25

L’ultima volta, Lilith mi dice: La prossima volta che ci vediamo, vorrei fare qualcosa di diverso. Ti va?

Tutt’e due nudi, dopo aver fatto all’amore. La mia guancia sul suo seno.

Come, diverso?

Sì: uscire di casa. Fare un po’ di turismo per Stoccolma. Il ghetto. Vedere come vive la gente, gli androidi. I gamma. Mai stato a Gamma Town?

Poco convinto, le rispondo: E che me ne frega? Non preferisci restare qui?

Lei si mette a tirarmi i peli sul torace. Sono un tale bestione, io; così primitivo…

Mi dice: Facciamo la vita dei topi; sempre chiusi in casa. Arrivi, andiamo a letto, te ne vai. Non mi porti mai da nessuna parte. Mi piacerebbe uscire insieme: servirebbe anche per la tua istruzione. Sai come sono, Manuel: mi piace fare la maestrina, te ne sarai già accorto. Spalancare gli occhi alla gente. Non sei mai stato a Gamma Town?

Mai.

E sai cos’è?

Ci vivono i gamma, credo.

Proprio così. Ma non sai com’è se non ci vai dentro.

Sarà pericoloso.

No, nessun pericolo. Nessuno dà fastidio agli alfa, a Gamma Town. Qualche volta si danno fastidio tra loro, ma la cosa non ci riguarda. Noi siamo una casta superiore, e loro mantengono le distanze.

Le rispondo: Certo, non danno fastidio agli alfa; ma a me? Magari non vogliono turisti umani.

Lilith dice che mi metterà un travestimento. Da alfa. La cosa comincia a diventare piccante: tentazione, mistero. Molto romantico: noi due, mettere su una scena del genere. Le chiedo: Non si accorgeranno che sono un alfa finto? È lei: No; è maleducato fissare gli alfa con troppa attenzione. Ci sono certe cose chiamate distanze sociali, Manuel, e i gamma le rispettano.

D’accordo, allora. La prossima volta si va a Gamma Town.

La settimana dopo, preparo tutto per la visita. Metto tutto a posto con Clissa: Vado sulla Luna, le dico, torno tra un paio di giorni. Niente da ridire. Clissa va con gli amici in Nuova Zelanda. A volte mi chiedo se Clissa sospetti qualcosa. E che cosa direbbe se venisse a saperlo. Mi vien voglia di dirle: Sai Clissa, ho un’amante androide a Stoccolma; ha un corpo fantastico e a letto andiamo da pazzi, che te ne pare? Clissa non ha pregiudizi borghesi, ma la cosa potrebbe darle fastidio. Potrebbe sentirsi trascurata. O forse, con tutto il suo amore per i poveri androidi, potrebbe anche dire: Oh Manuel, come sei gentile; farne così felice una. Fai pure, non m’importa se divido il tuo amore con un’androide. Anzi, una volta o l’altra portala qui a prendere il tè. Chissà?

Comunque, il gran giorno è arrivato. Vado da Lilith. Entro e la trovo spogliata. Togliti i vestiti, mi dice. Io rido: audace, l’approccio. Mi spoglio anch’io, faccio per abbracciarla; lei si sposta con un passettino e mi lascia lì come un merlo, a stringere l’aria.

Adesso no, scioccone. Quando torniamo. Adesso devi travestirti!

Ha uno spray. Prima lo mette sul neutro e mi toglie dalla fronte lo specchio. Gli androidi non lo mettono. Gli orecchini, mi dice: via anche quelli. Li tolgo, e lei mi riempie i fori con pelle sintetica. Poi si mette a coprirmi di rosso. Devo radermi braccia e gambe? le chiedo. No, risponde, cerca solo di non toglierti il vestito quando ti possono vedere. Mi copre tutto di rosso: una roba lucida. Androidina istantanea. Poi mi passa uno spray termico dal petto alle cosce. Fuori fa freddo, mi dice. Gli androidi si vestono leggero. Ecco fatto: ora vestiti.

Mi passa un costume. Giubbetta a collo chiuso, calzoni aderenti. Si vede subito che è una tenuta da androide, ed è chiaro che è da alfa. Calza come un trapianto di pelle. Non farti crescere le uova nel paniere, scherza lei. Altrimenti ti scoppia la braghetta. Ride e ci dà una sfruculiata.

Dove li hai trovati, i vestiti?

Me li ha prestati Thor Guardiano.

E ti ha chiesto a cosa ti servono?

