22

Thor Guardiano era inginocchiato a fianco di Lilith Mesone, nella cappella del Valhallavägen. Era il giorno della Cerimonia dell’Apertura della Vasca; erano presenti nove alfa e officiava Mazda Costruttore, che apparteneva alla casta delle Trascendenze. Avevano anche convinto un paio di beta a partecipare, perché quel rito richiedeva due Arresi. Non richiedeva un Preservatore, tuttavia, e perciò Thor non vi prendeva parte direttamente; si limitava a ripetere tra sé le invocazioni dei celebranti.

L’ologramma di Krug sull’altare luccicava e pulsava. Le triplette del codice genetico scritte sulle pareti parevano fondersi e roteare mentre il rito giungeva alla fase conclusiva. Nell’aria c’era odore d’idrogeno. I gesti di Mazda Costruttore, sempre nobili e austeri, si allargarono in un abbraccio sempre più grande.

— AUU GAU GGU GCU — gridò.

— Armonia! — rispose il primo Arreso.

— Unità! — rispose il secondo.

Percezione - mormorò Lilith.

— CAC CGC CCC CUC — salmodiò Mazda Costruttore.

— Armonia!

— Unità!

Passione - mormorò Lilith.

— UAA UGA UCA UUA — esclamò la Trascendenza.

— Armonia!

— Unità!

Intenzione - mormorò Lilith, e la cerimonia finì. Mazda Costruttore scese dall’altare, stanco ed eccitato. Lilith gli sfiorò gentilmente la mano. I beta, approfittando dell’occasione, salutarono e uscirono dalla porta posteriore. Thor si alzò. Vide Andromeda Quark, che in un angolo buio mormorava una preghiera della casta dei Proiettori. Pareva non accorgersi della presenza degli altri.

Thor si rivolse a Lilith: — Andiamo? — le chiese. Ti accompagno a casa.

— Grazie — disse lei. La partecipazione alla cerimonia l’aveva lasciata in uno stato di esaltazione; gli occhi le splendevano in modo innaturale, il petto le ansava sotto la veste sottile; aveva le nari dilatate. L’accompagnò alla strada.

Camminando verso la cabina trasmat, le chiese: — Ti è già arrivata la richiesta di nuovo personale?

— Sì, ieri. Con un appunto di Spaulding di assumere subito tutte le persone richieste. Non so neppure dove andare a cercare tutti quei beta addestrati, Thor. Che cosa sta succedendo?

— Sta succedendo che Krug ci ha messo sotto pressione. Ha l’ossessione di finire la torre.

— Questo lo si sapeva già — disse Lilith.

— Sì, ma diventa sempre peggio. Di giorno in giorno la sua impazienza cresce, si approfondisce, aumenta d’intensità, come una malattia che lo consumi dall’interno. Forse, se fossi una persona umana, potrei riuscire a capire un simile desiderio. Adesso viene alla torre due, tre volte al giorno. Conta i piani. Conta quanti blocchi sono stati messi in opera. Va a stanare la squadra tachionica, per ordinare che faccia più in fretta a mettere insieme le macchine. Ha un aspetto selvaggio: è sudato, eccitato, si mangia le parole. Adesso rinforza l’organico: getta altri milioni nella torre. A che scopo? E poi la faccenda dell’astronave. Ieri ho parlato con Denver. Sai, Lilith, per tutto l’anno scorso ha ignorato quel progetto, e adesso si reca tutti i giorni a fargli visita. L’astronave dev’essere pronta per un viaggio interstellare nel giro di tre mesi. Equipaggio androide. Vuole mandare degli androidi.

— Dove?

— Trecento anni luce.

— Non ti chiederà mica di andare? O magari mandare me?

— Quattro alfa e quattro beta. Non mi ha ancora detto chi intende scegliere — rispose Thor. — Se lasciamo decidere a Spaulding, per me è finita. Krug ci protegga dal dover andare. — L’ironia di quest’ultima invocazione lo colpì solo dopo averla pronunciata. Rise: una risata sottile, amara. — Già. Ci protegga Krug!

