Capitolo 8 CURA PER L’ACROFOBIA

Rapidissimo, Lackland mise in moto il trattore, lo fece girare di novanta gradi con una curva così stretta da rischiare di spaccare parte dei cingoli, e si allontanò dall’imboccatura del canale, dove stava per piombare il masso.

Soltanto allora, in effetti, poté valutare la diabolica trappola urbanistica della città. I canali, come aveva già notato, non arrivavano in linea retta nello spazio centrale, ma erano disposti in modo che da almeno due di essi contemporaneamente potessero precipitare altrettanti massi su ogni parte della piazza. Infatti la pronta ritirata permise al terrestre di sottrarsi al primo masso, ma evidentemente era stata prevista, perché altri macigni stavano già rotolando dal crinale verso il fondo. Per un istante Lackland si guardò intorno in tutte le direzione, nella vana ricerca di un luogo fuori dalla portata di uno di quei terribili proiettili. Poi, volutamente, lanciò il trattore in uno dei canali e si mise a salire a tutta forza. Anche da lì stava scendendo un masso: una roccia sferica che a Barlennan sembrò la più grossa di tutte quelle lanciate fino a quel momento e che diventava a ogni istante più enorme e mostruosa. Il mesklinita si accinse a saltare giù dal tetto, chiedendosi se a Lackland per caso non avesse dato di volta il cervello. Ma a un tratto echeggiò un boato lacerante che lo fece irrigidire nell’immobilità più assoluta: era questo il modo caratteristico con cui tutti i componenti della sua specie reagivano a un pericolo immediato.

Quattrocento metri più in alto nel canale e cinquanta metri prima del masso che precipitava, una sezione del terreno esplose con una gigantesca fiammata e un’enorme nuvola di polvere: le granate di Lackland erano arrivate a segno. Un secondo dopo, il masso penetrava nella nuvola di polvere. Allora il lanciagranate tuonò di nuovo, emettendo questa volta una mezza decina di schiocchi in rapida successione che si fusero in un rombo prolungato d’effetto straordinario. Solo una metà del masso riemerse dalla nuvola di polvere, con una forma che non era più nemmeno approssimativamente sferica. L’urto delle grosse granate dirompenti lo aveva quasi fermato del tutto, e l’attrito fece il resto molto prima che il masso arrivasse al trattore che stava lentamente arrancando: il blocco di roccia era ormai troppo squadrato ed eroso per poter ancora rotolare.

Altri massi erano stati fatti rotolare ed erano pronti per essere lanciati giù per il canale, ma non si mossero. Evidentemente, i giganti erano capaci di rendersi conto di un rapido cambiamento di situazione e avevano capito che con quei massi non sarebbero mai riusciti a distruggere il trattore.

C’era la possibilità di un assalto diretto, ora, si disse Lackland: i giganti avrebbero senz’altro potuto arrampicarsi con grande facilità sul tetto del veicolo per riprendersi le loro merci, insieme con la radio. Ed era difficile immaginare come loro due soli avrebbero potuto fermarli.

— Può darsi che tentino qualcosa del genere — disse Barlennan, quando gli ebbe esposto per radio i suoi dubbi.

— Vuol dire che ci difenderemo. E poi, non siamo soli.

Alludeva evidentemente ai suoi marinai, che però si trovavano in una situazione molto critica. Si erano visti piombare addosso degli oggetti pesantissimi, mentre erano intrappolati in uno spiazzo circondato da muraglie verticali. Arrampicarsi era una cosa impensabile, benché i piedi a ventosa, cosi utili ai meskliniti durante le raffiche degli uragani, potessero rivelarsi un elemento prezioso in questa nuova impresa: e anche saltare, come avevano visto fare al loro Comandante, pur non essendo cosa fisicamente impossibile, sembrava loro ancora più penoso della morte per schiacciamento. Ma quando cede la mente a volte prende il sopravvento l’istinto di conservazione. Tutti i marinai, meno due, saltarono e di questi due, il primo si decise ad arrampicarsi, presto e bene, su per il muro di una «casa». Il secondo era Hars, quello che aveva segnalato il pericolo.

