3 Previsione di burrasca

Fleming non tornò nell’isola fino a sera tarda. Dovette aspettare che facesse buio, prima di poter mettere in mare la barca, che aveva tirato su un piccolo imbarcadero, in una rientranza del porto naturale. La pioggia cadde senza pietà per tutta la strada del ritorno, ma egli era di buon umore, ed avanzò a tutta forza. La velocità non era molta, ma il rumore, in compenso, parecchio. Lo scienziato, però, era così eccitato di essere di ritorno, che non si curò di controllare se ci fossero navi in ricognizione dalle quali potessero sentirlo e venire a vedere.

Piombò nella casetta con un grido di saluto. Preen era seduto e stava parlando ad André. L’aspetto della ragazza allarmò Fleming; il suo volto, anche alla luce della lampada, appariva di un colore molto livido. Ma, alla vista di Fleming, ella balzò in piedi e gli corse incontro incespicando. Si buttò contro il suo petto, con le braccia alzate a proteggere le mani ferite.

«Piano, piano,» le sussurrò Fleming, sostenendola delicatamente. «Ho con me la medicina che guarisce. Starai subito bene.»

Al di sopra della testa di lei, ghignò a Preen. «È tutto a posto; non sono stato arrestato e nemmeno interrogato; e non ho detto a nessuno di lei!»

Preen apparve visibilmente sollevato. «Le preparo qualcosa da mangiare, mentre farà quello che è possibile per le sue mani… Si tratta di un unguento, vero?»

«Penso che lo si possa anche chiamare così,» annuì Fleming, aiutando André a sedersi sul sofà. «Ma di un tipo speciale. L’unica cosa buona, per quanto ne so io, venuta fuori da questa tutela intergalattica. Ma meno ne saprà e meglio sarà, nel caso che la sua anima onesta venga messa alla prova dai nostri signori e padroni. Può credermi, i suoi timori di ritrovarla con un grazioso cadavere sono ormai fuori luogo.»

Fleming prese dalla tasca la scatoletta. «Enzimi… un piccolo, glorioso fermentare di cellule vive, tutte pronte e desiderose di costruirne delle altre.»

Preen scosse la testa, stupefatto. Poi andò in cucina ad aprire un’altra scatola di minestra. Fleming cominciò immediatamente il trattamento.

La materia gelatinosa e quasi trasparente si sparse subito, appena venne in contatto con le carni straziate e innaturalmente calde di André.

Ella la guardava attentamente, senza il più vago ricordo del fatto che era stata proprio lei, programmando il calcolatore, a trovare la formula, e ad interpretare la sfilata di cifre che era uscita sui nastri.

Fleming le tolse le scarpe e l’avvolse in una coperta, ponendole le mani in grembo, su di un panno pulito. «Dormi, se ci riesci, tesoro,» mormorò, «il dolore passerà; lentamente, ma sicuramente. E domani mattina… vedrai! niente più male.»

André si sdraiò sul sofà e gli sorrise con la fiducia di un bambino. Obbedientemente, chiuse gli occhi.


Per tutta la strada del ritorno, Madeleine Dawnay rimuginò l’offerta di lavoro dell’Azaran. Essendo soprattutto una donna sola, si era sempre gettata nel lavoro come su un antidoto contro l’inconscia infelicità che provava per la propria mancanza di grazia e di socevolezza. Il suo esperimento di sintesi sulle cellule viventi, culminando con lo sviluppo di un organismo femmina in grado di gareggiare, e, in un certo senso, superare la naturale femminilità, era stato un trionfo che ella riteneva tale da giustificare la propria vita, e anche un’entusiasmante promessa per il futuro.

Poi erano venute le bruciature provocate dal calcolatore, ed il terribile errore nella composizione dell’enzima vitale, tanto che le iniezioni avevano aumentato la distruzione delle cellule, invece di ricostituirle. Questa esperienza le aveva mostrato non soltanto il pericolo di credere che le equazioni del calcolatore, capite a metà, fossero sempre valide e benigne, ma anche che l’ala della morte l’aveva spaventata molto di più di quanto avrebbe ritenuto possibile.

Era stato meraviglioso, s’intende, scoprire che l’errore nella composizione dell’enzima era dipeso unicamente dalle menti umane, e che la formula era, invece, letteralmente il dono della vita. Tuttavia, rimaneva il grave sospetto che John Fleming avesse ragione. L’intelligenza che aveva realizzato il calcolatore non era impersonale ed oggettiva. Essa poteva avere i suoi propositi, i quali non parevano comprendere il benessere dell’umanità.

Ad ogni modo, quel lavoro era ormai finito. Il luminoso progetto di costruire una tecnocrazia scientifica per la Gran Bretagna era svanito nel fumo che si levava dal calcolatore bruciato. Madeleine si sentiva perfino sollevata all’idea che il grande codice a sistema binario, arrivato dallo spazio, e in base al quale ogni cosa era stata costruita, fosse scomparso anch’esso. Sarebbe stata felice di allontanarsi da tutto ciò, e di tornare all’ordinaria ricerca scientifica.

L’Azaran attirava il suo idealismo e la sua curiosità. Ecco che c’era un piccolo paese, temporaneamente e superficialmente ricco, sul suo sotterraneo Eldorado di petrolio, ma torturato dalla miseria proprio nelle necessità più essenziali, come quella di avere una buona agricoltura e sufficienti riserve di cibo per i suoi abitanti.