Giunsero al trasmat. Thor incominciò a formare le coordinate.

— Perché non sali un momento da me? — chiese Lilith.

— Grazie.

Entrarono insieme nella fiamma verde.

L’appartamento di Lilith era più piccolo del suo; solo una camera da letto, una stanza che era insieme soggiorno e cucinino, e una specie di entrata con un vano per il bagno. Si vedeva chiaramente che in origine erano stanze molto più grandi, suddivise per formarne altre, più piccole, adatte agli androidi. Il palazzo era come quello in cui abitava lui: vecchie residenze diciannovesimo secolo, usatissime e, in un certo senso, accoglienti. Tuttavia l’arredamento, scelto da Lilith in ottimo accordo con la sua personalità, era chiaramente contemporaneo ed era costituito principalmente da mobili che si allargavano su esili basi e da oggetti d’arte sottili, delicati che galleggiavano liberamente nell’aria. Thor non le aveva mai fatto visita in precedenza, anche se, qui a Stoccolma, abitavano a poca distanza. La vita di società degli androidi, alfa compresi, si svolgeva pochissimo nelle rispettive abitazioni: nella maggior parte dei casi, come luogo d’incontro, usavano le cappelle. Coloro che non appartenevano alla comunione s’incontravano negli uffici del PEA, oppure se ne stavano da soli e basta.

Si accomodò su una poltrona a molle, comoda e leggera. — Vuoi qualche corrosivo della mente? — chiese Lilith. — Ho in casa tutto un assortimento di sostanze da compagnia. Un’erba? Un sollevato? Uno stimolatore? Ho anche roba alcolica: liquori, brandy, whisky.

— Hai una buona scorta di inquinanti.

— Manuel mi viene a trovare spesso: tengo una specie di bar per lui. Cosa preferisci?

— Niente, grazie — rispose. — La corrosione mi attira poco…

Lei rise e si avviò al doppler. Un rapido suono le sciolse il vestito. Sotto, indossava solo uno spray termico verde chiaro, che si accostava bene con la sua pelle rossa; la copriva dal petto a mezza coscia, proteggendola dal vento del dicembre di Stoccolma. Una piccola regolazione del doppler e anche quello si sciolse. Tenne i sandali.

Scivolò delicatamente a terra e sedette a gambe incrociate davanti a Thor, gingillandosi con le manopole dei proiettori da parete; disegni si gonfiarono e svanirono mentre le muoveva a caso. Ci fu un istante di silenzio, stranamente teso; Thor si sentiva fuori posto: conosceva Lilith da cinque anni (vale a dire quasi tutta la sua vita), ed erano intimi amici come di solito potevano esserlo due androidi. Eppure non erano mai rimasti soli insieme come ora. Non che la sua nudità lo mettesse a disagio; per lui la nudità non significava nulla. Si trattava semplicemente, si disse, dell’intimità della cosa. Come se fossimo amanti. Come se ci fosse qualcosa di… di sessuale… tra noi. Sorrise, e decise di parlarle di quei sentimenti fuori posto. Ma, prima che potesse farlo, fu lei che parlò.

— Mi è venuta in mente una cosa. A proposito di Krug e della sua impazienza di finire la torre. Thor: se stesse per morire?

— Morire? — Sbalordimento; concetto mai prima formulato.

— Sì, qualche malattia terribile, qualcosa che non possono riparare morfogeneticamente. Non so immaginare cosa. Un nuovo tipo di cancro, forse. Comunque, supponi che abbia saputo di avere solo un anno o due di vita, capisci, e che tema di non poter fare in tempo a inviare i segnali spaziali.

— Mi sembra in ottima salute — disse Thor.

— Magari è marcio dentro. I primi sintomi potrebbero essere il suo comportamento anormale: saltare in modo ossessionante da un luogo all’altro, avvicinare le scadenze, incitare la gente a fare in fretta…

— Krug ci protegga, no!

— Protegga Krug.

— No, non posso crederci, Lilith. Dove sei andata a pescare quest’idea? È stato Manuel a dirti qualcosa?

