Due minuti bastarono a Thor per accorrere sul luogo del sinistro, ma in quel breve tempo i palanchini avevano già sollevato il blocco caduto; il corpo delle vittime era in piena vista. Si era raccolto un capannello, tutto di beta: i gamma non avevano né l’autorità né lo spunto interiore per interrompere il lavoro, neppure per un incidente come quello. Vedendo giungere un alfa, i beta indietreggiarono, soffermandosi con inquietudine ai margini della scena. Erano indecisi se tornare al lavoro o se offrire aiuto all’alfa, e così, trovandosi in un dilemma per il quale non erano stati programmati, rimanevano lì fermi, con la triste espressione androide di smarrimento sul volto.
Thor valutò la situazione con una rapida occhiata. Tre androidi (due beta e un gamma) schiacciati dal blocco di vetro. Era quasi impossibile identificare i beta; sarebbe già stato difficile staccare i cadaveri dalla morsa del terreno ghiacciato. Il gamma accanto a loro era quasi riuscito a sfuggire alla morte, ma la fortuna non gli era bastata: solo la parte di sotto dei fianchi era intatta. Sue erano le gambe che Thor aveva visto scalciare ai margini del blocco. Nella caduta, la benna aveva travolto due altri androidi. Uno di essi (un gamma) aveva ricevuto un colpo mortale al capo e giaceva abbandonato a una decina di metri di distanza. L’altro (un beta) aveva preso un colpo quasi fatale sulla schiena, dai cavi della benna; era vivo, ma gravemente danneggiato, e doveva soffrire atrocemente.
Thor scelse quattro beta fermi a osservare e ordinò di trasportare i morti al centro di controllo, per l’identificazione e l’inumazione. Altri due beta li mandò a prendere una barella per il ferito. Quando si furono allontanati, si avvicinò a quell’unico sopravvissuto e chinò lo sguardo su di lui, fissandolo negli occhi grigi venati di giallo per il dolore.
— Puoi parlare? — gli chiese.
— Sì — venne un sussurro nebbioso. — Non posso muovere tutta la parte inferiore. Ho freddo. Sto congelando dalla metà in giù. Morirò?
— Probabilmente sì — disse Thor. Passò la mano sulla schiena del beta, fino a trovare il ganglio lombare, e con un colpo secco lo mise in corto circuito. La figura accartocciata a terra emise un sospiro di sollievo.
— Va meglio? — chiese l’alfa.
— Molto meglio, Alfa Guardiano.
— Dimmi il tuo nome, beta.
— Calibano Alesatore.
— Cosa facevi quand’è caduto il blocco, Calibano?
— Era la fine del turno. Sono capomanutenzione. Passavo di qui. Si sono messi tutti a gridare. Ho sentito l’aria sferzarmi quando il blocco ha toccato terra. Ho fatto un salto indietro… e mi sono trovato a terra anch’io, con la schiena spaccata. Quanto mi resta ancora, prima della morte?
— Un’ora o poco meno. Il freddo salirà lentamente, fino a raggiungerti il cervello; quella sarà la fine. Ma confortati: lo sguardo di Krug era su di te mentre cadevi. Krug ti proteggerà. Riposerai in petto a Lui.
— Krug sia lodato — mormorò Calibano Alesatore.
I barellieri arrivavano, ma come giunsero a una cinquantina di metri di distanza risuonò il gong di fine turno. Istantaneamente, ogni androide che non stesse lavorando direttamente ai blocchi prese a correre verso le cabine d’uscita. Tre file di operai cominciarono a svanire nei trasmat, verso le proprie case nei ghetti androidi dei cinque continenti, e insieme il turno successivo cominciò a emergere dai trasmat d’accesso, terminato il periodo di riposo trascorso in zone dopolavoristiche del Sud America e dell’India. Al suono del gong, i portaferiti stavano per lasciar cadere la barella e per correre ai trasmat anche loro. Thor ringhiò seccamente un ordine e i due, come pecore, si affrettarono verso di lui.
— Sollevate Calibano Alesatore — ordinò Thor — e portatelo con ogni attenzione alla cappella. Quando avrete finito potrete lasciare il turno e farvi accreditare lo straordinario.
