«Aspetti un momento,» protestò Don. «Lei ha fatto confusione. Io so di quale anello parla, certo, ma il messaggio non era nell’anello; era nella carta che lo avvolgeva. E quella l’ha presa l’I.B.I.»
Phipps parve perplesso, poi si mise a ridere.
«L’ha presa l’I.B.I., eh? Allora loro hanno commesso lo stesso errore che lei ha fatto. Ma è l’anello quello che conta. Vediamolo.»
«No, lei si sbaglia,» disse Don, lentamente. «O forse non stiamo parlando dello stesso anello.» Rifletté sulla questione. «È anche possibile che l’I.B.I. abbia scambiato gli anelli… abbia sostituito quello buono con un altro, prima ancora che il pacco mi giungesse. Ricordo che c’è stato un ritardo, nell’inoltro della corrispondenza; l’anello mi è arrivato appena in tempo, poco prima della mia partenza dalla Terra. Ma è più che certo un fatto: l’anello che mi è arrivato non poteva contenere alcun messaggio. Era di plastica trasparente… probabilmente di stirene… e non c’era niente di niente. Nessun messaggio. E nessun modo per nascondere un messaggio.»
Phipps si strinse nelle spalle, spazientito.
«Non mi faccia perdere tempo in sottigliezze, sul fatto che un messaggio possa o non possa essere nascosto nell’anello… si tratta dell’anello giusto; stia tranquillo. L’I.B.I. non lo ha cambiato con un altro… noi lo sappiamo per certo.»
«E come fa a saperlo?»
«Al diavolo, ragazzo! La sua funzione era quella di consegnare l’anello. È tutto. Lasci che siamo noi a preoccuparci del messaggio che conteneva.»
Don cominciava a essere più che certo del fatto che, quando era stato un bambino, e aveva morso il pollice di Phipps, doveva averlo fatto per eccellenti motivi.
«Aspetti un momento. Io dovevo consegnare l’anello, certamente… è quello che il dottor Jefferson… sa di chi si tratta?»
«Sapevo chi era. Non l’ho mai conosciuto personalmente.»
«È quello che il dottor Jefferson voleva. Adesso è morto, o almeno così dicono. In ogni caso, non posso consultarlo. Ma è stato molto chiaro nel dirmi a chi dovevo consegnarlo… a mio padre. Non a lei.»
Phipps batté il pugno sul braccio della sedia.
«Lo so, lo so benissimo! Se le cose fossero andate nella maniera giusta, lei l’avrebbe consegnato a suo padre, e noi ci saremmo risparmiati un sacco di guai. Ma quelle teste calde di Nuova Londra hanno voluto… non importa. La rivoluzione è cominciata quando è cominciata, cioè troppo presto, e così lei è finito qui, invece che andare su Marte. Io sto cercando di rimettere assieme i pezzi. Lei non può consegnare l’anello a suo padre, ma può raggiungere il medesimo risultato, consegnandolo a me. Suo padre e io lavoriamo verso lo stesso fine.»
Don esitò, prima di rispondere.
«Non desidero apparire scortese… ma vede, lei dovrebbe darmi una prova di quanto afferma.»
Sir Isaac produsse, con il suo voder, un suono esattamente uguale a quello di un uomo che si schiarisse la voce.
«Ahem!» Entrambi si voltarono verso di lui. «Forse,» proseguì il venusiano, «Dovrei entrare in questa discussione. Io ho conosciuto Donald, se posso dire questo, più recentemente, mio caro Phipps.»
«Be’… parli lei, allora.»
Sir Isaac rivolse la maggior parte dei suoi occhi verso Don.
«Mio caro Donald, hai fiducia in me?»
«Be’, penso di sì, Sir Isaac… però mi sembra di essere costretto a insistere per avere una prova. L’anello non è mio.»
«Sì, tu hai ragione. Allora, vediamo di considerare quale possa essere una prova. Se io dicessi…»
Don lo interruppe, sentendo che l’intera faccenda gli era sfuggita di mano.
