un fluido semitrasparente e grigiastro, che rimaneva attaccato al vetro quando lo agitava. Le altre provette sembravano contenere liquidi identici.

«Che cosa sono?» domandò Fleming.

«Campioni di acqua di mare che hanno raccolto per me.» Dette in una breve risata. «Devo ammettere che quelli della Intel sono efficienti. Non hanno voluto che andassi io a prendere i campioni, come volevo, ma hanno fatto molto di più di quanto non avessi chiesto. Questi non provengono soltanto dal Golfo Persico, che mi interessava, ma sono stati presi anche dal Mediterraneo, dall’Oceano Indiano e persino dall’Atlantico occidentale. E ci dovrebbero essere in arrivo, se è come credo, altre provette da paragonare, provenienti da altre zone.»

«E c’è qualcosa da paragonare?» domandò lui.

Madeleine scosse vigorosamente la provetta. Il fluido all’interno divenne completamente opaco.

«Vedi?» disse lei, «ecco, l’acqua normale del mare dovrebbe essere come questa. Noterai che è limpida.» Gli porse un altro campione.

Fleming prese qualcuna delle altre provette. Diventarono tutte opache, quando le scosse. «Sei sicura che Kaufmann non ti abbia imbrogliato, prendendole tutte dallo stesso posto?» sogghignò.

Lei scosse il capo. «Non è il tipo. Ha avuto gli ordini dalla Intel, non da me. Sai come è fatto. Se gli avessero detto di prendere l’acqua dell’Antartico, ci sarebbe andato. Ma, piuttosto, voglio farti vedere quello che succede quando questa acqua lattiginosa viene mischiata con quella normale.»

Prese una provetta pulita, vi versò un poco di normale acqua di mare, quindi vi aggiunse due gocce soltanto del fluido opaco. Le gocce lattiginose si dissolsero e sparirono. La Dawnay mise la provetta su di un sostegno, dietro il quale stava un piccolo riflettore.

«Adesso guarda,» disse.

Lentamente, l’acqua cominciò a formare una piccola zona lattiginosa sul fondo della provetta, poi la nuvola opaca si sparse, fino a che tutta l’acqua fu diventata densa come negli altri campioni.

«Mi domando come la prendono i pesci,» mormorò Fleming, «hai idea di cosa sia?»

«Un batterio,» disse lei, «vieni qui.»

Fleming la seguì ad un tavolo, dove ella accese una luce e mise a fuoco un microscopio. «Guarda questa goccia,» gli disse.

Fleming guardò nel microscopio e ne regolò il fuoco; quindi emise un lungo fischio. Un organismo globulare palpitava nella goccia; mentre lo stava ancora guardando, si gonfiò e si suddivise. Trenta secondi dopo, la divisione si ripeté. Fleming si raddrizzò, lasciando il microscopio. «Sai da dove venga?»

La Dawnay non rispose. Prese delle altre gocce da un recipiente, e le fece scivolare sotto un altro microscopio. «Questa qui è morta. Non appartiene a nessun gruppo di batteri che io conosca. È un organismo molto semplice, come potrai vedere, se guarderai questa, che io ho segnato. Non sembra aver altre proprietà se non quella, rimarchevole, di riprodursi in modo fantastico. Se non fosse stata chiusa in una provetta…» esitò, «se avesse avuto l’intero oceano nel quale crescere…» si fermò di nuovo.

Fleming tornò al tavolo dei campioni, guardando pensosamente le provette con i loro cartellini ordinati. «Le zone segnate su questi campioni,» disse, «coincidono abbastanza con quelle delle quali la radio continua a parlare nei bollettini meteorologici… con tempeste, burrasche e così via.»

«Sì,» Madeleine annuì, «e una di queste la conosciamo molto bene; un bel miscuglio di elementi scatenati.»

Alzò una provetta denominata «Minch» con aria esitante, come se la temesse. «Il canale tra la Scozia e le Ebridi.»

«Con Thorness sul lato est,» finì Fleming per lei. «E con ciò?»

«Deve essere pur cominciato da qualche parte,» disse Madeleine, «e nelle zone d’origine dovrebbe esserci una maggiore densità di batteri, che non in quelle infestate da poco tempo.»