Nel trepestio del cambiamento di turno, i due beta caricarono sulla barella l’androide ferito e si diressero a una cupola prefabbricata che sorgeva, tra decine d’altre, sul margine nord del cantiere. Erano cupole per vari usi: magazzini per materiali edilizi, cucine, docce; tre di esse accoglievano i generatori per le cabine trasmat e i nastri refrigeranti; una era il pronto soccorso degli androidi infortunati sul lavoro e un’altra, proprio al centro dell’irregolare gruppetto di emisferi di plastica grigia, era la cappella.
In qualsiasi momento del giorno e della notte, due o tre androidi, finito il loro turno, stazionavano nei pressi di quella cupola; in apparenza bighellonavano lì a caso, ma in effetti facevano da sentinella per impedire l’ingresso ai Nati dal Ventre: a volte veniva a ficcare il naso qualche giornalista o qualche ospite di Krug, e le sentinelle disponevano di vari metodi, ingegnosi, per allontanarli dalla cappella senza dar luogo al proibito cozzo di volontà tra androidi ed esseri umani. Era una cappella chiusa a tutti i nati da uomo e donna. La sua stessa esistenza era nota solo agli androidi. Thor Guardiano vi giunse proprio mentre i barellieri posavano davanti all’altare Calibano Alesatore. Entrando, Thor eseguì la genuflessione di rito, poggiando a terra un ginocchio e allungando innanzi a sé le mani, con le palme rivolte verso l’alto. L’altare, poggiato in un bagno purpureo di fluidi nutritizi, era costituito di una massa di carne, rettangolare e rosea, sintetizzata nello stesso modo in cui venivano sintetizzati gli androidi. Era materia vivente, ma sprovvista di sensibilità: in effetti non sarebbe stata in grado di mantenersi in vita senza aiuto esterno; veniva alimentata dal di sotto, mediante continue iniezioni di metabolasi. Dietro all’altare c’era un ologramma di Simeon Krug, formato naturale, rivolto verso la porta. Le pareti della cappella erano ornate delle triplette del codice genetico RNA, iscritte dal pavimento al soffitto in infinite replicazioni:
AAA AAG AAC AAU
AGA AGG AGC AGU
ACA ACG ACC ACU
AUA AUG AUC AUU
GAA GAG GAC GAU
GGA GGG GGC GGU
GCA GCG GCC GCU
GUA GUG GUC GUU
CAA CAG CAC CAU
CGA CGG CGC CGU
CCA CCG CCC CCU
CUA CUG CUC CUU
UAA UAG UAC UAU
UGA UGG UGC UGU
UCA UCG UCC VCV
UUA UUG UUC UUU
— Mettetelo sull’altare — ordinò Thor. — Poi uscite pure.
I barellieri obbedirono. Rimasto solo con il beta morente, Thor disse: — Sono Preservatore e dunque posso farti da guida nel viaggio verso Krug. Ripeti con me, più chiaramente che puoi: Krug ci ha messi al mondo e a Krug noi torniamo.
— Krug ci ha messi al mondo e a Krug noi torniamo.
— Krug è nostro Creatore e nostro Protettore e nostro Salvatore.
— Krug è nostro Creatore e nostro Protettore e nostro Salvatore.
— Krug, Ti supplichiamo di guidarci alla luce.
— Krug, Ti supplichiamo di guidarci alla luce.
— E di alzare i Figli della Vasca al livello del Figli del Ventre.
— E di alzare i Figli della Vasca al livello dei Figli del Ventre.
— E di condurci al posto che ci spetta…
— E di condurci al posto che ci spetta…
— …a fianco dei nostri fratelli e sorelle nella carne.
— …a fianco dei nostri fratelli e sorelle nella carne.
— Krug nostro Creatore, Krug nostro Salvatore, Krug nostro Padrone, accoglimi nuovamente nella Vasca.
— Krug nostro Creatore, Krug nostro Salvatore, Krug nostro Padrone, accoglimi nuovamente nella Vasca.
— E concedi la redenzione a chi mi seguirà…
— E concedi la redenzione a chi mi seguirà…
— …nel giorno in cui Ventre e Vasca, e Vasca e Ventre saranno uno.
