Capitolo 2 IL VOLATORE

Le previsioni del Volatore risultarono esatte: dovettero passare più di quattrocento giorni prima che la bufera si calmasse in maniera sensibile. Per cinque volte durante quel periodo il Volatore parlò a Barlennan attraverso la radio, sempre iniziando con una breve previsione meteorologica e continuando poi la conversazione su argomenti più generali per un giorno o due ogni volta. Barlennan aveva già avuto modo di osservare, sia quando aveva cominciato a imparare la lingua di quella strana creatura, sia in occasione di visite alla sua posizione avanzata sulla «Collina» presso la baia, che il Volatore sembrava avere un ciclo vitale stranamente regolare. Aveva scoperto, cioè, di poter calcolare di trovarlo addormentato o intento a consumare i suoi pasti in periodi facilmente prevedibili, che sembravano avere un ciclo di circa ottanta giorni. Barlennan non era davvero uno scienziato e nemmeno un filosofo, anzi condivideva il pregiudizio di molti che consideravano i filosofi sognatori privi di senso pratico, e perciò si limitò ad accantonare lo strano fatto dei cicli del Volatore come una caratteristica implicita in una soprannaturale ma interessantissima creatura. Non c’era niente nell’ambiente del pianeta Mesklin che potesse suggerirgli l’idea dell’esistenza di un mondo che aveva bisogno di un tempo ottanta volte superiore al suo per compiere una rotazione sul proprio asse.

La quinta chiamata di Lackland fu diversa dalle altre e particolarmente gradita per parecchie ragioni. Prima di tutto arrivò fuori programma, e poi portò il lieto annuncio che finalmente le condizioni meteorologiche sarebbero mutate in senso favorevole.

— La stazione su Toorey ha chiamato pochi minuti fa — comunicò Lackland. — C’è un’area di schiarita che si sta avvicinando. Il mio amico non è sicuro sull’origine e la velocità dei venti, ma può vedere la superficie del pianeta attraverso l’atmosfera, e questo vuol dire che la visibilità dovrebbe essere buona. Se i tuoi cacciatori vogliono uscire in cerca di preda, credo di poterti assicurare che non saranno spazzati via dalle raffiche di vento, purché abbiano la pazienza di aspettare che le nuvole siano scomparse da almeno una ventina di giorni. Per un centinaio di giorni, poi, dovremmo avere condizioni meteorologiche eccellenti. Mi diranno con notevole anticipo quando i tuoi cacciatori dovranno rientrare.

— Ma come faranno i cacciatori a saperlo? Se mando questa radio con loro, non potrò più parlare con te dei nostri affari e in questo caso non vedo…

— Ho già riflettuto sul problema — lo interruppe Lackland. — Credo che faresti bene a venire qui da me, appena il vento si sarà un po’«calmato. Ti darò un altro apparecchio… forse non sarebbe male se tu ne avessi molti. Ho paura che il viaggio che intraprenderai per noi sarà pericoloso e so già che durerà a lungo. Cinquantamila e più chilometri in linea d’aria… e ancora non so di preciso quanti saranno per mare e quanti per via di terra.

Le parole «linea d’aria» imposero una spiegazione. Per Barlennan, l’idea stessa del volo rappresentava qualcosa di terrificante e di soprannaturale. Il fatto poi che Lackland fosse in grado di volare, di viaggiare cioè attraverso l’aria, senza nessun contatto, nessuna aderenza al suolo, era per lui un fenomeno contro natura, così mostruoso e sconosciuto da ispirargli un senso di orrore.

— Inoltre vorrei chiarire un’altra cosa con te — riprese Lackland. — Appena il tempo si sarà rasserenato abbastanza per un atterraggio, i miei compagni mi porteranno giù un trattore a cingoli. Forse, assistere all’atterraggio del razzo potrà abituarti un po’«di più all’idea di un essere vivente che vola.

— Forse — disse Barlennan, poco convinto. — Non che io sia molto desideroso di vedere atterrare il tuo razzo. L’ho già visto una volta, lo sai, e… sì, preferirei che non ci fosse presente nessuno del mio equipaggio.

