Il governo fece davvero qualcosa; la legge per la coscrizione venne approvata il giorno dopo. Don apprese la notizia a mezzogiorno; non appena il tumulto dell’ora di pranzo fu finito, egli si asciugò le mani e andò in centro, alla stazione di arruolamento. Davanti all’edificio c’era una lunga fila; Don si accodò, e attese il suo turno.
Più di un’ora dopo, si trovò di fronte a un sottufficiale dall’aria stanca e ostile, seduto dietro un tavolo. L’uomo mostrò un modulo a Don.
«Scriva il suo nome in stampatello. Firmi in fondo, e metta l’impronta del pollice. Poi alzi la mano destra.»
«Un momento,» rispose Don. «Io voglio arruolarmi nell’Alta Guardia. Questo modulo è per le Forze di Superficie.»
L’ufficiale lanciò una sommessa imprecazione.
«Tutti vogliono l’Alta Guardia. Mi ascolti, figliolo, la quota per l’Alta Guardia è stata raggiunta alle nove di questa mattina… adesso non accetto più volontari neppure per la lista di attesa.»
«Ma io non voglio le Forze di Superficie. Io… io sono uno spaziale.»
L’uomo imprecò di nuovo, questa volta con una certa violenza.
«Non ne ha l’aria. Voi patrioti dell’ultimo minuto mi date la nausea… cercando di entrare tra i ragazzi del cielo, per non dovere fare i soldati nel fango. Se ne torni a casa; quando la vorremo, la manderemo a prendere… e non sarà per l’Alta Guardia. Lei sarà un mangiafango, e le piacerà, oh, se le piacerà!»
«Ma…»
«Se ne vada, ho detto.»
Don se ne andò. Quando raggiunse il ristorante, il vecchio Charlie guardò l’orologio, poi il giovane.
«Adesso sei un soldato?»
«Non mi hanno voluto.»
«Una cosa buona. Preparami delle tazze.»
Ebbe il tempo di riflettere, mentre si curvava sul contenitore delle tazze. Benché non fosse portato a piangere sul latte versato, Don poteva capire bene, adesso, come fosse stato intelligente il consiglio del sergente McMasters; lui aveva perduto quella che, probabilmente, era stata la sua unica possibilità (per quanto esile) di raggiungere Marte. Pareva una certezza a tenuta stagna, il fatto che ora avrebbe dovuto passare l’intera guerra (mesi? anni?) facendo il mangiafango nelle Forze di Superficie, non avvicinandosi a Marte più di quanto gli avrebbe permesso la distanza di opposizione… circa sessanta, settanta milioni di miglia nella migliore delle ipotesi. Una distanza dalla quale sarebbe stato impossibile comunicare… anche gridando forte.
Prese in considerazione la possibilità di chiedere l’esenzione dal servizio militare, in base alla sua cittadinanza terrestre… ma scartò l’ipotesi immediatamente. Lui aveva già affermato il suo diritto di venire su Venere, come cittadino del pianeta; dire bianco o nero a seconda delle convenienze non era una cosa che gli andasse bene. E inoltre, si rendeva conto di quanto fosse tenue quella possibilità. In ogni caso, le sue simpatie erano tutte per Venere, indipendentemente da quello che i giuristi avrebbero deciso, alla fine, sulla questione della sua cittadinanza.
E c’era di più. Anche se lui avesse avuto lo stomaco per fare una simile richiesta, non riusciva a raffigurarsi dietro il filo spinato di un campo di concentramento alieno. Ed esisteva un campo di concentramento, lo aveva saputo, sul Promontorio Est. Passare laggiù tutta la guerra, per farsi portare dei pacchetti di cibo e di regali da Isobel, al pomeriggio della domenica?
L’ipotesi era inconsistente; Don non si lusingò neppure per un momento… Isobel era una convinta patriota; lo avrebbe lasciato cadere, come una manciata di fango. E poi, era facilissimo rendersi conto di quanto fossero assurde tutte quelle speculazioni… lui era su Venere e cittadino di Venere, gli piacesse o no… doveva accettare la situazione.