No, risponde lei, naturalmente no. Gli ho solo detto che mi servivano. Fa’ vedere come stai. Oh, proprio bene. Un figurino! Un alfa perfetto. Vai fino al muro. Torna indietro. Ottimo. Più su, con quelle spalle! Ricorda: sei il prodotto finale dell’evoluzione umana, la miglior versione di Homo sapiens che sia mai uscita da una vasca con tutte le qualità degli umani e nessuno dei difetti. E ti chiami Alfa… Ti occorre un nome, casomai te lo chiedano. Lilith ci pensa un attimo. Poi: Alfa Levitico Saltatore, dice. Come ti chiami?

Alfa Levitico Saltatore, faccio io.

No. Se qualcuno te lo chiede, devi solo dire Levitico Saltatore. Lo vedono, che sei un alfa. Gli altri, invece, ti chiamano Alfa Saltatore. Capito?

Capito.

Si veste anche lei. Prima uno spray termico, poi una specie di rete dorata, scollata e cortissima. Nient’altro. Dalla rete le scappa fuori mezzo seno, e anche sotto si vede tutto. Non sono i vestiti invernali che metterei io: probabilmente gli androidi amano l’inverno più di noi.

Vuoi darti un’occhiata prima di uscire, Alfa Saltatore?

Certo.

Prende un po’ di polvere specchio e la getta in aria. Quando si allineano le molecole, mi vedo riflesso dalla testa ai piedi. Proprio un gran figurone. L’alfa più duro di Stoccolma. Il terrore di Gamma Town. Lilith ha ragione: nessun gamma si sognerebbe di fare il furbino con me. E neppure di guardarmi negli occhi.

Andiamo, Alfa Saltatore. È così partiamo per fare più bella Gamma Town con la nostra presenza.

Usciamo. Attraversiamo la strada, passiamo dal lungomare. Il mare è grigio; soffia il vento. Nel porto, le onde hanno la cresta bianca. È ancora presto, ma la sera sta già scendendo; un sudiciume di tempo: grigio, nebbioso; il chiaro dei lampioni viene fuori anche lui sporco e opaco. Altre luci intermittenti dalle case e dai marciapiedi: rosse, verdi, azzurre, arancio; si accendono e si spengono, si accendono e si spengono per richiamare l’attenzione: una freccia qui, un’insegna là. Vibrazioni. Vapori. Rumori. Molta gente, qui vicino. Uno strillo caliginoso. Risate lontane, ovattate. Giungono strane frasi, galleggiando nella nebbia:

— Provaci, e ti grumo!

— Ma torna in vasca…

— Slungo! Chi vuole slungo?

— Le piastre non parlano.

— Slungo!

— Vado! Vado! Vado!

Stoccolma è abitata soprattutto da androidi. E come mai vengono tutti a stare qui? No, non solo qui: anche un’altra decina di città; più piccole. Ghetti. E che bisogno c’è? C’è il trasmat: abiti dove ti pare, e al lavoro arrivi lo stesso. Noi preferiamo vivere insieme, dice Lilith. Anche nei ghetti, però, ci sono delle stratificazioni. Gli alfa in periferia, nelle vecchie case di lusso; i beta in mezzo, nel cenciaio. Poi i gamma. I gamma. Benvenuto a Gamma Town.

Stradine acciottolate, sporche di fango, umide e scivolose. Risaliranno al Medioevo. Case grigie e scrostate, le une in faccia alle altre: più che una strada, è un budello. Un rivolo di acqua sporca e gelida scende a fianco del marciapiede opposto. Finestre con pannelli di vetro. Ma non tutto è così arcaico; c’è una miscela di stili, ogni sorta di architettura: un’olla podrida, una bouillabaisse di ventiduesimo, ventesimo, diciannovesimo, sedicesimo, quattordicesimo secolo cacciati insieme. Ciondolano sottili ragnatele di soprelevate provate dal tempo. Da qualche parte, in quei nodi di vie, si scorge ancora qualche rugginosa strada mobile. Ronzio di condizionatori sfasati che pompano nebbia verdolina nell’aria invernale. Cantine barocche; muri spessi. L’urbanistica di questa città deve averla inventata il demonio. Poe: Il capriccio del perverso.

Sbucano delle facce.

Gamma. Dappertutto. Sbirciano, si ritirano, sbirciano ancora. Occhietti torbidi, sguardi d’uccello: ammicca, ammicca, ammicca. Timore di noi; le distanze sociali. Osservano le distanze sociali. Si nascondono e ci fissano, ma quando ci avviciniamo vorrebbero rendersi invisibili. Giù la testa. Occhi in basso. Alfa alfa alfa: gamma, attenzione!