«Mi dispiace di avere permesso che questa diventasse una discussione. Vede, in realtà non conta.»
«Come?»
«Be’, ecco, io non ho più l’anello. È andato. Non c’è più.»
Ci fu un mortale silenzio, per un lungo minuto. E poi Phipps disse:
«Credo che Malath sia svenuto.»
Ci fu un momento di eccitazione quasi frenetica, mentre la carrozzella del marziano veniva portata via, fino a quando non fu annunciato che Malath stava galleggiando sul suo particolarissimo letto, e riposava bene, in un ambiente a lui più favorevole. La conferenza così riprese con tre soli partecipanti. Phipps lanciò un’occhiata astiosa a Don.
«È colpa sua, lo sa? Quello che ha detto lo ha emozionato troppo; per poco non l’ha distrutto.»
«Mia? Non capisco.»
«Anche lui era un corriere… è rimasto bloccato qui, allo stesso modo in cui la cosa è capitata a lei. Lui possiede l’altra metà del messaggio… del messaggio che lei ha perduto. E così, lei ha eliminato l’ultima possibilità che restava a Malath di tornare in patria, prima che la tremenda gravità lo uccida. È un uomo malato… e lei ha aperto la botola sotto i suoi piedi.»
Donald disse:
«Ma…»
Sir Isaac lo interruppe:
«Donald non ha colpa di nulla. Il giovane deve essere biasimato solo con giusta causa e dopo un’attenta deliberazione, perché il dolore non ricada sulla famiglia.»
Phipps lanciò un’occhiata al drago, e poi guardò di nuovo Don.
«Mi dispiace. Sono stanco e nervoso e di cattivo umore. Quel che è fatto è fatto. La cosa importante è un’altra: che ne è stato dell’anello? C’è qualche possibilità di trovarlo?»
Don assunse un’espressione infelice.
«Temo di no.» Spiegò rapidamente il tentativo compiuto al suo arrivo su Venere per sottrargli l’anello, e aggiunse che allora non aveva avuto alcun nascondiglio adatto a celarlo. «Non sapevo che fosse davvero importante, ma ero deciso a esaudire i desideri del dottor Jefferson… forse io sono un po’ troppo testardo, a volte. Quando mi metto in testa un’idea, sono ostinato, anche se non ci sono motivi razionali a pressarmi. Così ho fatto la cosa migliore che, in quel momento, mi è parsa possibile; ho consegnato l’anello a un’amica, perché lo custodisse. Ho immaginato che fosse la decisione migliore, perché nessuno avrebbe pensato di cercare l’anello nelle mani di una persona che non aveva alcuna relazione con esso, e che in teoria non avrebbe dovuto averlo.»
«Un’idea abbastanza solida,» ammise Phipps. «Ma a chi l’ha dato?»
«A una ragazza.» I lineamenti di Don mostrarono un’espressione addolorata. «Credo che sia stata uccisa, la notte stessa in cui i Verdi hanno attaccato Nuova Londra.»
«Non ne è sicuro?»
«Ne ho la certezza ragionevole. Il mio lavoro attuale mi ha dato molte opportunità per fare delle ricerche, e chiedere notizie… e nessuno l’ha più vista, dal giorno dell’attacco. Sono sicuro che sia morta.»
«Potrebbe sbagliarsi. Una persona scomparsa non è necessariamente una persona morta. Come si chiamava questa ragazza?»
«Isobel Costello. Suo padre era direttore della filiale dell’I.T. T.»
Phipps parve completamente sbalordito, poi scoppiò in una grande risata, diventando rosso in viso. Dopo qualche tempo, riuscì a calmarsi, e disse, con voce abbastanza malferma:
«Lo ha sentito, Sir Isaac? Lo ha sentito? Parla dell’oca che fa le uova d’oro nel suo cortile… parla degli occhiali della nonna che sono rimasti sul naso!»
Don guardò successivamente il drago e l’uomo.
«Cosa intende dire?» domandò, in tono offeso. Non gli pareva che l’ilarità fosse appropriata, su un argomento simile.
