CAPITOLO XVI MULTUM IN PARVO

Donald guardò Isobel, e vide che la sua espressione era sempre solenne, non sorrideva, ma gli parve d’intuire un moto di approvazione in lei. Il signor Costello sedette stancamente sull’altra sedia, e sospirò profondamente, scuotendo il capo.

«Signor Harvey,» dichiarò, dopo un momento; «Lei è un uomo molto ostinato. Le confesso che mi aveva preoccupato.»

«Mi dispiace. Dovevo riflettere.»

«Adesso non conta più.» Si rivolse a Sir Isaac. «Immagino che farò meglio a cercare Phipps. Giusto?»

«Non sarà necessario.» La voce giunse da un punto alle loro spalle; si voltarono tutti… tutti, meno Sir Isaac, che non aveva bisogno di voltare il suo corpo. Phipps era in piedi, sulla porta. «Sono arrivato in tempo per ascoltare la tua ultima frase, Jim. Se avete bisogno di me, sono qui.»

«Be’, sì.»

«Un attimo solo. Ero venuto qui per un altro motivo.» Si rivolse a Don. «Signor Harvey, le devo delle scuse.»

«Be’, non ha importanza.»

«No, mi lasci finire. Non avevo alcun diritto di cercare di convincerla a collaborare con la forza. Non mi fraintenda; noi vogliamo quell’anello… noi dobbiamo averlo a tutti i costi. E intendo discutere, fino a quando non l’avremo ottenuto. Ma sono stato sottoposto a una grande tensione, in questi ultimi tempi, e ho scelto il metodo sbagliato. Una tensione tremenda… è l’unica scusa che posso offrirle.»

«Be’,» disse Don, «Ora che ci penso, anch’io mi trovo nella medesima situazione. Così dimentichiamo tutto.» Si rivolse al suo ospite. «Sir Isaac, posso?» Allungò la mano, verso il tentacolo prensile di Sir Isaac, e tese il palmo. L’anello cadde sulla sua mano; Don lo prese, e lo diede a Phipps.


Phipps lo fissò, con aria attonita, per un momento. Quando sollevò lo sguardo per fissare Don, il giovane si accorse, con sorpresa, che gli occhi dell’uomo erano velati di lacrime.

«Non la ringrazio ora, signor Harvey,» disse. «Perché quando lei vedrà cosa sta per nascere da questo suo gesto, tutto le sembrerà più grande di qualsiasi ringraziamento personale che io possa offrirle. Ciò che questo anello contiene è d’importanza enorme, di vita e di morte, per molte, moltissime persone. Vedrà lei stesso.»

Don fu imbarazzato, di fronte alla nuda intensità delle emozioni di quell’uomo. Lo era sempre, quando vedeva crollare la maschera di durezza, o d’impassibilità, di un’altra persona.

«Posso immaginarlo,» riuscì a dire, in tono un po’ incerto. «Il signor Costello mi ha detto che il messaggio significava una protezione dalle bombe, e il raggiungimento di astronavi più veloci… e l’intuito mi dice che, in prospettiva, io e voi dell’organizzazione ci troviamo dallo stesso lato della barricata; naturalmente, per arrivarci ci vorrà molto tempo… ma spero che l’intuito mi abbia consigliato bene.»

«Bene? Sì, il suo intuito le ha dato un eccellente consiglio… e non si tratta di una battaglia in prospettiva, come lei ha detto, ma di una cosa che avverrà ora, in questo momento! Ora che noi abbiamo questo…» sollevò l’anello. «Abbiamo finalmente l’occasione di combattere per salvare la nostra gente che si trova su Marte.»

«Marte?» ripeté Don. «Un momento… che cosa c’entra Marte? Chi dovrà essere salvato? E da che cosa?»

Apparentemente, la catena dei misteri e delle sorprese non aveva fine, rifletté Don, sempre più sconcertato.

Phipps parve altrettanto sconcertato.

«Eh? Ma non è stato questo a convincerla a consegnare l’anello?»

«Che cosa avrebbe dovuto convincermi?»

