CAPITOLO VI IL SEGNO NEL CIELO

Don non poté rispondere. I suoi antenati scimmieschi, circondati da tremendi pericoli in ogni momento della vita, probabilmente avrebbero accolto la notizia con calma; Don era un figlio del suo secolo e della civiltà, e la sua vita era stata pacifica, sicura… e non lo aveva certamente preparato a una serie così violenta di colpi. Il sergente proseguì:

«Così sarà meglio per te tornare a bordo del Cammino della Gloria, ragazzo. Anche i tuoi genitori ti darebbero questo consiglio. Torna sulla Terra, e trovati un posticino tranquillo in campagna; sai, per un po’ le città diventeranno posti non troppo igienici.»

Don uscì dallo stato di totale confusione che lo aveva preso.

«Io non voglio tornare sulla Terra! Non è il mio posto; non sono nato sulla Terra.»

«Eh? Qual è la tua cittadinanza? Non che questo abbia importanza; chiunque non sia cittadino di Venere, tornerà sulla Terra a bordo del Cammino della Gloria.»

«Io sono un cittadino della Federazione,» rispose Don. «Ma posso dichiarare la cittadinanza di Venere.»

«La Federazione,» disse il sergente, «Ha visto crollare le proprie azioni, negli ultimi tempi. Ma cos’è questa storia della cittadinanza venusiana? Smettila di parlare per enigmi, e fammi vedere i tuoi documenti.»

Don diede i documenti al sergente. McMastes prima diede un’occhiata al suo certificato di nascita, poi spalancò gli occhi.

«Nato in caduta libera! Che io sia… dimmi, non ce ne sono molti come te, vero?»

«Penso di no.»

«Ma in quale posizione ti mette, questo?»

«Come dicevo. Mia madre è nata su Venere. Io sono cittadino di Venere per diritto di nascita… per acquisizione.»

«Ma tuo padre è nato sulla Terra.»

«E sono cittadino per diritto di nascita anche della Terra.»

«Uh? È stupido.»

«È la legge.»

«Ci saranno delle nuove leggi. Ma adesso, non so dove metterti. Senti… dove vuoi andare? Venere o Terra?»

«Io vado su Marte,» rispose Don, con semplicità.

Il sergente lo fissò, e gli restituì i documenti.

«È troppo difficile per me. E con te è impossibile ragionare. Perciò, la decisione la passo ai miei superiori. Vieni con me.»

McMaster scortò Don attraverso un breve corridoio che terminava in un piccolo compartimento, che era stato rapidamente adibito a ufficio militare. All’interno c’erano altri due soldati; uno stava usando una macchina per scrivere, l’altro era semplicemente seduto senza far nulla. Il sergente infilò il capo nel locale e parlò al soldato che stava oziando.

«Ehi, Mike… tieni d’occhio questo soggetto. Sta attento che non rubi la stazione.» Si rivolse di nuovo a Don. «Ridammi quei documenti, ragazzo.» Prese i documenti, e se ne andò.

Il soldato di nome Mike osservò Don, apparentemente sorpreso, poi non gli prestò più alcuna attenzione. Don posò i suoi bagagli, e vi si mise a sedere sopra.

Dopo diversi minuti, il sergente McMasters ritornò, ma ignorò Don.

«Chi ha le carte?» volle sapere.

«Io.»

«No, Mike, le tue sono segnate. Dove sono le carte oneste?» Il terzo soldato chiuse la macchina per scrivere, frugò in un cassetto ed estrasse un mazzo di carte. I tre sedettero intorno alla scrivania, e McMasters cominciò a mescolare le carte. Si rivolse a Don:

«Che ne diresti di una partitina tra amici, ragazzo?»

«Uh, no, grazie.»

«Ti dà fastidio se giochiamo?»

«Be’, no, certo.»

«Be’, non ti capiterà mai più di imparare così a buon mercato.» I soldati giocarono a carte per circa mezz’ora. Don tacque, e cominciò a riflettere. Si costrinse a credere che il sergente sapeva quello di cui stava parlando; non poteva andare su Marte a bordo della Valchiria perché la Valchiria non andava su Marte. Non poteva aspettare un’astronave successiva, perché la stazione… la stessa stanza nella quale si trovava ora… sarebbe stata fatta saltare. Un fuoco nel cielo.