— …nel giorno in cui Ventre e Vasca, e Vasca e Ventre saranno uno.
— Krug sia lodato.
— Krug sia lodato.
— Gloria a Krug.
— Gloria a Krug.
— AAA AAG AAC AAU a Krug.
— AAA AAG AAC AAU a Krug.
— AGA AGG AGC AGU a Krug.
— AGA AGG AGC… - Calibano Alesatore incespicò sulle parole. — Il gelo mi giunge al petto… — mormorò. — Non riesco… più…
— Termina la sequenza. Krug ti attende.
— …AGU a Krug.
— ACA ACG ACC ACU a Krug.
Le dita del beta si chiusero spasmodicamente sulla cedevole carne dell’altare. Negli ultimi minuti la sua pelle aveva preso un colore più scuro: era passata dal rosso al violaceo. Gli occhi fissavano vitrei. Le labbra gli si erano scostate dai denti.
— Krug ti attende! — esclamò Thor, rabbioso. — Continua la sequenza!
— Non… posso. Non… respiro…
— E allora ascolta me. Ascoltami solo. Formula i codoni nella mente mentre li pronuncio io. AUA AUG AUC AUU a Krug. GAA GAG GAC GAU a Krug. GGA GGG…
Disperatamente inginocchiato accanto all’altare, Thor ripeté fila dopo fila il rituale genetico. A ciascun gruppo di codoni compiva la rotazione prescritta: la doppia elica, movimento dell’estremo rito. La vita sfuggiva rapidamente da Calibano Alesatore. Verso la fine, Thor fu costretto a prendersi dalla tunica un cavo di collegamento, a inserirne un’estremità nella presa del proprio polso, l’altra in quella di Calibano, e a pompare energia nel beta morente per farlo sopravvivere fino al termine delle triplette RNA. Solo allora, ormai certo di avere portato a Krug l’anima di Calibano Alesatore, Thor si staccò, si alzò, mormorò una breve preghiera per la propria salvazione e chiamò una squadra di gamma per portare via la salma.
Teso, esausto, e tuttavia felice per la redenzione di Calibano Alesatore, Thor lasciò la cappella e ritornò al centro di controllo. A metà strada vide una figura alta come lui che lo attendeva: un altro alfa. Strano. Il suo turno doveva durare ancora alcune ore, poi sarebbe venuto l’alfa Euclide Pianificatore a prendere il suo posto. E quell’alfa non era Euclide. Era un androide che Thor non aveva mai visto.
Il nuovo venuto disse: — Thor Guardiano, mi puoi dedicare un istante? Sono Siegfried Classificatore, del Partito d’Eguaglianza Androide. Certo avrai sentito parlare dell’emendamento costituzionale che i nostri amici intendono presentare, al rinnovo del Parlamento. Pensavamo che tu, data la tua posizione accanto a lui, potresti procurarci un appuntamento con Krug, per chiedergli se vuole appoggiare.
Thor lo interruppe bruscamente: — Sai come la penso a proposito del nostro interessamento negli affari politici.
— Sì, ma ormai la causa dell’uguaglianza androide…
— La causa dell’uguaglianza androide si può sostenere in tanti modi. Non intendo sfruttare a scopi politici la mia posizione.
— L’emendamento costituzionale…
— È inutile. Tutto inutile. Amico Classificatore, vedi quell’edificio da cui vengo? È la nostra cappella. Ti consiglio di entrare e mondarti l’anima da questi falsi valori.
— Non appartengo alla tua comunione — rispose Siegfried Classificatore.
— E io non aderisco al tuo partito politico — ribatté Thor Guardiano. — Ora scusami. Ho il mio lavoro al centro di controllo.
— Forse potremmo incontrarci al termine del tuo turno.
— In tal caso disturberesti il mio periodo di riposo. Dopo quest’ultima frase, Thor si allontanò in fretta.
Dovette fare ricorso al rituale neurale della calma per allontanare la collera e l’irritazione che sentiva gonfiarsi dentro di sé.
Partito d’Eguaglianza Androide! pensò con disprezzo. Pazzi! Pasticcioni! Idioti!