Appena rientrata a Thorness, chiese un permesso per presentarsi al Foreign Office, e partì immediatamente per Londra.

Il più basso funzionario del dipartimento del Medio Oriente sembrava incline a liquidare l’Azaran come uno staterello da operetta. Descrisse il suo presidente come un uomo una volta pieno di fuoco, ed ora in lento spegnimento. La rivoluzione che gli aveva dato il potere, spodestando il capo dinastico subito dopo la guerra, era stata una faccenda priva di pericolo, e con conseguenze internazionali minime. Il presidente aveva frettolosamente assicurato alla Gran Bretagna che avrebbe mantenuto tutti gli impegni presi a proposito degli interessi petroliferi inglesi, a patto che fosse messo in atto qualche piccolo provvedimento nella suddivisione delle azioni. Il che fu fatto dopo le solite, tormentose contrattazioni. Il presidente aveva annunciato che gli introiti sarebbero stati usati per incrementare il benessere del popolo.

Il deserto avrebbe germogliato attraverso le irrigazioni. Si sarebbero costruite scuole. Delle strade sarebbero state aperte al traffico. Ospedali avrebbero sconfitto le malattie che uccidevano un bambino su cinque, e mantenevano il limite medio della vita sui 32 anni. Le scuole, le strade e gli ospedali erano infatti stati costruiti. Ma il deserto era rimasto deserto, e adesso anche il petrolio stava per finire.

«L’acqua c’è,» continuò il funzionario, «una compagnia francese ha scavato dei pozzi artesiani. A nord c’è un lago sotterraneo che ha molta più acqua di quanto non vi sia petrolio nei depositi del sud. Il problema è la superficie. Neanche sabbia, per la maggior parte sassi e rocce. Si può anche irrigarlo, ma certo non darà raccolti.»

«L’erosione di parecchie migliaia di anni non può essere messa a posto con un poco d’acqua,» disse la Dawnay tranquillamente; «non ci sarebbero obiezioni, se vi andassi?»

«Nessuna, per quanto riguarda il F.O., davvero. Siamo ansiosi di mantenere i nostri rapporti amichevoli con quella gente. Si tratta solo di una piccola nazione, ma qualsiasi amico è utile, al giorno d’oggi. I termini della sua assunzione non riguardano, naturalmente, i nostri affari ufficiali. Avrà un colloquio con il colonnello Salim, l’ambasciatore a Londra. È un personaggio sfuggente; per quanto, probabilmente, si tratta solo del solito amore degli arabi per l’intrigo. Ad ogni modo, egli è, con ogni probabilità, la migliore via per arrivare al presidente.»

La Dawnay terminò il colloquio già decisa; avrebbe accettato il lavoro, se le proposte fossero state ragionevoli. Quindici minuti più tardi, un taxi la depositava davanti all’ambasciata dell’Azaran.

Fu introdotta nell’ufficio di Salim senza indugi. Con sua grande sorpresa questi sembrava conoscere tutto della sua carriera, e discusse il suo lavoro con notevole intelligenza. Quasi come un fatto secondario, menzionò infine lo stipendio. Era assolutamente fantastico, e Salim non mancò di notare che la Dawnay tratteneva il fiato.

«Paragonato ai salari inglesi, è molto alto,» sorrise, «ma questo è l’Azaran, ed una delle cose che abbiamo in abbondanza, al momento, è il denaro. Gli europei — professori, tecnici e così via — che lavorano per noi, devono essere compensati in qualche modo per il fatto che lasciano il loro paese e che l’impiego, di necessità, non è per la vita. Nel suo caso avremmo pensato ad un contratto per cinque anni, rinnovabile per mutuo accordo.

«Ma, soprattutto, è il lavoro che la interesserà molto. La nostra è un’antica nazione che è entrata in ritardo nel ventesimo secolo, signorina Dawnay. L’ottanta per cento del cibo dobbiamo importarlo. Abbiamo bisogno di un programma vasto e scientificamente valido, che faccia del nostro un paese fertile, quanto ora è ricco.» Esitò un attimo. «Per ragioni che le saranno chiare fra non molto, questo fatto diverrà ancora più essenziale per noi, nel futuro, addirittura per la nostra sopravvivenza.»

La Dawnay udì appena le ultime parole; la vecchia eccitazione che la prendeva sempre di fronte ad un problema della natura, che sfidasse i limiti della mente umana, si era impossessata di lei.

«Colonnello Salim,» disse quietamente, «sarò orgogliosa di aiutare come posso. Sono libera di partire quando vorrà.» Sorrise un poco tristemente. «Come saprà da quello che sembra essere stata una generale ricognizione sul mio passato, io non ho legami privati, né parenti che mi trattengano qui. E, per ragioni nelle quali non mi posso addentrare, il mio ultimo lavoro è ormai finito.»

Salim la gratificò di un largo, caldo sorriso. «Telefonerò al mio presidente immediatamente,» disse, «so che le sarà profondamente riconoscente. Nel frattempo, vi sono le solite formalità internazionali alle quali provvedere — iniezioni, vaccini, passaporti e così via. Che ne direbbe di dopodomani, alle dieci circa, per completare gli accordi? Discuteremo allora la data precisa della sua partenza.»

