Capitolo 4 DI MALE IN PEGGIO

La baia sulla cui riva meridionale era stata tirata in secca la «Bree» era un piccolo estuario lungo un trentacinque chilometri e non più largo, alla foce, di tre e mezzo. Si apriva sulla costa meridionale di un golfo più ampio, dalla conformazione più o meno simile, lungo circa quattrocento chilometri, che a sua volta era solo una diramazione di un grande mare che si estendeva indefinitamente entro l’emisfero boreale, dove si confondeva con i ghiacci eterni della calotta polare. Queste tre masse d’acqua erano genericamente disposte da est a ovest ed erano separate, sulle coste settentrionali, da una serie di penisole relativamente strette. La posizione della «Bree» era stata scelta meglio di quanto Barlennan stesso credesse, perché due penisole la proteggevano dalle bufere provenienti dal nord. Una trentina di chilometri più a ovest, tuttavia, la protezione della più vicina di queste punte veniva a mancare, e Barlennan e Lackland poterono apprezzare che vantaggio avesse rappresentato per loro anche quella stretta lingua di terra. Il Comandante, ancora una volta, era stato sistemato sul tetto del carro corazzato, ma ora aveva una radio accanto a sé.

Alla loro destra c’era il mare, che si estendeva fino al lontano orizzonte, al di là della punta di terra che proteggeva la baia. Alle loro spalle la spiaggia era come quella su cui era in secca la «Bree», una striscia sabbiosa in lieve pendenza, tutta punteggiata dei ciuffi della scura vegetazione fibrosa che copriva tanta parte della superficie di Mesklin. Davanti a loro, però, la vegetazione scompariva quasi del tutto. Qui la pendenza era minima e la cintura sabbiosa diventava più larga a misura che l’occhio si spingeva più lontano. Benché mancassero persino le piante dalle radici più profonde, quella grande distesa di sabbia non appariva nuda, perché sulle sue ondulazioni parallele erano sparsi i relitti nerastri e immobili del recente uragano.

Alcuni erano enormi ammassi di alghe strettamente intrecciate, o comunque di vegetali molto simili alle alghe; altri erano i corpi di animali marini, alcuni ancora più grossi degli ammassi d’alghe. Lackland rimase colpito, non tanto dalle dimensioni degli animali — dato che, in vita, erano presumibilmente sostenuti dal liquido in cui galleggiavano — ma per la distanza a cui si trovavano dall’acqua. Una massa mostruosa copriva un buon tratto di spiaggia quasi a un chilometro dal limite delle acque. Il terrestre cominciò a capire che cosa potevano fare i venti di Mesklin anche in zone di forte gravità, quando disponevano di cento chilometri di spazio in mare aperto per accumulare ondate capaci di spazzare via ogni cosa.

Il carro corazzato si inoltrò faticosamente sempre più lontano dal mare, avvicinandosi alla mole mostruosa scaraventata nell’entroterra dal recente uragano. Lackland voleva osservarla da vicino, dato che praticamente non aveva ancora visto alcun esemplare della fauna mesklinita. E anche a Barlennan, che pure conosceva molti dei mostri che popolavano i mari su cui aveva navigato per tutta la vita, quell’enorme struttura non era familiare.

La forma dell’animale non risultò poi troppo sorprendente, né per l’uno né per l’altro.

Avrebbe potuto essere una balena insolitamente aerodinamica o un rettile marino straordinariamente tozzo. Al terrestre ricordava lo Zeuglodonte che aveva infestato i mari del suo pianeta una trentina di milioni di anni prima, Tuttavia, nessuna creatura della Terra di cui fossero stati ritrovati i fossili si era mai avvicinata alle dimensioni di questa. Giaceva per una lunghezza di almeno duecento metri sul terreno ancora sabbioso; in vita, il suo corpo doveva essere cilindrico, con un diametro di oltre venti metri. Adesso, fuori dal liquido in cui era vissuto, ricordava un modello di cera che fosse stato lasciato troppo a lungo al sole. Benché le sue carni dovessero avere una densità inferiore della metà a quella degli esemplari terrestri, il suo peso risultava ancora sbalorditivo, quando Lackland si provò a calcolarlo, senza contare gli effetti di una gravità tre volte maggiore che sulla Terra.

— E dimmi, per favore, che cosa fai quando incontri un bestione come questo in navigazione? — chiese a Barlennan.

— Non ne ho la più pallida idea — rispose il mesklinita, freddamente. — Ho già visto mostri del genere, ma molto di rado. Di solito restano in mari più profondi e comunque in quelli permanenti. Ne ho visto uno in superficie una volta sola, ed era almeno quattro volte più grande di questo. Non so che cosa mangino, ma evidentemente trovano il nutrimento negli abissi dove vivono. Non ho mai sentito di una nave che sia stata attaccata da questi mostri.