«Ciò che non può essere curato deve essere sopportato»… Confucio, o qualcun altro, aveva detto quella frase. Lui era in ballo, e doveva ballare… non si sentiva troppo sconvolto, all’idea; la Federazione non aveva alcun diritto di esercitare le sue pressioni su Venere, comunque. Dopotutto, di chi era il pianeta? Non certo della Federazione.
La cosa che più gli stava a cuore, in quel momento, era di entrare in contatto con i genitori, e di far loro sapere che lui aveva l’anello del dottor Jefferson, anche se non poteva consegnarlo immediatamente. Avrebbe dovuto andare a controllare all’ufficio dell’I.T. T… forse il periodo favorevole alle comunicazioni tra i due pianeti era già cominciato. Charlie avrebbe dovuto avere un telefono, in quella sua baracca.
Ricordò che gli rimaneva una possibile risorsa, che fino a quel momento non aveva utilizzato… «Sir Isaac». Aveva avuto sinceramente l’intenzione di mettersi in contatto con il suo amico drago, al momento stesso dello sbarco su Venere, ma la cosa non si era rivelata facile. «Sir Isaac» non era sbarcato a Nuova Londra, né Don era stato in grado di scoprire, dall’ufficio locale, il luogo in cui il drago era atterrato. Probabilmente alla Città CuiCui, o a Buchanan… oppure… era possibile, poiché «Sir Isaac» era persona di tale importanza… la Media Guardia poteva avere predisposto in suo favore un atterraggio speciale, secondo i suoi desideri. Avrebbe potuto trovarsi in qualsiasi punto della superficie di un pianeta che possedeva una superficie emersa molto maggiore di quella della Terra.
Naturalmente, doveva essere possibile rintracciare un personaggio così importante… ma il primo passo sarebbe stato quello di consultare l’Ufficio per gli Affari Aborigeni, che si trovava nell’Isola del Governatore. La qual cosa significava un viaggio di due ore, trovando una gondola che lo accompagnasse all’andata e al ritorno, e superando gli ostacoli burocratici che era sicurissimo di incontrare. Si disse che, semplicemente, non ne aveva il tempo.
Doveva rassegnarsi a quella constatazione, per quanto essa potesse dispiacergli. Questo se lo era ripetuto dal momento in cui era giunto nel locale del Vecchio Charlie.
Ma ora la situazione era cambiata, e lui doveva trovare il tempo. «Sir Isaac» avrebbe potuto fare in modo che lui fosse assegnato all’Alta Guardia, o trasferito a essa, indipendentemente dalle quote e dalle liste di attesa. Il governo era estremamente ansioso di conservare i draghi felici e amichevoli verso il nuovo regime. Il genere umano poteva restare su Venere per accondiscendenza dei draghi; e gli uomini politici se ne rendevano perfettamente conto.
Provava un certo disgusto, all’idea di ricorrere ad aiuti politici, in una situazione simile… ma proprio la situazione lo rendeva indispensabile. C’erano dei momenti nei quali niente altro avrebbe potuto funzionare, ed era indispensabile usare le armi che si possedevano. Questo lo aveva sempre saputo, ma mai come allora se ne era reso conto.
«Charlie!»
«Eh?»
«Piano con quei fornelli; devo tornare in centro.»
Charlie grugnì, di malagrazia; Don si tolse il grembiule, e uscì. Isobel non si trovava dietro il bancone, nell’ufficio dell’I.T. T.; Don fece trasmettere il suo nome attraverso l’impiegato di turno, e riuscì a vedere il padre della ragazza. Il signor Costello sollevò lo sguardo, quando Don entrò, e disse:
«Sono lieto che sia venuto, signor Harvey. Avevo bisogno di parlarle.»
«Il mio messaggio è stato trasmesso?»
«No, volevo restituirle la sua cambiale.»