La Dawnay accettò. Una volta presa la decisione, era ansiosa di andarsene. Telefonò a Thorness, ed incaricò la cameriera della sua stanza di mettere nelle valigie le poche cose che aveva e di spedirle con il treno. Melanconicamente, si ripeté che, a parte un gran mucchio di libri nella sua vecchia camera all’università di Edimburgo, non possedeva niente altro al mondo. Né. aveva un vero amico al quale dire addio.

La mattina dopo, andò in un grande magazzino di Knightsbridge, per comprare tutta l’attrezzatura necessaria ad un paese tropicale, e portò quasi la commessa alla disperazione, con il suo modo di accettare sempre la prima cosa che le veniva mostrata. Tutto fu fatto in un paio di ore. Si accordò con il magazzino perché le consegnasse gli acquisti, messi in una valigia all’aeroporto di Londra, il giorno che avrebbe stabilito.

Nel pomeriggio trovò un medico, e si fece fare tutte le iniezioni. I vaccini le dettero un poco di febbre, così rimase a riposare in albergo tutta la sera. Alle dieci di mattina, il giorno dopo, si presentò puntualmente all’ambasciata dell’Azaran.

Salim la salutò in modo cortese, ma era evidentemente a disagio, con un orecchio teso ad ascoltare una piccola e potente radio ad onde corte, dalla quale, in mezzo a notevoli disturbi, veniva un torrente di parole arabe, pronunziate sottovoce.

«Splendido, professoressa Dawnay,» egli disse finalmente, dopo aver dato un’occhiata affrettata al passaporto ed ai certificati di vaccinazione. «Ecco il suo visto ed i biglietti dell’aeroplano. Le ho fatto provvisoriamente prenotare un posto sul volo delle 9 e 45 di dopodomani. Pensa che possa andare bene?»

Prima che ella potesse rispondere, Salim balzò in piedi e corse verso la radio, alzandone il volume ed ascoltando attentamente per un paio di minuti. Quindi la spense.

«Era l’annuncio della nostra libertà!» disse con aria sognante.

«Ma voi siete già liberi!» La Dawnay lo guardò sorpresa.

Il colonnello si volse verso di lei. «La libertà politica è una questione di documenti ed ideali. La libertà reale è una questione di affari. Abbiamo finalmente rotto i nostri legami con il suo paese; abbiamo rinunciato a tutti gli accordi sul petrolio e sul commercio.» Indicò la radio. «È quello che ha sentito.» Le sorrise di nuovo. «Ora può capire perché abbiamo tanto bisogno di gente capace, che ci aiuti. Io stesso rientrerò nell’Azaran appena tutte le questioni diplomatiche saranno state chiarite. Desideriamo rimanere in rapporti amichevoli con la Gran Bretagna; e con tutte le altre nazioni. Ma vogliamo essere indipendenti in tutti i sensi della parola. E lei ci aiuterà!»

Madeleine Dawnay provò un lieve senso di fastidio, a questo improvviso cambiamento della situazione. Durante tutta la sua carriera, aveva accuratamente evitato di mischiarsi con la politica, nella convinzione che gli scienziati debbano essere al di sopra dei partiti e delle fazioni, essendo il loro dovere quello di aiutare l’umanità. «Spero di poter fare qualcosa,» mormorò educatamente.

Salim non parve averla sentita. Si accigliò, riguardando i documenti che gli aveva porto. «Non ha fatto l’iniezione per la febbre gialla?» domandò. «Sicuramente le abbiamo detto che è necessaria.»

«Non mi sembra,» rispose la Dawnay, «ma posso farla oggi stesso.»

Salim si alzò e le fece un sorriso accattivante. «Possiamo fare di meglio; capita proprio che il medico dell’ambasciata sia qui stamane.»

Premette il pulsante del citofono. «Domandi alla signorina Gamboul se può fare un’altra iniezione per la febbre gialla,» disse ad un segretario. Ci fu una pausa, quindi una voce maschile rispose che la signorina Gamboul poteva.

Di nuovo, la sensazione di fastidio si insinuò nella mente di Madeleine. Per un attimo, non riuscì a capirne la causa. Poi comprese. Una dottoressa non viene di solito chiamata «signorina.» Il sospetto le parve sciocco e lo allontanò dalla sua mente, attribuendo l’errore alla conoscenza imperfetta che Salim doveva avere dell’inglese.

Mentre aspettavano l’arrivo della dottoressa, il colonnello girò intorno al tavolo e si chinò, vicino alla Dawnay. «Mi dica qualcosa di uno dei suoi colleghi, il professor John Fleming. Mi sembra che lavorasse con lei, in quella stazione sperimentale scozzese. È ancora lì?»

«Non potrei dirlo,» rispose brevemente lei.

«Mi è stato riferito che era morto.»

«Temo di non poterle dire nulla di lui.» Il tono di lei fu tale da convincere subito Salim che Fleming era vivo, ma tuttavia egli non reagì. Invece alzò gli occhi a fissare la porta che si apriva.

«Oh, signorina Gamboul!»