— No, solo una specie d’intuito. Cerco di aiutarti a trovare una spiegazione dello strano contegno di Krug, nient’altro. Se è vero che sta per morire, allora tutto diverrebbe chiaro.

— Krug non può morire.

— Non può morire?

— Sì, hai capito cosa intendo dire. Non deve. È ancora giovane. Ha cent’anni di vita davanti a sé, forse più. E ha ancora molte cose da fare, in quei cent’anni.

— Fare per noi, intendi dire.

— Naturalmente — disse Thor.

— Quella torre lo consuma, però. Lo brucia. Thor, pensa per un attimo se dovesse davvero morire. Senza avere detto le parole… senza avere parlato a nostro favore.

— Avremmo sprecato un mucchio d’energia in preghiere, in tal caso. E il PEA ci riderebbe dietro.

— Non dovremmo fare qualcosa?

Si portò le mani alle tempie, premendo leggermente i pollici contro le palpebre. — Non possiamo basare i nostri progetti su una fantasia, Lilith. A quanto ne sappiamo, Krug non sta affatto morendo, e tutto fa pensare che non morirà ancora per molto tempo.

— E se non fosse vero?

— Dove vuoi arrivare?

Lei disse: — Potremmo cominciare a fare la nostra mossa.

— Come?

— Sì, quello che abbiamo detto quando mi hai spinto tra le lenzuola di Manuel. Servirci di Manuel per ottenere l’adesione di Krug alla causa.

— Era solo un’idea passeggera — disse Thor. — Non credo che sia filosoficamente corretto cercare di manipolare Krug in quel modo. Per essere sinceri nella nostra fede, dobbiamo aspettare la Sua grazia e la Sua clemenza, senza intrigare per…

— Piantala, Thor. Io vado in cappella, tu vai in cappella, tutti andiamo in cappella, ma, oltre a ciò, viviamo anche nel mondo della realtà, e nel mondo della realtà occorre tener conto dei fattori reali. Fattori come la possibilità di una morte prematura di Krug.

— Be’. — Rabbrividì per la tensione. Lilith aveva parlato pragmaticamente; gli era sembrata quasi un organizzatore del PEA. Eppure vedeva la logica di quelle parole. Tutta la fede era legata alla speranza che si manifestasse un miracolo; ma… e se poi il miracolo non ci fosse stato? Se c’era la possibilità di dare una piccola spinta al miracolo, perché non approfittarne? Eppure… eppure…

Lei disse: — Manuel è al punto giusto. È pronto a sostenere apertamente la nostra causa. Sai com’è influenzabile: potrei fare di lui un crociato in due o tre settimane. Per prima cosa lo porterei a Gamma Town.

— Travestito, spero.

— Certo. Potremmo passarci una notte. Gli farò strofinare la faccia dentro. E poi… ricordi, Thor, si parlava di portarlo a vedere una cappella.

— Sì, sì. — Thor tremava.

— Appunto, lo porterei. Gli spiegherei tutta la comunione. E alla fine passerei alla cosa più importante, chiedendogli di andare da suo padre a parlargli di noi. E lui ci andrebbe subito, Thor, ci andrebbe subito! E Krug lo ascolterebbe. Krug cederebbe e pronuncerebbe le parole. Per fare un favore a Manuel.

Thor si alzò. Prese a passeggiare per la stanza. — Mi sembra un po’ blasfemo, ti confesso. Noi dovremmo attendere che la grazia di Krug discenda su di noi, al tempo stabilito da Krug. Servirci di Manuel in questo modo, per cercare di influenzare, di forzare la volontà di Krug…

— E se Krug morisse? — chiese Lilith. — E se gli rimanessero solo pochi mesi? E se venisse il tempo in cui non ci sarà più Krug?

Le parole di Lilith rimbalzavano dalle pareti, schiacciandolo.

in cui non ci sarà più Krug

in cui non ci sarà più Krug

in cui non ci sarà più Krug

in cui non ci sarà più Krug

— Occorre distinguere — disse, con un tremito — tra l’uomo Krug, per cui noi lavoriamo, e l’eterna presenza di Krug il Creatore e Krug il Liberatore, il quale…

— Un’altra volta, Thor. Per ora dimmi solo cosa devo fare. Portare Manuel a Gamma Town?