Torreggiamo su di loro. Non mi ero mai accorto di quanto sono tozzi i gamma. Quanto sono bassi e larghi. E quanto sono forti. Quelle spalle. Quei nodi di muscoli. Pure le femmine devono essere molto forti, anche se sono meglio proporzionate. Andare a letto con una gamma? Magari è meglio che con Lilith… sempre che sia possibile. Ti scuote e ti sbatte da tutte le parti, fa versacci da popolana ed è assolutamente priva di inibizioni. E puzza d’aglio, ci giurerei. Scordalo. Volgari: ecco cosa sono. Volgari. Come Quenelle con mio padre, direi. Lascia perdere; Lilith ha tutta la passione che vuoi, e con lei è una cosa pulita. Probabilmente non valeva neppure la pena di pensarci. I gamma si tengono lontano da noi. Due prestigiosi alfa sono scesi in città. Noi abbiamo gambe lunghe. Abbiamo stile. Abbiamo grazia. Hanno paura di noi.

Mi chiamo Alfa Levitico Saltatore.

Qui il vento è molto freddo. Arriva dritto dal mare, taglia come un coltello. Solleva polvere e rifiuti per la strada. Polvere! Immondizia! Non ho mai visto uno schifo simile, per la strada. Qui non vengono mai i robospazzini? O, almeno, i gamma non si sentono in dovere di tenersi più puliti?

I gamma non si preoccupano di queste cose, dice Lilith. È una questione antropologica. Sono orgogliosi di non avere orgoglio. Rispecchia la loro mancanza di rango sociale. Sono il fondo del mondo degli androidi, il fondo del fondo del mondo umano, e lo sanno: non gli piace, e questa immondizia è il distintivo della loro condizione. Come se dicessero: Visto che ci rifiutate, allora noi viviamo in mezzo ai rifiuti. Ci sguazziamo. Se non siamo persone, non c’è neppure bisogno che ci teniamo puliti. Sai, una volta qui venivano regolarmente i robospazzini, ma i gamma li demolivano. Eccone lì uno, vedi? Sarà lì da una decina d’anni, come minimo.

Un mucchietto grigiastro di frammenti robotici. Cocci d’uomo meccanico. Dalla ruggine si affacciano tracce di vernice azzurra. E quello è un avvolgimento? Un relè? Un accumulatore? Il groppo delle budella di fil di ferro di una macchina. Il fondo del fondo del fondo: un semplice oggetto meccanico, distrutto mentre aggrediva il sacro squallore dei paria generati dalle nostre vasche. Un gattaccio bianco e grigio va a fare i suoi bisogni in pancia al robot: i gamma appoggiati al muro ridono. Poi ci vedono e strisciano via, deferenti. Fanno un rapido movimento con la mano sinistra: tocca pube, tocca petto, tocca fronte. Sembra un gesto automatico; come un riflesso o come il segno della Croce. Cos’era? Una specie di reverenziale controllo della braghetta? Un segno d’omaggio verso gli alfa?

Qualcosa di simile, dice Lilith. Ma leggermente diverso. Ecco, si tratta di un gesto superstizioso.

Per allontanare il malocchio?

Sì. Per modo di dire. Toccare i punti cardinali del corpo, invocare lo spirito dei genitali, dell’anima e dell’intelletto: sesso, cuore, cervello. Non l’avevi mai visto, prima?

Forse sì.

Anche gli alfa lo fanno, dice Lilith. Un’abitudine. Ti scarica la tensione. A volte lo faccio anch’io.

Ma per che motivo, gli organi sessuali? Gli androidi non si riproducono sessualmente.

Hanno una forza simbolica, dice lei. Siamo sterili, ma quella è ancora una zona sacra. A ricordo della comune origine di tutti gli uomini. Il patrimonio genetico umano proviene dal ventre, e noi siamo stati progettati in base a quei geni. Ci puoi vedere una sorta di teologia.

Mi faccio il segno. Un due tre. Lilith sorride, ma mi pare un po’ nervosa, come se non lo giudicasse corretto da parte mia. Balle; se oggi mi vesto da androide, posso fare quel che fanno gli androidi. Un due tre.

I gamma appoggiati al muro ci restituiscono il segno. Un due tre. Pube petto fronte.

Uno di loro pronuncia una frase, qualcosa come: Krug sia lodato!

Cos’ha detto? chiedo a Lilith.

Non ascoltavo.

Non ha detto Krug sia lodato?

I gamma dicono di tutto.

Scuoto la testa. Lilith, forse mi ha riconosciuto!

Impossibile. Assolutamente impossibile. Se ha detto qualcosa di Krug, si riferiva a tuo padre.