«Ma Jim Costello non…»

«Be’, io pensavo, naturalmente, che fossi stato tu a…»

A questo punto il voder di Sir Isaac li interruppe, affermando:

«Signori, apparentemente è stato erroneamente dato per scontato che…»

«Un momento!» esclamò Don. Quando Phipps fece per riaprire la bocca, Don si affrettò a proseguire. «A quanto sembra, questo nostro incontro è nato all’insegna della confusione. E siamo di fronte a un nuovo circolo vizioso. Questa volta, però, sarei lieto che qualcuno volesse chiarire subito la situazione… Cos’è questo discorso a proposito di Marte?»

Costello voleva e poteva chiarire la situazione, e si affrettò a farlo. L’Organizzazione aveva costruito, nel corso di molti anni, nel massimo segreto, un centro di ricerca su Marte. Si trattava del solo luogo del sistema solare nel quale la maggioranza degli esseri umani erano scienziati. La Federazione manteneva sul pianeta rosso soltanto un avamposto, con una ridottissima guarnigione. Marte non era considerato un mondo di qualche importanza strategica o commerciale… ma semplicemente un luogo nel quale degli innocui scienziati potevano scavare tra le rovine e studiare le usanze e le tradizioni dell’antica razza che popolava ancora il pianeta, avviandosi verso una lenta estinzione.

Gli ufficiali della sicurezza dell’I.B.I. avevano dedicato a Marte un’attenzione minima; apparentemente, non ce n’era alcun bisogno. Di quando in quando veniva inviato un ispettore, che poteva essere facilmente trattato, condotto in luoghi privi d’importanza, e annoiato a morte con interminabili visioni di ricerche prive di valore strategico.

Il gruppo esistente su Marte non aveva le colossali facilitazioni reperibili sulla Terra… le mastodontiche macchine cibernetiche, le fonti illimitate di energia atomica, gli acceleratori molecolari a frequenza illimitata, i giganteschi laboratori… ma gli scienziati che lo componevano possedevano la facilitazione più grande che potesse esistere: possedevano la libertà. Le basi teoriche per nuovi sviluppi nello studio della fisica erano state elaborate su Marte; erano nate grazie a uno studio attento delle antiche rovine, e a un’applicazione delle strane documentazioni rimaste dal Primo Impero… quell’antica epoca ormai quasi mitica, nella quale il sistema solare aveva costituito una sola unità politica. Don rimase compiaciuto nell’apprendere che le ricerche dei suoi genitori avevano contribuito ampiamente a raggiungere la conoscenza necessaria per affrontare questa parte del problema. Era noto… o così parevano affermare gli antichi documenti marziani… che le astronavi del Primo Impero avevano viaggiato tra i pianeti, nello spazio siderale, non in viaggi di estenuanti, lunghissimi mesi, e neppure di settimane, ma di giorni.

Le descrizioni di queste navi siderali e delle energie che le muovevano erano state ampie e dettagliate, ma le grandi diversità di linguaggio, di concetti, e di tecnologia, avevano creato degli ostacoli sufficienti a provocare degli autentici esaurimenti nervosi agli specialisti di semantica comparata… e questo era accaduto davvero. Un trattato di elettronica moderna, scritto in poesia sanscrita, con metà dei pensieri e delle idee dati per scontati e perciò sottintesi, sarebbe stato, in confronto, un esempio di lucidità e di chiarezza.

Era stato semplicemente impossibile compiere una traduzione completamente intelligibile degli antichi documenti del Primo Impero. Le parti mancanti erano state faticosamente elaborate, grazie al genio e al sudore degli scienziati che si erano occupati della ricerca.

Quando il lavoro teorico era stato portato avanti fino ai limiti delle possibilità umane, il problema era stato inviato sulla Terra, attraverso alcuni componenti dell’organizzazione, per essere sottoposto a esami più accurati, e per convertire la parte teorica in ingegneria pratica moderna. All’inizio c’era stato un flusso costante d’informazioni tra i pianeti, in tutti i sensi, ma poi, mano a mano che il segreto cresceva, i membri dell’Organizzazione erano stati sempre meno disposti a viaggiare, per timore di compromettere il lavoro, e di rivelare lo scopo del loro lavoro. Al momento della crisi venusiana, da alcuni anni era divenuta consuetudine spedire i dati più rilevanti per mezzo di corrieri che non sapevano nulla, e di conseguenza non potevano parlare… come era stato per Don… o per mezzo di extraterrestri, che erano fisicamente immuni ai metodi d’interrogatorio della polizia segreta… fare il ‘terzo grado’ a un drago venusiano non è soltanto poco pratico, ma del tutto ridicolo. Per ragioni diverse, ma ugualmente evidenti, anche i marziani erano al sicuro dai metodi della polizia segreta.

