Capitolo 18 IL RAZZO

Furono necessarie alcune centinaia di giorni per superare l’ottantina di chilometri che li dividevano dalla zona in cui si trovava il razzo incagliato. La spedizione doveva ormai essere arrivata vicino all’astronave, ma i terrestri fecero sapere che non si vedeva traccia del razzo in quei paraggi. La cosa non stupì affatto Barlennan: c’erano rocce dappertutto.

— Il razzo — gli disse Lackland — è alto circa sette metri e se tu riuscissi a salire su qualche grosso masso dovresti essere in grado di avvistarlo. Se tu potessi accatastare dei macigni più piccoli presso una grossa roccia, in modo da formare una specie di piano inclinato, con cui raggiungere la cima della roccia…

Barlennan rifletté prima di rispondere e forse, se si fosse reso conto dell’enorme quantità di sassi che doveva accumulare, la sua risposta sarebbe stata diversa. Ma in quel momento l’idea di Lackland gli sembrò buona, e disse: — Credo che tu abbia ragione, Charles. C’è abbastanza roba, qui, per costruire tutto quello che si vuole.

E si allontanò dalla radio per trasmettere i suoi ordini al gruppo di marinai più vicino. Se Dondragmer ebbe qualche dubbio sulla realizzazione della cosa, lo tenne per sé; e dopo pochi minuti l’intero gruppo stava facendo rotolare dei massi verso la roccia prescelta come osservatorio.

Fu un lavoro faticosissimo e d’una lentezza esasperante. Tanto lento, che a un certo punto una parte del gruppo dovette ritornare alla gru per rifornirsi di nuove vettovaglie. Ma venne il giorno in cui i molteplici piedi dei meskliniti poterono posarsi sulla cima relativamente piana della roccia.

E finalmente avvistarono l’obiettivo della spedizione! Lackland aveva avuto ragione! Barlennan aveva fatto trasportare sulla cima della roccia l’apparecchio radiotelevisivo in modo che anche i terrestri potessero vedere. E per la prima volta dopo oltre un anno terrestre, la dura faccia di Rosten perse la sua espressione di cocciuta incredulità. Non che ci fosse molto da vedere! Forse, una delle piramidi terrestri, ricoperta di corazze metalliche e posta a una grande distanza, sarebbe sembrata abbastanza simile a quel cono tronco che spuntava al di sopra della pietraia circostante. Non assomigliava al razzo che Barlennan conosceva: era infatti completamente diverso da tutti i razzi precedentemente costruiti in un raggio di venti anniluce dalla Terra. Ma nello stesso tempo era qualcosa di assolutamente estraneo al paesaggio di Mesklin.

La colonna si rimise in marcia ancora una volta, per coprire i due chilometri e mezzo che la separavano dal razzo. Ma quando vi giunsero, i meskliniti si accorsero che il razzo spuntava dalla cima di una specie di altura, dalle pendici molto dolci, fatta di terriccio e di sassi. Una collinetta che sembrava essere sorta da qualche paurosa esplosione. Barlennan, che aveva già visto numerosi razzi provenienti da Toorey atterrare e decollare dalla superficie del pianeta, credette di avere capito cosa poteva essere successo e cosa avrebbero trovato una volta arrivati in cima al pendio.

Il razzo si alzava verticalmente al centro di una fossa, una vera e propria coppa profondamente concava, scavata dalle esplosioni dei getti di decollo. La potenza di propulsione, pensò Barlennan, doveva essere stata enorme, data la spaventevole forza di attrazione gravitazionale da vincere.

La base del razzo aveva un diametro di circa sette metri, cioè quasi pari alla lunghezza, e la forma era cilindrica fino a un terzo dell’altezza totale. Quella, spiegò Lackland quando l’apparecchio radiotelevisivo fu trascinato su per il pendio fino a inquadrare l’interno della fossa, era la sezione del razzo che conteneva l’apparato di propulsione.

La parte superiore si assottigliava rapidamente fino a terminare in una punta smussata e tronca, ed era lì che si trovavano gli strumenti e gli apparecchi scientifici che erano costati un’infinità di tempo, studi, fatiche e denaro a tanti pianeti civilizzati. In quella sezione del razzo si vedevano molte aperture, perché non c’era stato bisogno di chiudere i vari settori a compartimenti stagni.

— Una volta hai detto — disse Barlennan a Lackland — che uno scoppio come quello che aveva distrutto il tuo trattore doveva essersi verificato anche a bordo di questo razzo. Eppure non vedo nessuna traccia di esplosioni qui dentro. E se le porte erano già aperte quando il razzo ha toccato terra, come poteva essere rimasto a bordo ossigeno sufficiente per provocare un’esplosione? Me l’hai detto proprio tu che tra i mondi non esiste nessun tipo di aria e che quel poco che c’era sarebbe sfuggito fuori da qualunque apertura.

Rosten s’intromise nella conversazione prima che LackJand avesse tempo di rispondere (tanto Rosten che gli altri avevano osservato a lungo il razzo sul loro schermo): — Barl ha perfettamente ragione: la causa del disastro, qualunque sia stata, non si deve certamente far risalire a un’esplosione da ossigeno. Dovremo tenere gli occhi bene aperti, quando entreremo nel razzo, proprio nella speranza di scoprire questa causa. Anzi, direi di metterci subito al lavoro: ho tutto uno stuolo di fisici che pende dalle mie labbra in attesa d’informazioni.

— Voi, signori scienziati, dovrete avere la bontà di aspettare ancora un po’’— disse Barlennan. — Credo che vi siate dimenticati di una cosa.

— E cioè?

