I segretari del Palazzo delle Nazioni, a Ginevra, notavano tra loro che non c’era stata, da molti anni a questa parte, un’altra conferenza internazionale che fosse andata avanti liscia come quella. I russi annuivano cordialmente, quando i loro interpreti ripetevano le opinioni più convinte del delegato americano. Persino i francesi incoraggiavano ogni sforzo a collaborare. Tutto l’insieme, infatti, risultava piuttosto noioso.
La ragione di tutto ciò era che la discussione verteva sul tempo. Tutti si trovavano d’accordo sul fatto che il tempo era innegabilmente cattivo. Considerato che le tempeste infuriavano in modo indiscriminato da est ad ovest, ed una quantità anormale di pioggia ininterrotta continuava a cadere su tutto l’emisfero settentrionale, nessun nazionalista di buonsenso era riuscito a trovare una scusa per prendersela con il vicino.
Un piccolo numero di nazioni, abbastanza dotate di sufficiente immaginazione per credere che il controllo del clima non fosse troppo lontano dalle possibilità reali, aveva mandato a Ginevra scienziati e meteorologi, nella speranza di trovare qualche accordo sui metodi e sulle applicazioni pratiche, prima che venissero messi in atto casualmente degli esperimenti. L’Inghilterra era una di quelle nazioni. Questa era la ragione per la quale il ministro della Scienza vi aveva spedito Osborne come delegato ex officio.
E Osborne vi era andato, ma con la mente distratta. A dispetto di tutti i dispacci tra dipartimento e dipartimento, che erano stati fatti circolare per attirare l’attenzione sugli strani fenomeni meteorologici privi di precedenti, questa conferenza sul tempo aveva l’aria di presentare soltanto qualche interesse accademico — una di quelle attività delle Nazioni Unite, che fanno felice tanta gente, senza far male a nessuno. Osborne si domandava anche se questo viaggio non fosse stato deciso, per caso, quale azione preliminare per trasferirlo in un dipartimento innocuo come quello meteorologico, come conseguenza dei sospetti che erano rimasti di una sua complicità nell’affare Thorness.
Il ministro era stato pieno di comprensione a proposito dell’intera faccenda. Funzionari addetti alla sicurezza stavano ancora interrogando il personale, e l’assistente di Osborne sembrava diventare sempre più nervoso e spaurito. Osborne aveva acutamente insistito sul fatto che, qualora tutti e due si fossero attenuti alla versione secondo la quale l’assistente lo avrebbe accompagnato a Thorness in quella notte di crisi, tutto sarebbe andato bene. Era più che normale, per un funzionario importante, essere accompagnato dal proprio segretario privato. Molto a malincuore, l’assistente aveva infine accettato di tenersi a questa versione dei fatti. Osborne, però, sospettava che una vera pressione da parte dei poliziotti, o il semplice sistema di far parlare il giovanotto sotto giuramento, gli avrebbero strappato la verità. Questa era la ragione per la quale avrebbe preferito rimanere a Whitehall, a controllare che la risoluzione del suo assistente non venisse meno, e a dargli un certo sostegno morale.
Ma, una volta a Ginevra, decise di prendere la cosa nel miglior modo possibile. Qualunque fosse il disastro che il maltempo stava provocando altrove, per le Alpi significava soltanto una quantità maggiore di neve. Le fitte nevicate notturne erano seguite da scintillanti giornate di sole, con regolarità da orologio. Il lago appariva di un colore azzurro-ghiaccio, nella luminosità dell’aria; la famosa fontana zampillava alta nel cielo, rompendo le sue spume in un arcobaleno di colori. Le strade pulite, sgombrate dalla neve, erano movimentate dai delegati e dalle loro famiglie, tutti occupati a divertirsi, tra una sessione e l’altra.
Quando guardava dalle alte finestre del caffè, nell’attico del palazzo, questa scena gradevole, rimpiangeva amaramente il tempo passato nella sala delle conferenze chiusa e troppo riscaldata. Tuttavia, la lettura del professor Neilson non era stata priva di interesse. Questi americani andavano proprio fino in fondo, quando c’era da risolvere una questione.
Osborne se ne era andato prima che cominciasse la discussione, con i suoi inevitabili interrogativi senza scopo, che in realtà erano affermazioni. Stava pigramente guardando il proprio caffè mentre cadeva a gocce attraverso il filtro, quando una donna si avvicinò al suo tavolo. Non era più giovane, ma aveva un aspetto gradevole ed intelligente.
«Il signor Osborne?» L’accento era americano.