Una donna in camice bianco era entrata senza bussare. Era bruna e piuttosto attraente e — non si sarebbe potuto stabilire meglio di così — sulla trentina. Aveva una pelle senza difetti e due lunghe sopracciglia sugli occhi scuri e belli; ma non aveva affatto l’aspetto di un medico. Persino nel suo camice bianco dava un’impressione di sensualità e di alta moda; la Dawnay fu sicura che fosse molto più abituata ad essere chiamata mademoiselle, che non signorina.

E, tuttavia, c’era una sorprendente aria di serietà e di intelligenza professionale, sul suo volto. Alla Dawnay non piacque la durezza del suo sguardo, né la sottile linea di matita rossa sulle sue labbra; ma, sopra ogni altra cosa, la Dawnay non amava la gente enigmatica. Notò che le unghie della mano che reggeva un piatto coperto con un panno bianco, dal quale sporgeva una siringa ipodermica, erano dipinte di un rosso brillante ed appuntite. Madeleine abbassò automaticamente gli occhi sulle proprie pallide unghie tagliate quadrate. Né scienziati né medici, pensò, avrebbero dovuto permettersi lussi così poco igienici come la lacca e le unghie lunghe.

«Allora, professoressa Dawnay, su quale braccio la preferisce?» La voce della donna aveva un tono professionale, ma, come notò Madeleine con soddisfazione, anche un forte accento francese.

Soffocando la sua immediata antipatia per la donna, disse che avrebbe preferito il braccio destro. Si tolse il cappotto, e rialzò la manica della camicetta.

Mademoiselle Gamboul strofinò sul braccio steso un batuffolo di cotone impregnato d’alcool. La Dawnay guardò da un’altra parte, mentre l’ago entrava sotto la pelle. L’iniezione non era stala fatta bene; ella ebbe un brivido alla violenta puntura.

Salim non se ne era andato. Fissava la siringa come affascinato. Cominciò a parlare rapidamente. «Avrà tutte le possibili facilitazioni per il suo lavoro, quando arriverà alla nostra capitale, che si chiama Baleb. Abbiamo finito recentemente di costruire i fabbricati dei laboratori. Di qualsiasi cosa abbia bisogno…»

La sua voce parve diventare più spessa, ed il suo volto scuro, ancora chino sul braccio teso, sembrò svanire dietro una nebbia.

Madeleine cercò di combattere la vertigine che la stava prendendo.

«Potrei… potrei avere un bicchier d’acqua?» balbettò, «credo di non stare ancora bene come credevo…»

La testa le cadde in avanti. Le parve di sentire il duro orlo di un bicchiere premuto contro le labbra; inghiottì qualche sorso d’acqua. La sua vista si schiarì un poco, ed ella fissò le unghie rosse sulle dita che circondavano il bicchiere.

Da una distanza incommensurabile, ma, tuttavia, chiara e minacciosa, venne di nuovo la voce di Salim.

«Allora, dov’è il professor Fleming? Se lo sa, ce lo dirà con ogni dettaglio. Ripeto: dov’è il professor Fleming?»

Come se a parlare fosse un’altra donna, Madeleine sentì la propria voce descrivere minuziosamente l’incontro all’aeroporto di Oban. Parola per parola, ripeté la sua conversazione con John, come se la stesse leggendo sul copione di una commedia. I suoi ricordi erano chiari come cristallo. Non poté arrestarsi fino a che non ebbe spiegato ogni dettaglio dell’incontro.

Salim rise. «Allora è così che funziona una vera droga.» Guardò con interesse la Dawnay.

Janine Gamboul annuì. «Amital sodico; l’effetto sarà finito tra cinque o dieci minuti. Non ricorderà nulla. Le dica che è svenuta per l’iniezione contro la febbre gialla, o quello che era. E badi di metterla su quell’aereo.»

Si tolse il camice, rivelando un abito sicuramente arrivato da Parigi, ed anche buona parte della sua persona. Pur non essendo più una fanciulla, la pelle del suo collo e la curva superiore del seno apparivano giovani e lisci come il suo volto. Sembrava perfettamente tranquilla ed a suo agio. Si piegò al di sopra di uno degli angoli della scrivania, e fissò Salim con un misto di malizia e divertimento, mentre accendeva una sigaretta; aspirava ed espirava il fumo lentamente e delicatamente. Salim la guardò con un che di ammirato negli occhi, fino a quando ella parlò di nuovo. «Ripeta quello che ha sentito al nostro Kaufmann,» disse lei, senza sforzarsi di sembrare gentile. «Non ha molta fantasia, ma è pieno di risorse. Gli dica anche che la rapidità è essenziale. E la ragazza che Fleming ha con sé; quella per la quale ha preso le medicine. Dica a Kaufmann di portare anche lei.»

«Ma quella non ha nessuna importanza,» protestò Salim, «è solo l’amante di Fleming, c’è da credere. Perché dovremmo averne bisogno? Non ci mancheranno ragazze di fiducia, una volta che Fleming sarà a Baleb. Lo aiuteranno a divertirsi.»

«Ciò nonostante,» disse la Gamboul, «dovremo averla.»

Salim alzò obbedientemente il microfono del telefono. Furono necessari alcuni minuti, per rintracciare Kaufmann. Dall’albergo dove aveva detto di essere, risposero che era andato fuori. Il portiere aggiunse spontaneamente che il signor Kaufmann era molto appassionato del moto all’aria aperta, e delle ondulate colline scozzesi. Salim tagliò corto, e disse che avrebbe richiamato. Non desiderava lasciare il proprio numero.