— Credo bene! — disse Lackland. — Penso che sia difficile, in un caso simile, che ci siano dei superstiti. Se questa creatura, per nutrirsi, usa il sistema di certe balene del mio pianeta, è capacissima d’inghiottire una delle vostre imbarcazioni senza nemmeno accorgersene… Diamo un’occhiata alla bocca: vedremo subito.

Lackland fece partire immediatamente il trattore corazzato e lo guidò presso quella che aveva tutta l’aria di essere l’estremità della testa.

C’era una bocca e anche una specie di cranio, ma questo era stranamente schiacciato a causa del suo stesso peso. Tuttavia, dai denti rimasti tra le fauci, Lackland capi che il mostro doveva essere carnivoro.

— Anche se tu lo incontrassi in alto mare, Barl — disse alla fine Lackland — non correresti troppi rischi. Questo bestione non si sognerebbe neanche di attaccarti. Una delle tue navi non basterebbe nemmeno a stuzzicargli l’appetito: non credo che si accorgerebbe di qualcosa che non fosse grande almeno cento volte la «Bree». A proposito, che cosa intendi quando parli di mari «permanenti»?

— Mi riferisco a quegli oceani che si mantengono ancora tali poco prima che comincino le bufere invernali. Il livello del mare raggiunge la massima altezza in primavera, alla fine delle tempeste che hanno colmato i letti oceanici nel corso dell’inverno. Durante il resto dell’anno i mari diminuiscono. Qui sull’Orlo, dove la linea costiera è a picco sul mare, non si nota una grande differenza, ma là dove il peso e molto più alto la linea costiera può spostarsi da trecento a tremila chilometri, tra la primavera e l’autunno.

Lackland fece un fischio sommesso: — In altri termini — disse, come tra sé — gli oceani di questo pianeta evaporano ininterrottamente per più di quattro dei miei anni, riversando metano ghiacciato sulla calotta polare nord, per poi riprenderselo nei cinque mesi che l’emisfero settentrionale impiega a passare dalla primavera all’autunno. Adesso capisco! — Poi, tornando alla situazione del momento: —Barl, ora esco da questa scatola per sardine. Ho desiderato prelevare campioni di tessuto animale fin da quando ho scoperto che su Mesklin esisteva la vita. Credi che la carne di questa bestiaccia si sia guastata nel tempo trascorso dalla sua morte?

— Per noi sarebbe perfettamente mangiabile, anche se, da quello che mi hai detto, per voi Volatori sarebbe assolutamente indigesta. La carne in genere diventa tossica dopo due o trecento giorni, a meno che non sia seccata o conservata in qualche altro modo, e durante questo periodo il suo sapore cambia continuamente. Posso assaggiare un boccone di questa, se vuoi.

Senza attendere risposta e senza nemmeno dare un’occhiata colpevole intorno per accertarsi che qualcuno dell’equipaggio non si fosse spinto fin là, Barlennan si lanciò dal tetto del trattore, atterrando presso l’immensa mole dove aspettò che Lackland, aperto lo sportello, uscisse dal veicolo. Il trattore non aveva una chiusura stagna, ma Lackland indossava lo scafandro a pressione e quindi poteva lasciare che l’atmosfera di Mesklin entrasse liberamente nel veicolo, una volta che il suo casco fosse ermeticamente chiuso. Una leggera scia di candidi cristalli lo seguì turbinando: erano il ghiaccio e l’anidride carbonica gelata dell’atmosfera di tipo terrestre dell’interno, venuti a contatto con la bassissima temperatura di Mesklin. Barlennan non avvertì nessuno strano odore, ma provò una sensazione di bruciore e di arsura nei pori respiratori, quando un lieve sbuffo di ossigeno lo raggiunse, costringendolo a scansarsi con un salto. Lackland si scusò.

— Dovevo stare più attento io — disse il mesklinita. — Ho provato la stessa sensazione una volta, abbandonando la Collina dove abiti, e ho presente tutto quello che mi hai detto allora sulla differenza tra l’ossigeno che respiri tu e il nostro idrogeno… ricordi? È stato quando stavo imparando le prime parole della tua lingua.

Poi Barlennan si accinse a prelevare il primo campione di carne. Con quattro coppie di pinze si mise a recidere una porzione della pelle e dei tessuti sottostanti, quindi portò il pezzo alla bocca. Per alcuni istanti masticò meditabondo.