«Perché? Che è successo?»
«Non sono stato in grado di trasmettere il suo messaggio, e non so quando sarò in grado di farlo Se in seguito scopriremo che il messaggio può essere trasmesso, accetterò la sua cambiale… o un pagamento in contanti, se allora le sarà possibile.»
Don ebbe la spiacevole impressione di venire cortesemente scaricato.
«Un momento solo, signore. Pensavo che oggi fosse il primissimo giorno in cui si sperava di poter stabilire una comunicazione con Marte. Le condizioni non miglioreranno domani… e ancor più dopodomani?»
«Sì, teoricamente. Ma oggi le condizioni erano soddisfacenti. Non esiste alcuna comunicazione con Marte.»
«Ma domani?»
«Temo di non essermi spiegato bene. Noi abbiamo tentato di lanciare un segnale a Marte; non abbiamo ottenuto risposta. Allora abbiamo utilizzato il controllo radar. Il segnale è rimbalzato nel momento previsto, con puntualità cronometrica… duemiladuecentotrentotto secondi, impossibile sbagliarsi o captare un segnale-fantasma. Così noi sappiamo che il canale di trasmissione era del tutto soddisfacente, e che il nostro segnale doveva arrivare. Ma la Stazione Schiaparelli non risponde… non c’è comunicazione.»
«Forse si tratta di un guasto?»
«È del tutto improbable. Si tratta di una stazione binaria. Dipendono tutti da essa, per l’astronavigazione, lo sa bene anche lei, immagino. No, temo che la risposta sia ovvia.»
«Sì?»
«Le forze della Federazione hanno occupato la stazione, per i propri usi. Non saremo in grado di comunicare con Marte, fino a quando le forze di occupazione non ce lo permetteranno.»
Don uscì dall’ufficio del direttore, cupo e abbattuto e con il morale sotto i tacchi. Quasi si scontrò con Isobel, che stava entrando in quel momento nell’edificio.
«Don!»
«Oh… ciao, nonnina.»
Lei era eccitata, e non notò il suo umore.
«Don, arrivo adesso dall’Isola del Governatore! Sai la grande notizia? Stanno formando un corpo di ausiliarie, e un esercito femminile!»
«Davvero?»
«La legge è all’approvazione della commissione, in questo momento. Non posso aspettare… mi arruolerò subito, naturalmente. Ho già dato il mio nome.»
«Davvero? Sì, immagino che sia proprio così.» Rifletté sulla cosa, e aggiunse, «Ho cercato di arruolarmi stamattina.»
Isobel gli gettò le braccia al collo, e lo baciò sulla guancia, con grande interesse di tutti i clienti che si trovavano nell’atrio.
«Don!» Passato il momento d’entusiasmo, si scostò un poco da lui, abbassando le braccia, con sollievo di Don che era violentemente arrossito, e poi aggiunse, «Veramente, nessuno si aspettava questo da te, Don. Dopotutto, non è una guerra che ti riguardi; la tua patria è Marte.»
«Be’, non so. Marte non è esattamente la mia patria… non saprei dirti quale sia in realtà. E non mi hanno accettato… hanno detto di aspettare la chiamata.»
«Be’,… comunque sono fiera di te.»
Don ritornò nel ristorante, provando una certa vergogna, perché non aveva avuto il coraggio di dirle il motivo che l’aveva spinto a tentare di arruolarsi, e il motivo che aveva indotto l’ufficiale a rifiutare la sua domanda. Quando raggiunse il locale di Charlie, aveva quasi deciso di ritornare all’ufficio di reclutamento, il giorno dopo, e prestare giuramento come volevano loro, e cioè come mangiafango volontario. Si disse che la rottura delle comunicazioni con Marte aveva tagliato l’ultimo legame con la sua vecchia vita; e tanto valeva accettare a braccia aperte la nuova vita. Era meglio essere un volontario che un coscritto.
