1 Previsioni: variabile

Il segnale d’allarme prese a ronzare sommesso ma insistente, sopra la testa del capitano Pennington, eco discreta della rumorosa campana appesa sulla porta del posto di guardia, dall’altra parte dello spiazzo, di fronte al quartier generale del reparto n. 173 della Marina Britannica.

Pennington cercò a tentoni l’interruttore accanto al letto, alzandosi a sedere. Fissò senza capire il braccio che vibrava tintinnando. Questi campanelli si trovavano in tutte le stanze degli ufficiali; erano dipinti di rosso e servivano a dare il segnale d’allarme n. 1. Tutti sapevano, in pratica, l’unico significato del n. 1: la notifica dei sette minuti che quelli di balistica erano riusciti a garantire, per permettere che si riprendesse fiato prima che la Terza Guerra Mondiale fosse cominciata e finita.

Il capitano Pennington si alzò dal letto. Sentiva uno scalpiccio di piedi in corsa; sapeva che erano quelli dei Commandos della marina, mentre mettevano in atto le istruzioni imparate già da molto tempo. Il telefono accanto al letto squillò proprio nel momento in cui si stava sforzando di entrare nella propria divisa.

«Maggiore Quadring,» disse rapidamente una voce tagliente, «spiacente per il panico di questo provvedimento. Ordini da Whitehall. Non si tratta della cosa grossa, perciò si tranquillizzi. È Thorness. Incendio in grande stile. Probabilmente sabotaggio. Ma può darsi anche che il danno non possa essere stato provocato dal mare. Così abbiamo mandato un S.O.S. ai suoi ragazzi.»

«Thorness!» ripeté Pennington: «Ma è il punto chiave di…»

«Esattamente. Conservi le sue reazioni mentali per più tardi. Venga qui entro un’ora. Quattro gruppi, con anfibi e uomini rana, naturalmente. Io starò ai cancelli per farvi entrare. Dica agli uomini di non fare stupidaggini; le guardie, qui, non perdono tempo a fare domande.»

Il telefono ammutolì con un clic. Pennington controllò il proprio equipaggiamento d’assalto, e uscì di corsa dalle baracche provvisorie degli ufficiali nell’oscurità della neve che cadeva mollemente. Intravedeva i contorni delle ombre degli uomini, al fianco delle loro auto e degli anfibi, con i motori già avviati. Non si vedeva una luce.

«Bene,» gridò nel buio, «sarete contenti di sapere che non si tratta di quello. Ma nemmeno di un’operazione finta. Sono nate delle grane serie alla stazione dei missili, laggiù a Thorness. Io ne so quanto voi, comunque stiamo andando perché probabilmente ci sarà da fare un lavoro in mare. Naturalmente, potete usare i fari. Stabilirò io la velocità: dovremmo tenerci sugli ottanta di media. Tenete aperte le radio finché non ordinerò diversamente. Andiamo!»

Una Land Rover girò e venne a fermarsi al suo fianco. Egli vi salì. Gli ordini si susseguivano veloci, mentre i marines salivano a bordo dei camion. Pennington fece un cenno al suo autista, e la colonna uscì rombando dal recinto.

C’era un tratto di settanta chilometri dalla loro base al promontorio solitario, puntato verso l’Atlantico, sul quale era stato costruito Thorness, il centro nervoso delle rampe di lancio per la prova dei missili. Tutta la zona era stata evacuata dai civili, e la strada, serpeggiante ed ondulata, spianata e raddrizzata per il trasporto dei missili e del combustibile. Pennington compì il tragitto in 55 minuti precisi.

Il cancello principale, tra cavalietti uniti da festoni di filo spinato, era chiuso. Sotto i riflettori montavano la guardia sentinelle armate di fucili automatici. Accanto a loro, sedevano immobili e vigili dei cani Dobermann Pincher. Al rumore del convoglio in arrivo, il maggiore Quadring uscì dal fabbricato di cemento del posto di guardia con un sottufficiale. Quadring era un ufficiale di mezza età, snello, vestito elegantemente, e con un aspetto tranquillo. Dopo aver dato una rapida occhiata ai segni di riconoscimento del reparto, che erano visibili sulla macchina di Pennington, dette ordine che il cancello fosse aperto.

«Arrivate fino all’area di parcheggio, in fondo, a sinistra,» disse a Pennington che saltava giù. «Dica ai suoi ragazzi di stare tranquilli, ma di rimanere accanto alle auto. Poi ritorni qui; le farò un quadro della situazione. Davanti ad un bicchiere del solito tè; corretto, naturalmente.»

Più avanti, oltre i riflettori all’entrata, una doppia fila di luci, allineate nella notte nebbiosa, costeggiava la strada principale del campo. La neve aveva smesso di scendere e quella già caduta stava diventando fanghiglia; per questo il terreno era scuro, e altrettanto scuri erano i fabbricati del campo, ad eccezione delle finestre dove brillavano le luci di emergenza.

Nell’interno, un’altra zona di debole luce rompeva il buio, nel punto in cui le lampade portatili erano state dirette sulla costruzione in cui si trovava il calcolatore più importante; ed un velo più spesso — di fumo — galleggiava spandendo un odore sulfureo, sopra la nebbia. Il maggiore Quadring guidò Pennington attraverso le costruzioni di cemento, fino alla baracca di guardia.

Soltanto alla luce della lampadina non schermata nella stanza del posto di guardia, era chiaramente visibile che Quadring era un uomo preoccupato. Il suo volto appariva grigiastro per la fatica e per lo sforzo, e la porzione di rum che versò nel proprio bicchiere di tè fu più che abbondante.

«Mi dispiace per questa sortita in una notte simile, e in un posto dimenticato da Dio come questo qui. Penso che Whitehall e la Highland Zone abbiano un po’ esagerato con l’allarme n. 1 e l’escursione; ma, dopotutto, io sono solo un semplice soldato. Loro sanno meglio di me quello che sta succedendo. Per quanto, perfino alla mia mente non tecnica, tutto questo sembri un maledetto imbroglio.»

Rifiutò l’offerta di una sigaretta da parte di Pennington, e cominciò a schiacciare del tabacco dentro una pipa annerita. «La nebbia del mare si è richiusa come un lenzuolo su tutta la costa. Dalla stazione si finisce direttamente dentro dell’ovatta. Non si vede un centimetro al di là del proprio naso. La nebbia si alzerà all’alba, probabilmente per la pioggia o il nevischio. Ve lo dico io, è un posticino proprio simpatico.

«Circa quattro ore fa, qualcuno o qualche cosa ha attaccato questo posto, e ne ha distrutto il cervello. Il che significa, se il mio lavoro qui è davvero vitale come mi si dice, che la vecchia Lady Britannia è stata depredata del suo potere, della sua ricchezza, e di quasi tutte quelle cose sulle quali si basavano i suoi politici.»