Osborne si alzò in piedi. «Sì,» rispose, «ma credo di non…» La donna sorrise. «Sono la moglie del professor Neilson.» Si dettero la mano, ed Osborne prese un’altra sedia. La signora sedette.
«Temo che abbia perso la lettura di suo marito,» cominciò lui, «ha appena finito di parlare. Tutti erano molto impressionati. Uscirà subito, la discussione dovrebbe essere quasi finita.»
Essa non sembrò accorgersi di quello che stava dicendo. «Signor Osborne,» disse tranquillamente. «Credo che mio marito voglia parlarle; ma non della conferenza.» Lanciò uno sguardo verso la porta, oltre la quale una folla di delegati si stava muovendo nel foyer. «Se potesse aspettare fino a che arrivi… preferirei che le dicesse lui stesso di cosa si tratta.»
«Naturalmente,» rispose Osborne, «intanto posso offrirle qualcosa?»
Annuì. «Del caffè, per favore.»
Quando Neilson arrivò, si guardò intorno attentamente, poi si sedette, rivolgendosi ad Osborne senza alcun preambolo.
«Suppongo che mia moglie abbia lasciato a me il compito di parlare. E io ho assolutamente bisogno di parlare. Verrò subito al punto. Cosa sa di un’organizzazione internazionale chiamata Intel?»
Osborne prese tempo per decidere cosa rispondere. «Che si tratta di un grande consorzio affaristico internazionale; molto grande.»
«Certo,» disse Neilson, «molto grande. Il problema è: ha anche una buona reputazione?»
«Non lo so, veramente,» dise cauto Osborne.
«Signor Osborne,» intervenne la signora Neilson, «questa mattina abbiamo ricevuto un cablo da nostro figlio. Non lo vediamo da due anni. Il cablo diceva soltanto: ’Vi incontrerò al caffè Nicole di Ginevra, una sera di questa settimana, Intel permettendo.’ Questo è il primo indizio che abbiamo che sia almeno vivo, dal Natale di due anni fa.»
«Ma sapevate più o meno dove fosse e cosa stesse facendo?» suggerì Osborne.
Neilson rise brevemente. «Se ne è andato due anni fa per un lavoro a Vienna. Allora ricevemmo una cartolina nella quale diceva di star bene e di non preoccuparsi. Tutto qui.»
«Che tipo di lavoro era?»
«Ecco, dato che aveva preso la laurea in elettronica al Massachusetts Institute, suppongo che fosse un lavoro in quel ramo.»
«Credo che la Intel abbia un ufficio qui, o certamente a Zurigo. Avete domandato a loro?»
«S’intende,» rispose la signora Neilson, «ma ci hanno detto che non sanno niente del personale dei laboratori fuori della Svizzera. Ecco perché ho convinto mio marito a rivolgersi a lei.»
«Ma perché?» chiese Osborne.
«Perché lei è amico di un amico di mio figlio,» disse Neilson, «John Fleming. Jan lo ha portato da noi un paio di volte, quando stava in America per uno scambio organizzato dal Cavendish Laboratory di Cambridge. Erano grandi amici. E, naturalmente, sappiamo che Fleming è diventato un uomo importante nel programma del vostro Ministero.»
«Non credo di poter fare nulla per voi,» disse goffamente Osborne, «abbiamo perso ogni contatto con il professor Fleming…» Fece una pausa imbarazzata, poi continuò frettolosamente: «Io, però, non tornerò a Londra fino a dopodomani; forse credete che potrei avere un incontro con vostro figlio? Se nel cablo dice che verrà entro la fine di questa settimana, significa o oggi o domani.»
I Neilson si dimostrarono molto grati. Lo invitarono a cenare al caffè con loro quella sera stessa e, se Jan non si fosse fatto vedere, anche il giorno dopo.
Quella sera, la signora Neilson insistette per andare al caffè alle sette. «Mi siederò più avanti possibile, così sono sicura che mi vedrà. Nella sala da pranzo ci andremo dopo.»
Ordinò un kirsch e ne stava assaggiando il primo sorso, quando il figlio le si materializzò davanti, uscendo dalla penombra, e si sedette al suo fianco senza parlare: un giovane pallido, serio, con l’aria molto preoccupata. Ella rimase colpita notando come fosse invecchiato e dimagrito e quanto apparisse nervoso. L’aveva baciata su di una guancia, allontanando però la mano di lei, quando aveva cercato di prendere la sua.
«Per favore, mamma, non attiriamo l’attenzione,» mormorò, «mi dispiace se questo ti ferisce, ma… ecco, ho le mie buone ragioni.» Spense una sigaretta fumata a metà.