Così, cosa gli restava? La Terra. No! Lui non aveva parenti sulla Terra, per lo meno nessun parente così stretto da dargli ospitalità o aiuto. E, dato che il dottor Jefferson era scomparso, oppure morto, lui non aveva degli amici più anziani di lui… e non trovava verosimile chiedere aiuto ai suoi compagni della scuola-fattoria. Forse, però, avrebbe potuto ritornare alla scuola, con la coda tra le gambe…

No! Era assurdo. Lui era cresciuto, e lo sapeva. La scuola-fattoria non era più per lui. Erano accadute molte cose, nel breve spazio di un giorno; lui aveva imparato, e presto. L’idea era assurda.

Dentro di lui, in un angolo oscuro della sua mente, c’era un motivo più forte e più profondo: il servizio di sicurezza di Nuova Chicago aveva fatto di lui uno straniero, un alieno; lui non avrebbe mai potuto ritornare, perché la Terra non era più la sua patria.

Non c’era scelta, si disse: doveva andare su Venere. Lassù troverò almeno gente che conosco… o che almeno mio padre e mia madre conoscevano. Mi guarderò un po’ intorno, e troverò un modo, prima o poi, per raggiungere Marte; è la decisione migliore. E, presa questa decisione, finalmente, riuscì a provare perfino un vago senso di soddisfazione.

L’altoparlante dell’ufficio chiamò: «Sergente McMasters!» Il sergente posò le carte, e si avvicinò all’intercom, abbassando lo schermo d’isolamento che impediva a chiunque altro di udire la conversazione. Dopo qualche minuto tolse il contatto, e si rivolse a Don:

«Bene, ragazzo, il Vecchio ha risolto il problema del tuo status; tu sei un ‘profugo’.»

«Uh?»

«Quando Venere è diventata una repubblica indipendente, ti è sprofondata la terra sotto i piedi. Tu non hai più cittadinanza, da nessuna parte. Così il Vecchio dice di rispedirti nel luogo dal quale vieni… cioè la Terra.»

Don si alzò in piedi, e raddrizzò le spalle.

«Io non ritornerò sulla Terra.»

«No, eh?» disse McMasters, in tono blando. «Be’, allora mettiti comodo, e stai tranquillo. Quando verrà il momento, ti porteremo di peso.» Ricominciò a servire le carte.

Don non si mise a sedere.

«Mi stia a sentire… ho cambiato idea. Se non posso andare subito su Marte, allora andrò su Venere.»

McMasters si fermò, e si voltò a guardarlo.

«Quando il commodoro Higgins prende una decisione, quella è, e quella rimane. Mike, porta via questa primadonna e sbattilo insieme agli altri terricoli… a calci, se necessario.»

«Ma…»

Mike si alzò in piedi.

«Avanti, tu.»

Don si ritrovò spinto in una sala gremita di sentimenti feriti. I terrestri… o, come venivano generalmente chiamati dagli spaziali e dai coloni planetari, i «terricoli»… non avevano con loro né guardie, né coloniali; perciò davano libero sfogo alle loro opinioni sugli eventi.

«…infame offesa! Dovremmo bombardare tutti i villaggi, raderli al suolo e rendere la superficie del maledetto pianeta un deserto radioattivo!»

«…secondo me, dovremmo nominare una commissione, i cui componenti andranno da quel loro ufficiale comandante, e gli diranno con estrema fermezza…»

«Te l’avevo detto io, che non avremmo dovuto venire!»

«Negoziare? Sarebbe un grave segno di debolezza.»

«Ma non si rende conto che la guerra è già finita? Caro amico, questa stazione spaziale non è soltanto un grande centro di smistamento, e un grande deposito merci; è la principale stazione di controllo dei missili guidati. Da qui, possono bombardare tutte le città della Terra, senza che nessuno possa fare qualcosa per fermarli!»

Don notò quest’ultima osservazione, rifletté per qualche istante su di essa, e abbandonò dopo qualche tempo l’argomento. Lui non era abituato a pensare in termini di tattiche militari; fino a quel momento, il significato strategico di un attacco a Circum-Terra non lo aveva colpito. Aveva pensato a esso in termini puramente personali, di semplice convenienza.

Sarebbero realmente arrivati fino a quel punto? Avrebbero bombardato le città della Federazione, cancellandole dalla carta geografica? Certo, i coloniali avevano un’infinità di motivi di risentimento, ma… Naturalmente, era accaduta una cosa simile, una volta, nel passato, ma quella era storia; ora la gente era più civile. Lo era davvero?


«Harvey! Donald Harvey!»