— Sì, sì. Ma fai un passo alla volta. Non rivelargli le cose troppo in fretta. Consultati con me se hai dei dubbi. E… sei sicura di poter esercitare quel controllo su Manuel?

— Mi adora — disse Lilith, tranquillamente.

— Per il corpo che hai?

— È un buon corpo, Thor. Ma non è solo per quello. Lui vuole essere dominato da un’androide. È pieno delle colpe della seconda generazione. Io l’ho catturato con il sesso, ma lo tengo con il potere della Vasca.

— Il sesso — disse Thor. — L’hai catturato con il sesso. E come? Manuel ha una moglie. Una bella moglie, ho sentito dire, anche se, naturalmente, io non posso pronunciarmi. E se ha una bella moglie, che bisogno ha di…

Lilith scoppiò a ridere.

— Ho detto qualcosa di buffo?

— Tu non hai capito niente degli esseri umani, Thor, vero? Il famoso Alfa Guardiano, caduto nella massima confusione! — Le brillavano gli occhi. Saltò in piedi. — Thor, non sai niente del sesso? Di persona, voglio dire.

— Se ho avuto rapporti sessuali? È questo che intendi dire?

— È questo che intendo dire — rispose Lilith.

Quel cambiamento d’indirizzo nella conversazione lo lasciava perplesso. Cosa c’entrava la sua vita privata con lo studio della tattica rivoluzionaria?

— No — rispose — Mai. E perché dovrei averne avuto? Cosa ne ricaverei, all’infuori di fastidi?

— Piaceri — suggerì lei. — Krug ci ha creato con un sistema nervoso che funziona perfettamente. Il sesso è un divertimento. Il sesso mi eccita; dovrebbe riuscire a eccitare anche te. Perché non hai mai provato?

— Non conosco nessun alfa maschio che l’abbia fatto. E neppure che ci pensi molto.

— Le donne alfa ci pensano.

— Per voi è diverso. Avete più occasioni. C’è sempre un mucchio di maschi umani che vi corre dietro. Le donne umane, invece, non corrono dietro agli androidi; salvo qualche nevrotica, credo. E voi non rischiate nulla, ad avere rapporti sessuali con un essere umano. Mentre io preferisco non invischiarmi con le umane, visto che il primo che passa e che ritiene di subire un torto può uccidermi impunemente.

— E che ne pensi dei rapporti sessuali tra androide e androide?

— A che scopo? Per fare figli?

— Il sesso e la riproduzione sono due cose molto diverse, Thor. La gente va a letto senza fare figli, e fa figli senza andare a letto, continuamente. Il sesso è una forza sociale. Un gioco, un divertimento. Una specie di magnetismo corpo a corpo. Ed è proprio il sesso a darmi potere su Manuel Krug. — D’improvviso il suo tono di voce cambiò: divenne più dolce, perse il timbro didattico. — Vuoi che ti mostri com’è? Togliti i vestiti.

Lui sorrise, cauto. — Seriamente? Vuoi avere un rapporto sessuale con me?

— E perché no? Temi qualcosa?

— Non essere assurda. Solo che non me l’aspettavo… voglio dire che mi sembra fuori luogo… due androidi che vanno a letto assieme, Lilith…

— Perché siamo manichini di plastica? — chiese lei, in tono raggelante.

— No, non volevo dire questo. Siamo carne e sangue, naturamente!

— Ma certe cose non dobbiamo farle, perché siamo nati dalla Vasca. Certe funzioni del corpo vanno riservate ai Figli del Ventre, eh?

— Lilith, tu distorci le mie affermazioni.

— Certo: lo faccio apposta. Desidero educarti, Thor. Siamo qui per cambiare tutto il futuro della società, e tu non conosci ancora una delle fondamentali motivazioni umane. Su, spogliati. Non ti è mai accaduto di provare desiderio per una donna?

— Non so di che desiderio parli, Lilith.

— Davvero?

— Davvero.