«Certamente, ragazzo mio,» disse la madre, tentando di sorridere, «lo capisco. Ma almeno sei qui; ti vedo. È passato tanto tempo!»
L’amore che traspariva dagli occhi di lei lo irritò. «Mamma,» cominciò, piegandosi verso di lei al di sopra del tavolino, «devo parlare, e forse non avrò molto tempo. Vedi, sto fuggendo. No,» cercò di sorridere, «non sono un criminale. La faccenda è proprio il contrario. Sono criminali quelli che mi corrono dietro.»
Fece una pausa, mentre il cameriere prendeva l’ordinazione. Chiese un doppio whisky, e ricominciò subito a parlare, frettolosamente ed un poco incoerentemente, come se il tempo gli stesse sfuggendo.
Neilson ed Osborne arrivarono poco dopo; i due uomini si erano incontrati fuori del caffè. Neilson salutò il figlio con aria felice, dandogli delle manate sulla schiena e ghignando soddisfatto. «Celebreremo questo incontro con la bistecca più grossa che uno svizzero riesca ad immaginare. E champagne.» Rammentò che Osborne era rimasto silenzioso al suo fianco.
«Le mie scuse, Osborne,» disse, «sono felice di farle conoscere mio figlio… Jan, il professor Osborne è un amico di John Fleming.»
Osborne aveva appena teso la mano per stringere quella di Jan, quando davanti a loro si parò un giovane munito dell’apparecchio per i lampi al magnesio e di una macchina fotografica antiquata ed ingombrante.
«Professor Neilson!» gridò. «Un moment, s’il vous plaît. Una foto, prego. Per la stampa americana.»
Si affaccendò intorno a loro, spingendoli nelle posizioni che desiderava per la posa. Mise Jan in piedi tra suo padre e sua madre seduti, ed Osborne abbastanza scostato, da una parte. Soddisfatto, arretrò verso l’uscita del caffè, guardando nell’obiettivo.
«Bon!» esclamò. Per un attimo il lampo accecò tutti, con la sua violenta luce bianca.
Immediatamente dopo, Jan cadde dal lato di suo padre, gemendo. Il fotografo era già scomparso in strada, e un signore, che fino allora aveva letto il giornale ad un tavolo vicino alla porta, fece scivolare qualcosa di nero e lucido nella tasca interna della giacca, mise il cappello ed il soprabito, ed uscì senza fretta dietro di lui.
I Neilson erano curvi sul figlio, ma Osborne aveva osservato i movimenti metodici e cauti dell’uomo vicino all’uscita. Egli sapeva cosa fosse la cosa nera fatta scivolare nella tasca della giacca ed aveva notato il tozzo cilindro del silenziatore, applicato alla canna della pistola. Si lanciò verso la porta, appena in tempo per vedere una Citroën, con la targa coperta di ghiaccio, raccogliere il fotografo e l’uomo con la pistola ed allontanarsi lungo la strada che costeggia il lago, verso Vevey e la frontiera.
Ritornò verso i Neilson. «Non ci sono riuscito,» disse con tono sollecito, «sono scappati.»
I Neilson non lo udirono. Il loro dolore li aveva isolati, curvi ai lati del figlio morto, come stranamente intenti a cullarlo.
La signora Neilson guardò disperata il marito. «Jan… Jan mi stava dicendo che temeva questo,» gemette, «erano mesi che gli davano la caccia. Prima lo avevano tenuto prigioniero, ma era riuscito a fuggire. Lo facevano lavorare.»
«Ma chi?» esclamò il marito, «dove potevano tenerlo prigioniero?»
La signora cominciò a carezzare i capelli del figlio, sfiorandogli le palpebre. «Ha detto che il nome del paese è: Azaran.»
In una casa discreta, nei dintorni di Berna, Kaufmann stava aggiungendo gli ultimi dettagli al rapporto che avrebbe mandato ai suoi padroni. Il gunman, al lato della scrivania, sogguardava il fascio di dollari americani che si era guadagnato.
«E così, il fotografo è arrivato in ritardo,» disse Kaufmann, «al momento opportuno ce ne ricorderemo. Ma lei è sicuro di aver sparato al figlio dei Neilson prima che parlasse?»
«Non ha certo potuto chiacchierare, dopo che l’ho colpito,» rise l’uomo, «ma ha parlato parecchio prima. A sua madre. E lei può aver parlato con suo marito… e con quell’inglese che il vecchio ha portato con sé. È stato presentato al giovanotto come Osborne.»
Kaufmann sospirò. «Osborne. Doveva succedere. Tutti questi omicidi. Non mi piacciono. Una morte… e bisogna subito organizzarne un’altra. Va sempre avanti così.»