«Cosa intendo dire? Be’, figliolo, Jim Costello e sua figlia si trovano qui, dal secondo giorno dopo l’attacco.» Balzò in piedi. «Non si muova! Resti dov’è… torno subito.»
Effettivamente, la sua assenza non si protrasse a lungo.
«Ho sempre dei problemi, con quei suoi strani telefoni interni, Sir Isaac» si lamentò. «Ma stanno venendo qui.» Sedette di nuovo al suo posto, e fece un profondo sospiro. «Un giorno o l’altro, ho idea che dovrò convincermi di essere un perfetto stupido.»
Phipps tacque, rompendo il silenzio solo con qualche risatina sommessa. Sir Isaac pareva intento a contemplarsi l’inesistente ombelico. Don aveva la mente colma di pensieri tumultuosi, febbrili, e il sollievo era troppo grande e troppo improvviso per costituire davvero una sensazione piacevole. Isobel era viva!
Dopo qualche istante, recuperata in parte la calma, si azzardò a parlare:
«Mi ascolti… non sarebbe ora che qualcuno mi dicesse cosa significa tutta questa faccenda?»
Sir Isaac sollevò il capo, e le punte dei tentacoli danzarono lievemente sui tasti del voder.
«Ti chiedo scusa, mio caro ragazzo. Stavo pensando ad altro. Molto, moltissimo tempo fa, quando la mia razza era giovane e quando la tua razza ancora non era…»
Phipps tagliò corto.
«Mi scusi, vecchio mio, ma posso metterlo al corrente io dei fatti, e lei potrà colmare le lacune e aggiungere i particolari più tardi.» Diede per scontato l’assenso del drago, e si rivolse a Don. «Harvey, esiste un’organizzazione… una cabala, una congiura, una loggia segreta, la chiami come vuole… noi la chiamiamo, semplicemente, «l’Organizzazione». Io ne sono un membro, come Sir Isaac, come Malath… e come entrambi i suoi genitori. E anche il dottor Jefferson ne faceva parte. L’Organizzazione è composta principalmente da scienziati, ma non è limitata a essi; la sola cosa che tutti abbiamo in comune è la fede nella dignità e nel valore naturale della libera intelligenza. Abbiamo combattuto in molte maniere diverse… combattuto senza successo, dovrei aggiungere… contro l’imperativo storico degli ultimi due secoli, la lenta ritirata della libertà individuale di fronte a organizzazioni più grandi, e ancor più coercitive, governative e paragovernative a un tempo.
«Sulla Terra, il nostro gruppo deriva da decine e decine di origini, alcune delle quali affondano le proprie radici nei recessi della storia… associazioni di scienziati in lotta contro la segretezza e la costrizione del pensiero, artisti in lotta contro la censura, associazioni di aiuto legale, e moltissime altre organizzazioni, quasi tutte destinate all’insuccesso, e alcune completamente stupide. Circa un secolo fa, tutte queste organizzazioni sono state costrette a nascondersi; le più deboli sono scomparse, i componenti più fragili sono stati schiacciati, i chiacchieroni sono stati arrestati e liquidati… ma i superstiti hanno trovato forza e collaborazione.
«Qui, su Venere, le nostre origini risalgono al tempo della pacificazione, e della comprensione stabilita, tra Cyrus Buchanan e la razza indigena dominante. Su Marte, oltre a molti esseri umani… ne parlerò dopo… l’organizzazione è affiliata a quella che noi chiamiamo la «casta sacerdotale»… una pessima traduzione, perché non si tratta di preti; «giudici» sarebbe un termine più vicino.»
Sir Isaac lo interruppe:
«’Fratelli Maggiori’.»
«Eh? Be’, forse questa è una versione molto poetica. Non importa. Il fatto è che l’intera organizzazione, marziana, venusiana, terrestre, ha combattuto per…»
«Un momento,» intervenne Don. «Se può rispondere a una domanda, credo che potremmo chiarire un gran numero di cose. Io sono un soldato della Repubblica di Venere, e la Repubblica sta combattendo una guerra. Mi dica questo: questa organizzazione… qui su Venere, intendo… collabora alla nostra lotta per scacciare i Verdi dal pianeta?»