Fleming la fissò. «Non hai abbastanza prove per poter dire che questa del Minch…»

La Dawnay scosse il capo. «No. Tutti questi campioni erano già infestati al massimo, quando li ho avuti. Non si può dire quale sia stata la percentuale dei batteri quando sono stati tratti dal mare. Per fare un vero controllo, dovrei riuscire a conoscere con esattezza e precisione l’occhio di un uragano, e poi prelevare dei campioni d’acqua immediatamente nella stessa zona di mare. Potrebbe forse venirne fuori una relazione tra queste bestioline ed il cattivo tempo.»

«O forse potrebbe anche non venirne fuori,» disse lui, con giovialità mal simulata. «Stammi a sentire, Madeleine; non dobbiamo diventare troppo immaginosi o morbosi su tutto questo. Raccogliere i dati, isolare i fatti, trarre le conseguenze, questa è la prassi. E, prigionieri come siamo qui, non possiamo fare molto; per quanto, mi pare di aver capito che saresti in grado di fare un’analisi della struttura dei batteri. Ma è abbastanza ovvio, dal brillante modo nel quale ti hanno procurato tutti questi oceani, che la Intel ha qualche idea nella stessa direzione delle tue… e cioè che il tempo è innaturalmente sconvolto. Quello che penso è che tu puoi chiedere tutti i campioni che vuoi, da qui a Timbuctù, o dovunque ci sia un lembo di mare, ed il nostro Kaufmann, pieno di risorse com’è, vi spedirebbe i suoi inservienti con i loro secchielli e le bottiglie per raccoglierne. Tutto quello che puoi fare, per mettere un poco di ordine e di buon senso nella scelta delle fonti che ti servono, è di incollare le orecchie alla radio, quando trasmette i bollettini meteorologici.»

Si accordarono quindi perché uno dei due fosse sempre in ascolto ad ogni bollettino o rapporto sul tempo, e prendesse nota delle zone menzionate.

Le informazioni non furono davvero scarse. Il notiziario di mezzogiorno dava la precedenza alle notizie sul tempo. I primi uragani abbattutisi sulla Gran Bretagna avevano causato morti e distruzioni in grande quantità, da Penzance a Wick. Le linee elettriche erano interrotte a causa dei pali caduti. Intere zone del Lancashire e della East Anglia erano inondate. Il Ministero dell’Aeronautica non nutriva speranze di miglioramento. La pressione barometrica rimaneva la più bassa registrata fuori delle zone tropicali.

Fleming e la Dawnay ascoltarono il notiziario insieme. Non ebbero bisogno di scriverne i dettagli, né voglia di discuterli. Ma, quando una tempestosa folata di vento arrivò improvvisa dal deserto, sollevando piccole spirali di sabbia, accompagnata dai tonfi delle porte che battevano e delle finestre che si chiudevano, entrambi ebbero il lugubre presentimento che stesse accadendo qualcosa di sinistro, più grave di quanto non avesse detto la voce della radio. Il vento era caldo ed asciutto, ma la Dawnay non poté fare a meno di rabbrividire, quando ne fu investita.

Fleming, alla ricerca di altre notizie, girò il bottone della radio sull’ululato delle onde corte. Parole, musica, ancora parole arrivavano e sparivano — senza significato per le orecchie occidentali. Finalmente trovò quello che stava cercando: la voce dell’America.

Un disco rumoroso di jazz terminò con fracasso, poi l’annunciatore fece sentire la sua voce, dicendo il nome della stazione. Le notizie che seguirono non avevano significato politico. Come a Londra, ideologie e sventolamento di bandiere erano spariti. Il notiziario riguardava unicamente il tempo.

«Il Weather Bureau degli Stati Uniti,» disse l’annunciatore, «ha preannunciato per oggi altri uragani in movimento verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Si ritiene che siano della stessa violenza di quelli che hanno devastato l’Europa occidentale durante la scorsa notte. Gli scienziati americani parlano di un cambiamento del clima mondiale, paragonabile a quello avvenuto all’inizio dell’età dei ghiacci…»

Fleming spense la radio. La Dawnay si alzò in piedi. «Sarò in laboratorio, se ti viene qualche idea,» disse.

Più o meno deliberatamente, per un paio di giorni si evitarono. Si sentivano entrambi del tutto impotenti, ma continuavano ad ascoltare meticolosamente ogni notiziario, annotando le zone in cui le tempeste erano più violente.