Spinse il denaro verso l’angolo della scrivania; il gunman lo prese e lo infilò nella tasca interna della giacca, a far da cuscino alla pistola.
«Esca dal paese immediatamente,» disse Kaufmann; «quanto a me, dovrò ritornare in Inghilterra.»
André e Fleming furono dirottati verso l’aeroporto della R.A.F., a Northolt, per evitare il problema della pubblicità che avrebbe presentato un arrivo a Londra. Una macchina del governo li aspettava sulla pista, e li portò direttamente al Ministero della Scienza.
Il ministro aveva deciso di occuparsi personalmente dell’interrogatorio, fiancheggiato da Geers, che gli avrebbe riassunto tutti i lati tecnici. Aveva il presentimento che, un giorno o l’altro, alla Camera, sarebbero state fatte delle domande, se il segreto fosse trapelato, e non aveva nessuna intenzione di ammettere delle inefficienze. Ma egli era anche un uomo giusto, e perciò aveva chiamato un avvocato dell’ufficio del procuratore generale, il quale avrebbe garantito che venissero rispettati i normali diritti di un cittadino inglese. A questo punto, per quanto preoccupato, non aveva potuto fare a meno di notare il lato umoristico di tutta la faccenda. La ragazza doveva considerarsi cittadina inglese? Non aveva certificato di nascita, né genitori. Per quello che riguardava l’anagrafe, non esisteva. Sarebbe stata una questione interessante, se questo affare fosse arrivato ad un processo vero e proprio. Il ministro, comunque, sperava ardentemente che ciò non accadesse.
Sua Eccellenza salutò i suoi visitatori con tono gelido. Tuttavia, insistette anche più di quanto non avrebbe voluto sul fatto che il colloquio non era in nessun modo un processo; si trattava soltanto di un’inchiesta non formale.
Fleming, con gli abiti in disordine, e teso a nascondere l’ansia che provava, rise sardonicamente. «Molto poco formale; non ho potuto fare a meno di notare tutti i piedipiatti poco formalmente vestiti in borghese che gironzolavano intorno alla porta, per il caso che mi fossi dato alla fuga. Oh, e c’è anche il mio caro Geers!»
Il ministro lo ignorò e si volse ad André: «Si accomodi, mia cara,» le disse gentilmente, «deve essere molto stanca. Purtroppo tutto ciò è necessario.»
Sedette quindi alla scrivania, e rilesse il breve rapporto del primo interrogatorio fatto da Quadring, giunto per telescrivente.
«Mi hanno informato che lei soffre di un’amnesia,» cominciò, facendo un cenno a Geers. Questi lasciò la sua sedia, alla destra del ministro, e si mise di fronte alla ragazza. «Andromeda,» disse duramente, «certo non avrà dimenticato i fattori connessi con la sintesi dei tessuti viventi? Intende forse dire che non sa nulla delle formule ottenute dal calcolatore, sulle quali ha lavorato, e che hanno permesso alla professoressa Dawnay di costituire della materia viva in laboratorio? E del fatto che il prodotto di quel lavoro è lei stessa?»
André lo guardò ad occhi spalancati, ma tranquilla; con la calma di un bambino. Scosse lentamente il capo…
La faccia di Geers divenne paonazza per la rabbia e la disillusione. «Non vorrà insistere sul fatto che non ricorda niente del suo lavoro con il calcolatore?»
L’avvocato tossì discretamente. «Credo che ora basti, dottor Geers,» disse placidamente. «Non deve preoccuparsi di rispondere a tutte queste domande sul momento,» mormorò quindi ad André.
«Sono d’accordo,» intervenne il ministro, fissando Geers; «la ragazza è sconvolta e sfinita. Forse potremo spiegarle tutta la sua storia in modo più adeguato, e in un’atmosfera più tranquilla.»
Fleming si sporse sulla scrivania. «Questa sarà l’ultima cosa da fare!» gridò.
Il ministro lo guardò gelidamente. «Prego?»
L’avvocato si interpose: «Credo che il mio consiglio professionale sarebbe di far testimoniare la signora appena sarà medicalmente guarita e adeguatamente messa a conoscenza del proprio passato. La sua causa, naturalmente, dovrà essere discussa davanti ad una commissione d’inchiesta regolarmente costituita.»
«Per lei potrei parlare io,» disse aspramente Geers.
Il ministro lo fissò, con malcelata antipatia. «Avrei preferito Osborne, se le circostanze fossero state diverse. Ad ogni modo, non possiamo farlo tornare da Ginevra fino a domani.» Sorrise ad André. «Forse vorrà aspettare nell’anticamera, mentre parliamo con il professor Fleming?»