Forse la sua superiore forza fisica lo aveva preservato più degli altri dal panico, o forse aveva un orrore eccessivo dell’altezza. Il fatto è che quando arrivò un piccolo masso, grosso come un pallone da calcio e quasi altrettanto sferico, Hars si trovava ancora fermo sul posto. Fu come se avesse colpito, ai fini degli effetti dell’urto, una massa equivalente di gomma viva: la corazza protettiva dei meskliniti era di una sostanza chimicamente e fisicamente analoga alla chitina degli insetti terrestri, con una resistenza, una durezza e un’elasticità proporzionali al tipo di vita esistente sulla superficie di un pianeta come Mesklin. Il masso, nonostante l’attrazione di tre G, rimbalzò in alto per una decina di metri, superando il muro che normalmente avrebbe dovuto fermarlo, urtando contro quello opposto del canale accanto, e continuando a rimbalzare così da un muro all’altro in salita, finché tutta la sua energia cinetica non si esaurì. Quando infine ritornò, rotolando dolcemente, nello spiazzo, non aveva più nessuna forza d’urto e Hars era il solo marinaio a trovarsi ancora sul luogo del «mercato». Gli altri, imponendosi un minimo di controllo nei loro salti frenetici, avevano già raggiunto il tetto del trattore o ci stavano arrivando. Lo stesso arrampicatore aveva abbandonato i suoi sistemi di faticosa locomozione, adottando una tecnica di salti più veloce.

Hars, benché armato di una corazza incredibilmente resistente in confronto ai criteri terrestri, non poteva aver superato il tremendo colpo senza ferite. Non gli si era mozzato il fiato, essendo privo di polmoni, ma era pieno di graffi e ammaccature ed era rimasto stordito dall’urto. Passò un minuto intero prima che potesse riprendere il controllo dei suoi movimenti abbastanza da fare un tentativo coordinato per seguire il trattore. Nessuno seppe mai spiegarsi perché in quel minuto non lo avessero assalito: forse, secondo Barlennan, i giganti della città erano più propensi al ladrocinio che non al massacro e non avevano visto nessun vantaggio a uccidere il marinaio caduto. Comunque sia, Hars ebbe il tempo di riprendersi e di raggiungere i suoi compagni sul tetto del trattore.

Con tutti i suoi passeggeri al sicuro a bordo e il tetto cosi gremito che alcuni di essi si trovavano addirittura sull’orlo, Lackland riprese la salita verso il crinale delle colline. Nessun masso venne più fatto rotolare: evidentemente, gli indigeni che li avevano lanciati si erano ritirati nelle gallerie sotterranee che dovevano collegare la città alle sue imponenti difese elevate.

Raggiunta la «Bree» e presala nuovamente a rimorchio, Lackland decise, sia pure a malincuore, di rinunciare a qualunque esplorazione fino a quando la nave non fosse stata calata nell’oceano orientale.

Mentre la marcia preseguiva, il terrestre chiamò Toorey, ascoltò umilmente i rabbiosi rimproveri di Rosten, quando questi seppe del rischio che avevano corso, e lo tacitò ancora una volta dicendogli che molti campioni di tessuti vegetali erano stati raccolti ed erano pronti per essere ritirati.


Il razzo atterrò davanti alla spedizione, a una prudente distanza per non turbare il sistema nervoso dei meskliniti, e dopo averne atteso l’arrivo, ritirò i campioni e aspettò di nuovo che fossero abbastanza lontani per ripartire. Questa operazione durò molti giorni, e altri ancora ne passarono in seguito senza che si verificasse alcun evento importante oltre la visita del razzo mandato da Toorey. Ogni dieci o dodici chilometri, veniva avvistato un poggio sormontato dai massi in fila, ma la carovana lo evitava accuratamente, e nessuno dei giganti si fece mai vedere fuori delle città. Il fatto dava da pensare a Lackland, che non riusciva a capire dove e come quegli esseri si procurassero da mangiare. Non avendo nient’altro da fare salvo che guidare il trattore, naturalmente il terrestre ebbe il tempo di formulare parecchie ipotesi su quelle strane creature. Le espose anche a Barlennan, che questa volta non seppe essergli di nessun aiuto.