Ripensandoci, decise che la prima cosa da fare era andare all’Isola del Governatore, e inviare un messaggio, in qualche modo, a «Sir Isaac»… era inutile restare nelle Forze di Superficie, se il suo amico avesse potuto disporre un suo trasferimento nell’Alta Guardia. Era ormai matematico, alla luce della nuova rivelazione, che l’Alta Guardia inviasse prima o poi una spedizione su Marte; e per lui era certamente meglio partecipare a quell’impresa. Sì, sarebbe riuscito ad arrivare su Marte… malgrado tutto. Ora che la comunicazione con il pianeta rosso si era interrotta, sarebbe stato giocoforza per le autorità venusiane agire in qualche modo, per parare quel colpo.
Ripensandoci ancora, decise che sarebbe stato probabilmente meglio aspettare un giorno o due, dopo avere inviato il messaggio, per dare tempo a «Sir Isaac» di rispondergli; certamente sarebbe stato più facile venire assegnato subito all’Alta Guardia che ottenere un trasferimento più tardi.
Sì, quella era la decisione più sensata da prendere. Disgraziatamente, non lo faceva sentire soddisfatto di se stesso.
Quella notte la Federazione attaccò.
L’attacco non avrebbe dovuto avvenire, naturalmente. Il sergente che aveva ricordato la sua risaia aveva avuto perfettamente ragione; la Federazione non poteva permettersi il rischio di vedere bombardate le sue grandi città, per punire i coloni di Venere. Il sergente aveva avuto ragione… dal suo punto di vista.
Il proprietario di una risaia ha una logica; degli uomini che vivono nel potere e per il potere possiedono un’altra logica completamente diversa. Le loro vite sono costruite su tenui presupposti, fragili come una reputazione; non possono permettersi d’ignorare una sfida al loro potere… e la Federazione non poteva permettersi di non punire gli insolenti coloni.
La Valchiria, in orbita intorno a Venere, in caduta libera, esplose in un lampo di gas radioattivi, senza alcun preavviso. L’Adonis, che seguiva la stessa orbita a circa mille miglia di distanza, a prua, vide l’esplosione e ne fece rapporto al quartier generale planetario di Nuova Londra; e poi anche questa astronave diventò una palla di fuoco in espansione.
Don fu svegliato dal profondo sonno della fatica, bruscamente, da un minaccioso ululare di sirene. Si rizzò di scatto a sedere, nel buio, ancora intorpidito dalla stanchezza di un’intera giornata di duro lavoro, e scosse più volte il capo, per schiarirsi le idee; poi capì, con bruciante eccitazione, ciò che era il suono, e qual era il suo significato. Poi si disse di non avere idee stupide; recentemente si era parlato di compiere delle esercitazioni di allarme spaziale anche nel corso della notte… ecco di che cosa si trattava: di un’esercitazione notturna. Nulla di cui preoccuparsi.
Malgrado ciò, Don si alzò in piedi, e cercò a tentoni l’interruttore della luce; ma quando lo trovò, scoprì, con una certa meraviglia, che apparentemente mancava la corrente. Sempre a tentoni, cercò i suoi vestiti, infilò la gamba destra nella gamba sinistra dei pantaloni, e incespicò. Malgrado questo incidente, era già quasi del tutto vestito quando una piccola luce tremolante venne verso di lui. Era Charlie, che in una mano teneva una candela, e nell’altra il suo coltello da macellaio preferito, quello che il cinese usava sia per lavoro che per scopi sociali.
Il ciclico lamento delle sirene continuava.
«Che cos’è, Charlie?» domandò Don. «Lei pensa che si tratti veramente di un attacco?»
«È più probabile che qualche stupido si sia addormentato sul pulsante.»
«Può darsi. Sa cosa le dico?… io vado in centro, e cerco di sapere cosa sta accadendo.»
«Faresti meglio a restare qui.»
«Non starò via per molto.»