Quando finalmente la voce gutturale di Kaufmann rispose all’apparecchio della stanza d’albergo, Salim parlò rapidamente. «Abbiamo notizie sicure. Un’isoletta vicino ad un’altra isola, a poca distanza da un’altra isola ancora.» Si fermò di colpo, rendendosi conto di quanto le sue parole fossero ridicole. «Un momento, ho scritto i nomi di tutti questi posti; non li avevo mai sentiti prima. Ah, ecco: c’è un posto che si chiama Skye?»

«Naturalmente,» grugnì Kaufmann, «ci sono stato. Il nostro amico è stato visto prendere laggiù un aereo. Ma non ci sono altre informazioni.»

«E vicino a Skye c’è Soay.» Kaufmann prese una carta, e cercò la parola, incapace di pronunciarla meglio dell’ambasciatore.

«Bene, accanto a questa Soay,» disse Salim, «c’è forse un’altra isola più piccola?»

«Ho bisogno di una carta più dettagliata,» rispose Kaufmann. «So che ve ne sono parecchie. Ora è meglio che finiamo questa telefonata. Lasci fare a me.»

«Spero proprio che possa. Io ho fatto la mia parte, ora tocca a lei.»

Salim riagganciò il microfono. Kaufmann ripiegò la carta e si mise a riflettere.

Prima di tutto preparò il piano di una ricognizione in tutte le isolette lontane dalla terra, e vicino a Skye. Fece un paio di chiamate a Glasgow, per procurarsi degli assistenti, la cui collaborazione, per un adeguato compenso, era già stata provata in affari precedenti. Poi andò a Portree. Laggiù affittò una piccola ma potente lancia, con il pretesto di fotografare degli uccelli marini. Il proprietario, molto ben pagato, non contestò l’affermazione di Kaufmann, che sosteneva di essere specializzato nelle fotografie notturne dei nidi e delle abitudini degli uccelli. Gli amatori di uccelli erano tutti strani… ma rendevano bene.


La pace solitaria dell’isola di Preen faceva tornare indietro nel tempo. Fleming annotò nella mente come fossero necessari due giorni, perché le mani di André cominciassero a ricostituire la carne; il terzo giorno, non c’era più bisogno di bende.

La vita, sull’isola, aveva preso un andamento senza scosse, con le sue sveglie mattutine, la preparazione dei pasti arrangiati alla meglio dalla riserva di cibi disidratati ed in scatola, che Preen aveva accumulato in quantità tali da bastare per un’intera guerra, con discussioni sulle partite di scacchi, e con i tentativi di aiutare delicatamente André a recuperare la memoria e il bandolo degli avvenimenti.

C’erano poche possibilità di andare fuori, anche solo per raccogliere le reti da pesca che Preen aveva steso in tutte le insenature tra le rocce; ma, in una giornata immobile e nebbiosa, Andromeda uscì, dirigendosi verso la piccola spiaggia; quando rientrò nella casetta, sembrava perplessa.

«La nebbia si sta allontanando, verso il mare,» disse, nel suo modo lento e vago.

Fleming non la credette, ed ella non ebbe mai la possibilità di dimostrare di aver detto la verità, perché il tempo si era di nuovo tramutato in una violenta tempesta sul mare già burrascoso. Sembrava che l’irrequietezza del cielo e dell’oceano non avesse mai fine. Quando ascoltavano la radio a transistor di Preen, le previsioni del tempo comprendevano sempre avvisi sulla forza del mare, ed il clima era così terribile, in tutto l’emisfero nord, che veniva regolarmente menzionato nei bollettini. André continuava ad essere vaga e confusa, e cominciò anche a muoversi in maniera alquanto goffa.

Ma, nella casetta, si provava un senso di sicurezza inattaccabile, specialmente quando il vento ululava e rumoreggiava tutto intorno. La tensione che Fleming aveva provato sulle prime, ogni volta che la porta strideva o, dal di fuori, si sentivano dei rumori, aveva ceduto ad una calma piacevole ed un poco fatalista.

Di conseguenza, egli era del tutto impreparato quando, una notte, mentre giocava tranquillamente a scacchi con Preen ed André se ne stava semisdraiata sul sofà, fissando il vuoto, la porta scricchiolò paurosamente e quindi venne spalancata di colpo. Egli balzò in piedi, urtando contro la scacchiera. Tre uomini stavano sulla soglia. Erano massicci, ed avevano un aspetto brutale e violento. L’acqua cadeva a rivoli dagli impermeabili cerati e dai loro capelli scarmigliati.

Il più alto dei tre fece un passo nell’interno, accennando con la testa agli altri due, perché gli si mettessero alle spalle. Non aveva staccato mai gli occhi da Fleming, così non vide Preen aprire la cesta, e tirarne fuori il fucile automatico.

«Fuori! Fuori di qui!» belò Preen, agitandolo in tutte le direzioni. La sua rabbia, a questa nuova intrusione nel suo isolamento, lo aveva reso dimentico del pericolo.

Fleming era arretrato per proteggere André. Ella gli si appoggiò, guardando con gli occhi sbarrati. «È meglio che facciate quello che dice il signore,» consigliò Fleming agli intrusi.