I resoconti sulla forza dei venti erano la guida migliore. La terza mattina, dopo che il bollettino dell’alba ebbe segnalato altre devastazioni in Inghilterra, in Olanda, in Francia ed in Spagna, Fleming tornò al laboratorio della Dawnay. Fu molto impressionato da quello che Madeleine stava facendo. Un lato del laboratorio era stato sgomberato di tutto. L’intera carta geografica dell’emisfero settentrionale pendeva da una parete. Spilli con la cima colorata vi erano stati appuntati, più fitti in una fascia che andava da Gibilterra alle Orcadi, con una specie di grande grappolo in direzione est, rispetto alle Ebridi.

«Salve, John,» lo salutò Madeleine, «vedi che una specie di forma sta venendo fuori benissimo. E non è tutto.» Lo condusse ad un banco lungo la parete, dove parecchie dozzine di provette erano disposte in una lunga fila.

«Kaufmann non ha avuto il tempo di raccogliere tutti i campioni che gli avevo chiesto, naturalmente, ma ne sono arrivati altri dieci ieri notte, molto tardi. Da zone di alto mare vicino all’Inghilterra. Gli ho detto che tutti i campioni dovevano essere bolliti appena possibile, subito dopo essere stati raccolti; questo batterio muore a 100 gradi Fahrenheit. Così non c’è il pericolo che i batteri aumentino lungo la strada.»

Indicò col dito una delle provette. «Questo è il più fitto, viene da Obanshire. La prova non è definitiva, s’intende, ma credo che possiamo accettarla. Ho fatto in modo che André venga portata qui stamattina.»

Fleming sussultò. «Ma è malata,» protestò, «non può aiutare.»

«È malata e fra poco lo sarà ancora di più,» rispose la Dawnay, «quindi la dobbiamo vedere al più presto. Per favore, John, sai che non sono insensibile… ma André deve aiutarci, e io credo che possa farlo.»

Fleming sospirò. «Sei tu il capo; ma la cosa non mi piace.»

Un’infermiera entrò nel laboratorio spingendo una sedia a rotelle, sulla quale stava la ragazza. Fleming tentò un sorriso di benvenuto, mentre le prendeva le mani. Non fu facile; aveva un aspetto disperatamente fragile, con gli occhi enormi nella faccia pallida e tirata.

Fu spaventato nel vedere quanto era andata giù da quando l’aveva vista per l’ultima volta.

L’infermiera la sistemò, quindi la Dawnay cominciò a spiegarle la situazione, mostrandole le provette e facendole notare il fatto che la più densa proveniva dal Minch.

«Che cos’è il Minch?» chiese André.

«Il canale vicino a Thorness, dove tutto ciò ha avuto inizio,» rispose duramente la Dawnay.

«Non è possibile, non ha senso. Non ha nulla a che fare con il messaggio.» Guardò dalla Dawnay a Fleming, meravigliata e dubbiosa. «Il messaggio aveva un piano diverso.»

La Dawnay sbuffò. «Non vi sarà alcun piano diverso, se questa cosa ci bloccherà. Pensaci, ragazza mia!»

«Ma non c’è nulla di tutto ciò, nel calcolatore,» insistette André.

Fleming fece un passo avanti. «Non ora, forse,» disse pensosamente, «ma c’è qualcosa di vagamente familiare in questa bestia. Sono sicuro che c’è. Quanto sei andata avanti con le tue analisi, Madeleine?»

La Dawnay non rispose, ma andò verso la scrivania e prese una cartella. «Tutto quello che ho fatto è stato registrato col sistema binario. Può essere utile?» domandò.

Fleming prese le carte, andò verso la finestra, e si sedette sul davanzale a studiare le cifre. Quindi depose la cartella da una parte. «Conferma il mio presentimento, la mia memoria, o quello che è. È tremendamente simile a qualcosa che conosco già.»

«Allora può essere qualcosa che hai cominciato,» interruppe André.

Egli la guardò sorpreso. «Che ho cominciato?»

«A Thorness. Ecco perché questa macchina non ce l’ha nella memoria.» Fece una pausa, poi si appoggiò all’indietro, come cercando di raccogliere le sue forze. «Quante volte hai tentato di distruggere l’altro calcolatore, prima di riuscirci?» domandò.