Già, già. Vero. Krug è lui. Io sono Manuel, solo Manuel.

Shhh! Tu sei Alfa Levitico Saltatore!

Hai ragione. Mi spiace. Alfa Levitico Saltatore. “Lev” per gli amici. Krug sia lodato? Forse non l’ho sentito bene.

Forse, dice Lilith.

Senza accorgercene, girando il cantone, facciamo scattare una trappola réclame: il nostro ingresso nel campo di scansione della trappola fa schizzare dal muro una polvere multicolore che forma nell’aria, per attrazione elettrostatica, una serie di parole chiassose, capaci di luccicare perfino in quella nebbia e in quell’oscurità. Su un fondale argenteo, leggiamo:

! MEDICO!
ALFA POSEIDON MOSCHETTIERE
! MEDICO!
SPECIALISTA IN DISTURBI GAMMA
GUARISCE
SOLIDIFICAZIONI
INTOSSICAZIONE DI SLUNGO
PLASTRE
VINCE E DISTRUGGE LA RUGGINE
METABOLICA
E OGNI ALTRO TIPO DI MALE
! RISULTATO SICURO!
PRIMA PORTA A DESTRA. SUONARE

È veramente un alfa? le chiedo.

Sicuro.

Come mai, qui a Gamma Town?

Qualcuno dovrà ben curarli, non credi? Ti pare che un gamma sia in grado di prendere la laurea?

Però mi dà l’impressione di un imbroglione. Mettere una trappola réclame! Quale dottore si sognerebbe mai di abbordare così rumorosamente i pazienti?

Un dottore di Gamma Town. Qui occorre seguire metodi forti. Comunque, un imbroglione lo è davvero. L’hanno pescato in un contrabbando di organi rigenerati, anni fa, quando aveva un ambulatorio per alfa. L’han tolto dall’albo.

Perché, qui non occorre l’iscrizione all’albo?

Qui non occorre niente. Mi dicono che svolga il suo lavoro con scrupolo. Uno strano tipo, ma vuol bene ai suoi pazienti. Te lo presento?

No. No. Che cos’è l’“intossicazione di slungo”?

Lo “slungo” è un narcotico che prendono i gamma, dice Lilith. Prima o poi incontreremo qualche drogato.

E chi sono, le “piastre”?

Hanno qualcosa che non funziona nel cervello. Concrezioni scagliose nel cervelletto.

“Solidificazioni”?

Una malattia muscolare. Indurimento dei tessuti o qualcosa di simile. Non so bene: colpisce solo i gamma.

Mi aggrotto. Chissà se mio padre ne è al corrente? L’integrità del suo prodotto è garantita da lui. Se i gamma vanno soggetti a malattie misteriose…

Ecco un drogato di slungo, dice Lilith.

Arriva un androide, diretto verso di noi. Ondeggia, galleggia, scivola, danza, cammina con una stramba lentezza viscosa. Occhi fissi; faccia stralunata; braccia larghe; dita molli. Brancola come se fosse nell’atmosfera gioviana. Indossa solo un paio di calzoncini cenciosi, eppure suda nella gelida brezza della sera. Borbotta qualcosa, con timbro meccanico. Dopo un periodo lunghissimo, eccolo vicino a noi. Pianta bene i piedi per terra, alza la testa, si porta le mani ai fianchi. Silenzio. Un minuto. Infine, a voce bassa e ringhiosa, pronuncia alcune parole con esasperante lentezza: Al… fa… sal… ve… al… fa… bel… li… al… fa…

Lilith gli dice di andarsene.

Per un po’, nessuna risposta. Poi il suo volto crolla. Indicibile tristezza. Alza la sinistra con un gesto goffo, da pagliaccio, si tocca la fronte; poi la mano scende lentamente al petto, all’inguine. Si è fatto il segno al contrario… vorrà dire qualcosa? Pronuncia in tono tragico: Ma… io… amo… gli… alfa… belli… alfa…

Chiedo a Lilith: Che razza di droga è?

Accelera il senso del tempo. Un’ora diventa un minuto. Distruggono il proprio tempo libero. Noi, è chiaro, per loro ci stiamo muovendo come turbini. Di solito i drogati stanno insieme, così viaggiano tutti alla stessa velocità. Hanno l’illusione che i giorni durino ore.

Ed è una droga pericolosa?

Dice lei: Toglie un’ora di vita per ogni due ore sotto l’influenza della droga. Ma i gamma vogliono proprio quello. Rinunciano a vivere quelle ore: perché no?

Ma riduce la forza di lavoro!