Un’ipotesi in particolare, però, gli appariva più convincente delle altre. Gliela suggeriva la forma che i giganti avevano dato alla loro città. Questa forma non sembrava molto pratica per respingere nemici della loro stessa specie, che ben difficilmente si sarebbero lasciati cogliere di sorpresa; e d’altra parte i giganti non avevano costruito le loro città nella previsione di veder comparire un giorno il trattore e la «Bree»… Il motivo plausibile era un altro. Si trattava di una semplice congettura, ma spiegava la configurazione della città, l’assenza di indigeni negli immediati dintorni e insieme l’assenza di qualsiasi tipo di coltura agricola. Lackland non la espose a Barlennan, perché anche questa aveva i suoi punti deboli, non spiegava, ad esempio, il fatto che loro fossero potuti arrivare fin là senza essere molestati. Tuttavia non si stupì gran che, una mattina — la carovana era giunta ormai a circa trecentocinquanta chilometri dalla città dove Hars era stato colpito dal masso — di vedere una specie di montagnola sollevarsi all’improvviso su una ventina di zampe tozze, elefantine, alzare il più in alto possibile una testa in cima a un collo lungo non meno di sei metri, osservare per un lungo istante la spedizione da una serie incredibile di occhi, e infine mettersi in marcia scompostamente verso il trattore che le veniva incontro.

Barlennan, che per una volta tanto non viaggiava sul tetto del carro corazzato, rispose immediatamente alla chiamata di Lackland. Il terrestre aveva fermato il trattore. Aveva ancora parecchi minuti di tempo per decidere il da farsi, prima che il colosso, trascinando lentamente la sua enorme mole, li raggiungesse.

— Barl, sono sicuro che non hai mai visto niente di simile. Un bestione così non potrebbe mai spingersi molto lontano dall’equatore.

— Infatti non l’ho mai visto, e non ne ho nemmeno sentito parlare. Non posso dirti se e quanto sia pericoloso. Francamente, l’idea di scoprirlo non mi attira molto. Certo però che è una gran bella montagna di carne! Forse…

— Se vuoi dire che non sai se quell’animaletto mangia carne o vegetali, io sono propenso a credere che sia carnivoro — disse Lackland. — Un erbivoro non si lancerebbe verso la prima cosa che vede muoversi, magari più grossa di lui, a meno che… non sia così stupido da prendere il trattore per una femmina della sua specie. Ma ne dubito. Sai, già da un po’«di tempo, stavo pensando che la presenza di un grosso carnivoro sarebbe la spiegazione più semplice del perché i giganti non escano mai dalle loro città e del motivo per cui le hanno costruite come trappole così micidiali. Probabilmente attirano queste belve, quando appaiono sulla cima delle colline intorno, mostrandosi sulle loro porte, come hanno tentato di fare col trattore. È un modo come un altro per avere carne fresca direttamente a domicilio.

— Potrebbe anche essere così — disse il mesklinita con una punta di impazienza — ma non mi sembra che ci aiuti a risolvere il nostro problema immediato. Cosa facciamo ora? Quel tuo tubo che lancia fuoco e che ha spaccato il masso potrebbe certamente ucciderlo, ma forse non ne lascerebbe abbastanza carne da utilizzare né da mettere da parte. E se ci accostassimo al mostro con le nostre reti, gli saremmo troppo vicini nel caso che tu dovessi sparare per salvarci.

— Vuoi farmi credere che pensi di assalire con le tue reti un colosso simile?

— Certo. Non scapperebbe più, una volta che fossimo riusciti a imprigionarvelo dentro. Il guaio è che ha delle zampe troppo grosse per passare attraverso le maglie, e così non possiamo usare il nostro solito sistema di stendere le reti dove sta per passare la preda. Dovremo gettargli la rete intorno al corpo e alle zampe, e poi tirare, stringendo fino a bloccarlo.