Lei scosse la testa. — E poi dici che dovremmo essere uguali agli umani. Tu vorresti votare, Thor. Vorresti portare gli alfa in Parlamento, vorresti la pienezza dei diritti di cittadino. Ma se vivi come un robot! Come una macchina. Sei una prova vivente per tenere gli androidi nella loro attuale condizione. Hai messo il lucchetto a uno dei più vitali settori dell’esistenza, e ti consoli dicendo che son cose che riguardano solo gli umani: gli androidi non dovrebbero pensarci. È un pensiero pericoloso, Thor! Noi siamo umani. Abbiamo un corpo. Per quale motivo Krug ci avrebbe dato i genitali, se non aveva intenzione di farceli usare?

— Sono d’accordo con te, parola per parola, Lilith. Ma…

— Ma, cosa?

— Ma il sesso mi pare poco importante, anche se capisco come queste parole pregiudichino la nostra causa. Sai, Lilith, molti alfa maschi la pensano come me. Non se ne parla molto, ma… — Distolse lo sguardo da lei. — …forse gli umani hanno ragione. Forse siamo davvero una razza inferiore: forse siamo solo un tipo intelligente di robot, fatto di carne e di…

— Tutto sbagliato. Alzati, Thor, vieni qui.

Le si avvicinò; lei gli afferrò le mani e se le portò sul seno.

— Stringimi — disse. — Delicatamente. Accarezza le punte. Vedi come si muovono, come si alzano? È segno che rispondo al tuo tocco. È il modo delle donne di mostrare il desiderio. Cosa senti Thor, toccandomi il seno?

— Sento il fresco della pelle. La levigatezza.

— Cosa senti dentro?

— Non saprei dirlo…

— Non ti senti accelerare il polso? La tensione? Il nodo nelle viscere? Avanti. Toccami il fianco. La schiena. Fai scorrere la mano su e giù. Senti niente, Thor?

— Non ne sono sicuro. Conosco poco queste cose, Lilith…

— Spogliati — disse lei.

— Mi sembra tanto meccanico, farlo così a freddo. L’atto sessuale non dovrebbe venire preparato dal corteggiamento, dalle luci offuscate, da sussurri, musica, poesia?

— Ah, ma allora queste cose le sai!

— Sì, un poco. Ho letto i loro libri. Conosco il rituale e i suoi vari ammennicoli.

— Allora possiamo cominciare con gli “ammennicoli”. Ecco: spengo qualche luce. Prendi un sollevato, Thor. No, non uno stimolatore… la prima volta non conviene. Un sollevato. Bravo. E adesso un po’ di musica. Spogliati.

— Non lo dirai a nessuno, spero.

— Quanto sei sciocco! A chi dovrei dirlo? A Manuel? Caro, gli dirò, sai, caro, ti ho fatto le corna con Thor Guardiano! — Scoppiò a ridere. — Rimarrà un segreto tra noi. Prendilo come una lezione; per umanizzarti. Gli umani hanno rapporti sessuali, e tu vuoi divenire più umano, no? Ti farò scoprire il sesso. — Gli fece un sorriso birichino e prese ad armeggiare con i suoi vestiti.

Thor si sentiva prendere dalla curiosità. Anche il “sollevato” cominciava ad agire sul suo cervello, librandolo a uno stato d’euforia. Lilith aveva ragione: l’asessualità degli alfa era un assurdo, visto che affermavano così risolutamente la propria condizione di umani. Ma chissà se l’asessualità era poi così diffusa tra gli alfa come aveva sempre creduto lui? Forse, troppo occupato dai compiti che Krug gli affidava, aveva semplicemente trascurato di dare alla propria parte emotiva un regolare sviluppo… Gli ritornò alla mente la figura di Siegfried Classificatore, quando piangeva accanto al cadavere di Cassandra Nucleo, e si chiese se per caso…

I suoi vestiti scivolarono a terra. Lilith lo abbracciò.