Don era stato scelto all’ultimo, come corriere, una scelta nata dal presentarsi di un’occasione… la crisi di Venere aveva precipitato notevolmente le cose. Fino a qual punto avesse precipitato le cose, nessuno l’aveva capito, fino a quando il commodoro Higgins non aveva compiuto il suo spettacolare attacco a Circum-Terra. I dati tecnici, così urgentemente richiesti da Marte, erano finiti invece su Venere, e là si erano perduti (la metà in possesso di Don, cioè) nella confusione incredibile della rivoluzione e della repressione. I coloni ribelli, che miravano alla stessa mèta agognata dall’Organizzazione, avevano messo in grave pericolo, senza saperlo, la migliore possibilità di rovesciare la Federazione.

Le comunicazioni tra i membri dell’Organizzazione che si trovavano su Venere, sulla Terra, e su Marte, erano state ristabilite, in maniera precaria e imperfetta, proprio sotto il naso della polizia della Federazione. L’Organizzazione aveva dei membri che lavoravano per l’I.T. T. sui tre pianeti… membri come Costello. Costello era stato aiutato a fuggire dalla città attaccata, insieme a Isobel, perché egli sapeva troppo; non potevano correre il rischio di lasciarlo interrogare dall’I.B.I., e la ‘casa’ di Sir Isaac era stata un rifugio accogliente per i profughi dell’Organizzazione… ma un nuovo ‘contatto’ era stato mandato sull’Isola del Governatore, nella persona di un sergente tecnico delle comunicazioni che faceva parte dell’esercito federale. Il canale che portava al sergente era un drago, titolare del contratto per la rimozione dei rifiuti dalla base dei Verdi. Il drago non possedeva un voder; il sergente non conosceva neppure una parola della lingua sibilata… ma un tentacolo può passare un biglietto a una mano umana.

Così una forma di comunicazione, anche se difficile e pericolosa, era ridiventata possibile; ma il viaggio interplanetario per i membri dell’Organizzazione era ormai completamente impossibile. La sola linea commerciale che era stata ristabilita fino a quel momento era la linea Terra-Luna; Luna City e Tycho City erano nuovamente collegate con la Terra, anche se Circum-Terra non esisteva più; il gruppo rimasto su Venere stava tentando l’impresa quasi impossibile di completare un progetto le cui basi teoriche, e i cui preparativi preliminari, erano stati predisposti per i laboratori esistenti su Marte. L’impresa non era del tutto impossibile… a patto che essi riuscissero a trovare la metà mancante del messaggio. In questo caso, avrebbero potuto attrezzare una nave spaziale, lanciarla nello spazio, farle raggiungere Marte, dove il lavoro avrebbe potuto essere ultimato.

Così avevano sperato gli uomini e i draghi che erano stati bloccati su Venere dallo scoppio delle ostilità… e avevano continuato a sperarlo fino a poco tempo prima, quando una notizia catastrofica era trapelata dalla Terra, ed era riuscita a raggiungerli, attraverso i soliti canali obliqui e complessi… l’Organizzazione era stata scoperta, sulla Terra; un membro di alto rango, un uomo che aveva saputo troppo, era stato arrestato; e, a differenza di altri casi, non era stato in grado di suicidarsi in tempo.


«Un momento!» interruppe Don, a questo punto. «Io credevo… signor Costello, lei non mi aveva detto, quando eravamo ancora a Nuova Londra, che la Federazione aveva già occupato Marte?»