Pennington lo guardò, scettico. «Francamente, signore, non crede di stare drammatizzando troppo le cose? Voglio dire, tutti sanno che Thorness è una base di prova per i missili, e il posto dove funzionano quei calcolatori che hanno permesso alle I.B.M. di intercettare il messaggio così bene. Ma, insomma, queste macchine non sono uniche. Gli yankees e gli altri della N.A.T.O…»

«Le macchine erano uniche,» rispose Quadring. «Se lei sommasse tutti i calcolatori che sono in uso nel paese per l’industria e per il governo, non sembrerebbero più importanti della cassa di un negozio, a confronto con quel giocattolo scientifico, che ora è un intrico rovinoso di valvole, fili e cavi saltati. Nemmeno i missili sono così importanti.»

Pennington sorseggiò il suo tè al rum, cercando di mettersi più comodo sulla dura sedia di legno. «Naturalmente, anch’io ho sentito qualche accenno abbastanza bizzarro sul lavoro secondario che si svolge qui,» disse poi con una smorfia, «sono pettegolezzi che si fanno al bar. Questo tipo di cose doveva per forza dare il via alle chiacchiere.»

«Niente che eguagli la realtà,» disse Quadring. «Ho avuto l’autorizzazione dall’alto di tracciarle un quadro generico della cosa. I suoi amici ubriaconi del bar non hanno per caso borbottato nei loro bicchieri qualche cosa a proposito dell’esperimento Dawnay, eh?»

«L’esperimento Dawnay?» ripeté Pennington. «No, signore.»

«Non avrei mai creduto di essere così al sicuro,» ghignò il maggiore.

Riaccese la pipa e, per un momento, la succhiò con aria soddisfatta.

«Questa tale Dawnay è una specie di genio biochimico e asessuato che viene da Edimburgo. Però, devo ammettere che la trovavo una persona gradevole, prima che si ammalasse di una qualche infezione dovuta al suo lavoro, povera vecchia signorina. Per quanto ne capisco io, il contatore le serviva a sintetizzare i cromosomi, dei quali le avranno certamente detto qualcosa quando le parlarono delle farfalle e degli uccellini, dei misteri della vita, insomma.

«Lei, ovviamente, non aveva tutto il bandolo della matassa in mano, sapeva solamente che le formule vomitate dal calcolatore erano giuste. Il risultato, però, fu un embrione umano.»

«Umano?»

«Questo è quello che dicono. La penso come lei, un bell’affare. Esso crebbe come un fungo, o, piuttosto, essa crebbe, dato che tutti gli organi sessuali erano a posto, e in quattro mesi era diventata alta un metro e sessanta e pesava cinquantacinque chili. I rapporti sono molto esatti, sui fatti meno importanti e privi di pericolo.»

Pennington cercò di sembrare divertito. «Questa specie di zombi, o robot, o quel che diavolo era — stava ferma in qualche specie di grande provetta da esperimento, o fissa su qualche piattaforma, o come?»

«Non era affatto uno zombi, assolutamente,» ribatté Quadring, «la chiamavano umana perché aveva un aspetto umano, si comportava come un umano, aveva un’intelligenza umana e delle abilità fisiche umane. Sebbene, per quello che ho capito, nessun istinto o emozione fino a che non le furono insegnati. Una ragazza piuttosto graziosa, veramente. Io lo so bene. L’ho incontrata una quantità di volte.»

«Le persone che sanno tutto questo ed hanno il compito di badarle devono provare un senso di repulsione,» disse pensosamente Pennington, «insomma, voglio dire, questa cosa prodotta in un labor…»

«Non si faccia delle idee sciocche, e non si accontenti di ciò che dico io. Tutti la considerano una ragazza molto attraente. Ma una ragazza molto speciale. La Dawnay l’aveva costruita, ma era stata soltanto l’artigiano. Il progetto era nato nel calcolatore, con l’unica preoccupazione che fosse fatta su misura per i suoi scopi. La ragazza assorbe le nozioni dal calcolatore e la macchina ha bisogno di lei per programmarle; o, piuttosto, ne aveva bisogno.»

«Ne aveva?»

«Se ne è andata.»

«Vuole dire che è scomparsa?»

Quadring fissò la poltiglia scura e congelata nel fornello della sua pipa. «È esattamente quello che voglio dire.»

Pennington rise, un poco troppo rumorosamente. «Forse non è mai esistita! Intendo dire che non si può credere veramente in un essere umano manufatto, che sia in rapporto mentale con un calcolatore.»

«Noi militari non siamo dei tipi pagati per pensare,» disse Quadring. «Per ora, il nostro compito è di ritrovare lei e chiunque abbia distrutto il calcolatore. È difficile che possa essere l’opera di qualcuno dal di fuori; è stata compiuta in modo troppo rapido ed esperto. Il fabbricato bruciava già allegramente prima che le sentinelle riuscissero a chiamarmi, e che sfondassero le porte chiuse per prendere gli estintori. Comunque, non era quello il vero guaio; il calcolatore era già stato ampiamente ed abilmente danneggiato con un’ascia, prima che venisse appiccato l’incendio. Fino ad ora, i controlli di sicurezza ci hanno detto una sola cosa: la ragazza — si chiama André, da Andromeda, cioè la stella, o quel che diavolo è, che ha — così dicono — trasmesso le informazioni basilari al calcolatore, non si trova più, e nemmeno uno scienziato di nome Fleming.»

«Si sa qualcosa di lui?»

«Negli schedari il suo nome è seguito da un punto interrogativo. Niente di preciso. Ma è il solito tipo di giovane e brillante genio che pensa di saperla più lunga di tutto il corpo accademico. Il fatto è che si era innamorato della ragazza; e lei, in un certo qual modo, si affidava a lui per tutti quei consigli che il calcolatore non poteva o non voleva darle. Certo è che stavano sempre insieme, sul lavoro e fuori.»

«Allora anche adesso potrebbero essere ancora insieme?»

«Esattamente. Con la prima luce, se la nebbia si dirada, lei e i suoi ragazzi comincerete a cercare. Una sentinella mezzo addormentata, giù, al molo, crede di aver visto un uomo e una donna prendere una barca e andare verso l’alto mare, proprio prima che la sirena d’allarme cominciasse a suonare.»

«A quest’ora potrebbero essere già sbarcati in qualunque punto della costa,» disse Pennington.

«Non con quella barca. So che non vi era più di un gallone di benzina. È soltanto un piccolo fuoribordo, buono solo a gironzolare lungo il promontorio per controllare le difese. Potrebbe arrivare ad una delle isolette lungo la costa, non oltre.»

«Che ne dice di un appuntamento in alto mare?»

Quadring dette un’occhiata al suo compagno. «Un colpo del solito vecchio personaggio: ’una Potenza Straniera’?» Alzò le spalle. «Potrebbe essere. La flotta ha avuto l’allarme insieme a lei. I cacciatorpediniere e gli aeroplani avranno già cominciato a setacciare tutta la zona occidentale, fino a nord, alla ricerca di ogni battello da pesca dall’aria troppo innocente e di ogni barcaccia eccessivamente neutrale. Ma il nostro radar avrebbe trovato qualunque oggetto più grosso di una barca a remi.

«Io scommetto che non troveranno niente. E, forse, nemmeno lei. Ma con questo genere di tempo, una piccola barca aperta non è esattamente igienica. L’isola però potrebbe salvare le nostre speranze.»