Tutti si voltarono, a quella chiamata. Un Guardiano di Venere era in piedi sulla porta del compartimento, e stava gridando il suo nome. Don rispose:

«Sono qui.»

«Venga con me.»

Don raccolse i suoi bagagli, e seguì il soldato nell’esiguo corridoio; aspettò che il Guardiano avesse rinchiuso la porta.

«Dove mi porta9»

«Il comandante vuole vederla.» Diede un’occhiata ai bagagli di Don. «Non c’è bisogno di portare quella roba.»

«Uh, credo che sia meglio tenerli con me.»

«Faccia come vuole. Ma non porti quella roba nell’ufficio del comandante.» Scortò Don attraverso due ponti, dove la «gravità» era più sensibile, e si fermò davanti a una porta presidiata da una sentinella. «Ecco l’uomo che il Vecchio ha mandato a cercare… Harvey.»

«Entri subito.»

Don obbedì. La sala era vasta e ricca di decorazioni; era stato l’ufficio del direttore dell’albergo cosmico. Ora la sala era occupata da un uomo in uniforme, un uomo ancora giovane, benché i capelli fossero spruzzati di grigio. L’uomo sollevò lo sguardo, all’ingresso di Don; Don notò che l’uomo pareva deciso e vigile, ma stanco.

«Donald Harvey?»

«Sì, signore.» Don estrasse i suoi documenti.

Il comandante rifiutò, con un gesto spazientito, i documenti.

«Li ho già visti. Harvey, lei è un grattacapo, per me. Ho già preso una decisione sul suo caso una volta.»

Don non rispose; e l’altro continuò.

«Ora, a quanto sembra, io devo riaprire il caso. Lei conosce un venusiano che si chiama…» Sibilò il nome.

«Un po’,» rispose Don. «Siamo stati compagni di compartimento, a bordo del Cammino della Gloria.»

«Uhm… mi domando se lei non l’abbia fatto di proposito.»

«Che cosa? Perché? E come avrei potuto?»

«Avrebbe potuto essere stato predisposto… lei è giovane, ma non troppo. E non sarebbe la prima volta che un giovane viene usato come spia.»

Don arrossì.

«Lei mi crede una spia, signore?»

«No, è soltanto una delle possibilità che io devo prendere in considerazione. Nessun comandante militare gradisce che su di lui vengano esercitate delle pressioni politiche, Harvey, ma non c’è un solo militare che non debba cedere a esse. Io ho ceduto. Lei non tornerà sulla Terra; lei viene con noi su Venere.» Si alzò in piedi. «Però l’avverto; se la sua presenza qui è deliberata, se lei è una spia che mi è stata messa alle costole, non basteranno tutti i draghi di Venere a salvarle la pelle.» Si girò verso un intercom, premette alcuni tasti, e aspettò qualche istante; poi disse, «Ditegli che il suo amico è qui, e che mi sono occupato io della faccenda.» Si rivolse a Don. «Prenda lei la comunicazione.»

Dopo qualche istante, Don udì una calda voce britannica. «Don, mio caro ragazzo, è lì?»

«Sì, Sir Isaac.»

La voce del drago tradì un grande sollievo.

«Quando ho chiesto di lei, ho scoperto che qualcuno intendeva incredibilmente rispedirla in quell’orribile luogo che abbiamo appena lasciato. Ho spiegato loro che era stato commesso un errore. Ho paura di essere stato particolarmente fermo sull’argomento. Shucks!»

«Adesso è tutto a posto, Sir Isaac. Grazie.»

«Non è nulla; io le sono ancora debitore. Venga a farmi visita, non appena le sarà possibile. Lo farà, vero?»

«Oh, certo!»

«Grazie, e auguri! Shucks!»

Don voltò le spalle al microfono, e scoprì che il comandante delle forze venusiane lo stava studiando, con aria enigmatica.

«Lei sa chi è il suo amico?»

«Chi è?» Don sibilò il nome venusiano, e poi aggiunse, «Si fa chiamare ‘Sir Isaac Newton’.»

«È tutto quello che sa?»

«Be’, credo di sì.»

«Uhm…» L’ufficiale fece una pausa, poi proseguì, «Tanto vale che lei sappia quel che mi ha influenzato. ‘Sir Isaac’, come lei lo chiama, discende in linea diretta dall’Uovo Originale, posto nel fango di Venere nel giorno della Creazione. È per questo che non posso far niente, nel suo caso. Attendente!»