«Non esattamente. Le avevo detto che, mancando una risposta ai nostri segnali, io avevo presunto che la Federazione avesse occupato la Stazione Schiaparelli, dove si trova la filiale della I.T. T. marziana. E così è stato, infatti… la Federazione ha occupato la base, ottenendo lo scopo di censurare tutti i messaggi, e di bloccare completamente ogni comunicazione con Venere. Ma questo i federali avrebbero potuto farlo con una squadra di soldati inviati dalla minuscola guarnigione che è sempre rimasta su Marte. Quello di cui le parlo, invece, è un attacco in forze. L’alto comando della Federazione ha l’intenzione di liquidare una volta per tutte l’Organizzazione.»

Liquidare l’Organizzazione, una volta per tutte… Don tradusse il giro di parole in concetti concreti: uccidere tutti coloro che erano contro di loro. Questo significava che i suoi genitori…

Scosse il capo, perché aveva la testa come ovattata, la mente torpida, e aveva bisogno di schiarirsi le idee. Dentro il suo cervello, quell’idea non voleva dire nulla. Non c’era un significato concreto… perché erano passati troppi anni; non riusciva neppure a ricordare i loro volti… e non riusciva assolutamente a immaginarli morti. Si domandò se anche lui non fosse morto, dentro, intimamente, se la costante pressione che era stata esercitata su di lui da quel giorno in cui era stato sulla mesa, quel giorno che pareva distare secoli e secoli… se tutto quello che gli era accaduto dopo non avesse prosciugato in lui la capacità di provare dei sentimenti. Ma questo non importava… lui sentiva che era necessario fare qualcosa.

«Cosa possiamo fare? Come possiamo fermarli?» chiese.

«Per prima cosa, dobbiamo smettere di perdere tempo!» rispose Phipps. «Abbiamo già perduto una buona metà della giornata. Sir Isaac?»

«Sì, amico mio. Affrettiamoci.»


Il salone era un laboratorio, ma le proporzioni erano quelle della civiltà dei draghi. E questo era necessario, perché il laboratorio ospitava una dozzina di draghi, unitamente ad almeno cinquanta uomini e a un gruppo minore di donne. Tutti coloro che avevano appreso la notizia, e che occupavano una posizione qualificata per farlo, desideravano assistere all’apertura dell’anello. Nel laboratorio c’era perfino Malath Da Thon, seduto stancamente nella sua celletta artificiale, con l’aiuto del suo corsetto a motore, e con i colori dell’emozione che fremevano sofficemente come ondate lungo il suo fragile corpo.

Don e Isobel erano saliti in cima alla rampa d’ingresso, dove potevano assistere alla scena senza intralciare il corso delle operazioni. Di fronte a loro c’era una gigantesca cassetta stereo, illuminata, ma nella quale non appariva alcuna immagine. Sotto di loro c’era un micromanipolatore, di stile venusiano; altri complicati apparecchi, e grandi strumenti a energia, riempivano la gigantesca sala. Si trattava di apparecchiature sconosciute, per Don, non perché fossero state costruite dai draghi, e destinate all’uso da parte dei draghi, — in realtà, molte erano di costruzione terrestre — bensì perché erano aliene come, in genere, le più complesse apparecchiature di laboratorio sono aliene per l’uomo comune. Don era avvezzo ai prodotti della tecnologia dei draghi; le due tecnologie, quella umana e quella venusiana, si erano mescolate a sufficienza, dopo il primo incontro, perché un essere umano, soprattutto uno che vivesse su Venere, non trovasse più nulla di strano in giunzioni che erano tessute, invece che saldate o inchiodate, e nulla d’insolito nella bizzarra compenetrazione di ovoidi là dove un essere umano avrebbe usato delle viti.

Sir Isaac era al micromanipolatore, con i tentacoli prensili sui comandi: sopra il suo capo era stata adattata una specie d’intelaiatura, con otto lenti di visione. Sir Isaac toccò il quadro di comando; la stereocassetta parve incresparsi, e un’immagine vi apparve… l’anello, riprodotto in colori perfetti e in tre dimensioni. Sembrava largo due metri e mezzo almeno. L’ornamento dell’anello era in primo piano, e mostrava la maiuscola smaltata che vi era incisa… una grande «H» circondata da un semplice cerchio di smalto bianco.