«Parecchie.»

«Dopo una di quelle volte, il calcolatore decise di vendicarsi. Con questo batterio.» Gli occhi di lei erano divenuti freddi ed ostili, e dettero a Fleming una sensazione di disperazione. «Avete una grande forza che è stata mandata per aiutarvi e la volgete contro di voi. Non mi ascolterete. Non ascolterete nessuno. Condannerete l’intera vostra razza per non voler accettare. Non c’è niente che possiate fare. Sarete distrutti.»

C’era una specie di rassegnazione disumana, nel tono di lei. Fleming si volse e andò verso la porta. Era avvilito fino al fondo dell’anima.

Per un giorno o due, dopo di ciò, evitò di incontrare chiunque. La Intel aveva messo a disposizione dei suoi internati una biblioteca di prim’ordine, arricchita anche dagli abbonamenti dei maggiori giornali tecnici del mondo. Lesse in modo disordinato, con la mente che registrava a difficoltà le informazioni. I numeri dei giornali erano tutti vecchi; la difficoltà delle comunicazioni, da quando il maltempo era aumentato, aveva interrotto tutti i rifornimenti che non fossero essenziali, malgrado che alcuni trasporti della Intel unissero ancora l’Azaran all’Europa.

Di nuovo, Fleming udì il brontolio del calcolatore, e capì che la cosa aveva costretto André ad andarvi, senza dubbio per ordine della Gamboul. Poteva immaginare perché stesse lavorando la macchina: gli antimissili che erano stati il suo primo trionfo a Thorness. C’era una terribile sensazione, l’impressione di una penetrazione sconosciuta, in tutta questa storia. Si domandò per un attimo in che modo venissero usate le formule, una volta che aveva emesso le equazioni. Senza una giusta interpretazione, erano un gergo incomprensibile persino per un abile ingegnere elettronico. Ma, naturalmente, c’era Abu Zeki. Fleming era stato subito dell’opinione che egli fosse bravo come qualsiasi presuntuoso ben pagato di un paese qualunque; quindi non era sorprendente. Gli arabi erano stati quelli che avevano inventato l’intera base della matematica, come la moderna civiltà la conosceva.

Fleming rifletté molto su Abu; non su Abu come prodotto di prim’ordine di un’era tecnologica, ma su Abu uomo. Egli era naturalmente onesto, di animo gentile, e fornito di immaginazione. Il suo patriottismo era fiero e nazionalistico, ma il giovane non lasciava che le emozioni sopraffacessero completamente la sua ragione.

Fleming balzò dal letto, sul quale era rimasto buttato, avendo preso una decisione. Alzò il telefono interno. In una battaglia quasi persa, avere un alleato era meglio di niente. Avrebbe chiesto ad Abu di trovare del tempo per parlare a lungo, senza interruzioni.

Il centralinista gli disse che il professor Abu Zeki era nell’edificio del calcolatore. Fleming non aveva alcuna voglia di andarvi, a vedere André che lentamente moriva, mentre la macchina le succhiava via quel resto di vita. Chiese quindi che gli fosse passato Zeki al telefono, incurante del fatto che probabilmente la telefonata sarebbe stata registrata.

«Salve, Abu. Sono Fleming. Mi domandavo, visto che siamo vicini alla fine della settimana, se non avremmo potuto fare due chiacchiere. Crede che potrei conoscere la sua famiglia? Temo solo che la mia guardia personale dovrebbe venire con me.»

«Ma certo, professor Fleming; sarò onorato di riceverla.» La voce di Abu era guardinga. «Sarà una buona cosa per lei incontrare qualche persona comune di questo paese. La mia casa è molto semplice, temo, ma lei sarà il benvenuto. Anzi, la prego, rimanga da me per la notte.»

Presero un appuntamento per partire insieme il sabato a mezzogiorno, quando Abu sarebbe stato libero dal lavoro fino al lunedì seguente. Fleming telefonò appositamente all’ufficio di Kaufmann per chiedere il permesso di fare una visita di convenienza. Il tedesco era fuori, ma una segretaria segnò la richiesta. Il lasciapassare fu portato a Fleming in serata. Nessuno ne chiese il motivo.