— Ma perché? Credi che si spaventerebbero tanto da non essere più capaci di rendersi utili?

— No — rispose con franchezza il mesklinita. — Non voglio che mi vedano spaventato come so che sarò io in quel momento.

— Mi stupisci, Comandante — disse Lackland, cercando di dare alle proprie parole un’intonazione scherzosa. — Ma non pensare che non ti capisca. Ti prometto anche che il razzo non ti passerà sopra la testa. Se resterai ad aspettare di fianco alla mia cupola, dirigerò il pilota del razzo con la radio per essere certo di mantenere la mia promessa.

— Ma quanto vicino passerà?

— Oh, passerà a una discreta distanza in diagonale, te lo garantisco. Mi preoccupo della mia sicurezza, oltre che della tua serenità. Per atterrare su questo pianeta, anche se all’equatore, il pilota dovrà ricorrere a un getto violentissimo dei motori a razzo. E ti assicuro che non ho nessuna intenzione di danneggiare la mia cupola.

— Va bene, verrò. Sono d’accordo con te che sarà molto vantaggioso poter disporre di un maggior numero di apparecchi radio. Che cos’è questo trattore a cingoli che hai nominato prima?

— È una macchina che mi permetterà di spostarmi a piacere sulla terraferma, proprio come la tua nave ti serve a traversare gli oceani. La vedrai fra qualche giorno, se non addirittura fra qualche ora.

Gli amici del Volatore di base sulla luna più interna del pianeta Mesklin avevano previsto giusto. Il Comandante, rannicchiato a poppa, dovette contare soltanto dieci aurore prima di notare i segni di una schiarita e di accorgersi di una sensibile diminuzione della forza del vento. In base alla sua esperienza personale, Barlennan era incline a ritenere che, come aveva detto il Volatore, il periodo di bonaccia sarebbe durato dai cento ai duecento giorni.

Con un sibilo che avrebbe lacerato i timpani di Lackland, se fosse stato in grado di udire una frequenza così alta, il Comandante richiamò l’attenzione del suo equipaggio e cominciò a impartire ordini: — Provvederemo immediatamente a formare due gruppi di cacciatori. Dondragmer comanderà il primo, Merkoos il secondo. Ognuno dei due prenderà con sé nove marinai di sua scelta. Io rimarrò a bordo a coordinare le varie operazioni, dato che il Volatore intende darci delle altre macchine parlanti. Andrò a prenderle personalmente sulla Collina del Volatore appena il cielo si sarà schiarito a sufficienza. Le macchine, e altre cose a lui necessarie, saranno portate giù dal cielo dagli amici del Volatore, per cui tutto l’equipaggio resterà vicino alla nave fino al mio ritorno. Prepararsi a partire trenta giorni dopo che sarò partito.

— Non sarà imprudente lasciare la nave così presto? Il vento sarà ancora molto forte. — Era stato il Secondo a parlare così, e Barlennan, conoscendo i suoi sentimenti di amicizia, mosse le pinze verso di lui in un modo che avresti interpretato come un sorriso.

— Hai ragione. Ma ho bisogno di guadagnare tempo, e poi la Collina del Volatore è soltanto a un chilometro e mezzo di distanza.

— Ma…

— Il vento sta calando. Abbiamo molti chilometri di cavi sulla nave; me ne farò legare due alla corazza e due di voi… Berblannen e Hars, direi, sotto il tuo comando, Don… li faranno scorrere dalle bitte a mano a mano che mi allontano. Potrebbe succedermi di perdere l’equilibrio o di scivolare, ma se il vento dovesse essere così forte da spezzare delle buone gomene di nave, la «Bree» già da un pezzo sarebbe stata scaraventata per chilometri e chilometri nell’entroterra.

— Sì, ma se ti dovesse capitare di essere sollevato dal vento nell’aria… — disse Dondragmer profondamente turbato.