Si strofinava lentamente addosso a lui, con tutto il corpo. Thor sentiva le cosce sulle sue, il ventre fresco e teso sul suo, i duri nodi del seno sfiorargli il petto. Indagò se stesso per qualche segno di risposta. Non sapeva bene quel che sentiva, anche se, innegabilmente, le sensazioni tattili del contatto erano piacevoli. Lilith teneva gli occhi chiusi, le labbra aperte. Quelle labbra ora cercarono le sue, e la lingua di lei gli penetrò piano fra i denti. Lui le passò i palmi sulla schiena, e poi, d’impulso, affondò le dita nei fianchi. Lilith s’irrigidì e lo strinse con più forza: ora, invece di sfiorare, premeva. Continuarono per alcuni istanti. Poi lei si rilassò e si sciolse da lui.

— Allora? — chiese. — Sentito niente?

— Mi piaceva… — rispose lui, sperando che fosse l’osservazione giusta.

— Sì, ma ti ha eccitato?

— Credo di sì.

— Non si direbbe.

— E come lo sai?

— Si vedrebbe — gli rispose, e sorrise.

Si sentiva assurdo, impacciato, fuori posto; si sentiva escluso dalla propria identità, incapace di tornare a essere il Thor Guardiano che conosceva e che capiva, incapace perfino di ritrovarsi. Fin dall’inizio, fin quasi dal momento di lasciare la Vasca, egli si era sempre considerato più vecchio, più saggio, più competente, più sicuro di sé degli altri alfa: un uomo che conosceva il mondo e che sapeva il posto che gli spettava. E ora? In pochi minuti, Lilith l’aveva fatto diventare goffo, ingenuo, sciocco… e impotente.

Lilith portò la mano al suo inguine. — Visto che qui non s’è mosso niente — disse — è chiaro che non eri eccitato… — Si arrestò senza terminare la frase. — Oh. Sbagliavo. Capisci, adesso?

— È successo quando mi hai toccato.

— Non è niente di strano. Dunque ti piace, eh? Sì. — Muoveva le dita con abilità, e Thor fu costretto ad ammettere che si trattava di una sensazione interessante, e che quel brusco risveglio della sua virilità nelle mani di lei era un risultato ben peculiare. E tuttavia si manteneva sempre un po’ al di fuori di se stesso; una sorta di osservatore distaccato, lontano, privo di partecipazione: come se stesse ascoltando una conferenza sui costumi sessuali dei proteinoidi centauriani.

Ora lei lo sfiorava di nuovo, corpo contro corpo. Si muoveva da parte a parte, tremava e vibrava sopprimendo la tensione. Lui la strinse tra le braccia e passò ancora le mani sulla sua pelle.

Lei lo curvò verso il pavimento.

Ora le era sopra, appoggiati a terra, gomiti e ginocchi, per non gravarla di tutto il proprio peso. Le sue gambe lo circondavano; le sue cosce gli stringevano i fianchi. Lei spinse la mano tra i loro due corpi, lo afferrò, lo guidò nel proprio interno. Cominciò ad alzare e ad abbassare la pelvi; anche lui, dopo un istante per scoprire il ritmo del movimento, combinò le proprie spinte con quelle di lei.

Dunque, pensò, questo è l’atto sessuale.

Si chiedeva cosa provassero le donne a farsi spingere nel corpo una cosa come quella, lunga e rigida. Era chiaro che dovevano trarne piacere: Lilith ansava e tremava di qualcosa che doveva proprio essere quello. Ma gli sembrava ben strano, desiderarlo tanto. E spingersi in una donna era poi tanto emozionante? Tutto lì, l’atto che aveva ispirato poeti, fatto scoppiare duelli, spinto a rinunciare a troni?

— E come si fa, per sapere se è finito? — chiese dopo un po’.

Lei aprì gli occhi. Non si capiva se fosse collera o derisione. — Lo capisci da solo — rispose. — Sta’ zitto e continua a muoverti!

E lui continuò a muoversi.

Il moto dei fianchi di Lilith diveniva più violento. Il suo viso si tese, si distorse, si mutò quasi in una maschera orribile: una specie di tempesta interiore si stava scatenando dentro di lei. Muscoli discordanti si contraevano qua e là nel suo corpo. Lui si sentiva afferrato, nel loro punto d’unione, da intimi, vivaci spasmi.