Quadring si alzò in piedi e guardò attraverso la finestra. «È ora di muoversi,» disse, «e io devo preparare un rapporto maledettamente complicato sulla mia incompetenza a definire la faccenda.»

Nel cielo, l’oscurità cominciava impercettibilmente a diminuire, quando Pennington si incamminò verso il parcheggio. Gli uomini stavano fumando e chiacchierando sommessamente. Pennington disse loro brevemente che una coppia sospetta di sabotaggio — un uomo e una ragazza — sembrava fosse fuggita in barca, per approdare in un punto lontano della costa o su una delle isole nelle vicinanze.

«Li vogliono vivi, non morti,» continuò, «così, niente maniere forti. Non si ritiene che siano armati, e non vi sono ragioni per le quali debbano reagire violentemente. La ragazza è — ehm — un testimone particolarmente importante. Scenderemo fino al molo ed organizzeremo lì il sistema di ricerca e di controllo.»

Dovettero perdere tempo in riva al mare per almeno un’altra ora, prima che facesse chiaro. La nebbia cominciò lentamente ad alzarsi come un’ampia cortina, mostrando prima di tutto il grigio mare imbronciato e, un paio di miglia più lontano, le rocce basse dell’isola più vicina, imbiancate a nord da macchie di neve.

Il loro sbarco fu tutt’altro che drammatico. Pennington era sull’anfibio di testa, quando vide la figura di un uomo che stava immobile sull’imbarcadero di legno dell’isola. L’uomo non si mosse nemmeno quando il veicolo uscì dall’acqua sulla terra e gli si accostò.

«Mi chiamo Fleming,» mormorò, «vi stavo aspettando.»

Era un uomo piuttosto alto e ben costruito, sulla trentina, con un viso bello, ma tormentato. Aveva i capelli bagnati e impastati di sabbia, ed i vestiti spiegazzati e coperti di fango. Rimase immobile, come se fosse esausto.

«Si consideri in stato d’arresto,» disse Pennington, «e la ragazza che è venuta con lei?»

Fleming continuò a fissare il mare. «Ho perso ogni contatto con lei, mentre cercavo un riparo. Si è mossa e si è persa. Ci sono le impronte: finiscono all’entrata di una caverna. All’interno c’è una pozza d’acqua profonda.»

«Sì… si è uccisa?» domandò Pennington confuso.

Fleming si volse verso di lui. «L’hanno uccisa. Tutta quella maledetta baracca che prima l’ha usata.» Si calmò un poco. «Era ferita, gravemente ferita. Se è caduta in quello stagno non può aver avuto nessuna possibilità di salvarsi. Le sue mani… le sue mani erano…»

«Ci immergeremo in quell’acqua, la dragheremo,» disse Pennington.

Fleming gli lanciò uno sguardo in qualche modo compassionevole. «Certo che lo farà,» disse, «i suoi capi reclameranno la loro parte di carne; annegata, se non possono averla viva.»

Pennington chiamò un marine. «Riporti il professor Fleming a terra. Lo consegni al maggiore Quadring. Riferisca al maggiore che noi restiamo qui per poter continuare le ricerche sull’isola.»


La linea diretta tra Thorness e il Ministero della Scienza, a Whitehall, era sempre rimasta occupata, da quando la notizia del disastro accaduto al calcolatore era stata trasmessa all’ufficiale di turno, subito dopo mezzanotte.

Il ministro stesso era arrivato in ufficio ad un’ora incredibile: le nove di mattina. Era entrato da una porta laterale, per scongiurare l’eventualità che qualche zelante reporter pensasse ad una crisi di governo. Con notevole irritazione, aveva trovato il suo segretario privato e personale, Brian Fothergill, già sul posto, con il suo solito aspetto calmo ed elegante.

«Buon giorno, signor ministro,» aveva detto affabilmente, «una mattina orribile, le strade sono completamente coperte di ghiaccio.»

«Al diavolo le strade ghiacciate,» lo rimbeccò petulante il ministro; «quello che voglio è qualche informazione su questo affare di Thorness. La Difesa mi ha svegliato alle cinque. Ho aspettato un’ora per non disturbare il Primo ministro. L’ha presa male, molto male. Sta cercando di combinare una riunione di Gabinetto per le undici. Dobbiamo fargli trovare del materiale utile, Fothergill; se non addirittura una soluzione. Scommetto che siamo ancora in una nebbia più fitta di quella che copre quel maledetto posto delle Highlands.»

Fothergill depose delicatamente sulla scrivania del ministro un grande foglio, ordinatamente riempito a macchina.

«Non del tutto, signore,» mormorò, «come potrà dedurre da questo compendio della situazione. Si tratta soltanto di poche notizie preliminari, naturalmente, tutte quelle che ho potuto collezionare nei» — dette un’occhiata al proprio orologio da polso, sottile come un’ostia — «settantacinque minuti che sono trascorsi da quando ho dato inizio all’inchiesta.»

«Per l’amor di Dio,» scoppiò il ministro, «la pianti con questo gergo disgustoso. Quello che intende dirmi è che ha seccato tutti quanti per trovare qualcosa da mettere giù. Sono sicuro che avrà tirato giù dal letto l’intera baracca.»

Il ministro scorse rapidamente tutto il rapporto. «Bene bene,» disse, accennando con il capo; «per quanto può andare avanti. Il che, in realtà, vuol dire: male male. Non che sia colpa sua, Brian,» aggiunse in fretta. «Mi devo invece congratulare per l’energia con la quale ha superato ogni ostacolo. Ci sono fatti di un certo interesse.»

Rilesse il rapporto.

«Il calcolatore è andato. La ragazza è andata. Le equazioni di Andromeda, registrate per mesi al radiotelescopio di Bouldershaw Fell, sono andate. Qualcuno a nome Fleming, che io ricordo come un tipo venuto su dal nulla, poco pulito e dotato di un’alta opinione di sé, è andato anche lui. Quando lo incontrai, ebbi l’impressione che bevesse troppo. Il che probabilmente significa che andava pure a donne. Ho il sospetto che sotto questo disastro si nasconda il solito grossolano fatto sessuale. Comunque, questo è un affare che riguarda il controspionaggio ed i suoi confratelli di Scotland Yard. Lo devono trovare loro. Più interessante mi sembra questa nota sul nostro collega Osborne, che ha visitato ieri sera Thorness.»

Il ministro alzò gli occhi e dette una vaga occhiata a Fothergill. «Dov’è Osborne? Suppongo che sia sparito anche lui.»

Fothergill si permise un attimo di esitazione, prima di rispondere: «No, signore, l’ho rintracciato. Ha preso il treno-letto che è arrivato a Euston un’ora fa. Mi sono preso la libertà di richiedere la sua presenza immediata qui, a suo nome.»

«Molto bene. E io lo infilerò nella faccenda fino al collo. Questi funzionari di stato con posti inamovibili non si ritengono responsabili verso nessuno.» Il ministro si schiarì la gola. Si era reso conto di stare infrangendo una convenzione nel criticare apertamente, davanti a un inferiore, il sottosegretario permanente del Dipartimento.