«Be’, non esattamente. Vede…»
Don non scoprì, in quel momento, quello che avrebbe dovuto ‘vedere’; un’altra voce interruppe bruscamente le parole di Phipps.
«Don! Donald!»
In quel momento, si trovò sommerso da una componente più piccola, e femmina, della sua razza. Isobel pareva determinata a spezzargli il collo. Don ne fu imbarazzato e turbato e felicissimo. Gentilmente, staccò le braccia della ragazza dal suo collo, e cercò di fingere che nulla fosse accaduto… quando si accorse che c’era anche il padre di Isobel, che lo stava fissando con aria molto strana.
«Uh, salve, signor Costello.»
Costello si fece avanti, e gli strinse la mano.
«Come va, signor Harvey? È un vero piacere rivederla.»
«Il piacere è mio. Sono felicissimo di vedervi vivi entrambi, e in buona salute. Avevo paura che vi fosse capitato qualcosa di brutto, non ho più saputo niente dal giorno dell’attacco, e allora temevo…»
«C’è mancato poco. Ma siamo ancora interi.»
Isobel disse:
«Don, ma tu sembri più vecchio… molto più vecchio! E come sei magro!»
Le sorrise.
«Tu invece sei sempre la stessa, nonna.»
Phipps lo interruppe:
«Mi dispiace moltissimo interrompere questa bella scenetta famigliare, ma non abbiamo tempo da perdere. Signorina Costello, noi vogliamo l’anello.»
«L’anello?»
«Intende parlare,» spiegò Don, «Dell’anello che ti ho lasciato.»
«Anello?» disse il signor Costello. «Signor Harvey, lei ha dato un anello a mia figlia?»
«Be’, non proprio. Vede…»
Phipps lo interruppe di nuovo.
«Si tratta di quell’anello, Jim… l’anello con il messaggio. Harvey era l’altro corriere… e sembra che abbia fatto di tua figlia una specie di corriere delegato.»
«Eh? Devo ammettere di essere confuso.» Costello guardò sua figlia.
«Ce l’hai ancora?» domandò Don a Isobel. «Non l’hai perduto?»
«Perdere il tuo anello? Naturalmente no, Don. Ma io avevo pensato… be’, non importa; adesso lo vuoi indietro.» Si guardò intorno, vedendo gli occhi fissi su di lei… quattordici, contando quelli di Sir Isaac… poi si scostò di qualche passo, e voltò la schiena agli altri. Poi si girò di nuovo, quasi immediatamente, e tese la mano. «Eccolo.»
Phipps allungò la mano a sua volta, per prenderlo. Isobel scostò la mano, e porse l’anello a Don. Phipps aprì la bocca, la richiuse, poi la riaprì.
«Benissimo. E adesso, finiamola con tutta questa storia, e ci dia l’anello, Harvey.»
Don se lo mise in tasca.
«Non mi ha ancora spiegato per quale motivo dovrei consegnarlo a lei, signor Phipps.»
«Ma…» Phipps avvampò. «Ma questo passa ogni limite! Se avessimo saputo che l’anello era qui, non ci saremmo neppure disturbati a farla venire qui… ce lo saremmo preso senza il suo permesso.»
«Oh, no, invece!»
Phipps si voltò a fissare Isobel.
«Che cosa significa, signorina? Perché no?»
«Perché io non ve l’avrei dato… in nessun caso. Don mi aveva detto che qualcuno stava tentando di rubargli l’anello; come facevo a sapere che quel qualcuno non fosse lei?»
Phipps, che era già violaceo, diventò quasi cianotico.
«Adesso basta. Abbiamo passato ogni limite di ridicolo. Non permetterò che simili giochetti infantili disturbino delle questioni veramente importanti, neppure per un minuto di più.» Fece due lunghi passi, raggiunse Don e lo prese per il braccio. «La pianti di dire scemenze, e ci dia il messaggio!»