Fleming andò verso la porta e la aperse. Sorrise ad André in modo rassicurante, mentre usciva.
«Dunque, professor Fleming, perché ha rapito quella donna?» Il tono gentile del ministro era scomparso.
«Questa non è la cosa principale,» ribatté Fleming feroce.
«E qual è, allora?»
«Il fatto che il messaggio dalla nebulosa di Andromeda e tutto quello che ne è derivato è maledetto.» Fece una pausa, per costringersi a parlare in modo più calmo e con voce più bassa. «È stato inviato da un’intelligenza superiore, che avrebbe voluto soggiogarci e, se fosse stato necessario, ci avrebbe distrutto.»
«E poiché lei pensava questo, ha incendiato il calcolatore.» Il tono del ministro era truce, malgrado che la sua inflessione facesse pensare ad una domanda e non ad un’affermazione. «Tuttavia, sembra pronto a fare qualsiasi cosa per proteggere la ragazza che lavorava con esso. Nella sua aggressività condanna di certo anche lei.»
«La ragazza non ha niente a che vedere con il calcolatore. La volontà, la memoria, le nozioni… erano tutte nella macchina. Ha potuto vedere che c’è qualcosa di monco in lei, ora che il calcolatore non esiste più… per grazia di Dio. Qualcosa manca alla sua personalità; lo domandi a Geers, lui sa come era André prima…»
Il ministro ignorò l’invito. Non aveva nessuna intenzione di perdersi nei meandri della psicologia, mentre pensava che la soluzione fosse molto più semplice.
«Io la ritengo responsabile, professor Fleming, della distruzione del calcolatore e del rapimento della ragazza allo scopo di non farle rivelare quello che lei aveva fatto.»
«L’ho portata via perché aveva bisogno di essere protetta dalla gente che era intorno a lei.» Fleming fissò Geers.
Il ministro prese un foglio, sfilandolo dalla grossa cartella che gli stava davanti. «Forse le farebbe piacere dire qualcosa sul fatto che l’assistente del signor Osborne, l’uomo che si pensava lo avesse accompagnato la notte dell’incendio di Thorness, ha ammesso, durante un colloquio, oggi pomeriggio, di non esservi affatto andato.»
«È ad Osborne che dovrà domandare chi ci ha portato, non le pare?» disse Fleming.
«Lo faremo.» Il ministro fremeva di rabbia contenuta. «Nel frattempo, professor Fleming, deve considerarsi sotto sorveglianza. Spero che, per evitare la necessità di un arresto in piena regola e di un’accusa formale in Bow Street, con la sgradevole sensazione che questo susciterebbe sia verso tutti noi, che per lei e per la ragazza, spero — dico — che collaborerà con tutto il buon senso possibile. Non la posso forzare, naturalmente, a restare con noi, fino a che non c’è una vera accusa. Ma potremmo accomodarla qui in modo molto gradevole.»
«E così, la Magna Charta è ancora in atto?» domandò Fleming sarcastico. «E se io insistessi nel voler essere arrestato, su quali basi riuscireste a mettere insieme un’accusa?»
«Il regolamento di sicurezza,» mormorò l’avvocato, «gli atti rilevanti sarebbero…»
«Mi risparmi i dettagli,» lo interruppe Fleming, «verrò tranquillamente. E dove si trova questo — ehm — albergo governativo per ospiti indesiderati?»
«Non troppo lontano,» disse vago il ministro, «le farà bene; o, almeno, la ragazza ne profitterà. Un’occhiata ad un parco molto spazioso, del genere di quelli per visitare i quali la domenica si pagano due scellini e mezzo. Temo di non poter essere più preciso di così. L’esercito ne usa una parte fin dal 1942. Sarebbe meglio, credo, se voi due vi andaste immediatamente, cercando di fare una buona notte di sonno. Al mattino, le cose si vedono più chiaramente, ed anche con maggiore buon senso.»
Il viaggio in macchina durò un paio di ore. Persino Fleming non poté trovare nulla da ridire sulla sistemazione o sul servizio. Qualcuno, abituato a questo genere di cose, aveva provveduto ad ogni comfort: liquori, abiti puliti, libri, bagni, tutto il possibile. Anche André era stata accolta con la stessa larghezza. Fleming, tuttavia, sentiva di non amare affatto le cameriere dall’aspetto massiccio, che giravano dovunque. I loro camici bianchi non potevano nascondere il taglio regolamentare dei capelli, né le calze di cotone beige o le robuste scarpe nere. Fleming non aveva mai apprezzato il fatto che le donne facessero il servizio militare.