Abu era l’orgoglioso possessore di una piccola macchina italiana, e la sua casa si trovava a soli trenta chilometri dalla stazione della Intel. Ma, come spiegò mentre correvano sulla carrozzabile lungo l’aeroporto, il contratto lo obbligava a vivere sempre al campo, ad eccezione dei giorni di vacanza.

«A mia moglie questo non piace, ma c’è sua madre con lei,» continuò Abu, «e con il bambino a cui badare, il sabato arriva presto.»

Fleming pensò che la conversazione si stava svolgendo come se si fossero trovati a Surbiton, nel Surrey, o a White Plains, nello stato di New York. Ma le somiglianze finirono presto.

La strada si trasformò prima in un largo sentiero di pietre lisce e quindi in un viottolo di sabbia poco più largo del normale. Abu rallentò un poco, la piccola macchina faticava sotto l’inconsueto peso di tre uomini. La guardia, seduta sul sedile d’emergenza, dietro agli altri, imprecava in arabo per le scosse, e tuttavia sembrava contenta di essere fuori dal campo, anche se il vento continuava ad avvolgere l’automobile in fastidiosi turbini di sabbia.

Il sentiero cominciò a salire gradualmente. Il terreno era divenuto più sassoso. Davanti a loro, la fila delle basse montagne, in realtà colline rocciose, si faceva più precisa, malgrado le intermittenti tempeste di sabbia. Quelle rocce Fleming le aveva sempre guardate, a causa dei loro affascinanti colori, continuamente cangianti attraverso le diverse ore del giorno. Al mattino presto erano rosa e divenivano bianche quando il sole era più alto. A mezzogiorno apparivano velate da caldi vapori; di sera torreggiavano nere e tenebrose.

Abu si diresse verso un piccolo gruppo di fabbricati rettangolari, dal tetto piatto, costruiti su di un piccolo altopiano, immediatamente sotto ad un crepaccio della roccia.

«Quello è il mio villaggio,» disse, «o, almeno, quello dove ho fatto la mia casa. Gli uomini hanno vissuto in questo luogo molti anni prima del vostro Cristo. Guardi!»

Fleming seguì la direzione dello sguardo di Abu. La superficie di roccia portava le tracce di enormi bassorilievi: animali stilizzati e file serrate di guerrieri barbuti. Nessuna di queste sculture era rimasta intatta; da secoli ne cadevano pezzi di pietra frantumata.

«Persiani,» spiegò Abu. «Molti anni fa sono venuti degli archeologi inglesi e poco tempo fa degli americani. Naturalmente ormai se ne sono andati tutti. La cosa alla quale si interessavano veramente era il tempio. Lo vedrà quando avremo girato dietro la prossima curva.»

Rimpicciolito dalle alte pareti di roccia, il tempio era soltanto una rovina, pochi pilastri in mezzo ad un ammasso di sassi. Abu disse che i pilastri erano romani, ma che il posto conservava i resti di parecchie civiltà e religioni — assire, persiane, e qualche tavoletta di origine egiziana. «Come saprà, l’Azaran è stato vassallo di molti imperi. Ma ora non più!»

Girò la macchina, uscendo dal sentiero, e scendendo a sobbalzi per un viottolo da muli. Sua moglie stava già sulla porta della minuscola casa. Era una ragazza graziosa, poco più che una fanciulla. Pur indossando il costume arabo, non portava il velo.

Abbassò gli occhi quando Abu le presentò Fleming, ma il suo benvenuto fu caloroso ed espresso in un inglese perfetto. «Lemka è andata all’università del Cairo con le prime studentesse del piano del colonnello Nasser,» disse Abu orgoglioso.

«Avrà caldo,» disse Lemka a Fleming, «la prego, venga dentro, al riparo da questo vento terribile. È più fresco. Forse gradirà un bicchiere del nostro vino.» Dette un’occhiata alla macchina e vide il soldato, semisdraiato dal lato dell’ombra.

«Cosa fa lì quell’uomo?» domandò, afferrando il braccio del marito. «Sei forse sotto sorveglianza, ora?»

«È una scorta per il professor Fleming,» disse Abu, ma ella non parve soddisfatta.

«Ci sono molti guai in città?» domandò ancora. «La radio dice così poco. Soltanto che il colpo di stato è finito, e che siamo di nuovo in pace. È così?»