— Non dimenticare che siamo vicini all’Orlo — disse il Comandante — anzi il Volatore dice che siamo sull’Orlo, e gli posso credere quando guardo verso nord dalla cima della sua Collina. Del resto alcuni di voi hanno già esperimentato che una caduta non è pericolosa, in questa zona.

— Ma tu ci avevi ordinato di comportarci come se avessimo il nostro peso normale in modo da non prendere abitudini che poi, al nostro ritorno nelle regioni abitabili, risultassero pericolose.

— Verissimo, ma in questo caso è diverso. In nessuna regione abitabile ci potrebbe essere una raffica di vento tanto violenta da sollevarmi in aria. A ogni modo, si farà come ho detto: Berblannen e Hars avranno il controllo dei cavi, sotto il tuo comando. Questo è tutto per il momento. La vedetta può rimanere a riposo sotto la sua coperta. Il servizio di guardia sul ponte controllerà invece ancore e ormeggi.

Dondragmer, che doveva montare di guardia sul ponte, interpretò l’ordine come un congedo e si allontanò per eseguire i suoi compiti con la solita prontezza e abilità. Si preoccupò anche che alcuni marinai ripulissero dalla neve gli spazi fra i rotoli di corde e di ormeggi, avendo riflettuto, con la stessa lucidità del suo Comandante, sulle possibili conseguenze di un disgelo seguito da una nuova gelata. Lo stesso Barlennan si rilassò, chiedendosi malinconicamente a quale antenato dovesse l’abitudine di ficcarsi, parlando, in situazioni sgradevoli da affrontare e impossibili da risolvere con eleganza.

Infatti l’idea della corda era nata esclusivamente da un impulso del momento, e non da serie e mature riflessioni.

In realtà, quando le corde lo calarono giù per quel mezzo metro che separava il ponte dalla spiaggia coperta di neve, la situazione non si rivelò poi così drammatica come Barlennan aveva temuto. L’inclinazione della spiaggia gli era favorevole, e poi gli alberi, che rappresentavano degli ottimi ormeggi per la «Bree», si facevano sempre più fitti, via via che il mesklinita si addentrava nella terraferma. Si trattava di una specie di macchia bassa e piatta, con grosse ramificazioni a forma di tentacoli e tronchi estremamente tozzi: una vegetazione abbastanza simile a quella che cresceva sulle terre conosciute dal Comandante, nella parte più bassa dell’emisfero australe di Mesklin. Ma qui i rami si inarcavano spesso quasi completamente fuori dal terreno, lasciati in relativa libertà da una forza gravitazionale di almeno duecento volte inferiore a quella delle regioni polari. Notò anche che le piante crescevano molto vicine le une alle altre, formando un intrico di rami scuri e marrone che forniva un appiglio eccellente. Barlennan, dopo qualche tempo, trovò il sistema di arrampicarsi verso la Collina. Si aggrappava con le pinze anteriori, dopo avere abbandonato la presa di quelle posteriori, poi spingeva avanti il lungo corpo a forma di bruco e si divincolava in modo da procedere un po’«come un verme. I cavi gli erano d’impaccio, perché si impigliavano ai rami, ma erano abbastanza lisci e scorrevoli. Tutto sommato procedeva con notevole sicurezza.

Dopo i primi duecento metri la spiaggia si rivelò molto ripida, tanto che a metà della distanza che pensava di dover percorrere, Barlennan si trovò già due metri sopra il livello del ponte della «Bree». Il punto che aveva raggiunto era abbastanza alto da poter vedere la Collina del Volatore, anche con i suoi occhi di mesklinita, così vicini al terreno. Allora si fermò per osservare il panorama, come aveva già fatto molte altre volte.

Il mezzo miglio che gli restava da percorrere non era che un groviglio di vegetazione bianca e marrone, molto simile a quella che aveva già attraversato, ma più intricata.