«Per il momento è tutto, Fothergill. Faccia entrare Osborne appena arriva. E non mi faccia fare tardi a quella riunione delle undici. Avrò bisogno di lei alle dieci e mezzo per il mio memorandum.»

Fothergill scomparve senza rumore.

Il ministro ebbe il tempo di accertare qualche altro fatto, prima che Osborne fosse annunciato. Come persona avente una certa anzianità nel servizio civile, il sottosegretario era stato autorizzato, e perfino incoraggiato, a tenersi in contatto personale con il progetto Thorness. Ma perché questa visita, proprio il giorno prima? E perché, come mostrava il registro di entrata del posto di guardia di Thorness, egli vi aveva introdotto un altro visitatore, senza segnarne il nome?

Il solo pensiero di uno scandalo di spionaggio che potesse colpire direttamente il ministro della Scienza stesso, portò il suo furore al massimo grado, proprio nel momento in cui Osborne entrava, immediatamente dopo aver bussato.

Il ministro lo guardò fremente. «Chi è quel tipo che hai portato a Thorness con te?» domandò senza preamboli.

«Un assistente,» rispose secco Osborne.

Il ministro era deciso a mantenersi calmo, fino a che lo avesse potuto. «Perché lo hai portato con te?» interrogò. «Come mai ti serviva un assistente per questa visita notturna?»

Osborne sembrò aver scoperto qualcosa di straordinario interesse sulla scrivania del ministro. «È essenziale, per lui, vedere la situazione dall’interno,» mormorò.

Il ministro si alzò dalla sedia ed andò verso la finestra. Non era a suo agio di fronte alla calma di quell’uomo, e sapeva che non vi sarebbero state molte speranze di arrivare alla verità, se non fosse riuscito ad infrangere la sua flemma. Al momento, l’unica persona che rischiava di perdere il controllo era lui stesso.

«Non ha lasciato lì una bomba, spero.»

Sapeva che quello non era il modo giusto per entrare in argomento. Per quanto eticamente scorretti potessero essere i punti di vista di Osborne, non era tipo da usare la violenza. «Va bene, va bene, naturalmente non lo ha fatto,» riprese frettolosamente. «Ma tu sai quello che significa tutto ciò, non è vero?»

Lasciò la finestra e affrontò Osborne. «Abbiamo perso il capitale nazionale; tutto. Il calcolatore è andato. La ragazza è andata. Persino il messaggio originale che il radiotelescopio di Bouldershaw aveva raccolto è andato. Non c’è alcuna speranza di poter ricominciare. Dopo essere stati una potenza di prima grandezza, in grado di crearsi delle difese inattaccabili, oltre a tutto il potenziale necessario per una supremazia industriale, ora siamo regrediti fino a diventare una potenza di second’ordine — in realtà, di terz’ordine.»

Osborne levò lo sguardo dalla scrivania, e guardò quietamente il suo inquisitore. Il suo silenzio infuriò ancora di più il ministro.

«Una sola volta, in un milione di anni, se non probabilmente, anche più,» osservò, «un pianeta riceve un regalo di Natale da un altro pianeta. E cosa combina qualche maledetto pazzo? Va e gli dà fuoco.»

Di nuovo, andò verso la finestra e guardò giù, verso il traffico della Whitehall.

«È stato un pazzo?»

Il commento di Osborne non fu altro che una domanda mormorata.

«Torneremo agli aiuti americani in capo ad un anno,» ribatté il ministro.

«L’America, almeno, è un padrone che riusciamo a capire,» suggerì Osborne. «Queste informazioni di Andromeda abbiamo dovuto accettarle per la loro apparenza superficiale. I risultati sembravano splendidi. Ma chi aveva capito di cosa si trattava? Da qualche punto di quella spiraliforme nebulosa morente e già mezzo morta di Andromeda giunge un messaggio abbreviato che non ha senso per nessuno, se non per un calcolatore — e per una ragazza-fenomeno; e, forse, per un vero scienziato umano.»

«Vuoi dire Fleming,» disse il ministro.

Osborne lo ignorò. «Dal momento che un’intelligenza ci manda, da qualche recesso dello spazio, un torrente di dati tecnici, tali da metterci in grado di costruire obbedientemente una creatura antropomorfa, che guidi la sua macchina, chi può credere in buona fede che l’intero affare sia per il nostro beneficio, e non per il suo?»

Il ministro accese una sigaretta. Non poteva fare a meno di essere un poco impressionato dall’argomento. «È questo che pensava Fleming?» domandò.

«Che fosse un tentativo per sopraffarci? Sì. Non sto dicendo che abbia fatto saltare in aria il calcolatore, ma, se lo ha fatto, io, per quello che mi riguarda, non lo biasimo. Ringrazio invece Dio che non sia caduto nelle mani di qualcun altro.»

Il ministro era un uomo dalla mentalità semplice; non amava le discussioni morali; le persone se la cavavano meglio quando veniva detto loro soltanto quello che dovevano fare. «La patria a torto o a ragione, la mamma sobria o ubriaca,» era un detto che aveva udito quando era ragazzo. Lo trovava molto giusto.

«Da quale parte stai, Osborne?»

Osborne gli indirizzò un sorriso vago. «Da quella perdente, di solito, signor ministro.»

Il suo capo sbuffò disgustato. «Avevo sperato che avresti contribuito con qualcosa di utile. Avevo torto. Forse Geers si è dato dattorno abbastanza da scoprire cosa diavolo è successo nel posto del quale si suppone che sia il direttore.»

Il ministro premette il pulsante del citofono, e chiese ad un segretario di metterlo in linea con Thorness. Osborne prese questo gesto come un congedo, ed uscì lentamente dall’ufficio. Personalmente, era piuttosto sorpreso di essere ancora un uomo libero. Mai, prima di allora, nella sua carriera minuziosamente pianificata e tranquilla di funzionario di stato, aveva permesso ai suoi sentimenti di influire sul suo senso del dovere. Tuttavia, tenendo conto di quanto era accaduto, non sentiva alcun rimorso. In effetti, aveva aiutato Fleming, e la sua unica preoccupazione era ora che nessuno potesse provarlo.

Camminando lungo un corridoio verso il proprio ufficio, si permise un sorriso di divertimento, al pensiero di come si sarebbe sentito Geers in questa mattina di crisi.

Geers era un carrierista. Come direttore di Thorness, egli era il delfino fortunato e aureolato di gloria dei Ministeri della Difesa e della Scienza. Al momento giusto, aveva saputo saggiamente ripiegare su un entusiasmo alato per l’esperimento Dawnay, dopo parecchi giorni sprecati in un’opposizione ostinata, a favore della missilistica. Geers era un uomo che sapeva da quale parte il pane è imburrato. Egli aveva virtualmente reso possibile a se stesso il piacevole miracolo di averlo imburrato da tutte e due le parti.