— Salta giù e fà staccare la slitta con la nave. Io porterò il trattore vicino al mostro, cercando di attirare la sua attenzione su di me, se vuoi. Se poi deciderai di catturarlo, e vi trovaste nei guai, farò in modo di sparargli con il cannone senza colpirvi.

Sganciata la «Bree», Barlennan e il suo equipaggio rimasero a guardare sbalorditi il trattore proseguire verso il colosso, spostandosi poi sulla destra, in modo da non impedirne la vista.

Vedendo avanzare il trattore la bestia si era fermata. La sua testa si era abbassata fino a meno d’un metro dal suolo e il lungo collo si tendeva al massimo, ondeggiando lentamente prima da una parte, poi dall’altra, mentre i suoi molteplici occhi studiavano la situazione da tutte le prospettive possibili. Non badò minimamente alla «Bree» e concentrò tutta la sua attenzione sul trattore, considerandolo evidentemente il problema più urgente. E quando Lackland si spostò sulla destra, il mostro girò, lentamente, strisciando col corpo gigantesco, per continuare ad avere il trattore di fronte.

Allora Lackland rimise in moto la sua macchina, dirigendosi verso il colosso. Questo si era adagiato per terra, poggiando il ventre direttamente al suolo, quando il trattore aveva smesso di spostarsi di lato. Adesso però, vedendo che si rimetteva in moto, si alzò sulle molte zampe e tirò la testa all’indietro, quasi risucchiandola nell’interno del gran corpo, in una chiara mossa istintiva di difesa. Lackland fermò il trattore ancora una volta, prese una macchina fotografica e scattò parecchie foto del mostro; poi, visto che il colosso non sembrava affatto in vena di aggredire, si limitò a osservarlo per un paio di minuti.

Il corpo era notevolmente più massiccio di quello di un elefante terrestre; sulla Terra, avrebbe potuto pesare una decina di tonnellate. Il peso era distribuito equamente fra le dieci paia di zampe, cortissime ed enormemente tozze. Lackland dubitò che il mostro potesse strisciare più rapidamente di quanto aveva fatto prima.

Dopo qualche minuto d’attesa, la bestia ricominciò ad agitarsi. La testa riemerse in parte e il collo ricominciò a ondeggiare lentamente di qua e di là, come in cerca di altri nemici. Lackland, temendo che la «Bree» e il suo equipaggio venissero scoperti, spinse avanti il trattore di un altro metro; allora il bestione riprese subito la sua posa difensiva. La manovra si ripetè parecchie altre volte, a intervalli via via più brevi. La schermaglia ebbe bruscamente fine quando 0 sole calò a ovest dietro una fila di colline. Allora Lackland, non sapendo se la bestiaccia volesse o potesse combattere di notte, corse ai ripari accendendo tutte le luci del trattore.

Quell’intenso bagliore dette un evidente fastidio all’animale. Batté rapidamente le palpebre sulle molte pupille accecate dai fari e costrette a contrarsi per proteggersi; poi, con un gemito sibilante che attraverso l’altoparlante sul tetto risuonò nelle orecchie del terrestre nell’interno, si spinse barcollando in avanti e colpì.

Lackland non si era accorto di essere tanto vicino, o meglio, non si immaginava che la bestiaccia potesse allungarsi tanto in avanti. Il collo si distese in tutta la sua lunghezza, molto maggiore di quanto non fosse apparsa prima, sporgendo in fuori la testa massiccia, per poi piegarla impercettibilmente di lato, quando l’animale raggiunse la massima velocità. Una delle grandi zanne colpi fragorosamente e strisciò via sulle piastre corazzate del fianco del trattore, e in quello stesso istante il faro principale si spense. Un altro sibilo, ancora più acuto e lamentoso, fece sospettare a Lackland che la sorgente d’alimentazione dell’impianto elettrico fosse stata schiacciata da qualche parte angolosa della testa del mostro; ma non ebbe il tempo di controllare. Fece rapidamente marcia indietro, e intanto spense le luci della cabina: non voleva che una di quelle zanne colpisse uno degli oblò di cristallo con la violenza con cui s’era abbattuta sulle corazze esterne. Adesso soltanto i fari di rotta, molto bassi e incassati sul davanti del veicolo, illuminavano la scena. Il mostro, incoraggiato dalla fuga di Lackland, caricò una seconda volta, proprio contro uno di essi. Lackland non osò spegnere il faro, perché sarebbe stato come restare improvvisamente cieco, ma lanciò un disperato appello per radio: — Barl! Come va con le tue reti? Se non sei pronto, dovrò prendere il mostro a cannonate, carne o non carne!