L’immagine ondeggiò e cambiò. Ora era visibile solo una porzione dell’iniziale, ma era così ingrandita che lo smalto che copriva l’esigua scanalatura pareva una serie di blocchi di granito. Un cilindro appuntito e quasi indistinto, del quale solo l’estremità era a fuoco, si mosse attraverso l’immagine; un enorme globo oleoso si formò all’estremità, si staccò, e si pose sullo smalto. I «blocchi di granito» cominciarono a dividersi.

Montgomery Phipps salì sulla rampa, vide Don e Isobel, e sedette sul bordo, accanto a loro. Apparentemente, era venuto in amicizia, e il suo atteggiamento era cordiale.

«Questa è una cosa che potrete raccontare ai vostri nipoti,» disse. «Il vecchio Sir Isaac al lavoro. Il più grande microtecnico del sistema solare… è capace d’isolare una singola molecola, di farla alzare in piedi, e credo che possa perfino farla parlare.»

«È una vera sorpresa,» ammise Don. «Non sapevo che sir Isaac fosse un tecnico di laboratorio.»

«È molto di più di questo; è un grande fisico; non aveva capito il significato del nome che lui ha scelto?»

Don si sentì un perfetto stupido. Lui sapeva benissimo che i draghi sceglievano dei nomi vocalizzati, un secondo nome terrestre, ma dava per scontati quei nomi, non si soffermava a pensarci sopra; esattamente come non rifletteva sul suo nome venusiano, esattamente come lo dava per scontato, come esistente, e basta.

«Tutta la sua tribù è portata spiccatamente verso la scienza,» continuò Phipps. «C’è un suo nipote che si fa chiamare ‘Galileo Galilei’; lo ha conosciuto? E c’è anche un ‘Dottor Einstein’, come c’è una ‘Madame Curie’, e c’è uno specialista di chimica che si fa chiamare… solo l’Uovo sa il perché!… «Piccolo Ranuncolo». Ma il vecchio Sir Isaac è il capo, il cervello, il più brillante di tutti… ha fatto un viaggio sulla Terra per collaborare all’elaborazione di una parte del lavoro di ricerca, in questo progetto. Ma questo lo sapeva già, vero?»

Donald ammise di non avere saputo per quale motivo Sir Isaac fosse stato sulla Terra. Lentamente, i vari pezzi di un disegno che lui aveva ritenuto puramente casuale combinavano. Isobel domandò:

«Signor Phipps, se Sir Isaac lavorava su questo progetto sulla Terra, perché non sa cosa contiene l’anello, prima di aprirlo?»

«Be’, lo sa e non lo sa. Lui ha lavorato sulla parte teorica. Ma quello che noi troveremo… a meno che non ci aspetti una tremenda delusione… sarà una serie di particolareggiate istruzioni tecniche, elaborate per realizzare degli strumenti di tipo umano, e delle tecniche nuove. Si tratta di una cosa molto diversa. Una ricerca di questo tipo, oggi, viene compiuta attraverso molti uomini, molti laboratori, e molte diverse fasi; non c’è più spazio per il genio solitario, per lo meno, non in questo campo.»

Don rifletté sulla spiegazione. «Tecnica» e «scienza» erano più o meno collegate, nella sua mente; mancava dell’addestramento che gli avrebbe permesso di apprezzare l’enorme differenza. Cambiò argomento.

«Anche lei è uno scienziato, signor Phipps?»

«Io? Santo cielo, no! Non saprei reggere un microscopio. Il mio campo è lo studio della dinamica della storia. Un tempo, teorica… oggi applicata. Be’, ecco il primo pertugio.» I suoi occhi stavano fissando la stereocassetta; il solvente, versato in quantità che sullo schermo parevano valanghe, ma che in realtà dovevano essere gocce infinitesimali, aveva lavato via lo smalto dalla scanalatura che definiva quella parte della «H»; il fondo della scanalatura era visibile, spoglio, ambrato, e trasparente.

Phipps si alzò in piedi.

«Non riesco a stare seduto… mi innervosisco. Scusatemi, per favore.»

«Ma certo.»

Un drago stava salendo come una piccola montagna sulla rampa. Si fermò davanti a loro, proprio mentre Phipps si stava voltando.