Ma ormai laggiù, nella lontana Scozia, Geers cominciava ad intravedere l’immagine di un autocrate torturato e brutalizzato. Malgrado i messaggi frenetici che continuavano ad arrivare nei suoi alloggiamenti, durante tutta la notte, si era vestito lentamente ed accuratamente come al solito, con il colletto della camicia scomodamente rigido, e la cravatta ben alta col suo nodo piccolo e preciso. Ma l’impressione di pompa dignitosa che egli considerava essenziale ad un funzionario-chiave della tecnocrazia scientifica della nazione era rovinata dallo sguardo spaventato degli occhi stanchi dietro gli occhiali, dal velo scuro di una barba rasata non perfettamente, e dalla bocca irrigidita.

Sedette davanti alla vasta scrivania di metallo pulitissima e priva di carte, ma ornata da molti telefoni, e fissò i visitatori che aveva fatto chiamare: Fleming e la Dawnay.

Madeleine Dawnay sedeva in una poltrona vicino alla finestra. Il suo viso piuttosto maschile era vagamente giallognolo, ed i suoi occhi vuoti per la stanchezza e la malattia. Si era aggiustata la gonna strettamente intorno al corpo emaciato, sentendo la mancanza del tepore uniforme dell’infermeria. Con aria riconoscente, sorseggiava una tazza di caffè che la segretaria di Geers le aveva portato.

I suoi occhi si muovevano pensosi da Geers a Fleming, che si appoggiava alla parete dell’ufficio. Non disse nulla, malgrado lo sguardo di muto appello che Geers le rivolse.

«Tutta Whitehall mi sta addosso,» cominciò lamentosamente Geers. «Il ministro della Difesa è sempre sul punto di scoppiare dalla rabbia, metà dei funzionari del Ministero della Scienza mi segnano a dito, e io non so nemmeno cosa sia successo.»

La Dawnay poggiò accuratamente la tazza di caffè sul davanzale della finestra. La breve azione fisica sembrò costarle uno sforzo. «Nemmeno io so quello che è successo,» disse quietamente.

«Osborne è arrivato alla stazione subito dopo le dieci. Con qualcun altro. La ragazza delle pubbliche relazioni li ha accompagnati nella stanza del calcolatore. Dio sa perché, ma, dopotutto, io sono soltanto il direttore qui. In seguito, quando Osborne ed il suo ospite ebbero segnato il proprio nome sul registro, l’operatore di turno chiuse a chiave per la notte.»

«E Osborne tornò a Londra?» Fleming aveva un aspetto migliore, adesso; si era sbarbato ed aveva fatto il bagno; i suoi soliti calzoni sportivi, la camicia di flanella ed il pullover apparivano almeno moderatamente puliti. Aveva l’aria più scoraggiata che stanca, ma, al lato degli occhi e della bocca, si notavano ancora i segni dello shock.

«Sì,» disse Geers, «nessun altro è entrato nel fabbricato del calcolatore, ad eccezione della ragazza, Andromeda. Dopo un po’ che stava là dentro, il caporale di guardia ha creduto di sentire odore di bruciato. È entrato nella stanza di controllo principale, e ha trovato il posto in un disordine tremendo e saturo di fumo.»

«E dove stava André?» chiese la Dawnay.

«Era uscita dalla porta d’emergenza, secondo il caporale. Ad ogni modo, lei, o qualcun altro, aveva perso un guanto. Un guanto da uomo.»

Si volse e fissò Fleming, estraendo improvvisamente un guantone di pelle dal cassetto della scrivania: «Il suo.»

Fleming non si scomodò a guardare.

«Così, lei sa tutto,» disse Geers, «soltanto due persone sanno: lei e la ragazza. La ragazza è morta.»

Fleming annuì. Con lentezza esasperante ripeté: «La ragazza è morta. Proprio così.»

«Non proprio,» disse Geers, adirato. «Deve rispondere ancora ad alcune domande. Lei è l’unica persona, Fleming, che desiderava la distruzione del calcolatore. Lo ha sempre desiderato. Le posso fare presente che il suo schedario segreto è pieno di istanze in questo senso, sulle quali si è consumato la bocca. Sono felice, però, di poter dire che è l’unico. Gli altri hanno un maggior senso di lealtà, ed una visione più vasta delle cose.»

La Dawnay protestò: «Ritengo che alcuni di noi cominciassero ad avere dei dubbi.»

Geers si volse a guardarla, incredulo; stava per aprire bocca, quando il citofono prese a ronzare.

«Il maggiore Quadring è qui, signore,» disse la voce della segretaria, «ha con sé il rapporto del comando dei marines sulle ricerche nell’isola.»

«Bene,» rispose Geers, «lo vedrò nel suo ufficio.»

Si alzò e andò verso la porta. «Lei rimanga qui, Fleming,» ordinò. Meno bruscamente, avvertì la Dawnay che avrebbe cercato di non trattenerla troppo.

Quando la porta si fu richiusa, Fleming attraversò la stanza e, fermandosi accanto alla Dawnay, guardò fuori della finestra.

«Non ha diritto di trascinarti in quest’affare,» disse, «tu non stai ancora bene.»

Essa rise brevemente. «Io sto bene; sono un vecchio animale robusto. Devo esserlo, o non sarei qui. Ma, dimmi, John, cosa è accaduto veramente? L’hai fatto, è vero?»

Egli continuò a guardare fuori della finestra. «Non vorrai caricarti anche di questo.»

«No,» convenne lei, «ma dato che vi sono immischiata — mi piaccia o no — voglio solo dirti che puoi avere fiducia in me, se hai voglia di avere fiducia in qualcuno. Osborne deve essere riuscito ad imbrogliarti, in qualche modo. Poi, tu e la ragazza lo avete distrutto.»

«La ragazza è morta.»

La sua voce si ruppe, cosa che la sorprese. Per sua esperienza, Fleming si emozionava facilmente per i princìpi, gli ideali, le idee sbagliate. Ma raramente per la gente.

«Comunque,» disse quietamente, «non c’è nessuno, nessuno che testimoni contro di te.»

Prima che egli potesse rispondere, Geers era rientrato. Aveva un’aria truce, ma soddisfatta di sé. Il maggiore Quadring aveva raccolto delle informazioni utili.

Deliberatamente, perse tempo sedendosi davanti alla propria scrivania, prima di parlare.

«Bene, Fleming, bene,» abbaiò.

«Bene cosa?» domandò pigramente Fleming.

«Cosa successe quando arrivaste sull’isola?»

Fleming girò intorno alla scrivania. «Perché domandarmelo, quando è ovvio che i soldati gliel’hanno detto? Confermerò ciò che essi hanno senza dubbio raccontato. Entrammo nelle grotte e la persi. Sono grotte molto vaste; non avevamo luce. Lei si avviò verso il fondo, dove c’era l’acqua. Ecco tutto. Povera maledetta ragazzina.»

La Dawnay notò di nuovo che la sua voce si rompeva. «Credevo che tu non avessi dubbi sul fatto che André non era umana,» osservò.

«Abbastanza umana da affogare.»

«È sicuro che cadde nell’acqua?» domandò sospettosamente Geers.

«Certo che ne sono sicuro,» scoppiò Fleming. «Quadring le ha detto che hanno trovato le bende cadute dalle sue mani, no? Oppure è questo il punto che ha dimenticato di riferire nel suo piccolo, prezioso rapporto? O forse gli allegri marines sono così stupidi che non hanno pensato valesse la pena di raccoglierle?»