L’uomo che sembrava il capo fece un passo indietro, urtando contro gli altri due. Inciamparono quasi, quando si trovarono a ridosso degli stipiti della porta. Improvvisamente, il capo infilò una mano nella tasca dell’impermeabile. In un lampo, la bocca di una Luger fu puntata contro Preen.

«Attenzione!» gridò Fleming.

Senza prendere la mira, Preen sparò una raffica. Quattro o cinque proiettili esplosero nella stanza. Il vetro delle finestre cadde tintinnando. L’uomo con la rivoltella si afflosciò senza un suono, la bocca aperta, gli occhi fissi davanti a sé. Uno degli altri due gridò come un bambino e corse come un ubriaco nel buio, cadendo sul sentiero. Il terzo fuggì semplicemente, facendo scricchiolare i sassi nella sua corsa verso il mare.

Preen aveva lasciato cadere a terra il fucile per la violenza del rinculo. Ma subito lo raccolse, e cominciò a ricaricarlo, puntando poi verso il terzo uomo, con la bocca contratta dalla rabbia. «Resti lì, Preen,» gridò Fleming, «non vada fuori, potrebbero essercene altri!»

Preen non sembrò udire. Era ancora nel riquadro di luce della porta, quando, dal buio, una pistola sparò. Preen rimase un attimo immobile, poi girò su se stesso, e cadde sulle ginocchia gemendo.

«Prendi questo,» disse Fleming, raccogliendo il fucile e lanciandolo nelle braccia di André. «Se vedi venire qualcuno, puntaglielo contro e premi qui.» Piegò il dito di lei sul grilletto.

Poi, abbassandosi molto, corse fuori e si lasciò cadere steso a terra, accanto a Preen. Per un attimo, attese che i proiettili scoppiassero intorno a lui, uscendo dal buio, ma non accadde nulla. L’unica cosa che udì, fu il respiro rotto di Preen. «Calma,» disse, «non è morto. La porterò dentro e la rimetterò in sesto.»

Cominciò a trascinarlo verso la porta. Dovette fermarsi per spostare l’uomo caduto sul sentiero. Era morto, come quello sulla soglia della casa. Disse ad André di lasciare il fucile e di aiutarlo a mettere Preen sul letto. Quindi tornò di nuovo fuori, tolse il cadavere dalla soglia e richiuse la porta. Il chiavistello era fuori uso, ma il paletto funzionava ancora. Fleming si fermò a riprendere fiato, prima di esaminare Preen.

Del sangue colava attraverso il pullover, di sotto al braccio. Fleming tagliò la stoffa e scostò la camicia. Il sangue si era rappreso intorno ad un buco netto, su un lato del petto, mentre un altro foro, sotto l’osso della spalla, dove il proiettile era uscito, aveva i bordi rovinati.

Dalla bocca di Preen non usciva sangue, così Fleming si rassicurò sul fatto che il polmone non fosse stato colpito; il peggio era forse una costola scheggiata o rotta.

«Non è ferito gravemente, Adrian,» disse. «Ci metterò un impacco d’ovatta per fermare il sangue, e poi useremo il vecchio, magico unguento. Lasci fare al suo buon vecchio dottore!»

Mise Preen nella posizione più comoda, chiacchierando con tono ottimista a proposito dell’enzima. Il suo ottimismo sembrò convincere la ragazza, che lo guardava preoccupata, ma egli non era altrettanto fiducioso. La piccola quantità di enzima che era rimasta, alla fine della cura di André, avrebbe potuto sicuramente curare la setticemia e ricostituire la pelle in superficie. Non poteva, però, curare una costola rotta o scheggiata, né una ferita interna. Si rassegnò all’idea che, nella mattinata successiva, sarebbe stato obbligato a tornare a Skye per trovare un medico; ed avrebbe anche dovuto informare la polizia del fatto che un paio di cadaveri giacevano nell’isola.

Nel frattempo, c’era il problema di capire chi fossero i malviventi. Appena Preen si fu addormentato, ed André ebbe cominciato a sonnecchiare in poltrona, egli scivolò cautamente all’aperto, e, con l’aiuto di una torcia, osservò gli uomini morti. Nella morte apparivano ancora più brutti di quando erano stati in vita. Entrambi avevano dei portafogli, ma contenevano soltanto dei soldi; niente patente di guida, né buste o lettere. L’assenza di ogni documento di identità era di per se stessa sospetta. La sua mente ritornò a quella volta che lui stesso e Bridger erano stati fatti mira ad alcuni spari, mentre si godevano un giorno di riposo, durante la costruzione del calcolatore. Bridger aveva avuto chiaramente l’aria di uno che sapesse il perché di quell’attacco, e, alle insistenze di Fleming, si era impazientemente lasciato sfuggire la parola «Intel,» pentendosene subito dopo, come se avesse detto troppo.

Comunque, a quel tempo era parso ridicolo collegare un gruppo affaristico segreto, ma diffuso in tutto il mondo e perfettamente legittimo, con dei pistoleri appiattati nelle lande scozzesi. Ma, dopo l’assassinio di Bridger, quel nome aveva assunto una sfumatura sinistra, nella mente di Fleming.