Andandosene, fu costretto ad aprirsi la strada attraverso una folla di vieni-sopra, che belavano tutti, terrorizzati, e cercavano di entrare tutti dentro, per stare vicini al loro amico Charlie. Riuscì finalmente a passare, e a tentoni raggiunse la strada, scortato molto da vicino da due vieni-sopra che parevano desiderare di arrampicarsi sulle sue tasche.
Le notti di Venere fanno sembrare le notti più buie della Terra dei crepuscoli chiari di primavera. Apparentemente, la corrente mancava in tutta la città; fino a quando non entrò in Strada Buchanan, Don avrebbe dovuto contare le sue dita toccandosele, perché era impossibile distinguere qualsiasi particolare. Lungo Strada Buchanan c’era qualche tremolio di luce, qua e là, e una finestra o due erano illuminate fievolmente dall’interno. Candele e accendisigari. Lontano, in fondo alla strada, c’era qualcuno con una torcia elettrica in mano; Don cercò di abituare gli occhi a quella penombra, e guardò intorno.
Le strade erano affollate. Nel buio, continuò a urtare delle persone, e a udire dei frammenti di discorsi.
«…completamente distrutte.»
«È un’esercitazione normale; io sono un avvistatore spaziale; lo so.»
«Perché togliere la corrente? Le loro sonde possono raccogliere le radiazioni della pila atomica, in ogni caso.»
«Ehi… togliti dai miei piedi!»
Lungo la strada, in un punto che non avrebbe saputo precisare, Don perse la sua scorta. Senza dubbio, i due gregari avevano scoperto qualcuno più caldo di lui, da ricoprire di affetto.
Si fermò dove la folla era più fitta, intorno all’ufficio del TIMES di Nuova Londra. C’erano delle luci di emergenza, all’interno, grazie alle quali era possibile leggere i bollettini speciali che venivano affissi alla finestra. Il primo era: Bollettino straordinario (non ufficiale). Incrociatore Adonis riferisce che incrociatore Valchiria è esploso 00.30 stanotte. Causa esplosione non menzionata. Autorità locali smentiscono possibilità di attacco, suggeriscono possibilità di sabotaggio. Si attendono ulteriori rapporti da ufficiale comandante Adonis.
Bermuda (intercettato). Disordini in Africa Occidentale definiti «Incidenti minori» causati da agitatori religiosi. Polizia locale assistita da squadre della Federazione tiene la situazione sotto pieno controllo (così si afferma).
Bermuda (intercettato). Una fonte d’informazione vicina al Ministro degli Affari Esteri afferma che una rapida soluzione dell’incidente di Venere è attesa dal Governo. Rappresentanti dei coloni insorti sarebbero in conferenza con plenipotenziari della Federazione in qualche punto della Luna in un’atmosfera di buona volontà e di comprensione reciproca. (Nota: questo rapporto è stato ufficiosamente smentito dall’Isola del Governatore).
Nuova Londra (QGP-Ufficiale). Capo di Stato Maggiore ha confermato danneggiamento Valchiria ma afferma che dimensioni sono state grandemente esagerate. Elenco delle perdite viene tenuto segreto in attesa di notifica ai parenti più stretti. Si aspetta di momento in momento un rapporto completo da comandante Adonis.
Bollettino straordinario (non ufficiale). CuiCui - Astronavi non identificate avvistate da radar in atterraggio a nord e nord ovest del centro abitato. Guarnigione locale colpita. QGP rifiuta commento. Segue bollettino.
Don si avvicinò alla finestra, tra la folla, riuscì a leggere i bollettini, e ascoltò i discorsi. Una voce senza volto disse:
«Non potrebbero mai sbarcare… è una cosa antiquata, fuori dal tempo, come una carica alla baionetta. Se hanno veramente distrutto le nostri astronavi… e ne dubito… semplicemente, rimarrebbero in orbita, e trasmetterebbero un ultimatum per radio.»
«Ma se fossero davvero atterrati?» obiettò qualcuno.