Torreggiante sulla boscaglia si levava la Collina del Volatore. Al mesklinita era molto difficile pensarla come una struttura artificiale, in parte per le sue mostruose dimensioni, in parte perché qualunque specie di tetto che non fosse un telo fatto di qualche tessuto di fibra, era totalmente estraneo alla sua idea dell’architettura. La Collina era invece una scintillante cupola metallica alta almeno sette metri e con un diametro di una dozzina: quasi un perfetto emisfero. Era costellata di ampie superfici trasparenti e aveva due estensioni cilindriche che contenevano le porte di accesso. Il Volatore aveva detto che quegli ingressi erano costruiti in modo che vi si poteva passare senza lasciare entrare o uscire l’aria esterna o quella interna. Le porte erano sufficientemente grandi anche per una creatura dalle dimensioni gigantesche del Volatore. Da una delle finestre più basse partiva una rampa improvvisata che saliva fino al livello del davanzale, permettendo cosi a un essere come Barlennan di strisciare fino ai vetri per guardare dentro. Il Comandante aveva passato molto tempo su quella rampa, quando aveva cominciato a parlare la lingua del Volatore, e aveva visto gran parte degli strani apparecchi e degli arredi che riempivano l’interno della struttura, pur non avendo la minima idea dello scopo a cui servivano. Il Volatore stesso aveva l’aria di essere una creatura anfibia, o almeno passava molto del suo tempo a galleggiare in una cisterna piena di liquido. Fatto abbastanza logico, data la sua corporatura. Barlennan non conosceva nessuna forma vivente sul pianeta che avesse dimensioni maggiori di quelle della propria razza, la quale non era l’unica ad abitare le acque oceaniche o lacustri… sebbene si rendesse conto che, anche solo per quanto riguardava il peso, creature molto più grandi potevano esistere nelle vaste e quasi inesplorate regioni che si stendevano vicino all’Orlo. Sperava comunque di non doverne mai incontrare, almeno fino a quando fosse confinato a terra. Dimensioni significavano peso, e i condizionamenti di una vita intera l’obbligavano a considerare il peso simbolo di minaccia.

Presso la cupola c’era la solita onnipresente vegetazione. Era chiaro che il razzo non era ancora arrivato, e per un istante Barlennan accarezzò l’idea di aspettare l’arrivo della macchina volante lì dove si trovava. Senza dubbio, il razzo sarebbe atterrato sul lato più lontano della Collina: ci avrebbe pensato il Volatore, se Barlennan non fosse ancora arrivato. Ma non c’era niente che impedisse alla nave volante di passare al di sopra del punto dove lui si trovava ora. Lackland non avrebbe potuto impedirlo, non sapendo dove fosse il mesklinita. Erano pochi i terrestri in grado di localizzare un corpo, lungo quaranta centimetri e con un diametro di cinque, che strisciava in senso orizzontale attraverso una vegetazione particolarmente intricata a ottocento metri di distanza. No, gli conveniva spingersi senza indugio fino alla cupola, come il Volatore gli aveva consigliato. Il Comandante riprese la marcia, sempre trascinandosi dietro le corde.

Benché avesse un’andatura media abbastanza elevata, era notte quando giunse alla meta. L’ultima parte del suo viaggio era stata però illuminata dalla luce che scaturiva dalle finestre davanti a lui. Ma quando finalmente arrivò davanti alla finestra in cima alla rampa, il sole si era già levato all’orizzonte alla sua sinistra. Poiché le nuvole erano scomparse quasi del tutto (il vento era tuttavia ancora molto impetuoso), Barlennan sarebbe riuscito a vedere nell’interno oltre i vetri, anche se le luci dentro la cupola fossero state spente.

Lackland non si trovava nella camera su cui dava quella finestra, perciò il mesklinita premette il minuscolo pulsante di chiamata inserito in cima alla rampa. Immediatamente, la voce del Volatore risuonò dall’altoparlante a fianco: — Lieto che tu sia qui, Barl. Ho fatto in modo di trattenere Mach fino a quando tu non fossi arrivato. Adesso lo farò scendere subito. Sarà qui al massimo per la prossima aurora.

— Dove si trova in questo momento? Su Toorey?