Ma la goffaggine della cameriera alta sei piedi che servì loro la cena, lo divertì. C’è qualcosa, in un poliziotto, che non si riesce mai a nascondere, nemmeno se si tratta di uno di quelli della Special Brandi.
Comunque, nei giorni seguenti furono lasciati a loro stessi. Potevano passeggiare quanto volevano per il vasto parco. Fleming notò che André sembrava divenire ogni giorno più assente, e che inciampava molto spesso, persino sull’erba morbidissima. Notò anche che il recinto, tutto intorno, era fatto con il filo spinato, del solito tipo governativo, esattamente come a Thorness. La vecchia casetta del guardiano, all’entrata della strada principale, era stata apertamente trasformata in un posto di guardia; la sentinella era munita di un fucile automatico.
Un pomeriggio, André venne portata via. Era arrivato Geers, ed aveva preteso di parlare con lei. Passò molte ore del giorno successivo con il funzionario che la sottopose ad un interrogatorio in piena regola. André ne emerse pensierosa, seppure curiosamente indifferente. Disse a Fleming che aveva accettato come vero tutto quello che Geers le aveva detto, ma che per lei era come il disegno della vita di un’altra persona. Nessun tasto importante, nella sua memoria, era stato toccato, sebbene la ragazza si fosse resa conto di essere coinvolta nella distruzione del calcolatore.
«Che cosa ci faranno?» domandò quella sera tardi, mentre stavano seduti nel soggiorno, guardando pigramente qualche sciocchezza della televisione.
Fleming tacque per un momento, meravigliato del fatto che la donna dall’aria ottusa che lo fissava scioccamente dallo schermo avesse vinto un asciugacapelli elettrico, solo confermando che il Rio delle Amazzoni è un grande fiume. «Immagino che aspetteranno fino a che il povero vecchio Osborne non ci raggiungerà anche lui,» disse finalmente. «Poi ci faranno un processo da camera. Dopo di che, lui e io verremo decapitati nella Torre di Londra, e Osborne si comporterà da gentiluomo fino alla fine. Per quello che riguarda te…» si accorse di non poter proseguire, e così sedettero in silenzio per molto tempo, nella luce cangiante del video.
Improvvisamente, si udirono dietro la porta dei passi pesanti sul pavimento di parquet.
«Chi sarà?» chiese André. Entrambi erano ormai abituati alle silenziose scarpe di feltro delle inservienti che li sorvegliavano.
«Potrebbe essere Osborne,» suggerì Fleming, «è quasi ora che si unisca alla compagnia. Sarà bello, se ci lasceranno passare insieme i nostri ultimi giorni.»
Ma non era Osborne. Era Kaufmann. Indossava un soprabito nero, troppo lungo. In una mano teneva una lobbia nera, e nell’altra una valigetta. Ebbe un attimo di incertezza, vedendo Fleming e André.
«Scusatemi, prego,» mormorò, chiudendo piano la porta, «mi aspettavo di trovare il signor Osborne…» si passò nervosamente la lingua sulle labbra, poi inalberò un gran sorriso. «Sono stato informato che sarebbe venuto qui stasera. Ho invece l’onore di incontrare il professor Fleming.» Avanzò, con la tozza mano tesa.
«Mein Frend Kaufmann,» lo canzonò Fleming, ignorando la mano. «Com’è riuscito ad infilarsi in questo posto?»
Kaufmann si raddrizzò. «Rappresento il legale del signor Osborne. Tutto è così difficile, in questa storia. Ma so di aver fortuna: ho incontrato lei.»
Sbirciò attraverso le lenti con aria miope André, sempre seduta in poltrona. «E così, questa è la famosa signorina!» Andò verso di lei, le prese la mano e la sfiorò con le labbra.
«Vedi, mia cara, come sono galanti questi viennesi,» disse Fleming.
Kaufmann si accigliò. «Non vengo da Vienna, ma da Düsseldorf, mein liebe Doktor!»
«Non è passato molto tempo da quando ha fatto il tiro al bersaglio sul suo liebe Doktor,» fece notare Fleming, «non lei, naturalmente. Lei ingaggia altra gente, perché prema il grilletto e faccia spiacevoli viaggi in isole private.»
Kaufmann sembrò genuinamente imbarazzato. «Non sono un operatore libero,» disse, «e non posso agire come vorrei.»
«Ma solo come vogliono i suoi capi della Intel.»
Vi fu, inaspettatamente, qualcosa di triste e amaro nella risposta di Kaufmann. «Alcuni di noi non possono fare quello che vorrebbero.»