Don si lasciò accompagnare fuori, e non disse niente. I terrestri che si erano lasciati convertire alla religione dominante di Venere erano casi più unici che rari; non si trattava, infatti, di una fede che cercasse proseliti. Ma nessuno ne rideva; tutti la prendevano molto seriamente. Un terrestre su Venere può non credere nell’Uovo Divino, e in tutto ciò che esso implica; ma tra le paludi e nel fango e sotto le nebbie del pianeta, il terrestre trova più conveniente… e molto più sicuro… parlarne con estremo rispetto.

Sir Isaac era un Figlio dell’Uovo! Don provò quel vago rispetto, quel confuso timore che colpisce anche il più convinto democratico quando egli si trova di fronte a un monarca di antica nobiltà. Ebbene… lui aveva parlato con lui, proprio come se fosse stato un vecchio drago qualsiasi… per esempio, uno di quelli che vendevano verdura nel mercato cittadino.

Ben presto, però, cominciò a considerare la cosa in termini più pratici. Se esisteva qualcuno, su Venere, capace di aiutarlo in qualche maniera nella sua determinazione di raggiungere Marte, probabilmente Sir Isaac era la persona adatta, l’unica capace di riuscirci. Rifletté sul nuovo e inatteso sviluppo della situazione… e si rese conto che, dopotutto, le sue probabilità di raggiungere la famiglia non erano scomparse.


Ma Don non poté vedere subito il suo amico venusiano. Egli venne condotto a bordo del Nautilus, insieme ai passeggeri del Cammino della Gloria diretti a Venere, e a un manipolo di tecnici di Circum-Terra che avevano dichiarato la loro fedeltà a Venere, e non alla Terra. E quando egli scoprì che Sir Isaac era stato trasferito a bordo della Valchiria era ormai troppo tardi per fare qualcosa.

La bandiera del comandante del corpo di spedizione, Alto Commodoro Higgins, fu trasferita da Circum-Terra al Nautilus, e Higgins passò immediatamente alla realizzazione della seconda parte del suo colpo di mano. L’occupazione di Circum-Terra era stata eseguita praticamente senza spargimento di sangue; il successo era dipeso dalla scelta del tempo, e dal fattore sorpresa. Ora il resto dell’operazione doveva essere condotto a termine prima che una discrepanza nei tempi di trasferimento venisse notata sulla Terra.

Il Nautilus e la Valchiria erano già stati preparati ai loro lunghi viaggi; l’equipaggio dell’Alta Marea era stato fatto sbarcare, per venire rispedito sulla Terra, ed era stato sostituito da un equipaggio formato da componenti della squadra venusiana; anche il traghetto lunare era stato rifornito ed equipaggiato per il volo interplanetario. Benché l’astronave fosse stata concepita e realizzata per coprire il breve tragitto tra la stazione spaziale e la Luna, era perfettamente in grado di attraversare i milioni di chilometri che separavano la Terra da Venere. Il volo spaziale non è un problema di distanze, ma di livelli di potenziale gravitazionale; il balzo da Circum-Terra a Venere richiedeva un dispendio di energia minore di quello necessario per combattere la terribile battaglia contro la gravità del campo terrestre, nel tragitto da Nuova Chicago a Circum-Terra.

L’Alta Marea partì lungo una parabola ampia, estremamente economica; avrebbe compiuto l’intero viaggio per Venere in caduta libera. La Valchiria partì invece in una grande vampata dei razzi propulsori, che la scagliarono in un’orbita rapida, quasi piatta, iperboloide; sarebbe arrivata su Venere forse ancor prima del Nautilus. Il Nautilus fu l’ultimo a partire, perché l’Alto Commodoro Higgins aveva un’ultima cosa da fare, prima di distruggere la stazione spaziale… una trasmissione televisiva sulla rete mondiale.

Tutte le trasmissioni in collegamento mondiale partivano, o venivano ritrasmesse, dal centro per telecomunicazioni di Circum-Terra. Da quando il Nautilus, come un cosmico cavallo di Troia, si era accostato a Circum-Terra, le forze di occupazione venusiane avevano lasciato proseguire normalmente tutte le trasmissioni. L’ufficiale di stato maggiore del commodoro Higgins che aveva la responsabilità della propaganda e della guerra psicologica scelse, come momento più adatto per annunciare alla Terra l’avvenuto colpo di mano, l’orario di trasmissione usualmente occupato da «Steve Brodie Dice…», la rubrica del più popolare commentatore di attualità, che veniva ascoltato da un enorme pubblico, in tutto il pianeta. Il programma del signor Brodie seguiva immediatamente il teleromanzo a puntate «La Famiglia Kallikak», che teneva avvinti almeno due miliardi di telespettatori… e questo rendeva ancor più favorevole il momento scelto dagli attaccanti per annunciare il successo della loro azione al mondo intero.