— Nient’affatto cattiva — osservò finalmente. — Se non hai bisogno di tutta la bestia per i tuoi esperimenti, potrebbe essere una buona idea far venire qui i cacciatori. Avrebbero tutto il tempo di raccogliere questa carne prima che ritorni la bufera.

— Buona idea — borbottò Lackland, tutto assorto nel risolvere il problema di come piantare una lama nella massa che aveva davanti.

Aveva già intuito che i tessuti viventi, su un pianeta come quello, dovevano essere estremamente duri e coriacei. Ma quella carne aveva la compattezza e la solidità di un tronco di tek, e malgrado l’affilatissima lama del suo bisturi che tra l’altro era fatta di una lega speciale, dovette rinunciare a tagliarne via un pezzo intero e rassegnarsi a grattarne via solo dei frammenti.

Quando ne ebbe raccolto un quantitativo sufficiente, li chiuse in una scatoletta per campioni.

— Possibile che in tutto questo bestione non ci sia un punto più tenero? — chiese alla fine a Barlennan, che lo stava guardando con il massimo interesse. — Avrò bisogno delle scavatrici meccaniche, se vorrò prelevare campioni in quantità soddisfacente per i ragazzi che mi aspettano su Toorey.

— Alcune parti dell’interno della bocca dovrebbero essere meno dure — disse il mesklinita. — Ma, se credi, posso strappartene io alcune porzioni, sempre che non sia indispensabile per te prelevarle con strumenti metallici.

— No, non credo che siano necessari. E se i cari biologi non troveranno i miei campioni di loro gusto potranno venire personalmente a prenderseli.

Barlennan si mise all’opera, e in poco tempo le scatolette furono piene. Quando ebbero finito, Lackland lanciò un’occhiata avida alla specie di colonnato che erano i denti del mostro: — Immagino — disse — che ci vorrebbe una carica di gelatina per estrarre uno di questi denti.

— Che cos’è la gelatina?

— Un esplosivo, cioè una sostanza che si trasforma rapidamente in gas, con un gran fragore ed effetti dirompenti. Usiamo la gelatina per lavori di scavo, per demolire edifici e pezzi di montagna e alle volte anche per combattere.

— Questo rumore è per caso quello di un’esplosione?

Per un istante, Lackland rimase letteralmente senza parole. Un boato di notevole intensità, come quello che aveva appena sentito, su di un pianeta i cui nativi ignoravano qualunque forma di esplosivo e sul quale non era presente nessun altro essere umano, era sconcertante, tanto più per la strana coincidenza con cui s’era verificato. Completamente sbalordito, inoltre, Lackland non aveva potuto farsi una chiara idea dell’entità e della distanza dello scoppio, avendolo sentito solo attraverso la radio di Barlennan e i propri auricolari, contemporaneamente. Ma dopo due o tre secondi un sospetto tutt’altro che piacevole gli attraversò la mente.

— Ha tutta l’aria di esserlo — rispose, sia pure in ritardo, e subito si mise ad arrancare intorno alla testa del colosso per riuscire a vedere il trattore, là dove si era fermato. Barlennan lo seguì col suo metodo di locomozione più naturale: strisciando.

Quando vide che il trattore si trovava dove lo aveva lasciato, Lackland provò un senso di profondo sollievo, che però si trasformò presto in costernazione. Arrivato infatti allo sportello del veicolo corazzato, si accorse che il pavimento era ridotto a veri e propri trucioli di metallo sottile, alcuni ancora attaccati alla base delle pareti, altri mescolati ai congegni di guida e agli accessori interni. Il motore, che si trovava originariamente sotto il pavimento, era quasi del tutto scoperto. All’esterrefatto terrestre bastò una sola occhiata per costatare che il veicolo era irrimediabilmente distrutto. Barlennan seguiva la scena con vivo interesse.

— Vedo che trasportavi delle sostanze esplosive nel tuo trattore — disse. — Perché non te ne sei servito per estrarre il materiale che ti occorreva dalla carcassa del mostro? E che cosa lo ha messo in azione mentre si trovava ancora a bordo del veicolo?

— Barl, hai la capacità di fare le domande più difficili nel momento meno indicato — rispose Lackland. — A ogni modo, alla prima rispondo che non trasportavo esplosivi e alla seconda che non ne so più di quanto ne sappia tu.

— Ma deve ben essere stato qualcosa che tenevi a bordo del trattore — insistette il mesklinita. — Posso vedere anch’io che la causa dello scoppio si trovava sotto il pavimento e ha tentato di uscire a forza. E comunque su Mesklin non abbiamo cose che agiscano così.

— Per quel che so, non c’era niente sotto il pavimento che potesse scoppiare. Motori elettrici e relative batterie non sono esplosivi. Il guaio è che ora posso considerarmi un uomo morto, Barl.