«Come andiamo, signor Phipps? Le dispiace se parcheggio qui?»

«Niente affatto! Conosce questi signori?»

«Ho conosciuto la signora.»

Don accettò la presentazione, fornendo entrambi i suoi nomi, e ottenendo in cambio quello del drago… Pioggia-Che-Rinfresca e Josephus («Mi chiami semplicemente ‘Joe’, però!»). Joe era il primo drago, a parte Sir Isaac, che Don avesse conosciuto in quel luogo, e che fosse fornito di voder, e istruito nell’uso. Don lo osservò con interesse. Una cosa era certa: Joe aveva imparato l’inglese da qualche maestro diverso dallo sconosciuto londinese che aveva insegnato a Sir Isaac… doveva essersi trattato di un texano, di questo Don fu subito certo.

«Sono onorato di trovarmi nella sua casa,» gli disse Don.

Il drago si accovacciò comodamente al suolo, lasciando cadere il suo mento all’altezza delle loro spalle.

«Casa mia? Neanche per sogno! Questi snob non mi vorrebbero tra i piedi, se non ci fosse un lavoro che io so fare meglio di un altro hombre. Sono solo uno che lavora, qui.»

«Oh.» Don avrebbe voluto difendere Sir Isaac dall’accusa di snobismo, ma prendere le parti di qualcuno, tra i draghi, non pareva certamente una cosa saggia. Così, ritornò a fissare la stereocassetta. L’occhio visore aveva inquadrato il circolo di smalto che incorniciava la «H»; sullo schermo apparivano circa quindici o venti gradi del circolo. L’ingrandimento cominciò ad aumentare vertiginosamente, fino a quando un minuscolo settore non riempì l’enorme schermo tridimensionale. Di nuovo, il solvente scivolò sullo smalto, portandolo via.

«Adesso cominciamo ad arrivare da qualche parte, magari!» fu il commento di Joe.

Lo smalto si dissolveva come neve sotto la pioggia di primavera, ma, invece di essere portato via, e di scoprire il fondo nudo della scanalatura, qualcosa di scuro fu rivelato, sotto la vernice… un rotolo di tubi d’acciaio, almeno così sembrava nell’ingranditore, annidato nella scanalatura poco profonda.

C’era un silenzio di morte… poi qualcuno lanciò un grido di esultanza. Don si accorse di avere trattenuto il respiro fino a quel momento.

«Che cos’è?» domandò a Joe.

«Filo metallico. Cosa si aspettava?»

Sir Isaac aumentò l’ingrandimento, e passò a un altro settore. Lentamente, con la prudenza con la quale una madre fa il primo bagno al suo primogenito, usò il solvente per lavar via la crosta dal primo strato di filo. Dopo qualche tempo, una ‘mano’ microscopica penetrò nel campo visivo, cercò intorno, con estrema delicatezza, ed estrasse un’estremità.

Joe si alzò in piedi.

«Devo mettermi al lavoro,» trasmise, attraverso il voder. «Questo è il mio campo.» Scese pesantemente per la rampa. Don notò che il drago si stava facendo crescere una gamba posteriore mediana, e il processo non era ancora ultimato; questo gli dava un’andatura bizzarra, ondeggiante e zoppicante a un tempo.

Lentamente, quasi con amore, il filo venne pulito e dipanato. Più di un’ora dopo le minuscole mani del micromanipolatore tirarono fuori completamente la loro conquista… un metro circa di filo metallico, così sottile, incredibilmente sottile, da riuscire completamente invisibile a occhio nudo, perfino per un drago.

Sir Isaac tolse la testa dall’apparecchio dalle molte lenti.

«È pronto il filo di Malath?» domandò.

«È tutto pronto.»

«Benissimo, amici miei. Cominciamo.»

I due fili furono inseriti in due comuni traduttori per microfili, collegati e disposti in un circuito binario. Seduto al pannello di controllo, per sincronizzare il messaggio nascosto nei due fili, c’era un uomo dall’aria preoccupata, che aveva una cuffia dai grandi auricolari infilata sul capo… il signor Costello. I fili minuscoli d’acciaio cominciarono a scorrere con estrema lentezza… e dall’altoparlante uscì un frastuono stridulo e incomprensibile. Ci furono delle interruzioni rapidissime, e il tutto parve un codice ad alta frequenza.