— Nessuno degli strumenti che desiderate osservare attraverso la lente del vostro apparecchio radiotelevisivo si trova a meno di due metri dal suolo, e tutti sono protetti da pareti metalliche che mi sembrano piuttosto difficili da rimuovere con la semplice forza delle nostre braccia, per teneri che siano i vostri metalli.

— Accidenti! Hai ragione anche questa volta, Barl! Bisognerà studiare un modo per risolvere questo ennesimo problema.

— Hai tempo di escogitare la soluzione finché non arriverà anche il marinaio che ho lasciato di guardia sulla rocciaosservatorio. Se per quel momento non avrai trovato nulla di pratico, proveremo la mia idea.

— E quale sarebbe questa tua idea?

— Siamo riusciti a salire sulla roccia da cui abbiamo avvistato il razzo: che cosa ci impedisce di usare lo stesso sistema per arrampicarci sul razzo?

Rosten rimase in silenzio per almeno mezzo minuto, e Lackland ebbe il sospetto che si desse mentalmente dell’idiota.

— Niente ve lo impedisce — rispose alla fine Rosten. — Se non che questa volta dovrete fare un lavoro molto più complesso per costruire un piano inclinato di massi accatastati. Il razzo è almeno tre volte più alto di quella roccia, e poi dovrete girargli tutt’intorno, mentre per la roccia è stato sufficiente lavorare da una parte sola.

— Non potremmo spingerci fino alla prima apertura e poi proseguire dall’interno?

— No, perché il razzo non è stato costruito per contenere esseri viventi e non ci sono corridoi di comunicazione fra le varie parti. Tutti gli strumenti sono stati disposti in modo da essere raggiunti dall’esterno. Ho paura che bisognerà seppellire il razzo con terra e massi fino a raggiungere il livello di apertura più alto, subito sotto la punta, che contiene gli strumenti e di là aprirvi lentamente la strada verso il basso, un livello dopo l’altro. Forse sarà meglio rimuovere il macchinario da ogni sezione, a mano a mano che scendi. Tutto questo dovrebbe ridurre al minimo il peso. Alla fine, dopo che avrai tolto tutte quelle piastre metalliche dal razzo, non sarà rimasto che un esile scheletro di travature.

Barlennan rifletté a sua volta. Poi: — Capisco. E non vedi nessun’altra alternativa a questo tuo progetto? Comporta un sacco di lavoro.

— Non ne vedo altre, per il momento. Ma può darsi che per quando il tuo marinaio sarà di ritorno dalla roccia, ci sia venuto in mente qualcos’altro. Il guaio è che non possiamo mai studiare una soluzione che non implichi la necessità di farti avere macchine che non siamo in grado di mandarti giù.

— È una cosa che avevo notato già da molto tempo.

Il sole continuava a fare il giro del cielo a una velocità leggermente superiore ai venti gradi al minuto. I marinai scendevano a turno nella fossa scavata dai getti di propulsione per osservare il razzo da vicino. Erano tutti troppo intelligenti, per considerare la macchina come qualcosa di soprannaturale; tuttavia ne erano sbalorditi.

Quando finalmente arrivò il marinaio rimasto di guardia alla roccia, Barlennan chiese ai terrestri se avevano trovato un’altra soluzione; ma a quanto pareva la sua idea era ancora la più intelligente.

E allora non rimase che mettersi al lavoro. Nemmeno in quella fase passò per la testa agli osservatori venuti da un altro pianeta e immobilizzati su Toorey, la luna più interna di Mesklin, che il mesklinita avesse un suo personale progetto circa il loro razzo. D’altra parte, se anche avessero cominciato ad insospettirsi, sarebbe stato troppo tardi… per porvi rimedio.

Cosa strana, il lavoro, non si rivelò né così difficoltoso né così lungo come avevano sospettato. Il motivo era semplice: le rocce e la terra spazzate via dai getti del razzo non avevano ancora formato una massa compatta, perché l’aria sull’altopiano era troppo rarefatta per provocare le piogge che avrebbero indurito il terreno. A poco a poco, i terrestri videro sui loro schermi la massa lucente del missile sparire dentro una montagna di terriccio fino a trentacinque centimetri dalla punta tozza, cioè fino al livello più alto in cui erano stati installati gli strumenti.

A questo punto il lavoro fu sospeso e Barlennan si portò davanti allo sportello, aspettando dai terrestri le istruzioni necessarie per aprirlo ed entrare. Si trattava di svitare alcuni bulloni che interrompevano il circuito: lavoro che le pinze di Barlennan potevano fare altrettanto bene di una comune chiave inglese.

Il Comandante si mise all’opera: il sole, entrando a fiotti nello scafo appena aperto, fece luccicare il metallo di un meccanismo che si trovava vicino all’entrata.

Un urlo di gioia si levò dai petti degli uomini davanti agli schermi dell’osservatorio lunare, e del razzo gravitante attorno al pianeta.

— Ce l’abbiamo fatta, Barl! — esclamò Rosten. — Ti dobbiamo più di quanto si possa mai dire! Adesso, se ti tirerai indietro di qualche passo e ci lascerai vedere meglio l’interno, ti daremo subito le istruzioni per togliere il registratore da dove si trova e applicarlo alla lente dell’apparecchio radiotelevisivo.

Ma Barlennan non si mosse né rispose subito. Fu la sua immobilità a parlare, prima ancora delle sue parole.

Non si tolse dalla visuale. Anzi, girato completamente l’apparecchio radiotelevisivo così da togliere del tutto ai terrestri la vista del razzo, disse con dolcezza: — Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare, prima.

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