— Perché?

— Perché ci troviamo a ventotto chilometri dalle mie scorte di viveri, non contando quel poco che ho sul trattore. Ma questo adesso è fuori uso; e se ci sarà mai un essere umano capace di percorrere a piedi ventotto chilometri, in uno scafandro corazzato con una pressione di otto atmosfere e sottoposto a una forza di tre gravità, quell’uomo non sono io. Con il sistema a branchie dello scafandro e sufficiente luce solare potrei anche continuare ad avere aria respirabile per un tempo indefinito, ma morirei di fame molto prima di essere arrivato alla cupola.

— Non puoi chiamare per radio i tuoi amici che si trovano sulla luna più veloce e pregarli che ti mandino un razzo per portarti alla cupola?

— Sì, potrei farlo. E probabilmente sono già informati della situazione, se qualcuno si trova nella sala delle radiocomunicazioni e sta ascoltando il nostro colloquio. Il guaio è che se ricorro a questo genere di aiuto, il professor Rosten vorrà farmi tornare su Toorey per l’inverno. Ho dovuto sudare sette camicie per convincerlo a lasciarmi su Mesklin. Dovrò dirgli per forza del trattore, ma voglio farlo dalla cupola, dopo esserci tornato senza il suo aiuto. Qui intorno però non c’è energia sufficiente a farmi tornare. E anche ammesso che potessi infilare una maggiore quantità di cibo nelle borse del mio scafandro senza lasciarvi penetrare l’aria di questo pianeta, tu non potresti entrare nella mia stazione a cupola, per prendermi i viveri.

— Lasciami chiamare il mio equipaggio, in ogni caso — disse Barlennan. — I miei marinai potranno utilizzare il cibo che si trova qui, o per lo meno tutto quello che riusciranno a trasportare sulla nave. E poi, mi è venuta un’idea.

— Un’idea che potrebbe risolvere il mio problema personale?

— Direi di sì. — Barlennan avrebbe sorriso, se la sua bocca non fosse stata costituita da due mandibole rigidissime, più dure del ferro. — Prova a salire sopra di me.

Per alcuni secondi Lackland rimase immobile, allibito dalla proposta. Dopo tutto Barlennan assomigliava, più che a qualunque altra forma del regno animale, a un gigantesco bruco, e quando un uomo mette il piede su un bruco… Ma poi Lackland ci ripensò e sorrise.

Il mesklinita, strisciando, si era intanto spinto fino ai suoi piedi. Senza ulteriori esitazioni, Lackland mosse una gamba per montargli sopra. Ci fu solo una difficoltà. Lackland pesava circa settantacinque chili, e altrettanto il suo scafandro, un miracolo della tecnica più avanzata. Di conseguenza, sull’equatore di Mesklin, con una gravità tripla di quella terrestre, uomo e scafandro assommavano a circa quattro quintali e mezzo. Lackland non avrebbe potuto muovere un passo senza l’aiuto di un ingegnoso strumento automatico applicato alle gambe. Ma il suo peso, comunque, superava di un solo quintale quello di Barlennan nelle regioni polari del pianeta.

Il mesklinita non aveva quindi difficoltà a sostenerlo sulla schiena. Fu piuttosto un semplice problema di geometria a far fallire il tentativo di Lackland. Il corpo di Barlennan era paragonabile, genericamente, a un cilindro lungo quarantacinque centimetri con un diametro di cinque al massimo: stare in equilibrio su quel precario sostegno si rivelò un’impresa impossibile per il terrestre in scafandro.

Però Lackland trovò ugualmente la soluzione giusta. Alcune delle piastre metalliche della parte inferiore del trattore erano state divette dall’esplosione, e Barlennan, dietro indicazione dell’uomo, riuscì a strapparne una. Era larga una sessantina di centimetri e lunga un paio di metri e, sollevata a un’estremità dalle pinze possenti del mesklinita, diventava una specie di slitta abbastanza comoda. A questo punto ci fu un intoppo. Il peso di Barlennan in quella regione del pianeta non superava il chilo e duecento grammi: in altre parole il mesklinita non possedeva la forza necessaria per rimorchiare la slitta improvvisata, senza contare che la pianta più vicina da impiegare come ancora si trovava a mezzo chilometro circa di distanza.

Lackland fu lieto che una faccia rossa per la vergogna non avesse alcun significato per gli indigeni di quel pianeta. Lui e Barlennan avevano lavorato ininterrottamente e inutilmente per un giorno e una notte, dato che il sole minore e le due lune avevano fornito luce a sufficienza, ora che le nuvole della tempesta si erano dissolte.

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