«Sì,» disse Abu, «tutto è di nuovo normale. Ora portaci qualcosa da bere, e prepara il pranzo. Ho detto al mio amico che gli avrei fatto mangiare quello che gli inglesi chiamano pot luck.»

Lemka andò nella piccola cucina attraverso un’apertura nascosta da una tenda.

«Mia moglie è cristiana,» disse Abu, «è per questo che non porta il velo, come la maggior parte delle mogli arabe.»

«Ma lei è mussulmano, vero? Il suo è un nome mussulmano.»

«Io sono uno scienziato,» ribatté Abu, «e sono anche un nazionalista.»

Fleming si accomodò meglio sul basso sgabello senza schienale. «E io sono per l’intera razza umana, più o meno. Mi ascolti, Abu. Lei non mi ha creduto a proposito del calcolatore, vero? Bene, mi creda almeno a proposito della ragazza.»

Lemka rientrò con una caraffa di vino e dei bicchieri. Ne versò un poco e porse il bicchiere a Fleming. Il vino era dolce e leggero, ma rinfrescante.

«È una combinazione piuttosto semplice,» cominciò Fleming, noncurante del fatto che Lemka ascoltasse. «La Intel ha costruito il calcolatore ed ha impiegato lei perché lo renda operativo. Come sa, dopo che Neilson se ne fu andato non funzionava, così hanno rapito me ed io ho portato la ragazza. Lo scopo della Intel era di conquistare un vantaggio tecnico su tutti gli altri competitori, ed una base ben protetta dalla quale operare. Ecco il perché del missile al quale sta lavorando. Il vostro presidente era d’accordo su tutto. Questo ha favorito l’intelligenza che era dietro il calcolatore. Ma non ha favorito Salim. Era un uomo intelligente ed ambizioso. Voleva il controllo assoluto di tutte le operazioni.»

«Era un patriota,» disse Abu con tono di sfida.

Fleming si strinse nelle spalle. «Non era comunque uomo da tenere un ruolo secondario e sottoposto ad un’altra influenza. Andromeda lo sapeva, o, almeno, lo seppe dal calcolatore, che era in grado di prevedere una simile eventualità. Così André prese una decisione: mettere di fatto tutto il potere nelle mani della Intel. Il messaggio, o parte di esso, fu mostrato al nostro affascinante capo, ed il significato le fu spiegato da André la notte che rimasero sole al calcolatore.»

«E questo la poteva influenzare?» Abu era pieno di dubbio.

«Influenzarla?» replicò Fleming. «Ossessionarla completamente. Fece uccidere Salim, o forse gli sparò lei stessa. È come un neofita che ha una visione. L’ha resa fanatica.»

«Come san Paolo?»

Entrambi gli uomini sussultarono; avevano dimenticato Lemka. «Ma può essere messa in parole, una visione?» domandò ancora.

«San Paolo c’è riuscito,» disse Fleming.

«L’ha soltanto descritta nella vostra Bibbia,» disse Abu. «Non avrebbe potuto trasmetterla come veramente era stata per lui.»

«Ha ragione,» disse Fleming, «non si possono trasmettere simili cose; però si possono imporre. Questa era infatti l’intenzione del calcolatore, poi di Andromeda, ed ora della Gamboul. Ne potrei anche descrivere le conseguenze. Quanto a me, ho dato un’occhiata a quella descrizione.»

Abu esaminava pensosamente il proprio bicchiere vuoto. «Lei crede a quanto ha detto? In che modo descriverebbe questa visione?»

«Dice che l’umanità avanza su di una lunga strada, e che forse è troppo lunga. Potrebbe succederci di distruggere noi stessi, prima di muovere il prossimo passo.»

«Ma se possiamo avere l’aiuto di un’intelligenza superiore ed evitare l’errore,» protestò Abu.

«Sarebbe la stretta di mano della morte. L’amico che sa meglio di te quello che è bene per te.» Fleming puntò un dito verso la piccola finestra, sul panorama del deserto che avevano attraversato con la macchina.

«Lei avrà sentito parlare della pax romana,» disse, «la calma della desolazione lasciata dalle legioni romane, dopo aver forzato i barbari ad accettare la loro idea del diritto. Questo è il genere di’ pace per cui lavoriamo, Abu, amico mio. Personalmente, preferirei che ci aprissimo la strada attraverso errori, ma da soli.»