Fleming annuì. «Perché l’hanno mandata dietro a noi?»
«Voi avete qualcosa che i miei direttori desiderano.» Kaufmann non riusciva a stare fermo. Andò in punta di piedi alla finestra, e scostò le pesanti tende di cinta. Per un attimo, una luce in movimento illuminò il suo volto. Nello stesso momento, si sentì il rumore sommesso di un motore messo in moto, ed il debole stridore di ruote che frenavano sulla ghiaia.
«Forse è il suo cliente, il signor Osborne,» suggerì Fleming.
Kaufmann scosse il capo. «Il signor Osborne dovrebbe essere già in questa casa. No, professor Fleming, è un furgone. Si fermerà sul retro, nel cortile interno.» La sua voce divenne secca e tagliente. «E ora, prego, verrete tutti e due con me.» Tirò in parte le tende, ed aprì la lunga finestra bassa.
«Non fare caso a quello che dice,» mormorò Fleming tranquillamente ad André. «Resta solo seduta lì.»
«Per favore,» supplicò Kaufmann, «la settimana scorsa ho dovuto far uccidere un giovane, un bravo giovane. Non lo conoscevo nemmeno. A me non piacciono queste cose.»
Si udì un rumore, dal di fuori, ed una figura avvolta nell’impermeabile scavalcò con leggerezza il davanzale. Era un giovanotto sottile, dalla faccia pallida, appena uscito dall’adolescenza. I suoi occhi stretti saettarono per tutta la stanza. La rivoltella nella sua mano era salda come la roccia.
«Muovetevi,» ordinò con una voce sottile e rabbiosa, «fa un freddo del diavolo ed è umido, a stare lì fuori. Cominciamo ad andare.»
Kaufmann si mosse, seguendo il gunman. «Lei la desideriamo vivo, Herr Doktor,» disse, «ma siamo pronti a fare un’eccezione per la signorina.» L’uomo con il revolver lo puntò contro André. Ebbe un movimento studiato del pollice, mentre alzava la sicura. Fleming sapeva che era un puro gesto teatrale, anche se pieno di intenzione. Arretrò fino ad André. Con la mano di lei nella propria, si diresse verso la finestra.
Kaufmann la scavalcò per primo, voltandosi per aiutare André. Il gunman chiudeva la marcia, con la pistola puntata contro la schiena di Fleming. Improvvisamente si volse, sentendo il rumore della porta del soggiorno che si apriva. Gli altri erano già sul terrazzo. Fleming si fermò di colpo, e guardò indietro.
Osborne era fermo sulla soglia, e guardava sbalordito il gunman. Proprio dietro di lui stava un soldato, con le bande rosse della polizia militare.
«Che accidente… chi diavolo…?» tentò di dire Osborne, mentre il soldato lo spingeva bruscamente da un lato. Ma era troppo tardi. L’uomo con la pistola aveva fatto fuoco, una sola volta. Per l’urto del proiettile, Osborne batté contro la porta. Il gunman si volse verso la finestra, e fece di nuovo fuoco a casaccio, mentre si arrampicava per scavalcarla. I proiettili non colpirono il soldato, che si era lanciato in avanti, ma lo obbligarono a gettarsi a terra per cercare un riparo.
Da dove si trovava, soffiò nel fischietto per chiedere aiuto, mentre Osborne scivolava lentamente al suolo, con la mano sinistra aggrappata alla sua spalla, e lo sguardo di sorpresa congelato negli occhi.
«Che cosa maledettamente ridicola…» disse Osborne lentamente e distintamente, poi cadde in avanti.
Fuori, nell’oscurità e sotto raffiche di pioggia, mani invisibili afferrarono Fleming e André. Furono alzati di peso e spinti nell’interno di un furgone. Le porte posteriori vennero chiuse con fracasso, ed il motore messo in moto. Poi, con uno stridore di gomme sforzate, il furgone schizzò via, sobbalzando così violentemente, che a Fleming riuscì impossibile reggersi in piedi. La macchina prese velocità sulla strada diritta che portava al cancello principale. Fleming udì ordini confusi, gridati mentre passavano davanti al posto di guardia, ed entravano nella strada principale. Parecchie volte stettero per rovesciarsi per la velocità con la quale l’autista prendeva le curve senza rallentare affatto, obbligando André e Fleming a giacere sul fondo della macchina e a puntare i piedi contro le pareti d’acciaio per resistere agli scossoni.
Dopo un poco, si misero ad una velocità alta ma regolare. Fleming capì che erano arrivati ad un’autostrada. Maledisse il fatto di non avere orologio, ma giudicò che la corsa durasse da circa mezz’ora… diciamo una sessantina di chilometri dal punto in cui erano partiti.