— No. Incrocia presso il margine interno dell’anello, a soli mille chilometri di altezza. È là da molto prima che la bufera finisse, quindi non pensare che sia rimasto ad aspettare per causa tua. Ora, prima che arrivi porterò fuori gli altri apparecchi radio che ti avevo promesso.

— Dato che sono solo, non credi che convenga portarne uno soltanto? Quegli apparecchi sono macchine piuttosto massicce e ingombranti.

— Hai ragione. Ci conviene aspettare il trattore a cingoli. Con il trattore potremo trasportare te e gli apparecchi radio fino alla nave. Tu ti attaccherai all’esterno, così l’atmosfera interna non ti farà male.

— D’accordo. E possiamo parlare un po’, mentre aspettiamo, o hai da mostrarmi altre immagini del mondo da cui provieni?

— Certo che ne ho. Sono necessari pochi minuti per montare il proiettore, e sarà ancora abbastanza buio quando avrò finito. Un momento solo!

L’altoparlante tacque, e Barlennan tenne gli occhi fissi sulla porta che si scorgeva in fondo alla camera. Dopo pochi istanti comparve il Volatore, che come al solito camminava eretto con l’aiuto degli arti artificiali che chiamava grucce. Si avvicinò alla finestra, con la testa massiccia abbozzò un cenno d’assenso al minuscolo spettatore al di là dei vetri e si dedicò al proiettore cinematografico. Lo schermo verso cui puntava la macchina si trovava sulla parete direttamente di fronte alla finestra, e Barlennan, tenendo un paio d’occhi fissi sulle mosse dell’essere umano, si acquattò in una posizione da cui poteva osservare ogni cosa molto più comodamente. Attese in silenzio, mentre il sole passava in un pigro arco sulla sua testa. Faceva caldo, nella piena luce del sole, un caldo gradevole, anche se non così forte da provocare un disgelo. Il vento perenne che soffiava dalla calotta polare del nord lo impediva. Stava quasi sonnecchiando, quando Lackland, terminato di mettere a punto la macchina, scavalcò l’orlo della sua vasca di riposo e vi si calò dentro. Barlennan non aveva mai notato la membrana elastica sulla superficie del liquido che manteneva asciutti gli abiti del Volatore; altrimenti avrebbe cambiato idea sulla natura anfibia degli esseri umani. Dalla sua posizione galleggiante, Lackland alzò un braccio verso un piccolo pannello e schiacciò due pulsanti. Le luci della camera si spensero e il proiettore cominciò a funzionare. La pellicola durava una quindicina di minuti e non era ancora finita quando Lackland dovette rimettersi in piedi sulle grucce. Era arrivata la comunicazione che il razzo stava atterrando.

— Vuoi vedere come se la cava Mack o preferisci assistere alla fine della pellicola? — chiese al mesklinita. — Mack probabilmente sarà già sceso a terra, quando la pellicola sarà terminata.

Con una certa riluttanza Barlennan distolse la propria attenzione dallo schermo: — Preferirei vedere la pellicola, ma sarà meglio che mi abitui allo spettacolo delle macchine volanti — disse. — Da quale parte scenderà il tuo compagno?

— Da est, credo. Ho fornito a Mack una descrizione molto precisa del posto, senza contare le fotografie che lui aveva già a disposizione. Un atterraggio da quella parte sarà più facile, data l’inclinazione della sua rotta. Per il momento il sole disturba la tua visuale, ma il mio amico si trova ancora a un’altezza di circa quaranta miglia… guarda bene al di sopra del sole.

Barlennan seguì le istruzioni ricevute e rimase in attesa. Per circa un minuto non riuscì a vedere nulla. Poi, a un tratto, scorse uno scintillio metallico a circa venti gradi sopra il sole nascente.

— Altezza dieci, distanza orizzontale quasi identica — disse Lackland nello stesso istante. — L’ho intercettato col telescopio.