E d’improvviso, anche lui provò uno spasmo, e smise di catalogare i vari effetti che la presente unione produceva in lei. Anche lui chiuse gli occhi. Lottò per il proprio respiro. Il cuore gli batté freneticamente; la pelle gli avvampò. La strinse forte, affondando il volto nel cavo tra la guancia e la spalla di lei. Una serie di scosse lo agitò.

Sì, Lilith aveva ragione: si capiva da soli quando era finito.

E come faceva in fretta, l’estasi, a scorrere via! Ora, la forte sensazione di qualche istante prima era un pallido ricordo. Si sentiva imbrogliato, come se, dopo avergli promesso un banchetto, gli avessero portato solamente le fotografie dei cibi. Tutto lì? Come acqua che scivola via dalla riva dopo la breve esplosione di un’onda? E sulla battigia, solo cenere. Non ti rimane niente, si diceva Thor Guardiano. È una truffa.

Si staccò da lei.

Lilith rimaneva immobile, con il capo leggermente reclino, gli occhi chiusi, la bocca aperta; era madida di sudore e pallida. Pareva, a Thor, di non avere mai visto bene quella donna prima di allora. Dopo un istante che l’ebbe lasciata, lei spalancò gli occhi. Si alzò su un gomito e gli sorrise. Quasi timidamente; chissà.

— Ciao — disse lei.

— Ciao. — Distolse lo sguardo.

— Come ti senti?

Thor alzò le spalle. Cercò le parole giuste ma non riuscì a trovarle. Rinunciandoci, disse: — Stanco, più che altro. È normale? Mi sento… svuotato.

— Normalissimo. C’è un vecchio proverbio latino: Post coitum omne animal triste. E tu sei un animale, Thor. Non dimenticarlo.

— Un animale stanco. — Cenere spenta sulla battigia. E l’acqua del mare molto bassa. — Ti è piaciuto, Lilith?

— Perché, non te ne sei accorto? — rispose. E poi: — No, non credo che te ne sia accorto. Mi è piaciuto. Mi è piaciuto molto.

Lui le sfiorò la coscia. — Ne sono lieto. Ma credo di non avere capito.

— Capito, cosa?

— Tutto l’insieme. La struttura, la configurazione degli avvenimenti. Spingi. Tiri. Sudi. Soffi. Un solletico al basso ventre ed è subito finito. Io…

— No — disse lei. — Non ragionarci sopra. Non analizzarlo. Forse ti aspettavi di più di quel che è. È solo un piacere, Thor. È una cosa che si fa per stare felici insieme. Tutto qui. Non si tratta di un’esperienza cosmica.

— Mi spiace. Sono solamente uno stolido androide che non sa…

— Non dirlo. Tu sei una persona umana, Thor.

Comprese che, negando di essere stato sopraffatto dall’esperienza del loro accoppiamento, la offendeva. E offendeva anche se stesso. Si rizzò lentamente in piedi. Si sentiva triste: un vaso vuoto, abbandonato nella neve. Aveva provato un lampo di gioia, si disse, nel momento culminante; ma cosa valeva quell’istante d’illuminazione, se poi, ogni volta, gli succedeva quella insopportabile tristezza?

Comunque, Lilith l’aveva fatto per il suo bene. Aveva voluto renderlo più umano.

La alzò, la strinse a sé per un istante, le sfiorò la gota con le labbra, indugiò con la mano su uno dei seni. Disse: — Lo faremo ancora, vero?

— Quando vorrai.

— È stata un’esperienza strana, questa prima volta. Ma sarà migliore le prossime. Ne sono certo.

— Anch’io, Thor. La prima volta è sempre un’esperienza strana.

— Credo sia ora di andarmene.

— Se così vuoi.

— Sì, è ora di andarmene. Ma presto ci rivedremo.

— A presto. — Gli toccò il braccio. — E intanto… andrò avanti come abbiamo detto. Porterò Manuel a Gamma Town.

— Ottimo!

— Krug sia con te, Thor.

— Krug sia con te. Prese a rivestirsi.

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