I gamma avranno il diritto, spero, di impiegare la propria vita come meglio credono. Non ti pare, Alfa Saltatore? Non vorrai sostenere anche tu che sono solamente una proprietà, e che ogni danno che procurano a se stessi è un reato contro il loro padrone…

No. No. Certo no, Alfa Mesone. Ne ero certa, dice Lilith.

Il drogato cammina scioccamente in circolo intorno a noi, e cantilena qualcosa, talmente piano che ogni sillaba si confonde e non ne viene fuori senso compiuto. Si ferma. Un gelido sorriso gli arriccia lentissimamente le labbra. Piega le ginocchia, si raggomitola. Alza la mano, apre le dita. La mano si dirige chiaramente verso il petto di Lilith. Noi restiamo immobili. Ora riesco a capire cosa dice l’androide:

A… A… A… A… A… G… A… A… C… A… A… U…

Cosa dice?

Lilith scuote la testa. Niente d’importante.

Lei si allontana: la mano protesa è ancora a una spanna dal suo seno. Il corruccio comincia a sostituire il sorriso sul volto dell’androide. Ha un’espressione ferita. La sua cantilena assume un tono dolente:

A… U… A… A… U… G… A… U… C… A… U… U…

Giunge rumore di passi lenti, strascicati. Alle mie spalle s’avvicina un secondo drogato: una ragazza, con indosso un mantello stracciato che le copre le spalle e termina in un lungo strascico, ma che le lascia nudi ventre e cosce. Si è tinta di verde i capelli e li ha raccolti in una specie di tiara. Ha un viso pallido e desolato; gli occhi semichiusi; la pelle lustra di sudore. Ondeggia verso il primo androide e gli dice qualcosa, con uno stupefacente timbro baritonale. Lui risponde trasognato. Non riesco ad afferrare una sola parola: è per la droga ritardatrice, oppure parlano un patois gamma? Ho l’impressione che presto succederà qualcosa di spiacevole. Accenno a Lilith di andarcene, ma lei scuote la testa. Resta fermo. Osserva.

I drogati danzano una danza grottesca. Le mani si toccano, i ginocchi si alzano e si abbassano. Una gavotta per statue di marmo. Un minuetto per elefanti impagliati.

Si borbottano qualcosa. Si girano intorno. I piedi dell’uomo inciampano nello strascico della ragazza. Lei si sposta: lui resta fermo; il mantello si straccia e la ragazza resta nuda in mezzo alla strada. Tra i seni ha un coltello, appeso a una corda verde. Ha tutta la schiena coperta di cicatrici. L’hanno frustata? La donna si eccita della propria nudità. Vedo le punte dei seni alzarsi al rallentatore. Ora l’uomo si è avvicinato. Alza la mano con penosa lentezza e le strappa il coltello dal fodero. Con altrettanta lentezza lo abbassa e porta il freddo metallo a contatto dell’inguine, del petto, della fronte della ragazza. Il segno sacro. Io e Lilith siamo appoggiati al muro, vicino all’uscio del medico. Quel coltello mi preoccupa.

Vado a toglierglielo, dico.

No. No. Tu sei solo un turista, qui. Son fatti che non ti riguardano.

Allora, Lilith, andiamocene.

Aspetta. Guarda.

L’amico riprende a cantilenare. Sempre lettere dell’alfabeto, come prima. U… C… A… U… C… G… U… C… C…

Porta il braccio dietro, poi comincia a spingerlo in avanti. La punta del coltello mira all’addome della ragazza. Palla tensione dei muscoli, vedo che è un colpo sferrato a tutta forza; non è affatto un passo di danza. La lama è a pochi centimetri dalla pelle, quando io corro avanti e gliela sbatto via di mano.

L’uomo comincia a lamentarsi.

La ragazza non ha ancora capito di essere salva. Manda un basso muggito, che probabilmente è uno strillo. Cade a terra; si porta una mano al petto, l’altra al ventre. Sussulta lentamente.

Non dovevi intrometterti, mi sgrida Lilith. Su, ora andiamo.

Ma stava per ucciderla!

Non ti riguarda. Non ti riguarda.

Mi prende la mano. Mi volto. Cominciamo ad allontanarci.

Vedo con la coda dell’occhio che la ragazza si sta alzando: le luci sgargianti dell’avviso di Poseidon Moschettiere, Medico, le brillano sui fianchi nudi e sottili. Io e Lilith facciamo due passi, e subito sentiamo un grugnito. Ci voltiamo: la ragazza, alzandosi, ha trovato il coltello e l’ha piantato in pancia all’uomo. Metodicamente, lo guida dalla vita al petto. L’ha sbudellato, ma lui se ne sta accorgendo solo ora, lentamente. Manda un suono gorgogliante.