Lo scintillio metallico si fece più vivido e intenso, seguendo la rotta indicata senza la minima deviazione: il razzo si dirigeva direttamente sulla cupola. Nello spazio di un minuto si era avvicinato abbastanza da rendere visibile ogni particolare, anche se tutto si confondeva nei bagliori del sole appena sorto, tanto più che Mack lo tenne immobile per un istante a un miglio circa d’altezza sopra la stazione, lievemente spostato verso est. Barlennan riusciva persino a vedere gli oblò e gli ugelli lungo i fianchi e alle estremità dello scafo cilindrico. La bufera s’era placata quasi del tutto, ma all’improvviso una calda brezza carica d’un forte odore di ammoniaca disciolta cominciò a soffiare dal punto dove i getti del razzo investivano il terreno. Minutissime gocce di una sostanza semiliquida caddero sulle conchiglie oculari di Barlennan, che continuò tuttavia a fissare la massa metallica che si stava lentamente posando sulla superficie del pianeta. Ogni muscolo del suo corpo oblungo era teso fino allo spasimo, le membra anteriori strette ai fianchi, le pinze in una posizione di combattimento così rigida che avrebbero potuto tagliare un reticolato di cavi d’acciaio, i cuori dei vari segmenti del suo corpo, palpitanti furiosamente. Avrebbe certo trattenuto il fiato, se avesse avuto un apparato respiratorio uguale a quello di un essere umano. Sapeva in teoria che quel razzo non sarebbe precipitato, e continuava a ripeterselo; ma essendo cresciuto in un ambiente in cui una caduta di quindici centimetri voleva generalmente dire la morte anche per l’organismo mesklinita, incredibilmente forte e duro, non gli era facile dominare le sue emozioni istintive.

Sul tratto di terreno sottostante il razzo, ancora all’altezza di un centinaio di metri, la neve era scomparsa come per miracolo. All’improvviso la massa scura della vegetazione s’incendiò con un’esplosione violenta di fiamme. Ceneri nerastre si sollevarono dal punto dove il razzo stava per atterrare, mentre il terreno stesso appariva incandescente. Durò solo un istante, poi il cilindro lucente si posò con la leggerezza di una piuma nel centro della radura creata dai suoi getti di fuoco. Alcuni secondi dopo, la serie di scoppi laceranti, che in crescendo avevano superato il rombo fragoroso degli uragani di Mesklin, cessò di colpo. Con una sensazione di dolore quasi fisica, la tensione di Barlennan si rilassò, mentre il mesklinita apriva e chiudeva le pinze per alleviare i crampi.

— Adesso vengo fuori con gli apparecchi radio — disse Lackland. Barlennan non se n’era accorto, ma il Volatore non si trovava più nella sala della cupola. — Mack guiderà il trattore fin qui. Puoi vederlo arrivare, mentre m’infilo la corazza.

Barlennan vide infatti una delle porte del razzo spalancarsi di scatto e da essa emergere il misterioso veicolo, che si mise subito a strisciare lentamente verso la cupola con quei cingoli ch’era impossibile indovinare da quale forza fossero mossi. 11 trattore era molto grosso, tanto spazioso da contenere parecchi individui della razza del Volatore, a meno che l’interno non fosse in gran parte occupato da congegni meccanici. Come la cupola e il razzo, aveva molte e grandi finestre. Attraverso una di queste, sulla parte anteriore del veicolo, il mesklinita poté vedere la figura corazzata di un altro Volatore, che stava evidentemente manovrando il trattore. Qualunque fosse la forza che lo spingeva, il veicolo non faceva nessun rumore, o almeno non un rumore così forte da poter essere udito oltre il chilometro, distanza che ancora lo separava dalla cupola.

Aveva coperto ben poco di quella distanza, quando il sole tramontò, rendendo invisibili i particolari. Esstes, il sole minore, era ancora nel cielo e più luminoso di quanto sia per la Terra la Luna piena, ma gli occhi di Barlennan avevano i loro limiti. Un intenso raggio di luce uscì allora dal trattore lungo la linea di marcia, un raggio di luce che venne a colpire la cupola, ma senza portar vantaggio a Barlennan. Il mesklinita rimase pazientemente in attesa.

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