«Distruggendoci?»

«No!» gridò Fleming, «se qualcosa ci distruggerà, sarà una cosa mandata da fuori. Attraverso il calcolatore.»

«Non ne ha le prove,» disse Abu ostinato.

Lemka guardò prima uno poi l’altro. «Dovresti capire quando un uomo è nel giusto ed aiutarlo,» disse al marito.

Abu la fissò, ma Lemka sostenne lo sguardo, e lentamente egli sorrise. Goffamente, fece scivolare una mano tra quelle di lei. «Ci proverò,» disse piano. Si volse a Fleming. «Lunedì, cercherò di avere un colloquio con Mam’selle Gamboul.»

Fleming lo ringraziò, domandandosi dubbioso se questa piccola manovra priva di importanza avrebbe portato qualche differenza. Si scosse con un certo sforzo. «Bene,» disse, «penseremo alle cose da dire, le cose che possono fare appello alla sua coscienza, se ne ha una. Ma tutto questo non è gentile verso sua moglie. Dopotutto, siamo in vacanza.»

L’amicizia dei due uomini crebbe e divenne più calda, durante le poche ore che passarono lontani dalla tensione del campo. La domenica mattina, Abu portò Fleming ad esplorare le rovine del tempio. Dovettero abbreviare la passeggiata, perché il vento era diventato molto più forte del giorno prima, e faceva precipitare piccole ma pericolose cascate di sassi e di roccia dallo strapiombo alle spalle del tempio. Fleming spiegò ad Abu la teoria della Dawnay sull’origine di quel tempo anormale. Abu poteva accettare questa tesi, perché aveva già visto qualche risultato dei calcoli della macchina sui batteri del mare. Promise che avrebbe cercato di spiegarlo alla Gamboul.

Il lunedì seguente, i due uomini e la guardia tornarono al campo partendo all’alba, avendo ormai imparato che il sorgere del sole ed il suo tramonto erano gli unici momenti in cui il vento si calmava. Mentre scendevano a zigzag dal fianco della montagna verso il piano, udirono un boato lontano, e videro una fiammata salire improvvisamente verso il cielo.


Abu chiese un colloquio con la Gamboul appena rientrato in servizio. Gli fu detto di andare al fabbricato degli uffici alle undici precise. La Gamboul lo salutò quasi con effusione. «Bene, dottor Zeki,» disse, «lei è il primo a sapere che stamani abbiamo collaudato il prototipo del missile. È stato un completo successo. Adesso siamo alla pari con la Gran Bretagna, in questo campo.» Sorrise piena di aspettativa. «E lei ha altre buone notizie da darci?»

«Sì, Mam’selle,» rispose Abu, «ma desidero chiederle il permesso di parlarle d’altro.»

«Che cosa vuole?» domandò la Gamboul, mentre la sua cordialità svaniva, subito sostituita dal sospetto.

«Vengo per conto del professor Fleming. Egli è convinto che le condizioni del tempo in Europa ed in America, e persino qui, nascano in qualche modo dal calcolatore. Dal messaggio.» Si fermò, momentaneamente intimidito dallo sguardo di implacabile ostilità con cui ella lo stava fissando.

«Il professor Fleming vorrebbe che fosse concesso alla professoressa Dawnay il permesso di mettersi in contatto con l’International Weather Bureau.»

«No!» la Gamboul batté il pugno sul tavolo come un uomo. «Quello che dice non ha senso.»

«Ma se il messaggio…»

«Io conosco il messaggio! Quello che ci dice di fare è perfettamente chiaro. E il tempo non fa parte della missione della quale il messaggio ci ha incaricato.»

Abu vacillò un attimo. «Se lei volesse soltanto vedere il professor Fleming…» cominciò.

Janine gli rispose quasi urlando. «Non mi interessa! Fleming non ha nulla da dirmi che mi interessi. Ha capito?»

Abu si ritrasse fino alla porta.

«Grazie, Mam’selle,» mormorò.

Quando la porta si fu richiusa, la Gamboul si chinò sul citofono davanti a sé. Il bottone rosso era già stato premuto.

«Herr Kaufmann,» sussurrò, «ha sentito quello che Zeki aveva da dirmi? Bene! Lo faccia sorvegliare ininterrottamente.»

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