Don si liberò dalla stretta, e indietreggiò di un passo, tutto in un solo agile movimento… e Phipps abbassò lo sguardo, vedendo la punta lucente di un coltello che gli sfiorava quasi la cintura. Don teneva il coltello con la stretta sicura del pollice, del medio e dell’anulare, la stretta di chi comprende bene l’acciaio, e sa come usarlo.
Phipps, apparentemente, faticava a credere a quello che vedeva. Don gli disse con voce bassa, mortalmente quieta:
«Se ne vada.»
Phipps indietreggiò.
«Sir Isaac!»
«Sì,» assentì Don. «Sir Isaac… devo sopportare tutto questo, nella sua casa?»
I tentacoli del drago toccarono i tasti del voder, ma dall’apparecchio uscirono soltanto dei suoni confusi. Il drago s’interruppe, e provò di nuovo, e disse, con estrema lentezza:
«Donald… questa è la tua casa. Qui sarai sempre al sicuro. Ti prego… per il servizio che mi hai reso… metti via la tua arma.»
Don guardò Phipps, si raddrizzò, e fece sparire come per magia il suo coltello. Phipps si rilassò e si rivolse al drago.
«Ebbene, Sir Isaac? Che cosa ha intenzione di fare, adesso?»
Sir Isaac non si disturbò a usare il suo voder.
«Togliti di qui!»
«Eh?»
«Tu hai portato dissenso e turbamento in questa casa. Non eravate entrambi nella mia casa e della mia famiglia? Eppure tu lo hai minacciato. Ti prego, vattene… prima di causare altro dolore.»
Phipps fece per replicare, ci ripensò… e se ne andò. Don disse:
«Sir Isaac, sono terribilmente spiacente. Io…»
«Lasciamo che le acque si chiudano sopra ciò che è stato. Lasciamo che il fango lo seppellisca. Donald, mio caro ragazzo, come posso assicurarti che quanto ti chiediamo è ciò che i tuoi onorati genitori ti direbbero di fare, se fossero qui a istruirti?»
Don rifletté un momento.
«Credo che sia proprio questo il guaio, Sir Isaac… io non sono il suo ‘caro ragazzo’. Non sono il ‘caro ragazzo’ di nessuno. I miei genitori non sono qui, e non sono sicuro che mi lascerei ‘istruire’ da loro, anche se ci fossero. Ormai io sono un uomo adulto… non sono vecchio come lei, dovrebbero passare molti e molti secoli, perché io lo fossi. Non sono neppure vecchio secondo i criteri umani… il signor Phipps mi considera ancora un ragazzo, ed è qui che si sbaglia. Ma io non sono un ragazzo, e devo sapere quello che sta succedendo, e devo prendere da solo la mia decisione. Finora, ho ascoltato molti discorsi propagandistici, e sono stato sottoposto a molte pressioni verbali. Questo non serve; io devo conoscere i fatti.»
Prima che Sir Isaac potesse rispondere, fu interrotto da un altro suono… Isobel stava applaudendo. Don le disse:
«Cosa mi puoi dire, Isobel? Cosa sai di tutto questo?»
«Io? Niente. Non potrei essere più al buio, neppure se mi avessero chiuso la testa in un sacco. Stavo semplicemente approvando i tuoi sentimenti.»
«Mia figlia,» intervenne il signor Costello, freddamente, «Non sa nulla di queste cose. Ma io sì… e, a quanto sembra, lei ha il diritto di ottenere delle risposte.»
«Potrebbero essermi certamente utili!»
«Ho il suo permesso, Sir Isaac?» Il drago chinò poderosamente il capo; e Costello proseguì, «Chieda quello che vuole, Harvey; cercherò di darle delle risposte dirette.»
«Va bene… qual è il messaggio contenuto dall’anello?»