— Le reti non sono ancora pronte, però se riesci ad attirare in qua la bestia ancora di qualche metro, si troverà sottovento rispetto alla «Bree», e potremo usare un altro sistema.

— Benissimo. — Lackland non riusciva a immaginare quale fosse quest’altro sistema, ma finché la sua ritirata faceva comodo a Barlennan, non aveva niente da obiettare. Non gli passò per la mente, e a dire il vero non passò nemmeno per quella di Barlennan, che il metodo di lotta dei meskliniti potesse danneggiare il trattore; così continuò a tenere a bada le formidabili zanne del mostro con una serie di brusche e rapide marce indietro, che la bestia non sembrava in grado di prevenire efficacemente.

Intanto Barlennan si dava da fare con i suoi mezzi. Lungo i bordi della «Bree» che stavano di fronte al mostro e al trattore erano sistemati quattro congegni somiglianti straordinariamente a dei mantici, con delle specie di tramogge sugli sfiatatoi. A ogni mantice erano addetti due marinai che a un ordine di Barlennan si misero alla manovra con regolare sistematicità. Nello stesso tempo, un terzo operatore fece funzionare la tramoggia, lasciando piovere una cascata di polvere finissima nella corrente creata dai mantici. La polvere, imbrigliata dal vento, fu spinta verso i due contendenti. A causa delle tenebre non era possibile vedere a che velocità si spostassero, ma Barlennan doveva essere un buon conoscitore delle correnti aeree, perché, dopo che i mantici ebbero soffiato per alcuni istanti, bruscamente lanciò un altro comando.

I serventi alle tramogge fecero allora qualcosa agli sfiatatoi dei mantici, e subito un tonante getto di fiamma fu lanciato a ventaglio dalla «Bree», ed avvolse il mostro e il trattore in lotta.

Urlando parole che non aveva mai insegnato a Barlennan, Lackland lanciò il trattore all’indietro, fuori della nube di fuoco, augurandosi che il quarzo dei suoi oblò resistesse. Il colosso, invece, pur volendo togliersi di là, non aveva evidentemente riflessi abbastanza pronti per muoversi con un’azione coordinata. Si buttò prima da una parte, poi dall’altra, in cerca di scampo. La fiamma si spense dopo qualche secondo, lasciando una gran nube di denso fumo bianco, illuminata dalla luce dei fari del trattore. Ma sia che il fulmineo getto di fuoco fosse stato sufficiente, sia che il fumo bianco fosse altrettanto letale, i riflessi del mostro apparvero sempre più disorientati. Mosse ancora pochi passi, brevi e incerti, senza meta, mentre le zampe non ce la facevano più a sostenere la sua terribile mole, e alla fine stramazzò a terra, rotolandosi su un fianco. Le zampe scalciarono ancora per un po’«in maniera spasmodica, mentre il lunghissimo collo si ritraeva e si tendeva in fuori, alternativamente, sbattendo la testa irta di zanne ora in aria e ora per terra in una frenetica agonia. All’alba, il solo movimento rimasto era uno sporadico sussulto di una zampa o della testa finché, due o tre minuti dopo il sorgere del sole, la gigantesca creatura giacque immobile per sempre. L’equipaggio della «Bree» era già sciamato a terra e si affrettava sul tratto di terreno, dove la neve s’era sciolta, per portar via quanta più carne era possibile. La mortifera nuvola bianca era stata spinta lontano dal vento, ormai, e andava sfumando definitivamente. Lackland notò con stupore tracce di polvere nera sulla nave, dov’era passata la nube.