«Andiamo! Siamo seri. Quel bollettino… è semplicemente una mossa della guerra dei nervi. Ecco tutto; ci sono dei traditori, tra noi.»
«Non è una novità.»
Una forma indistinta, all’interno dell’edificio, stava affiggendo un nuovo bollettino. Don si aprì un varco tra la folla a forza di gomiti, e si avvicinò.
Ultimissime — lesse Don. — QGP (ufficiale). Incaricato rapporti pubblica opinione in Stato Maggiore conferma la notizia che un attacco è stato sferrato contro alcune delle nostre astronavi da forze non identificate ma presumibilmente della Federazione. La situazione è fluida ma non critica. Tutti i cittadini sono esortati a rimanere nelle loro case, e ad evitare il panico e la diffusione di voci incontrollate. Tutti i cittadini sono esortati inoltre a dare piena cooperazione alle autorità locali. Maggiori particolari verranno resi noti successivamente. Ripetiamo… restate nelle vostre case, e cooperate.
Un individuo, autonominatosi evidentemente strillone sul momento, cominciò a leggere ad alta voce il bollettino. La folla accolse in silenzio la notizia. Mentre l’uomo stava leggendo, l’ululato delle sirene terminò, e nelle strade le luci si riaccesero. La medesima voce che si era lamentata dell’oscuramento pochi minuti prima, a questo punto cambiò indirizzo di protesta:
«Perché diavolo vogliono accendere le luci? Questo è solo un invito a bombardarci!»
Non apparvero altri bollettini; Don tornò indietro, con l’idea di raggiungere l’edificio dell’I.T. T., non certo nella speranza di trovare Isobel in piedi a quell’ora, ma semplicemente per cercare qualche notizia più fresca. Distava ancora pochi passi dall’edificio, quando s’imbatté in un plotone della polizia militare, che stava sgomberando le strade. I soldati lo mandarono indietro, e dispersero la folla ancora radunata intorno agli uffici del giornale. Quando Don se ne andò, l’unica persona rimasta davanti al giornale era un drago, con i peduncoli degli occhi puntati in tutte le direzioni; apparentemente, la creatura stava leggendo contemporaneamente tutti i bollettini. Don provò la tentazione di fermarsi, per chiedere all’alieno se conosceva «Sir Isaac», e, in caso affermativo, dove avrebbe potuto trovare il suo amico; ma un soldato lo convinse con maniere sbrigative a circolare. Il plotone non fece alcun tentativo per invitare il drago ad andarsene per la sua strada; gli venne lasciata l’indiscussa sovranità della strada.
Il vecchio Charlie era ancora in piedi, seduto davanti a un tavolino, intento a fumare. Aveva il suo coltello da cucina davanti. Don gli raccontò quel che aveva scoperto.
«Charlie, lei pensa che sbarcheranno?»
Charlie si alzò in piedi, aprì un cassetto e tirò fuori una pietra per affilare a umido, e cominciò lentamente a passarvi sopra la lama del suo coltello.
«Può succedere.»
«Cosa pensa che dovremmo fare?»
«Andare a letto.»
«Non ho sonno. Perché sta affilando quell’aggeggio?»
«Questo è il mio ristorante.» Sollevò il coltello, lo soppesò. «E questo è il mio paese.» Lanciò il coltello; la lama descrisse due giri nell’aria, e si conficcò in un asse di legno, dall’altra parte della stanza.
«Faccia attenzione, con quell’arnese! Potrebbe fare del male a qualcuno.»
«Tu vai a letto.»
«Ma…»
«Cerca di dormire un poco. Domani potresti pentirti di non averlo fatto.» Si voltò, e Don non riuscì a tirargli fuori nient’altro. Rinunciò, e andò nel suo sgabuzzino, non con l’intenzione di dormire, ma semplicemente di riflettere su quanto stava accadendo. Per molto tempo, così, rimase sdraiato, con gli occhi fissi sul soffitto. E di quando in quando gli giungeva il rumore della lama passata sulla pietra, del coltello che Charlie stava affilando.