Ora dobbiamo scappare, dice Lilith.

Corriamo all’angolo. Come lo raggiungiamo, mi volto. La porta di Alfa Moschettiere si è spalancata. Nel vano scorgo una figura allampanata e frusta, dell’altezza degli alfa, con capelli grigi arruffati e occhi gonfi. È lui il famoso medico? Corre verso i drogati. La ragazza è in ginocchio accanto alla sua vittima, che è ancora in piedi. Il sangue le imporpora la pelle rorida. La ragazza canta: G! A! A! G! A! G! G! A! C!

Entra qui, dice Lilith, e ci tuffiamo in un androne buio.

Passi. Odore secco di cose appassite. Ragnatele. Scendiamo a profondità misteriose. Lontano, molto al di sotto di noi, brillano luci gialle. Scendiamo, scendiamo, scendiamo.

Dove siamo? le chiedo.

Rifugi. Scavati nelle Guerre Batteriologiche di due secoli fa. Fanno parte di un sistema che attraversa tutta Stoccolma. Ora sono dei gamma.

Una specie di fogna.

Odo rapidi scrosci di risa, pezzi e bocconi di discorsi frammentari. Qui sotto ci sono anche dei negozi, con tendine di nastro e piccole luci intermittenti. I gamma vanno e vengono. Alcuni, passandoci accanto, fanno il segno dell’un due tre. Spinta da un timore che non so capire, Lilith mi porta via di corsa. Cambiamo galleria, entriamo in un passaggio ad angolo retto con il primo.

Tre drogati sfilano lentamente.

Un maschio gamma, col volto segnato di vernice rossa e azzurra, si ferma a cantare, forse a noi:

«Con chi mi sposo?

Chi mai mi sposerà?

Brucia la sporca vasca

Fiamme in libertà.

In testa in testa in testa

In testa.»

Cade in ginocchio e vomita. Un liquore azzurro pallido gli esce dalle labbra, ci schizza quasi sui piedi.

Andiamo via. Sentiamo un’eco:

Al-fa! Al-fa! Al-fa! Al-fa!

Due gamma si accoppiano in un’alcova. Corpi sottili e lucidi di sudore. A dispetto di me stesso, mi fermo a guardare la spinta delle anche e lo schiaffo della carne contro la carne. La donna picchia forte le mani sulla schiena del partner. Cerca di opporsi a una violenza carnale, oppure è solo un modo di manifestare il suo piacere? Sono destinato a ignorarlo per sempre, perché un drogato, brancolando fuori dal buio, inciampa sulla coppia: tutto diventa un singolo rimescolio di membra. Lilith mi porta via. Bruscamente, sento un pesante desiderio di lei. Penso ai suoi seni sodi sotto la rete, al suo sesso umido e nudo. Cercarci un’alcova, accoppiarci tra i gamma. Le appoggio la mano sul fianco, e sento i muscoli contrarsi mentre cammina. Lilith si scuote via la mano. Non ora, mi dice. Non qui. Anche noi dobbiamo conservare le distanze sociali.

Dal soffitto della galleria scintilla una cascata di luce. Si gonfiano bolle rosate, che esplodono liberando odori acri. Una decina di gamma sbuca di gran carriera da un passaggio laterale: si bloccano sorpresi, accorgendosi che per poco non travolgevano due alfa, e fanno un segno rispettoso; corrono via urlando, ridendo, cantando.

«Squaglio te e squagli me

Li squagliamo e allegri siamo

Gruma! Gruma!

Sgrugo!»

Piuttosto allegri, dico.

Lilith fa un cenno d’assenso. Devono essere pieni fino alle orecchie, dice. Scommetto che vanno a un’orgia radiante.

Vanno a cosa?

Una pozza di liquido giallastro sgocciola fuori da una porta chiusa. Si alzano fumi acri. Orina gamma? La porta si spalanca. Una femmina gamma (occhi spiritati, seni fosforescenti, cicatrice livida sul ventre) ci sorride scioccamente. Fa un inchino. Signora. Signore. Vuoi grumare con me? Ride. Piega le gambe, si siede sulle caviglie, si agita in una danza stordita. Inarca la schiena, si scuote i seni, allunga le gambe. Dalla stanza da cui è uscita brillano luci verdi e dorate. Si affaccia una seconda figura.

E quello cos’è, Lilith?