Il furgone rallentò, piegò verso destra, e di nuovo vi furono tratti veloci, alternati a curve secche. I violenti sobbalzi facevano pensare ad una cattiva strada di campagna o ad una carreggiata.
Cautamente, Fleming si alzò in piedi, e, con l’aiuto della debole luce del suo accendisigari, si guardò rapidamente intorno. Sapeva che era soltanto un gesto. L’interno era tutto di solido metallo; la porta era sbarrata dalla solita saracinesca dal di fuori. Non si vedevano aperture, a parte un piccolo foro, chiuso da una rete, dalla parte del guidatore, che era stato anche coperto.
Il furgone rallentò ansimando, e prese ad avanzare lentamente sul terreno ineguale. Ora sobbalzava violentemente, mentre le gomme non producevano più alcun rumore. Evidentemente, correvano su dell’erba. Poi si fermarono.
Vi fu un attimo di attesa, prima che le porte posteriori venissero aperte. La pioggia stava cadendo fitta. Kaufmann era lì, sorridente, nella luce incerta di una torcia velata e tenuta da qualcuno dietro di lui. Al fianco di Kaufmann stava il gunman.
«Bene, Doktor, vuol essere così gentile da scendere, e la signorina con lei?»
Con tutta calma, Fleming saltò a terra; poi sollevò André. «Il suo amico ha fatto fuori Osborne, che era assolutamente innocuo,» disse a Kaufmann. «Quanto a noi, non direi che siamo proprio innocui; così, mi piacerebbe sapere che programma avete, nel caso nostro, e dove siamo.»
«In un aeroporto appartenuto ai nostri grandi alleati americani,» disse Kaufmann, «le piste sono enormi ed ancora in stato eccellente. Le stiamo risparmiando uno spiacevole processo e la prigione per sabotaggio. Sono sicuro che il suo governo la considera un traditore.» Si tolse gli occhiali, e asciugò le gocce di pioggia cadute sulle lenti.
«Non c’è più tempo per parlare,» aggiunse. Sembrava piuttosto dispiaciuto. «L’aeroplano deve partire immediatamente; andiamo!»
Il gunman si mosse al fianco di Fleming, e Kaufmann aprì la strada. Presto, Fleming poté vedere la superficie lucida e bagnata di un fusto d’aeroplano.
«Benvenuta a bordo, signora — e anche lei, signore,» disse una voce di donna.
Fleming rise a questa follia. La ragazza in cima alla scaletta dell’aereo indossava una perfetta uniforme blu scuro. Era il solito tipo di hostess, agghindata, in ordine, graziosa. Al riflesso rosso delle luci notturne, nella cabina d’emergenza, Fleming vide che si trattava di un’orientale. Svelta, condusse i passeggeri ad una coppia di sedili molto avanti, aiutandoli a fermare le cinture di sicurezza. Ignorò completamente l’uomo con la rivoltella, che andò verso un posto dall’altro lato del passaggio, e si sedette, mezzo voltato verso di loro, con la pistola ancora in mano.
Kaufmann era sparito attraverso la porta per l’equipaggio. Il motore d’avviamento cominciò a vibrare. Poi, uno dei motori cominciò a ululare, subito seguito dall’altro.
«Un jet!» mormorò Fleming a se stesso. «Bisogna affidarsi alla Intel, per vedere le cose fatte come si deve. Senza risparmio di spesa.»
Il rumore non aumentò. I jet furono portati al massimo ancora frenati; poi smisero con un lungo sospiro il loro crescendo, e ricominciarono ad ululare. L’aereo si mosse lentamente sulla pista.
Appena si furono alzati da terra, salirono impennandosi. Di certo il pilota intendeva stare bene alla larga dai vari campi commerciali, con i loro controlli radar inquisitori. Poco dopo traversarono le nubi, e si trovarono immersi nella fredda luce della luna. Fleming giudicò, dalle poche stelle visibili, che si stessero dirigendo verso sud.
Quando Kaufmann emerse dalla cabina, lo confermò. «Abbiamo appena passato le coste inglesi,» disse raggiante, «ed ora siamo su acque internazionali. Va tutto bene. Vi consiglio di cercare di dormire un poco, dopo che la hostess avrà servito qualcosa. Fra circa quattro ore atterreremo in Nord Africa.»
«In che parte del Nord Africa?» chiese Fleming.
«Non è importante,» disse il tedesco, «soltanto per fare rifornimento. La maggior parte del viaggio verrà dopo. Verso l’Azaran.»