«Be’, non posso rispondere a questa sua domanda con esattezza; altrimenti noi stessi non avremmo bisogno del messaggio. So che si tratta di un’analisi di certi aspetti della fisica… gravitazione e inerzia e rotazione e cose del genere. Teoria dei campi. Certamente si tratta di una cosa lunghissima e complicatissima, e probabilmente non ci capirei molto, neppure se mi facessero leggere il messaggio dall’inizio alla fine. Io sono, semplicemente, un ingegnere specialista nelle comunicazioni, un po’ arrugginito… niente in comune, perciò, con un fisico teorico di grande esperienza e di indubbia genialità.»
Don parve perplesso.
«Non capisco. Qualcuno infila un libro di fisica in un anello… e poi cominciamo a giocare a guardie e ladri per tutto il sistema. Mi sembra una cosa fondamentalmente stupida. Una situazione che sconfina nel grottesco… che ha avuto dei lati grotteschi fin dall’inizio. Inoltre, l’intera faccenda mi sembra impossibile.» Estrasse di tasca l’anello, e lo guardò; era trasparente, la luce passava limpida attraverso di esso. Era semplicemente un oggettino di poco prezzo, comunissimo… com’era possibile che all’interno vi fosse nascosta un’opera fondamentale di fisica?
Sir Isaac disse:
«Donald, mio caro… chiedo scusa. Shucks! Tu confondi un aspetto semplice con la semplicità. Stai tranquillo; è tutto là dentro. È teoricamente possibile creare una matrice, nella quale ogni singola molecola abbia un significato… come avviene nelle cellule mnemoniche del tuo cervello. Se possedessimo una tale sottigliezza, potremmo avvolgere la vostra Enciclopedia Britannica nella capocchia di uno spillo… anzi, l’enciclopedia sarebbe la capocchia di quello spillo. Ma ciò che abbiamo in questo caso non è affatto così difficile.»
Don guardò di nuovo l’anello, e se lo rimise in tasca.
«Le credo sulla parola, Sir Isaac. Però ancora non capisco il motivo di tutto questo tumulto.»
Fu il signor Costello a rispondergli:
«Neppure noi… non esattamente. Questo messaggio avrebbe dovuto arrivare su Marte, secondo i piani d’origine, su Marte, dove sono preparati a farne l’uso migliore. Io stesso non avevo sentito parlare del progetto, se non in termini assai generici, fino a quando non sono stato portato qui. Ma l’idea fondamentale è questa: le equazioni comprese nel messaggio dimostrano come sia formato lo spazio… in quale maniera esso rimanga stabile… e insegnano a cambiarlo, ad adoperarlo, a modificarlo. Non sono capace d’immaginare neppure una minima parte delle implicazioni di questa rivelazione scientifica… ma sappiamo almeno due cose che il messaggio renderà possibili, primo, come creare un campo di forza in grado di fermare qualsiasi cosa, perfino una bomba a fissione, e, secondo, come costruire un motore spaziale che renderà il volo a razzo antiquato e scomodo come andare a piedi. Non mi chieda come, o perché… la mia conoscenza si ferma qui. Lo chieda a Sir Isaac.»
«Chiedimelo dopo che avrò studiato il messaggio,» fu l’asciutto commento del drago.
Don non replicò. Ci fu silenzio, per qualche istante, un silenzio che fu rotto dal signor Costello, il quale disse:
«Ebbene? Vuole chiedere qualcosa? Non so esattamente cosa lei sappia: non saprei perciò cosa offrire.»
«Signor Costello, quando ho parlato con lei a Nuova Londra, lei era al corrente dell’esistenza di questo messaggio?»
Costello scosse il capo.