Altezza normale, ma largo il doppio di un gamma: tutto coperto di pelo fitto e opaco. Una scimmia? Eppure il volto è umano. Alza le mani. Dita brevi e tozze; membranose! Afferra la donna e la riporta dentro. La porta si chiude.

Uno scarto, dice Lilith. Qui ce ne sono molti.

Uno scarto di che?

Androidi di scarto. Tare genetiche; impurità della vasca, forse. A volte sono senza braccia, a volte senza gambe, senza testa, senza apparato digerente, senza questo o senza quello.

E non vengono automaticamente distrutti alla fabbrica?

Lilith sorride. No, non vengono distrutti. Quelli incapaci di sopravvivere muoiono da soli; abbastanza presto. Gli altri vengono fatti uscire quando i supervisori non guardano, poi vengono indirizzati a una delle città sotterranee. Soprattutto questa. Non possiamo mettere a morte i nostri fratelli idioti, Manuel!

Levitico, le dico. Alfa Levitico Saltatore.

Sì. Guarda: eccone un altro.

Lungo la galleria, a passo svelto, arriva una figura mostruosa. Sembra che l’abbiano messa nel forno finché la carne non cominciava a liquefarsi: la struttura di base è umana, ma i dettagli no. Il naso è una proboscide, le labbra sono due piatti, le braccia sono disuguali, le dita paiono tentacoli. I genitali fanno spavento: pene da cavallo, testicoli da toro.

Meglio ucciderli, dico a Lilith.

No. No. Nostro fratello. Il nostro povero amato fratello deforme.

Il mostro si ferma a una decina di metri da noi. Le sue braccia curve si muovono nel segno dell’un due tre.

Con voce perfettamente chiara ci dice: La pace di Krug sia con voi, alfa. Andate con Krug. Andate con Krug.

E Krug sia con te, risponde Lilith.

Il mostro s’allontana ciondolando; cinguetta felice tra sé e sé.

La pace di Krug? Andate con Krug? Krug sia con te? Lilith, cosa significa?

Un saluto, dice lei. Un amichevole augurio.

Krug?

E stato Krug a farci, dice lei. Non ti pare?

Allora mi torna in mente qualcosa che ho sentito dai miei amici, nel salone di trasferimento: «Non ti sei mai accorto che tutti gli androidi sono innamorati di tuo padre? Certo: a volte ho l’impressione che sia come una religione, per loro. La religione di Krug. Be’, è abbastanza giusto adorare il proprio creatore. Non ridere».

La pace di Krug. Andate con Krug. Krug sia con te.

Lilith, ma gli androidi credono che mio padre sia Dio?

Lilith evita di rispondere. Ne parleremo un’altra volta, mi dice.

Qui c’è troppa gente che ascolta. Certe cose non si possono dire liberamente.

Ma…

Un’altra volta!

Lascio perdere. Ora la galleria si allarga: una stanza spaziosa, illuminata, affollata. Cos’è, un mercato? Botteghe, banchi, gamma dappertutto. Ci fissano. Nella stanza ci sono molti scarti, uno più brutto dell’altro. Non si capisce come possano sopravvivere delle creature così storpie e malformate.

Non escono mai da questi sotterranei?

Mai. Gli umani potrebbero vederli.

A Gamma Town?

Preferiscono non correre rischi. Li ucciderebbero tutti.

Nel pigia-pigia della stanza affollata, gli androidi battono uno contro l’altro, si spingono via, litigano, si lanciano imprecazioni. Fanno un po’ di spazio libero intorno ai due alfa, ma non troppo. Si stanno svolgendo due distinti duelli al coltello, ma nessuno ci bada. C’è molta lussuria in giro, coram populo. La stanza puzza di rancido. Una ragazza dagli occhi grandi si spinge fino a me e mi sussurra: Benedetto da Krug! Benedetto da Krug! Mi mette qualcosa in mano e si allontana.

Un dono.

Un piccolo cubo freddo, come quelli del salone di New Orleans. Chissà se trasmette delle frasi? Sì: vedo parole formarsi e scivolare via nel suo interno lattiginoso:

GRUMA QUANDO CREDI, SE VUOI CHE RESTI IN PIEDI
*
UNO UNO UNO UNO UNA UNO UNO UNO
*
SGRUGO SCHIFOSO, SECCA È LA TUA VASCA!
*
DRITTO LO SLUNGO, SOFFRE LA PLASTRA
*
PLIT! PLIT! PLIT! PLAC!
*
E FINCHÉ GRUG NON DARÀ QUEL CHE È DI KRUG

Frasi senza senso. Lilith, ne capisci qualcosa?