«Non sono in sincronia,» annunciò il signor Costello. «Riavvolgere.»

Un operatore, seduto di fronte a lui, disse:

«Detesto anche la sola idea di riavvolgere, Jim. Questi fili si spezzerebbero, anche se ci soffiassi sopra.»

«Prova a rompere un filo… e ci penserà Sir Isaac. Riavvolgi!»

«Forse ne abbiamo inserito uno a rovescio.»

«Sta’ zitto e riavvolgi.»

Dopo qualche tempo, i suoni senza senso ricominciarono. A Don parvero incomprensibili come prima, ma il signor Costello annuì.

«Così ci siamo. È stato registrato dall’inizio?»

Don udì l’inconfondibile accento texano di Joe rispondere:

«Tutto a posto!»

«Bene, fate girare, e cominciate a ritrasmettere la registrazione. E voi cercate di rallentare da venti a uno.» Costello abbassò un interruttore; il suono senza senso cessò completamente, benché la macchina continuasse a far girare il suo filo invisibile. Ben presto, una voce umana uscì dall’altoparlante; era profonda, soffocata, strascicata, e quasi inintelligibile. Joe fermò l’apparecchio, e regolò qualcosa, poi la trasmissione ricominciò. Quando la voce riprese, fu una limpida, piacevole e chiarissima voce di contralto, che parlava con estrema lentezza.

«Titolo,» disse la voce. «Appunti sulle Applicazioni Pratiche delle Equazioni di Horst e Milne. Sommano: Parte Prima — Della Progettazione di Generatori per Realizzare una Traslazione Molecolare Libera da Tensioni. Parte Seconda: La Generazione delle Discontinuità Spazio-Temporali, Chiuse, Aperte, e Piegate. Parte Terza: Intorno alla Generazione di Luoghi di Pseudo-Accelerazione Temporale. Parte Prima, Capitolo Primo: Criteri di Realizzazione di Un Semplice Generatore a Sistema di Controllo. Riferendoci all’equazione diciassette dell’Appendice A, si può vedere che…»

La voce continuò a parlare, apparentemente instancabile. Don era interessato a quelle parole, l’intensità dell’attesa era febbrile, ma non riuscì a capire nulla di quanto veniva detto. Si trovò con la testa pesante, vagamente assonnato, quando la voce bruscamente annunciò, con forza:

«Facsimile! Facsimile! Facsimile!»

Costello toccò un pulsante, fermando la voce, e domandò:

«Cellule pronte?»

«Pronte.»

«Passaggio!»

Osservarono il disegno che si formava… un diagramma, decise Don… a meno che non si trattasse di un piatto di spaghetti. Quando l’immagine fu completamente formata, la voce riprese.

Dopo più di due ore di questa litania, interrotta soltanto da rapide osservazioni dei tecnici che controllavano l’andamento della traduzione, Don si rivolse a Isobel:

«Qui non posso fare niente di buono, e una cosa è certa: non imparo niente. Che ne diresti di andare?»

«D’accordo.»

Scesero la rampa, e si diressero verso la galleria che portava agli appartamenti. Lungo la strada s’imbatterono in Phipps, che aveva il volto illuminato da un’espressione di grande felicità Don fece un segno di saluto, e fece per passare oltre; Phipps lo fermò.

«Stavo proprio venendo a cercare lei.»

«Me?»

«Sì. Pensavo che lei volesse questo… come ricordo.» Gli porse l’anello.

Don lo prese, e lo esaminò, con curiosità. C’era una minuscola screpolatura, in una estremità della «H», dove lo smalto era stato sciolto dal solvente. Il circolo che racchiudeva la lettera era una scanalatura vuota, in chiaroscuro, una scanalatura così sottile e minuscola che Don riuscì appena a infilarvi la punta dell’unghia.

«Non le serve più?»

«È stato vuotato completamente. Un giorno lei potrà venderlo a un museo, e ottenere una somma enorme in cambio.»

«No,» disse Don. «Penso che lo consegnerò a mio padre… prima o poi.»

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