Il cielo era diventato scuro e nelle strade erano già state accese le luci. L’orologio di una banca segnava le sei e mezzo. Dovevo affrettarmi, se volevo arrivare in tempo all’appuntamento che avevo con Joy per le sette, o l’avrei trovata furibonda.
— È una bella notte per la caccia al procione — disse il taxista. — Tra poco sorgerà la luna, non fa freddo e mi piacerebbe andarci, ma stasera ho da lavorare. Siamo io e il mio compare, che ha il cane. Sa, quelli marroni e neri. Lui è uno che parla, parla, che è un piacere.
— Va a caccia di procioni? — chiesi. Non me ne importava granché, ma era chiaro che il taxista voleva fare conversazione.
Infatti non aspettava altro.
— Fin da ragazzo! — esclamò. — Ho cominciato con mio padre, quando avevo nove o dieci anni, poi è una cosa che ti resta nel sangue. Arriva una notte come questa, e non resisti più. C’è che in questo periodo dell’anno il bosco ha tutto un suo profumo, e il vento che passa tra le foglie, che stanno per staccarsi, fa come una musica. E tu senti che l’inverno è dietro l’angolo.
— Dove andate a caccia?
— A ovest, a un centinaio di chilometri di qui, lungo il fiume. In quella zona c’è un sacco d’alberi.
— E prendete molti procioni?
— Ah, ma non è mica quello l’importante — rispose. — Molte notti si esce, e si torna a mani vuote. I procioni sono una scusa per girare nei boschi di notte. Non è che c’è mai molta gente in giro per i boschi, sia di notte sia di giorno. Non sono mica il tipo che va a fare discorsi sulla comunione con la natura, ma le posso dire, amico, che, se uno passa un po’ di tempo con lei, poi si sentirà migliore.
Ero sprofondato nel sedile e guardavo sfilare i fabbricati. Quella era ancora la vecchia città che conoscevo bene, ma c’era qualcosa di stregato nell’aria. Come se ombre furtive ci spiassero dagli angoli oscuri degli edifici.
L’autista mi chiese: — E lei, mai stato a caccia di procioni?
— No — risposi. — Qualche volta vado a caccia di anitre, oppure di fagiani nel Sud Dakota.
— Anche a me piacciono le anitre e i fagiani — disse l’autista. — Ma i procioni hanno qualcosa di speciale.
Tacque un momento, poi riprese: — Comunque, ognuno ha i suoi gusti. Conosco un vecchio pazzo che ha la mania delle puzzole. Ci parla, quello, con le puzzole. Le coccola, e loro gli si avvicinano, gli salgono addosso e si fanno accarezzare come gattini. Lo seguono perfino in casa, come cuccioli. Incredibile, le dico. Fa quasi senso vedere come se la intende con quelle bestie. Vive in una capanna sulle colline, in un posto pieno di puzzole. Sta scrivendo un libro su di loro. Me l’ha anche fatto vedere. È scritto a matita su un quaderno come quelli che usano i ragazzini a scuola. Si siede a un tavolino e scrìve, con un mozzicone di matita, che di tanto in tanto inumidisce con le labbra, alla luce di una vecchia lanterna sporca. Ma le dirò, mister, che non sa mica scrivere bene, fa tremendi errori di ortografia. Un vero peccato, perché ci tiene al suo libro.
— Così va la vita — gli dissi.
Continuò a guidare in silenzio per un po’.
— Al prossimo isolato, ah? — mi chiese.
Gli dissi di sì. Si fermò davanti all’ingresso, scesi.
— Cosa ne pensa — disse — di venire a caccia con me, una di queste sere? Si partirebbe verso le sei.
— Sarebbe carino — risposi.
— Mi chiamo Larry Higgins, può trovare il mio numero sull’elenco. Sempre a disposizione.
Gli promisi che avrei telefonato.