Finalmente il Cammino della Gloria aveva ricevuto l’autorizzazione di partire per la Terra, con il suo carico di profughi, ma con le radio rese inservibili dai tecnici venusiani. Il Nautilus galleggiava nello spazio, cento miglia più lontano, in orbita di parcheggio, in attesa. All’interno della stazione spaziale, ormai del tutto svuotata di vita… grandi corridoi e raggi e compartimenti silenziosi, scintillare di macchine immote, grandi verande sul cosmo che riflettevano lo scintillare delle stelle… il centro televisivo continuava a svolgere le sue funzioni, senza alcuna supervisione umana. Il discorso del commodoro era già stato registrato; la registrazione era stata inserita nel programmatore, e la trasmissione sarebbe cominciata nel momento esatto in cui il drammone popolare sarebbe finito.

Don assisté alla trasmissione nel grande salone dell’incrociatore cosmico, insieme a un centinaio di altri civili. Tutti gli occhi erano puntati su un enorme televisore che occupava una intera parete del compartimento. Un raggio di emissione, grazie a un particolare allacciamento stabilito tra Circum-Terra e il Nautilus, permetteva all’astronave di captare la trasmissione, e di ritrasmetterla a tutti i centri di ascolto di bordo, in modo che tutti, passeggeri ed equipaggio, potessero assistervi.

Quando l’episodio del giorno del teleromanzo si concluse, e Celeste Kallikak era già stata arrestata per presunto uxoricidio, Buddy Kallikak si trovava ancora in ospedale, con i medici che ne prevedevano la morte, Padre Kallikak era sempre introvabile, scomparso, e Mamma Kallikak era sospettata a sua volta di avere acquistato illegalmente delle razioni… ma affrontava l’accusa coraggiosamente, serena, nella convinzione che soltanto i buoni muoiono giovani, dopo il solito intermezzo pubblicitario («Il Solo Sapone con Contenuto Vitaminico Garantito, per una sempre più grande Vi-ta-mi-tà!») sullo schermo apparve la sigla del programma di Steve Brodie, la scia di un razzo che si condensava formando i lineamenti del commentatore, mentre una voce sonora ruggiva: «Steve Brodie con OGGI, le notizie di domani!»

La sigla sparì bruscamente, lo schermo si fece lattescente, e una voce annunciò:

«Interrompiamo questo programma per trasmettere uno speciale notiziario.» Lo schermo tornò a riempirsi, questa volta dei lineamenti del commodoro Higgins.

Il suo viso mancava del sorriso artificiale obbligatorio per tutti coloro che parlavano nelle trasmissioni pubbliche; i suoi modi, e la sua voce, erano freddi e cupi.

«Sono l’Alto Commodoro Higgins, comandante del Corpo d’Assalto ‘Emancipazione’ dell’Alta Guardia, Repubblica di Venere. L’Alta Guardia ha occupato la stazione satellite della Terra, Circum-Terra. In questo momento teniamo tutte le città della Terra alla nostra merce.»

Fece una pausa, perché le sue parole fossero pienamente comprese da tutti. Don rifletté un momento, e la conclusione non gli piacque affatto. Tutti sapevano che Circum-Terra portava missili a testata nucleare in numero sufficiente ad annientare ogni esercito, o combinazione di eserciti, che avrebbero potuto coalizzarsi per minacciare la Federazione. L’esatto numero delle bombe esistenti a bordo della stazione era coperto dal segreto militare, ma le valutazioni generali fornivano cifre varianti tra le duecento e le mille. Tra i civili del Nautilus si era sparsa la voce che l’Alta Guardia avesse trovato settecentotrentadue bombe pronte a partire, con i componenti fondamentali per costruirne moltissime altre, e, in più, deuterio e trio sufficienti per preparare almeno una dozzina di superbombe all’idrogeno.