Non molto. I gamma hanno un gergo tutto loro, sai? Qui, vedi, dove dice…

Un gamma maschio, scarlatto e butterato, ci strappa di mano il cubo. Rotola sul pavimento; il gamma si tuffa a cercarlo in un groviglio di piedi. Clamore generale. Tutti gli si gettano addosso. Il ladro emerge dal viluppo degli altri e si allontana rapidamente lungo una galleria. I gamma continuano a picchiarsi nella baraonda. Una ragazza si erge sul mucchio; ha perso i pochi stracci: si scorgono graffi insanguinati sul seno e sulle cosce. Ha in mano il cubo. Riconosco la ragazza che me l’aveva dato poco prima. Ora mi fa una smorfia demoniaca, snuda i denti. Agita il cubo, e poi lo rinserra tra le gambe. Uno scarto, grosso e corpulento, la spinge via; ha un braccio solo, ma quel braccio è massiccio come un tronco d’albero. Sgrugo! gli grida lei. Proco! Sbavo! Svaniscono.

La folla brontola in modo poco rassicurante.

Già li immagino rivoltarsi contro di noi, strapparci i vestiti, scoprire la peluria dell’umano sotto il mio travestimento alfa. Le distanze sociali non ci proteggerebbero più.

Dai, dico a Lilith, andiamo via. Ne ho abbastanza.

No, aspetta.

Si volta verso i gamma. Alza le braccia, volge le palme all’interno, mezzo metro tra l’una e l’altra: come se volesse mostrare la dimensione di un pesce che ha preso. Poi si piega sulle ginocchia in un modo molto strano, facendo percorrere al corpo una specie di movimento a vite. Quel gesto ha il potere di calmare immediatamente la folla. I gamma fanno un passo indietro, chinano la testa umilmente al nostro passaggio. Nessun pericolo.

Adesso basta, dico a Lilith. Si sta facendo tardi. Siamo qui da un mucchio di tempo.

Sì, adesso andiamo.

Passiamo per un labirinto di gallerie. Ci sfiorano gamma di mille orribili forme. Vediamo drogati ondeggiare nella loro lentissima estasi. Scarti. Piastre e solidificazioni, per quanto posso comprendere. Rumori, odori, colori, superfici… — mi acciecano e mi stordiscono. Voci lontane. Canzoni.

«Spunta l’alba della libertà

Spunta l’alba della libertà

Desta lo slungo, arma lo sgrugo

Sali alla libertà!»

Scalini. Saliamo. Vento freddo dalla superficie. Ansanti, saliamo ancora e ci troviamo nelle stradine curve e acciottolate di Gamma Town, probabilmente a pochi metri di distanza dall’androne da cui siamo discesi. Mi pare che lo studio di Alfa Poseidon Moschettiere sia giusto dietro l’angolo.

È scesa la notte. Le luci di Gamma Town esitano e scoppiettano. Lilith vuole portarmi in una taverna. No. Torniamo a casa. Basta. Ho la mente sconvolta dalle immagini del mondo androide. Lei cede; usciamo di corsa. Quanto dista, il trasmat più vicino?

Salto trasmat. Ora il suo appartamento: così accogliente e luminoso… Ci spogliamo. Sotto il doppler, mi tolgo la vernice rossa e lo spray termico.

E stato interessante?

Fin troppo, le dico. E devi ancora spiegarmi varie cose, Lilith.

Mi tornano alla mente alcune scene. Friggo.

E mi raccomando, continua lei, non dire a nessuno che ti ho portato. Mi metteresti nei pasticci.

Puoi starne sicura. Strettamente confidenziale.

Vieni qui, Alfa Saltatore.

Manuel.

Manuel. Vieni qui.

Prima dimmi il significato di quelle frasi Krug sia.

Dopo. Ho freddo. Scaldami, Manuel.

La stringo tra le braccia. Il contatto del suo seno m’infiamma. Le copro la bocca con la mia. Le spingo la lingua fra i denti. Scivoliamo insieme sul pavimento.

Senza esitare, la penetro. Trema. Mi stringe.

Quando chiudo gli occhi, vedo drogati di slungo, scarti e piastre.

Lilith.

Lilith.

Lilith.

Lilith ti amo ti amo ti amo ti amo Lilith Lilith.

La grande vasca gorgoglia. Ne scaturiscono mostruosità scarlatte e umidicce. Risa. Fragore di tuono. Sgrugo schifoso, secca è la tua vasca! La mia carne batte sulla sua. Plit! Plit! Plit! Plit! Plac! Con umiliantissima rapidità, l’estenuato Levitico Saltatore versa un milione di figli nello sterile ventre dell’amata.

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