Geers studiò Fleming in silenzio, prendendo tempo, in modo da essere certo di notare qualsiasi reazione. «Ho delle novità per lei, Fleming; se si tratta di novità, nel suo caso. Si sono calati in quello stagno e lo hanno dragato; non c’è nessun corpo dentro.»

Non poteva esservi dubbio che Fleming fosse sorpreso. «Ma deve esserci!» gridò. «Ho seguito le sue tracce fino a quella parte della grotta. Non lo hanno dragato come si deve. Non ci sono altre uscite, io ho cercato dovunque.»

«Così dice Quadring,» mormorò Geers; la sua disinvoltura se n’era andata. Aveva sperato di provocare una confessione da parte di Fleming. Ma Fleming era evidentemente confuso.

«La ragazza non può andarsene dall’isola e, dato che la sorveglianza è stata costante fino dall’alba, deve ancora essere in qualche parte delle grotte. Andrò a vedere io stesso; è l’unico modo di ottenere che una cosa sia fatta, in questa dannata situazione.»

«La guiderò io,» disse fermamente Fleming.

«No, questo non va bene,» ribatté Geers, «lei è in arresto.»

«Solamente per suo ordine.»

«Lo lasci venire,» intervenne la Dawnay; «lui conosce il posto. E desidera ritrovare André ancora più di lei.»

Geers acconsentì con malagrazia; i due uomini uscirono per andarsi a mettere degli abiti più caldi e gli stivali da acqua. Fleming era stato autorizzato a portare delle torce ed una lanterna speciale, ed a rifornire di combustibile una barca con fuoribordo. Non era passata mezz’ora, e già attraversavano le due miglia di mare agitato che li separavano dall’isola. Nessuno dei due disse parola, durante il viaggio. Geers sedeva aggrappato nel mezzo della barca, fissando la sagoma dell’isoletta rocciosa, che si levava nella nebbia. Fleming sedeva a poppa, reggendo il timone. Accostò l’imbarcazione all’imbarcadero di legno, proprio di fronte all’entrata della grotta.

Geers vagò sulla sabbia fangosa, mentre Fleming tirava a sé la barca nell’acqua bassa. Si arrampicarono poi sulle ripide tavole fino al punto più alto, muovendo verso l’entrata della caverna. Alcuni gabbiani gridarono e si agitarono a questa invasione del loro regno; il silenzio all’interno della grotta creava un magico contrasto con le grida degli uccelli e il ritmico sospiro delle onde che si rompevano.

«È sicuro che questa sia la strada dalla quale è venuto?» domandò Geers, muovendo cautamente in avanti, alla luce ondeggiante della lampada e della torcia di Fleming.

«Certo; questo è il tipo di cosa che si memorizza automaticamente, per essere sicuri di ritrovare la strada d’uscita.»

Diresse il raggio della propria torcia su uno stretto passaggio in discesa, che curvava verso destra. «Questa è la strada per arrivare al vano dove si trova lo stagno. Può vedere le orme dei passi dei marines sulla sabbia.»

Geers cominciò ad inoltrarvisi, illuminando con la lampada la sabbia sconvolta. Si arrestò di scatto, quando si accorse che Fleming non lo stava seguendo. «Dove sta andando?» gridò. Fleming stava dirigendosi verso sinistra. «Sto cercando di dare un’occhiata a quest’altro passaggio; anche qui c’è dell’acqua.»

«Crede che abbiano dragato quella sbagliata?» domandò Geers.

«No; persino Quadring e quell’ufficiale dei marines non sono tanto stupidi.»

Geers si volse. «Non ho capito quale sia la sua idea, ma sto venendo a vedere. Controlleremo dopo il primo stagno.»

Il passaggio scendeva ripido, e l’apertura diventava sempre più stretta. Fleming si era abbassato molto, ed ora stava procedendo decisamente. Geers, cercando di stare al passo con lui, urtò con la punta dello stivale un sasso, e cadde bocconi. Imprecò di dolore, battendo la spalla contro una roccia aguzza.

Fleming si volse, girando verso di lui il raggio della torcia.

«Si è fatto male? È un brutto affare, se non si è mai scesi in una caverna. Aspetti qui, mentre dò un’occhiata allo stagno; non ci starò molto.»

Geers si rialzò goffamente, e tornò indietro di qualche passo, dove il passaggio era più largo. I passi di Fleming echeggiavano attutiti ma distinti lungo le pareti della grotta, divenendo sempre più deboli.

Per un intero minuto, vi fu il freddo, morto silenzio di un mondo senza vita. Poi, alla sua destra, in direzione del vano con lo stagno principale, venne il suono secco e preciso di un sasso che rotolava sulla superficie di pietra. Con un tonfo sordo, cadde nell’acqua. Geers si raggelò istintivamente nell’immobilità, trattenendo il respiro. Con un secondo tonfo, un altro sasso cadde nell’acqua, seguito dal fruscio di molti altri ciottoli più piccoli.

La reazione di Geers fu un miscuglio di paura e di eccitazione. La paura ebbe la meglio. Non osava muoversi. Chiamò Fleming.

La sua voce si levò in falsetto, con una tensione che spinse Fleming a ritornare con tutta la velocità che gli permetteva l’arrampicarsi lungo il passaggio in salita.

«Ehi!» disse. «Che è successo?»

«Non ha udito nulla? Trovato nulla?» interrogò Geers.

«È uno stagno profondo, come l’altro. Credo che si trovi subito dietro la parete di roccia del vano principale. Quando ci sono pozze profonde come queste, nelle caverne, a volte sono collegate tra di loro alla base, come un tubo fatto ad U. Quello che entra da una parte, può uscire dall’altra.»

«Ma è successo?»

Fleming scosse la testa.

«No, ma un corpo potrebbe rimanere trattenuto sul fondo. Faranno meglio a dragare anche la seconda pozza.»

Geers rabbrividì, sebbene nella caverna non facesse freddo come fuori. «Non è una bella morte, nemmeno per una strana creatura,» mormorò. Poi disse ad alta voce: «Ha gettato delle pietre nell’acqua?»

Fleming illuminò con la torcia la faccia dell’altro. «No,» rispose, «perché me lo domanda?»

Proprio in quel momento, si udì di nuovo il debole rumore dei ciottoli smossi. Nell’eco ripetuta di ogni minimo rumore, era quasi impossibile identificare la direzione dei suoni.

«Eccolo di nuovo. Quel rumore. Sassi smossi,» sussurrò Geers.

«Spostati prima da me, e continuano a cadere. Succede sempre.»

Geers non era soddisfatto. Mosse un passo o due nel passaggio di destra, alla luce ondeggiante della lampada, che saltellava da una parete all’altra. Nel vano dello stagno, le rocce erano grigie ed umide; qua e là, alcune piriti brillavano, ogni volta che cadeva su di loro il raggio di luce.