Che un’impresa commerciale usasse una tattica così pesante per impadronirsi di segreti del tipo di quelli custoditi a Thorness, non era troppo sorprendente per Fleming, una volta accettata la situazione. Tutto ciò si accordava perfettamente con l’idea della caccia al topo che individui e nazioni stavano conducendo, per ammassare ricchezza ed esercitare potere. Per questo motivo egli non trovava difficile accettare la teoria secondo la quale la Intel si nascondeva dietro questo attacco abortito, per quanto la ragione di un tale fatto rimanesse un mistero. Se le informazioni che essi avevano ottenuto da Bridger fossero state anche solo superficialmente esatte, i cervelli che lavoravano per la Intel avrebbero dovuto sapere come gli individui non contassero nulla, senza la macchina che avevano servito. Nemmeno André avrebbe potuto fornire informazioni di qualche valore.

Nemmeno André… Fleming raramente mostrava la propria paura, ma, essendo un uomo intelligente, la provava spesso. La provò anche adesso, ed André ne era la causa. Uno degli assalitori era fuggito. Senza dubbio sarebbe tornato con dei rinforzi, e sarebbero venuti preparati a battersi con le armi. Egli non aveva certo voglia di morire, ma temeva ancora di più i piani che la Intel poteva aver fatto su André. Questa era un’altra delle ragioni che lo spingevano a chieder aiuto.

All’alba, prese la barca di Preen, per andare a Skye. Chiamò un medico dalla prima casa dove trovò un telefono, spiegando che il paziente era stato ferito da un’arma da fuoco, e che c’erano anche da portar via dei cadaveri. Il medico informò la polizia prima di muoversi. In quel momento, Fleming era già molto avanti, sulla strada del ritorno.

Fleming ebbe lo sconfortante piacere di gridare: «Verrò senza fare storie!» quando un’imbarcazione carica di poliziotti giunse sotto la porta della casetta, un poco più tardi, nello stesso giorno.

Tutto fu fatto in modo molto tranquillo ed educato. André e Fleming furono trattati con deferenza, dato che nessuno sapeva bene di cosa si trattasse. Lo lasciarono vicino a Preen fino a che il medico lo ebbe esaminato, dichiarando che non vi era nulla di grave, ma che sarebbe stato necessario un esame radiografico per assicurarsi che non vi fossero ossa rotte. Fleming notò con divertimento come il medico non riuscisse a staccare gli occhi dai minuscoli cerchi di giovane carne sana, che crescevano già intorno ai fori dei proiettili.

«E tutto questo è accaduto soltanto ieri notte?» mormorò.

Furono fatti salire su una lancia della polizia, dove Preen venne sdraiato sul fondo, comodamente avvolto in coperte. Un agente fu lasciato sull’isola, a guardia dei due cadaveri, che sarebbero stati portati via più tardi, quando la polizia scientifica di Inverness avesse finito di fare i soliti controlli sul posto.

Fleming e André dissero addio a Preen quando sbarcarono a Skye. Il loro ospite involontario sembrò piuttosto sconvolto da questa separazione. «Dovete tornare,» disse.

«Se riusciremo mai ad uscire dalla Torre di Londra, lo faremo senz’altro,» ghignò Fleming.

Profondendosi in morbide scuse scozzesi, il sergente del posto di polizia li avvertì che, appena arrivati a Portree, avrebbe dovuto metterli in prigione.

«È pur sempre un caso di assassinio, capirà,» disse, «ma sarà l’ispettore a decidere se trattenervi o no. Io permetterò alla signorina di rimanere con lei. Ho la sua parola che non ci saranno guai, vero, signore?»

«Naturalmente,» disse Fleming, «le siamo grati per la sua ospitalità.»

Dovettero aspettare in cella un paio d’ore. La moglie del sergente aveva mandato loro due fumanti piatti di stufato di montone; entrambi mangiarono avidamente. Fu bello mangiare un vero pasto, dopo la dieta di minestre e verdura in scatola di Preen.

Quindi arrivò Quadring. Sorrideva, ma non con aria di trionfo. Al contrario, sembrava felice di vederli entrambi vivi e vegeti.

«Ci ha fatto fare delle ricerche d’inferno, Fleming,» disse. «Sta bene, mia cara?» aggiunse poi, guardando a malapena André. «Bene, come potete immaginare, i capi sono molto eccitati per il modo in cui siete rispuntati fuori, e particolarmente il dottor Geers. Temo di dovervi portare a Londra immediatamente, sono le istruzioni. Credo che stia atterrando proprio ora un aeroplano da trasporto del Comando.»

«Me lo aspettavo,» Fleming rispose. «Spero soltanto che metterà in atto la stessa abilità da segugio per scoprire chi siano quei signori che ci hanno fatto visita l’altra notte.»

«Ha qualche idea?» domandò Quadring.

Fleming esitò. «Nulla di definito,» rispose poi.


Il fallimento del tentativo fatto dalla Intel per rapire Fleming e André aveva riempito Kaufmann di costernazione e di rabbia. Egli aveva imparato a rinunciare completamente ad ogni genere di principio, quando era al servizio di qualcuno che lo pagava, ma non amava la violenza personale. Aveva cercato di spiegare tutto ciò ad un tribunale per criminali di guerra, nel 1947, sedendo sul banco degli accusati, al fianco di alcune canaglie provenienti da certi campi di concentramento minori. Aveva anche violentemente protestato di non aver mai alzato una mano su di un solo ebreo o zingaro in stato di prigionia. Il suo solo legame con la sezione incaricata dello sterminio era stato il fatto di fornire delle liste ordinate e complete dei prigionieri che non potevano lavorare o erano troppo vecchi. La corte, tuttavia, era rimasta sorda; lo aveva condannato a sette anni, ridotti poi a cinque per condotta esemplare.