Le sirene lo svegliarono di nuovo; era quasi giorno. Uscì dal suo sgabuzzino, e vide che Charlie era ancora nella sala.
«Cosa succede?»
«Colazione.» Con una mano Charlie sistemò un uovo fritto su un piatto, che già conteneva una fetta di pane, mentre con l’altra mano ruppe un altro uovo sulla padella che già friggeva. Sistemò un’altra fetta di pane sul primo uovo, e porse il sandwich a Don.
Don accettò la colazione, e diede un morso robusto, prima di rispondere.
«Grazie. Ma perché fanno suonare le sirene?»
«Combattono. Ascolta.»
Lontano, molto lontano, si udì il fragore soffocato di un’esplosione; alla fine di questo rumore, e molto più vicino, giunse il sibilo secco di un fucile a raggi. Insieme alla nebbia che galleggiava davanti alla finestra, c’era un acuto odore di legno bruciato.
«Ma…» esclamò Don, con voce alterata dall’emozione. «Allora l’hanno fatto sul serio.» Automaticamente, dimenticando il cibo, affondò nuovamente i denti nel sandwich, con la mente lontana migliaia di chilometri.
Charlie grugnì. Don riprese:
«Dovremmo andarcene da qui.»
«Per andare dove?»
Don non aveva alcuna risposta da offrire a questa domanda. Finì il suo sandwich, continuando a guardare la finestra.
L’odore di fumo si fece più forte. Un plotoncino di uomini apparve in fondo al veicolo, muovendosi con rapidità ed efficienza.
«Guardi! Quelle non sono le nostre uniformi!»
«Naturalmente no.»
Il gruppo si fermò in fondo alla strada, poi da esso si staccarono tre uomini, che percorsero il vicolo, fermandosi a ogni porta per bussare rumorosamente.
«Fuori! Svegliatevi, là dentro… fuori tutti!»
Due soldati raggiunsero il Ristorante Due Mondi; uno di loro diede un calcio alla porta. La porta si aprì.
«Fuori! Dobbiamo appiccare fuoco a questo posto.»
L’uomo che aveva parlato indossava un’uniforme verde chiazzata, con due galloni; teneva in mano un corto fucile Reynolds portatile, e sulla schiena la batteria che lo alimentava. Si guardò intorno.
«Ehi, qui c’è la colazione!» Si rivolse all’altro. «Joe, sta attento che non arrivi il tenente.» Poi guardò di nuovo il Vecchio Charlie. «Ehi, tu, amico… preparaci una dozzina di uova. E cerca di sbrigarti… dobbiamo bruciare immediatamente questo posto.»
Don rimase come paralizzato, e stordito; e non riuscì a pensare a nulla da dire o da fare. Un fucile Reynolds non permette di discutere. Charlie parve dello stesso parere, perché si voltò verso la cucina, come per obbedire.
Poi si voltò di nuovo verso il soldato, e in mano teneva il suo coltello da cucina. Don non riuscì quasi a seguire quel che accadde poi… un lampo di acciaio azzurrino nell’aria, un suono molle, da macellaio, e poi il coltello era già affondato fin quasi al manico nel petto del soldato.
Egli non lanciò alcun grido; parve soltanto moderatamente sorpreso, poi si inginocchiò, lentamente, dove si trovava, con le mani che stringevano ancora il fucile. Quando le sue ginocchia toccarono il pavimento, la testa si piegò in avanti, e il fucile gli sfuggì dalle dita.
Mentre questo accadeva, l’altro soldato era in piedi, immobile, tenendo spianato il proprio fucile. Quando il suo superiore lasciò cadere il fucile, egli reagì, come se quello fosse stato un segnale; sollevò il proprio fucile, e sparò a Charlie, direttamente in viso. Poi si girò, e puntò il suo fucile contro Don. Don si ritrovò a fissare la nera cavità del proiettore.