Anche Fleming riaccese la sua torcia, e il raggio, traversando lo stagno, raggiunse la parete opposta della grotta, dove la roccia formava una curva dolce, seguendo il bordo dell’acqua. In un piccolo recesso, la luce mostrò, illuminandola, una macchia bianca.

«Che cos’è?» sussurrò Geers, afferrando il braccio del compagno.

Fleming scrollò da sé la mano di Geers e si mosse. Il raggio della torcia penetrò meglio nel crepaccio.

«Che cos’è?» ripeté affannosamente Geers.

«Lei, naturalmente. Mi dia una mano per tirarla fuori di lì.»

Fleming cominciò ad avvicinarsi, cercando cautamente dei punti d’appoggio sulla roccia liscia. Geers non lo seguì.

«Almeno mi faccia luce, in modo che possa vedere qualcosa,» gridò Fleming irritato.

Quando raggiunse André, pensò che fosse morta. Il suo vestito era inzuppato ed appiccicato al corpo. Fleming la sentì fredda come la pietra, quando le mise le mani sotto la vita e dietro le spalle, per cercare di sollevarla o di trascinarla.

Sebbene l’operazione fosse difficile, non poté non rendersi conto di quanto leggero fosse il suo peso, e come sembrasse fragile il corpo creato dall’uomo di questa foemina sapiens.

Delicatamente, la depose sulla sabbia ai piedi di Geers, appoggiandosi alla parete di roccia per riprendere fiato. Geers rimaneva immobile, come folgorato.

«È… è…» mormorò, deponendo la lampada sulla sabbia, in modo da illuminare il volto della ragazza. Come una dea morta, ella giaceva bionda, sottile e bella nel suo pallore. Fleming si inginocchiò e le sollevò una palpebra; l’iride azzurra sembrava senza vita; non vi furono contrazioni visibili, quando la luce vi cadde sopra. Le afferrò il polso freddo come il ghiaccio, per cercarne le pulsazioni. Sentì un lievissimo tremito, ma non fu sicuro se fosse un’illusione delle proprie dita, o la prova che André viveva ancora.

«Non sono un dottore, così non posso essere certo, ma mi sembra di sentire un battito. Una volta lei disse di avere un cuore costruito meglio di quello umano.»

Di nuovo, le mise le mani dietro le spalle, e la sollevò, mettendola a sedere. Ma quando la parte superiore del corpo della ragazza fu in posizione eretta, la testa ricadde in avanti. Si udì un gemito sordo.

«È viva,» gridò Geers esultante.

«Già.» Con la mano libera, Fleming frugò nella tasca della giacca, e ne tirò fuori una fiaschetta.

«Prova un sorso di questa bomba, bambina mia,» disse, e con i denti svitò il tappo.

«Non dovrebbe obbligarla a bere dell’alcool. È un errore che…»

«Al diavolo le sue regole di pronto soccorso da boy-scout! Su, amore, è McCoy autentico.»

Fece scorrere qualche goccia di whisky fra le labbra pallide e contratte di André.

Senza osare muoversi, i due uomini attesero la reazione. Questa venne lentamente; le labbra si distesero e si aprirono un poco, e la punta della lingua si mosse tra loro.

Fleming le scostò delicatamente le ciocche bionde e bagnate dalla fronte; fu ripagato da un breve vibrare delle palpebre.

«Così, così,» le mormorò all’orecchio, «ora prova a inghiottirne un buon sorso.» Spinse il collo della fiaschetta tra le labbra di lei, contro i denti, facendone scendere circa un cucchiaio di liquore.

André sussultò, ne sputò una parte, poi inghiottì. Fleming sentì che il corpo si rilassava contro il suo braccio.

«Come è arrivata qui?» domandò Geers.

«Deve esserci un sifone, tra i due stagni. Sarà caduta in uno e riemersa nell’altro. Dio solo sa come ha potuto aggrapparsi alla sponda e tirarsi su. Con queste ferite.»

Accennò alle mani di André, che giacevano vicine sul grembo. Gonfie in modo grottesco e senza colore, avevano il dorso e le nocche bianchi ed enfiati, in orribile contrasto con la carne viva delle dita, bruciata dallo scoppio del calcolatore.

Geers rabbrividì. «Possiamo portarla fuori di qui?» chiese dubbioso. «Dovremmo portarla a terra più presto possibile. Poi riusciremo forse a scoprire la verità, in tutto quest’affare.»

L’impazienza nel tono di Geers infuriò Fleming. «Facciamo un riposino, che ne dice? Questa ragazza è mezzo morta, e tutto quello che riesce a pensare è di sbatterla da una parte all’altra.»

Ebbe la sensazione che André capisse in parte quello che stavano dicendo; il suo corpo si era irrigidito, ed aveva fatto un patetico tentativo di sfuggire alle sue braccia.

Goffamente, Fleming lottò per sfilarsi il giaccone imbottito senza smettere di sorreggerla, e riuscì a porglielo sulle spalle.

«Adesso stai bene,» la rassicurò, «è tutto finito. Ce ne andremo a fare una lunga vacanza bellissima. Sai chi sono, vero?»

Gli occhi velati si aprirono di più e lo fissarono. Impercettibilmente, ella annuì.

Fleming si sentì ridicolmente felice. «Perfetto! Ora ti sostengo io. Tieni le mani dove sono, così non saranno toccate. Andiamo!»

Geers non fece nessun tentativo per aiutare. Stette a guardare Fleming mentre afferrava André e la sollevava come un bambino, bilanciando il peso finché sentì di tenerla saldamente, con la testa appoggiata alla sua spalla.

Soddisfatto all’idea di andarsene finalmente, Geers si chinò a raccogliere la lanterna. Fleming era proprio dietro di lui. Con un rapido colpo di stivale, mandò Geers a faccia in avanti, quindi dette un calcio alla lampada. Si udì un tintinnio, quando il vetro batté sulla roccia e la luce si spense.

Fleming rise forte. «Tienti forte, tesoro, ce ne andiamo,» sussurrò ad André. Mezzo piegato per non battere contro il soffitto di pietra, si lanciò in avanti alla luce saltellante ed incerta della propria torcia. Le urla di terrore e di rabbia di Geers echeggiavano dietro di lui.

Fleming raggiunse l’uscita della grotta avendo battuto solo una volta violentemente le spalle contro la roccia. Per arrivare alla barca, vi era una distanza di una trentina di metri. Notò con soddisfazione che la marea era cambiata, e che la poppa dell’imbarcazione era immersa nell’acqua.

Camminava già nell’acqua alta, quando Geers uscì inciampando dalla bocca della caverna, strillando il nome di Fleming, e alternando minacce di punizione ad invocazioni per essere aspettato.

Fleming depose André sul fondo della barca. Essa ebbe un gemito doloroso, quando uno degli scalmi le sfiorò le mani.

Fleming si chinò sul motore. Se solo quel dannato aggeggio fosse partito al primo colpo. I fuoribordo fanno i capricci, fino a che non si sono scaldati. Si obbligò a controllare l’aria ed il combustibile, prima di tirare la cordicella dell’avviamento. Vi diede uno strappo con tutta la sua forza; il motore si accese con uno scoppio secco ed isolato, tossicchiò un poco e quindi si avviò con ritmo regolare.