Sia che la voce fosse esatta, sia che fosse stata solo il frutto di molta fantasia e di poca realtà, certamente Circum-Terra conteneva bombe a sufficienza per trasformare la Federazione Terrestre in un deserto radioattivo, inabitabile per centinaia e centinaia di anni. Senza dubbio, poiché lo sviluppo delle grandi città era stato principalmente sotterraneo, e i livelli più bassi si trovavano a centinaia di metri sotto la superficie, molti abitanti delle città sarebbero sopravvissuti… ma qualsiasi città, dopo il bombardamento, avrebbe dovuto essere abbandonata; l’effetto militare sarebbe stato perciò uguale alla completa distruzione. E molti, moltissimi sarebbero morti. Quanti? Quaranta milioni? Cinquanta milioni? Don non riusciva neppure a immaginarlo.

A questo punto, il commodoro proseguì:

«Pur essendo in questa posizione, ci tratteniamo dall’agire in questo senso, misericordiosamente. Le città della Terra non saranno bombardate. I liberi cittadini della Repubblica di Venere non desiderano massacrare i loro cugini rimasti sulla Terra. Il nostro unico scopo è quello di stabilire la nostra indipendenza, di trattare da soli i nostri affari, di eliminare la soffocante, beffarda situazione di una sudditanza a un proprietario assente, e di una tassazione compiuta da un governo che nulla ha fatto per Venere, non avendo neppure propri rappresentanti sul pianeta, non concedendo alcun diritto ai venusiani, e portandoci lentamente alla morte per inedia, al completo dissanguamento delle risorse di Venere.

«Così facendo, prendendo così il nostro posto di uomini liberi, lanciamo un appello a tutte le nazioni oppresse e impoverite, ovunque esse si trovino, affinché seguano la strada che noi indichiamo, seguano la nostra guida, e accettino il nostro aiuto. Alzate gli occhi al cielo! Sopra di voi galleggia nel cielo la stazione spaziale dalla quale io ora vi parlo. I grassi e stupidi governanti della Federazione hanno trasformato Circum-Terra nella frusta del negriero. La minaccia di questa base militare sospesa nel cielo ha protetto il loro impero dalla giusta collera delle loro vittime, per più di sessant’anni.

«Ora noi distruggiamo questa minaccia.

«Tra pochi minuti questo scandalo che macchia i cieli liberi e puliti della Terra, questa pistola puntata alla nuca degli uomini in tutto il vostro pianeta, cesserà di esistere. Uscite dalle vostre case, guardate il cielo. Guardate un nuovo sole brillare per qualche istante, e sappiate che questa luce è la luce della Libertà, che invita la Terra intera a liberarsi.

«Popoli soggetti della Terra, popoli succubi di governanti imbelli, noi uomini liberi della Repubblica di Venere vi salutiamo con questo segno!»

Il commodoro rimase seduto, e fissò direttamente negli occhi ciascun componente del suo titanico pubblico, mentre le note trascinanti di Stella Mattutina di Speranza seguivano le sue parole. Don non riconobbe l’inno della nuova nazione; riuscì soltanto a rendersi conto della sua forza, della promessa che le sue note parevano contenere.

Improvvisamente, lo schermo diventò lattescente, e nello stesso istante ci fu un lampo di luce così intensa da vincere la resistenza degli oblò schermati, e da tormentare il nervo ottico. Don stava ancora scuotendo il capo, per vincere quel tormentoso effetto, quando attraverso il sistema di comunicazione di bordo una voce annunciò:

«Togliere gli schermi!»

Un soldato che si trovava di fronte al grande oblò del compartimento stava già rimuovendo lo schermo metallico; Don si unì alla folla, e guardò fuori.

Un secondo sole ardeva come una fiamma bianca, e ingigantiva sempre più, mentre Don lo fissava. Quella che sulla Terra sarebbe stata… che era stata in tante terribili occasioni… una nube a forma di fungo in rapida ascesa, là, nello spazio profondo, era una perfetta sfera geometrica, che cresceva e cresceva, acquistando dimensioni incredibili. E continuò a crescere, passando dal bianco purissimo a un bizzarro viola argenteo, poi si chiazzò di porpora, di rosso e di scarlatto. E continuò a crescere, fino a nascondere completamente la Terra che galleggiava nel cielo, dietro di essa.

Nel momento in cui era stata trasformata in una nube cosmica radioattiva, Circum-Terra stava passando sopra, o davanti, al Nord Atlantico; l’enorme nube incandescente fu visibile perciò in quasi tutte le regioni abitabili del globo, come un ardente simbolo nel cielo.

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