— Barl, di che razza di sostanza ti servi per fare quella nuvola di fuoco? E non hai pensato che avrebbe potuto spaccarmi i cristalli di quarzo degli oblò?

Il Comandante, che era rimasto a bordo, presso la radio, rispose immediatamente: — Perdonami, Charles, ma ignoravo di che materiale fossero le tue finestre e non ho mai pensato che le nostre nubi di fiamma potessero danneggiare la tua grande macchina. Si tratta di una polvere che otteniamo da certe piante: la si trova sotto forma di grossi cristalli, che dobbiamo polverizzare minutamente, lontano dalla luce.

Lackland annuì, mentre rifletteva. Quella sostanza che, accesa dalla luce, bruciava nell’idrogeno formando una grande nube bianca e lasciando macchioline nere sulla neve, non poteva essere che cloro. Il cloro si trovava evidentemente su Mesklin allo stato solido, a causa della temperatura del pianeta, e combinandosi violentemente con l’idrogeno dava origine al cloruro d’idrogeno il quale, sotto forma di polvere finissima, è bianco. Inoltre la neve di metano, evaporando durante il processo per effetto del calore, cedeva al cloro il suo idrogeno e liberava carbonio, nero. Era ben strana e interessante, per lo studioso, la vita vegetale che cresceva su quel mondo!

— Non so come farmi perdonare il rischio che ho fatto correre al tuo trattore — riprese Barlennan, in vena di scuse. — Forse avrei fatto meglio a lasciarti uccidere quel mostro col tuo cannone. Hai intenzione di insegnarci ad usarlo? È studiato apposta per funzionare su questo pianeta, come la radio?

Il Comandante s’interruppe, temendo di essersi spinto troppo avanti nelle sue domande, ma riteneva che valesse la pena di rischiare. Dal punto in cui si trovava, però, non riuscì a vedere, e tanto meno a interpretare, il sorriso con cui Lackland gli rispose: — No, il cannone non è stato rifatto o trasformato per adattarlo al tuo pianeta, Barl. Qui funziona ancora abbastanza bene, ma temo che non servirebbe a niente nelle tue regioni. — Tirò fuori un regolo calcolatore e dopo averlo consultato per un istante aggiunse: — Al massimo, nella tua regione polare questo cannoncino potrebbe sparare un proiettile a non più di una cinquantina di metri di distanza.

Barlennan, deluso, non disse altro. Ci vollero alcuni giorni per macellare il mostro. Lackland tenne per sé il cranio, come amuleto contro eventuali furori di Rosten, poi la carovana riprese il suo lungo viaggio.

Un chilometro dopo l’altro, giorno dopo giorno, il trattore e il suo rimorchio avanzavano insensibilmente verso la meta. Ogni tanto si scoprivano d’un tratto, da lontano, città abitate da inquietanti rotolatori di massi; due o tre volte raccolsero dei viveri per Lackland, lasciati dal razzo lungo il loro itinerario; spessissimo incontravano animali di enormi dimensioni, alcuni come quello ucciso dal fuoco di Barlennan, altri di mole e struttura diverse. Due esemplari giganteschi di erbivori vennero catturati con le reti e uccisi dall’equipaggio spinto dal bisogno di carne fresca con grande ammirazione di Lackland.

E finalmente, a duemila chilometri circa dal punto in cui la «Bree» aveva svernato e a cinquecento o quasi a sud dell’Equatore, mentre Lackland si piegava sotto il peso di un’altra mezza gravità in più, i corsi d’acqua cominciarono tutti a convergere in direzione della loro meta. Non c’era più dubbio, ormai, che la spedizione si trovasse nello spartiacque che portava verso il grande oceano orientale. Il morale, che non era mai stato basso, si sollevò notevolmente. Anche Lackland, annoiato spesso fino alla nausea, si rianimò. Ma dall’euforia precipitò nella delusione e nell’angoscia più cupa, quando la carovana si trovò di colpo, quasi senza preavviso, sull’orlo di una scarpata: un vero e proprio precipizio verticale di almeno venti metri, che si stendeva a perdita d’occhio tanto sulla sinistra, quanto sulla destra del loro percorso.

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