«Allora io sapevo che la nostra organizzazione aveva grandi speranze per una ricerca in corso sulla Terra. Sapevo che la ricerca avrebbe dovuto essere completata su Marte… vede, io ero l’uomo chiave, il ‘centralino’, di tutte le comunicazioni in partenza e in arrivo su Venere, perché mi trovavo nella posizione più opportuna per controllare i messaggi interplanetari. Non sapevo che lei fosse un corriere… e certamente non sapevo che lei aveva affidato un importante messaggio dell’organizzazione a mia figlia.» Fece un sorriso agrodolce. «Potrei aggiungere che non l’avevo neppure identificata, sul momento, come il figlio di due membri dell’organizzazione, altrimenti non ci sarebbero state difficoltà per trasmettere il suo messaggio a Marte, sia che avesse il denaro per pagarlo, sia che non l’avesse. Esistevano dei metodi, attraverso i quali io ero in grado d’identificare i messaggi dell’organizzazione… segni d’identificazione che mancavano nel suo messaggio. E Harvey è un cognome piuttosto comune.»
«Bene,» disse Don, lentamente. «Mi sembra che se il dottor Jefferson mi avesse detto quello che io dovevo portare… e che se lei avesse confidato a Isobel almeno in parte quello che stava accadendo, ci saremmo risparmiati tutti un bel po’ di fastidi.»
«Può darsi. Ma molti uomini sono morti, perché sapevano troppo. E, al contrario, un uomo non può dire quello che non sa.»
«Sì, immagino che sia così. Ma dovrebbe esserci il modo di andare avanti, senza che la gente debba vivere nel segreto, e avere paura di parlare!»
Il drago e l’uomo, quasi simultaneamente, chinarono il capo, in segno di assenso. Il signor Costello’aggiunse:
«È esattamente quello che noi vogliamo… a lungo termine. Un mondo che sia proprio così.»
Don si rivolse al suo ospite.
«Sir Isaac, quando ci siamo incontrati a bordo del Cammino della Gloria, lei sapeva che il dottor Jefferson mi usava come messaggero?»
«No, Donald… benché avessi dovuto sospettarlo, quando ho saputo chi eri.» Fece una pausa, e poi aggiunse, «C’è altro che tu voglia sapere?»
«No, voglio solo riflettere.» Troppe cose erano accadute troppo in fretta, troppe idee nuove… Per esempio, quello che il signor Costello aveva detto, sul messaggio dell’anello… si rendeva conto di che cosa poteva significare… se Costello sapeva quel che diceva. Un motore spaziale rapido, capace di battere la più veloce astronave della Federazione… un metodo per proteggersi dalle bombe atomiche, perfino dalle bombe a fissione… be’, se la Repubblica fosse entrata in possesso di simili mezzi, la guerra era finita… la Federazione non avrebbe potuto fare più niente!
Ma quell’insopportabile Phipps aveva ammesso che tutto quel lavoro non aveva lo scopo di sconfiggere i Verdi. Volevano inviare quella ‘cosa’ su Marte, qualunque essa fosse. Perché su Marte? Marte non aveva neppure una colonia umana permanente… solo delle commissioni e delle spedizioni scientifiche, come il lavoro che impegnava i suoi genitori. Il pianeta non era adatto agli esseri umani, in realtà. E cosi… perché proprio Marte?
Di chi poteva fidarsi? Di Isobel, naturalmente… si era fidato di lei, ed era stato ricompensato di questa fiducia. Del padre della ragazza? Isobel e suo padre erano due persone diverse, e Isobel non sapeva nulla, su quello che il padre faceva. Fissò la ragazza; lei restituì il suo sguardo, con occhi grandi e serii. Guardò il padre di Isobel. Non sapeva; non sapeva decidersi.
Di Malath? Una voce che usciva da un serbatoio stagno! Di Phipps? Phipps poteva amare i bambini e avere un cuore d’oro, ma Don non aveva alcun motivo per fidarsi di lui.
Certo, tutte quelle persone sapevano del dottor Jefferson, sapevano dell’anello, e, apparentemente, sapevano dei suoi genitori… ma anche Bankfield aveva saputo tutte queste cose. Lui aveva bisogno di una prova, non di tante altre parole. Ora lui sapeva abbastanza, ed era accaduto abbastanza, per dimostrargli che quanto lui portava era della massima importanza. Lui non doveva commettere un errore.