L’affascinante signore che aveva preso contatto con lui quando era uscito, per offrirgli un lavoro di fiducia alla Intel, era stata la prima persona che avesse apprezzato le virtù della vita di Herr Kaufmann. «Ci fa piacere impiegare uomini come lei,» aveva detto.

Ed ora aveva tradito nel peggiore dei modi la fiducia di questi datori di lavoro così pieni di considerazione e generosità. Due uomini morti d’un colpo, ed un terzo che doveva uscire dal paese al più presto possibile. Il rapporto frenetico che aveva fatto per telefono a Salim non era un’esperienza che avrebbe voluto ripetere. Le cose più scortesi erano state dette, e si era parlato perfino di tradimento. Aveva avuto l’impressione che Salim ripetesse le parole di qualcun altro nella stanza, a giudicare dalle sue continue pause. Alla fine, gli aveva detto di andare all’aeroporto di Oban, e di aspettare che lo venissero a cercare. Uno dei direttori della Intel, proveniente da Vienna. Kaufmann, fino ad allora, non aveva mai incontrato nessun dirigente, al di sopra del direttore di zona.

Nervosamente, gironzolò attorno al fabbricato dell’aeroporto. Passò un’ora, poi un’altra. Rivoli di sudore scivolavano dalla sua testa semirapata, a dispetto della giornata fredda. Avrebbe voluto fuggire, ma non osava. Da una parte, sarebbe stato disobbedire agli ordini; dall’altra, egli era impegnato con la Intel a vita; c’erano tante di quelle cose che aveva fatto per conto loro, che rimanevano nei dossier della polizia, in una dozzina almeno di paesi…

«Allora, eccola qua…»

Era una voce di donna. Kaufmann girò su se stesso, e vide Janine Gamboul. Ghignò sollevato. Così, avevano deciso di usare il vecchio trucco delle attrattive femminili, per impadronirsi di Fleming. Ma doveva essere cauto.

«Scusi?…» disse con la sua voce gutturale. «Lei è…»

Ella ignorò la domanda. «Lei è Kaufmann,» disse, «dov’è Fleming?»

«Ma il colonnello Salim mi ha detto che un direttore venuto da Vienna…» mormorò Kaufmann.

Ella tagliò corto. «E naturalmente lei immaginava un uomo.»

«Lei è?…» balbettò lui, diventando tutto deferenza e gentilezza. «Mi dispiace, non me ne ero reso conto.»

«Glielo chiedo di nuovo: dov’è Fleming? Forse lo ha spaventato tanto da farlo scappare?»

«È sempre nello stesso posto. Nell’isoletta, Non è stata colpa mia; sono stati uccisi due uomini. E io non sono un gunman.»

Ella si diresse verso il caffè dell’aeroporto, senza curarsi di guardare se la seguiva. Kaufmann si affrettò per arrivare ad aprirle la porta. Quando furono seduti ad un piccolo tavolo, in un angolo tranquillo, essa accese una sigaretta e aspirò una profonda boccata di fumo.

«Questa volta sistemeremo le cose meglio,» mormorò, «dobbiamo avere Fleming rapidamente; non c’è niente di più essenziale.»

«Posso chiedere perché?» mormorò lui.

Essa lo fissò con impaziente disprezzo. «Perché ci aiuti a metter su un certo macchinario; ha delle nozioni che ci sono necessarie.» Lo gratificò di un sorriso freddo. «Tutto ciò è, in effetti, il risultato delle sue commendevoli attività per conto della compagnia. Per quanto stupido possa essere, lei è leale ed energico. Credo che avrebbero dovuto dirglielo prima.»

Abbassò la voce ad un sussurro. «Quando abbiamo saputo che dallo spazio un messaggio era giunto sulla Terra, si ricorderà che le abbiamo chiesto di mettersi in contatto con il professor Dennis Bridger, il collaboratore di Fleming. Lo fece bene, Kaufmann. Riuscì ad ottenere da Bridger la conferma della notizia che si stava facendo un calcolatore per interpretare il messaggio.»

«Non ne venne mai fuori niente,» disse Kaufmann luttuosamente, «Bridger… ehm… si è ucciso.»

«E così lei crede che non ne sia venuto fuori niente?» rise lei. «Abbiamo costruito una copia di quel calcolatore nell’Azaran. Ma ora abbiamo bisogno di un piccolo consiglio di un esperto. Salim è riuscito ad ottenere la professoressa Dawnay, la quale, però, se ne interessa solo indirettamente. Forse ci sarà utile; ma Fleming ci è essenziale.»

Kaufmann si sentì molto sollevato, quasi felice. Accese perfino un sigaretto.

«Così, vede, Herr Kaufmann,» terminò Janine Gamboul, spegnendo la sigaretta, «questa volta non devono esserci errori, nell’arruolamento del professor Fleming nel nostro gruppo.»

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