Con un calcio che gli riempì lo stivale d’acqua di mare, Fleming si staccò dall’imbarcadero. Ancora un paio di metri, e ci sarebbe stato lo spazio per virare. Mise il motore a tutta forza, e l’imbarcazione sfrecciò verso l’alto mare. Geers rimase fermo e impotente con l’acqua fino alle ginocchia, agitando le braccia e borbottando incoerentemente delle imprecazioni. Fleming non si dette la pena di volgersi a guardarlo.

Il mare era abbastanza calmo per il tratto che l’isola proteggeva dalle onde dell’oceano. Ne approfittò per controllare la riserva di benzina ed avvolgere meglio la giacca attorno alle spalle di André. Ella sembrava addormentata, o ricaduta in uno stato di incoscienza.

La barca avanzava obliquamente, a causa della corrente, assai forte nel punto più stretto tra l’isola e là costa. Proseguendo in quella direzione, Fleming stava semplicemente compiendo il viaggio di ritorno, verso il molo di Thorness. La fuga sconsiderata non aveva avuto un motivo reale. Il suo obiettivo era stato semplicemente di portare André lontana da Geers, e da tutto quello che egli rappresentava di inquisitivo, efficiente, freddo e senza pietà.

Ora avrebbe avuto il tempo di pensare un piano. Non molto tempo, però. Il mare stava diventando visibilmente più agitato. Sarebbero andati incontro ad una tempesta. La schiuma schizzava dovunque, dai due frangenti d’acqua aperti dalla prua. Fleming decise.

Spostò il timone a babordo, e puntò la prua nel senso della corrente. La situazione d’emergenza rendeva la sua memoria chiara come cristallo. Riusciva a rivedere quella grigia, rabbiosa distesa d’acqua coperta di nebbia, come era nelle rare bonacce dei giorni d’estate. Ricordava la forma accidentata degli scogli, delle rocce e degli isolotti che avevano reso la zona impraticabile per le imbarcazioni — ad eccezione di quelle di qualche pescatore di granchi — persino prima che l’Ammiragliato la proibisse al traffico a causa delle rampe dei missili.

Fleming non temeva eccessivamente di sfasciare la barca; essa non poteva fare più di dieci nodi all’ora ed era manovrabile come un sandolino. Sebbene la luce fievole del giorno invernale stesse già calando, era sicuro che il rifrangersi delle onde e gli schizzi di schiuma lo avrebbero avvertito in tempo del pericolo.

Ciò che cercava era un luogo più praticabile di uno schieramento di rocce, dove forse avrebbe trovato una casa di contadini abbandonata o un posto d’osservazione per ornitologi. Questi ricoveri, di solito, sono fatti in modo da resistere alle intemperie: solidi come la roccia sulla quale sono costruiti. Avrebbero costituito un riparo dove prendere fiato e meditare la prossima mossa. Non era la prima volta, in vita sua, che doveva in parte pentirsi di aver agito precipitosamente.

Una folata di nevischio lo investì in pieno viso. Il vento che lo portava scosse la barca, ed un ventaglio d’acqua entrò nell’imbarcazione, bagnando il volto di André. La ragazza gettò un grido ed alzò la mano per allontanare i capelli dalla faccia. Il tocco della mano sulla fronte la fece gemere di nuovo.

Fleming accelerò ancora l’andatura. Non c’era bisogno di risparmiare benzina. Doveva portarla fuori da quella barca prima che il tempo peggiorasse, o la notte cadesse. Non sapeva quale delle due cose sarebbe successa prima.

Per un’ora intera, egli si diresse verso il nord, aguzzando gli occhi e le orecchie, in cerca di un segno che rivelasse la costa. Non c’era altro rumore al di fuori dell’urlo crescente del vento, né altra vista, se non la distesa del mare, frustato dalla schiuma. Poi, senza possibilità d’errore, udì il rombo regolare delle onde che si rifrangevano sugli scogli e sui moli. Il mare cominciò ad essere meno agitato, e divenne una distesa gonfia, verdastra e minacciosa. Attraverso i brandelli di nebbia, apparve una massa grigio scura, molto più scura del cielo plumbeo del crepuscolo.

Fleming rallentò, e virò a tribordo. A causa della corrente e delle disordinate spinte del vento, non aveva più idea del punto in cui si trovava. Non aveva intenzione, nemmeno ora, di finire sulla costa, direttamente nelle braccia di qualche funzionario o di qualche cittadino timoroso e ligio alle leggi.

Diresse quindi l’imbarcazione tenendosi una decina di metri distante dalle onde che si rompevano. Cercò di dire a se stesso che riconosceva la costa per quella di una delle isole che aveva visitato per svago durante l’estate, ma sapeva che era solo un modo per cercare di tranquillizzarsi. In queste condizioni, tutte le isole sembravano somigliarsi. L’unica cosa della quale si sentiva sicuro, era che si trattasse di un’isola, e piccola anche. Molti gabbiani, disturbati dal rumore del motore mentre si preparavano a dormire, avevano preso a volteggiare, gridando lamentosamente. I gabbiani stanno di preferenza sulle isole.

La parete di roccia scendeva a picco nel punto in cui la barca cominciò a girare intorno all’isola, arrivando ad est di essa. In basso, dove la roccia incontrava l’acqua, c’era una piccola spiaggia, o, piuttosto, una stretta striscia coperta di sassi rotondi, profonda non più di cinque metri.

Senza esitare, Fleming si diresse decisamente verso di essa, salendo con metà dell’imbarcazione sui ciottoli. Si udì un pericoloso stridore ed il rumore del legno che si sfascia. La parte inferiore della barca si era spaccata.

Fleming saltò fuori, cercando un punto d’appoggio. Poi afferrò André e la sollevò. La depose delicatamente sui sassi, fuori di portata delle onde, e tornò verso la barca. La manovrò in maniera da volgere la prua verso il mare aperto. L’acqua stava già entrando rapidamente. Mantenendo il timone diritto, avviò il motore e lo mise al massimo. L’imbarcazione schizzò via follemente, con la prua quasi dentro l’acqua, e le pale del fuoribordo che giravano fuori. Non aspettò di veder affondare la barca; sollevò di nuovo André, e si arrampicò più velocemente che poté verso un terrapieno, che sovrastava la parete di roccia.

Vide un sentiero ben tracciato di poca terra battuta, dove dell’erba stenta e dell’erica malaticcia lottavano per sopravvivere.

Fleming non ne fu affatto sorpreso; se lo era aspettato. Infatti, proprio nel momento in cui la barca era stata lanciata sulla spiaggia, aveva potuto intravedere una pallida luce gialla a circa cento metri di distanza, al di sopra delle rocce.

Vista dal sentiero, la luce aveva una forma; era una stretta fenditura tra due tendine.

Non gli importava chi vivesse in quel luogo. Guardia costiera, operatore di radar, osservatore della traiettoria dei missili, o recluso. La cosa principale era ora trovare calore e soccorso per la ragazza. Essa, infatti, era di nuovo senza vita, come quando l’aveva scorta nel recesso della caverna.

Загрузка...