Gli venne in mente che esisteva una maniera possibile, per controllare; Phipps gli aveva detto che Malath portava l’altra metà del messaggio… che l’anello conteneva soltanto una metà. Se avesse scoperto che quella metà combinava con la parte che Malath portava, sarebbe stata una prova solida del fatto che quella gente aveva il diritto di ottenere il messaggio.
Ma, accidenti… era una prova a doppio taglio. Quella prova lo obbligava a rompere l’uovo, per vedere se era marcio. Lui doveva sapere la verità, prima di consegnare il messaggio. Aveva già conosciuto il sistema del messaggio in due parti; si trattava di un comune espediente militare… ma veniva usato raramente, e solo quando era terribilmente, terribilmente importante che il messaggio non venisse rivelato… quando si preferiva che il messaggio non venisse consegnato, piuttosto che venisse consegnato alle persone sbagliate.
Sollevò lo sguardo, e fissò il drago.
«Sir Isaac?»
«Sì, Donald?»
«Cosa succederebbe, se io rifiutassi di consegnare l’anello?»
Sir Isaac rispose immediatamente, ma in tono grave e deliberato.
«Tu sei il mio uovo, non importa cosa accada. Questa è la tua casa… dove puoi abitare in pace… o dalla quale puoi andare in pace… a seconda dei tuoi desideri.»
«Grazie, Sir Isaac.» Sibilò Don, usando i sibili dei draghi, e usando il vero nome di ‘Sir Isaac’.
Costello disse, in tono urgente:
«Signor Harvey…»
«Sì?»
«Lei sa perché la lingua dei draghi viene chiamata ‘vera lingua’?»
«Uh, be’, no, non esattamente.»
«Perché si tratta realmente di una vera lingua. Vede… ho studiato semantica comparata… la lingua sibilata non contiene neppure un simbolo per il concetto di falsità o menzogna. E quando non si ha un simbolo per indicare una cosa, non la si può neppure pensare! Lo chieda a Sir Isaac, signor Harvey! Gli chieda la verità, nella sua lingua. Se egli risponde, lei potrà credergli.»
Donald guardò il vecchio drago. Una creatura che aveva vissuto per molti secoli… aveva accumulato saggezza attraverso le epoche, da quando la razza umana ancora non si era affacciata alle soglie dello spazio… una creatura aliena, bizzarra, forse mostruosa, secondo i suoi criteri di giudizio, ma intelligente e saggia e antica. La sua mente fu attraversata da una ridda di pensieri… sopra ogni altro, il pensiero che Costello aveva ragione… non esisteva alcun simbolo, nella lingua dei draghi, per definire ‘menzogna’, dato che i draghi, apparentemente, non erano mai arrivati a un’idea simile… oppure non ne avevano mai sentito il bisogno. Sir Isaac avrebbe potuto dire una menzogna? O era così umanizzato, da potersi comportare e pensare come un essere umano? Fissò Sir Isaac, e otto occhi inespressivi, oscillanti al termine dei loro peduncoli, restituirono quello sguardo. Come faceva un uomo a capire quello che un drago pensava?
«Lo chieda a lui!» insisté Costello.
Don non si fidava di Phipps; non poteva, logicamente, fidarsi di Costello… non ne aveva alcun motivo. E Isobel non figurava nello schema.
Ma un uomo doveva fidarsi di qualcuno, prima o poi! Un uomo non poteva andare avanti da solo… nessun uomo l’aveva mai potuto fare, ed era questo il senso dell’esistenza umana… ebbene, se doveva fidarsi di qualcuno, che fosse pure il drago con il quale una volta aveva ‘diviso il fango’.
«Non è necessario,» disse Don, bruscamente. «Ecco.» Si infilò la mano in tasca, estrasse l’anello, e lo infilò sulla punta di uno dei tentacoli di Sir Isaac.
Il tentacolo s’increspò, si curvò intorno all’anello, e lo assorbì nella massa che pulsava lentamente.
«Ti ringrazio, Nebbia-Sulle-Acque.»