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— Salve, Parker — mi disse il senatore — Felice di sentirti.

— Spero che mi ascolterai, stavolta.

— Volentieri — disse in quel suo tono mellifluo — a patto che non ricominci con quella barzelletta sugli alieni invasori.

— Senti… — lo interruppi.

— Posso dirti che scoppierà un pandemonio… Ma siamo intesi, non te l’ho raccontato io…

— Questo lo so — dissi. — Ogni volta che spifferi qualche indiscrezione, non sei stato tu a dirmelo.

— Be’, ascolta. Scoppierà un pandemonio all’apertura della Borsa lunedì mattina. Non sappiamo cosa stia succedendo, ma è certo che le banche non hanno contanti. Proprio così: nessuna banca. Dappertutto stanno facendo gli straordinari per controllare dove sia andato a finire il contante. Ma questo non è ancora il peggio.

— E quale?

— C’è che di denaro prima ce n’era in giro fin troppo — proseguì Roger. — Addizionando tutto il contante esistente fino a venerdì nelle banche, si ottiene una cifra esorbitante, giuridicamente impossibile. Ti dico, Parker, che non esiste tutto quel contante in tutti gli Stati Uniti.

— E adesso è svanito.

— Svanito — disse il senatore. — In base alle stime, adesso il contante depositato nelle banche si trova in quantità pressoché normale.

Attesi che continuasse, e nella pausa lo sentii tirare un profondo respiro.

— Ma non è finita — aggiunse. — Circolano tante voci, tanti “si dice”. Non si fa a tempo a controllarne una, che ne spunta un’altra.

— Che voci?

Esitò un attimo, quindi disse: — Mi raccomando, Parker, è una notizia riservata!

— Vai tranquillo.

— Pare che uno sconosciuto abbia dato la scalata alle “Acciaierie d’America” e a una sfilza di altre multinazionali.

— Uno o più?

— Dio santo, Parker, che ne so! Ogni minuto arriva una notizia che smentisce la precedente. — Fece una pausa. — E tu, che cosa ne sai di questa faccenda?

Tutto, sapevo. Ma dirglielo non sarebbe stata un’idea particolarmente geniale. Mi avrebbe mandato al diavolo, e sarebbe finita così.

— Posso suggerirti cosa fare — risposi. — Cosa puoi fare tu.

— Speriamo bene.

— Fa’ passare una legge — gli dissi.

— Abbiamo già fatto passare tutte quelle che…

— Una legge che dichiari illegale la proprietà privata, di qualunque tipo. In modo che nessuno possa avanzare dei diritti su un pezzo di terra, uno stabilimento industriale, un lingotto, una casa…

— Ma sei pazzo! — gridò il senatore. — Non è neppure concepibile!

— E già che ci sei — continuai imperterrito — cerca anche di inventare un surrogato del denaro.

Il senatore farfugliò qualcosa di inintelligibile.

— Perché sono gli alieni che stanno comprando la Terra — risposi. — Se lasci che le cose vadano avanti così, diventeranno padroni di tutto il mondo.

Il senatore ritrovò la voce: — Parker! — gridò. — Sei completamente fuori di testa! Non ho mai sentito delle simili bestialità in vita mia, e ne ho sentite tante!

— Se non credi a me — replicai — chiedilo al Cane.

— Ma di quale cane stai parlando? Che diavolo c’entra un cane?

— Quello che aspetta di fronte alla Casa Bianca, per poter parlare con il presidente.

— Parker! — esplose. — Non chiamarmi mai più! Ne ho già abbastanza dei miei guai, senza che ti ci metta anche tu. Non so a che cosa stai mirando. Ma se vuoi divertirti, cercati qualcun altro!

— Non è uno scherzo — insistetti.

— Addio, Parker.

— Addio, senatore — risposi.

Riagganciai.

Non mi aveva creduto, ed era l’unica persona su cui potevo contare. Era uno dei pochi uomini politici in vista che fosse dotato di immaginazione, ma evidentemente in quantità non sufficiente da accettare le cose che raccontavo.

Avevo fatto del mio meglio, ma era stato un fallimento. Forse, se mi fossi mosso in maniera diversa… Ma via, se ci si fa di questi problemi, non si combina più niente. Ormai la frittata era fatta.

E ora gli alieni erano liberi di agire come volevano. Sembrava che stessero accelerando i tempi. Lunedì mattina sarebbe scoppiato il panico a Wall Street, e partendo di lì l’economia avrebbe iniziato a scricchiolare. Nel giro di una settimana, il mondo sarebbe piombato nel caos.

Pensai anche che le sfere fossero già al corrente del mio tentativo, perché era inconcepibile che non fossero collegate con le grandi reti di comunicazione. Avrebbero scoperto il mio doppio gioco.

Mi gelò il sangue nelle vene. Non ci avevo pensato prima di fare la telefonata, con tutte quelle altre cose per la testa. Eppure, anche a pensarci, va a finire che avrei chiamato Rog lo stesso.

Forse a “loro” non importava neppure granché. Probabilmente si aspettavano che mi sarei impappinato un po’, prima di accettare la loro offerta. Così quella telefonata, dimostrando ancora una volta la vanità dei miei sforzi, dal loro punto di vista mi avrebbe legato ancora di più a loro, con la convinzione che non c’era modo di oppormi ai loro progetti.

Del resto, cos’altro potevo fare?

Avrei potuto chiamare il presidente. O provarci. Su, Parker, non prendiamoci in giro. Con quante probabilità di essere messo in contatto con lui? Zero. Soprattutto in un’epoca in cui il presidente aveva un cumulo di responsabilità senza precedenti nella storia del Paese. E poi, anche ammesso, che potevo dirgli? “Vada a parlare con il Cane, che la attende in giardino”?

Non avrebbe mai funzionato. Ero sconfitto. Non c’era alcuna possibilità, né per me né per altri.

Presi un gettone di tasca e chiamai Joy al giornale.

— Tutto bene? — mi chiese Joy.

— Sì, tutto a posto. Quando vieni a casa? — le chiesi.

— Non so — mi rispose. — Con questo dannato Gavin non si finisce mai.

— Cerca di svignartela — le suggerii.

— Lo sai che non posso.

— Ok, uff. Dove vuoi mangiare stasera? Pensavo a qualche localino di quelli di lusso. Sono carico di dollari.

— E come? Se la tua paga ce l’ho qui io…

— Credimi, sono ricco sfondato. Allora? Dove andiamo?

— Preferisco cucinare a casa. C’è tanta folla nei ristoranti.

— Bistecche, va bene? E che altro?

Mi diede la lista della spesa. Uscii e mi misi all’opera.

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