Un silenzio mortale regnò nella sala dei teleschermi, sulla lontana luna, dopo la dichiarazione di Barlennan. La testa del piccolo mesklinita riempiva completamente lo schermo, ma nessuno avrebbe potuto interpretare l’espressione di quella faccia assolutamente «non umana». E nessuno fu capace di pensare a qualcosa da dire.
Barlennan attese ancora un lungo istante, prima di riprendere a parlare, e quando lo fece, il suo inglese fu ancora più corretto e preciso di quello che Lackland avesse immaginato.
— Rosten, professore, poco fa hai detto di doverci più di quanto si possa dire. So che le tue parole erano sincere, in un certo senso, anche perché non posso dubitare nemmeno per un attimo della sincerità della vostra gratitudine. Ma in un altro senso potremmo anche definirle del tutto retoriche. Tu non avevi nessuna intenzione di darci più di quanto avevi già concordato di darci: informazioni e previsioni di carattere meteorologico, una guida attraverso mari nuovi, forse quell’aiuto materiale cui Charles accennò una volta, tempo fa, per quanto riguarda l’acquisto delle spezie. Mi rendo perfettamente conto che in base al vostro codice morale, io non ho diritto a niente di più, perché ho accettato fin dal principio questo accordo.
«Ciò nonostante, io voglio di più. E siccome ho imparato a considerare e a stimare l’opinione di almeno alcuni dei vostri compagni, voglio spiegare perché sto facendo quello che faccio. Desidero insomma giustificare il mio comportamento. Ma vi dico fin d’ora che in ogni caso, sia che riesca ad accattivarmi la vostra simpatia, sia che non vi riesca, intendo fare esattamente quello che ho in mente di fare.
«Sono un mercante, come ben sapete, e mi preme soprattutto il baratto di tutte quelle merci da cui possa trarre un profitto. Voi mi avete offerto tutto il materiale che potevate in cambio del mio aiuto; non è colpa vostra se quel materiale a me non serviva. Le vostre macchine, mi avete detto più volte, sia tu, sia Lackland, non potevano funzionare con la gravità e la pressione che dominano sul mio pianeta. Dei vostri metalli non avrei potuto servirmi, e se lo avessi potuto si sarebbero rivelati inutili. Conosciamo la cosa che voi chiamate fuoco anche sotto aspetti più miti e controllabili della nube di fuoco che usiamo contro i nostri nemici.
«Ho rifiutato perciò tutte le cose che volevate darmi, meno la guida e le previsioni del tempo; ma ho accettato lo stesso di fare per voi il viaggio d’esplorazione più lungo che sia mai stato compiuto nella storia del mio pianeta. Mi avete parlato molte volte dell’immensa importanza che ha per voi la conoscenza tecnica e scientifica, ma a nessuno di voi, a quanto pare, è mai venuto in mente che anche per me la scienza e le sue applicazioni potessero avere la stessa importanza. E questo, benché non mi sia mai lasciato sfuggire l’occasione di interrogarvi su tutte le vostre conoscenze. Non avete mai voluto rispondere alle mie domande, ogni volta che vedevo una vostra nuova macchina, ricorrendo sempre alla stessa scusa. Per cui, alla fine, mi sono convinto che qualunque modo avessi usato per impadronirmi di qualche frammento della vostra scienza, sarebbe stato legittimo. Più volte, ho sentito te, professore, e Lackland vantare il valore della scienza, sempre sottintendendo il fatto che noi di Mesklin non la possediamo. Non capisco proprio perché, se la scienza è utile e importante per la vostra gente, non debba esserlo anche per la mia.
«Adesso potete capire perché mi sono sobbarcato le fatiche di questa spedizione: come voi, sono venuto fin qui per imparare. Voglio conoscere le ragioni che vi permettono di compiere imprese così grandi. Tu, Charles, hai vissuto tutto l’inverno in un ambiente che ti avrebbe ucciso all’istante, se non fosse stato per l’aiuto di questa vostra scienza. E dunque, la scienza è qualcosa di cui neppure il mio popolo può fare a meno.
«Vi offro quindi un nuovo accordo. È molto semplice: scienza per scienza. Voi insegnate tutto quello che c’è da imparare a me, oppure a Dondragmer o a chiunque altro del mio equipaggio che sia in grado d’imparare presto e bene, nel periodo di tempo che noi impiegheremo a smontare questa macchina per voi.»
— Un momen…
— Scusi, capo — disse Lackland, tagliando corto alle proteste del suo superiore. — Conosco Barl molto meglio di voi. Lasciate che gli parli io.
Nella sala dei teleschermi i due esseri umani si guardarono: Rosten lanciava fiamme dagli occhi. Ma poi, rendendosi conto della situazione obiettiva, cedette: — E va bene, Charlie. Parla tu.
— Barl, mi sembra di avere sentito del disprezzo e del sospetto nelle tue parole, quando mi hai parlato di scuse a cui noi ricorreremmo per non spiegarti il funzionamento delle nostre macchine. Eppure devi credermi, se ti dico che non volevamo ingannarti. Sono macchine terribilmente complicate, le nostre. Così complicate che gli uomini che le disegnano e le costruiscono passano metà della loro vita, prima, per imparare le leggi in base a cui esse funzionano e per studiare i sistemi tecnici con cui costruirle. Non volevamo sminuire minimamente il grado d’istruzione o l’intelligenza dei meskliniti. È vero che noi sappiamo di più, ma soltanto perché abbiamo avuto più tempo per studiare.
«Ora, hai detto che vuoi imparare il funzionamento degli strumenti e delle macchine che si trovano a bordo del razzo, mentre le smontate. Barl, ti prego di credermi quando ti dico sinceramente che io non potrei insegnarti niente, perché non capisco come sia fatta una sola di quelle macchine e che tu stesso non potresti trarne il minimo vantaggio, anche ammesso che riuscissi a comprenderne il funzionamento. Il massimo che ti posso dire è che si tratta di strumenti per misurare cose che non si possono né vedere, né sentire, né assaporare, né udire: cose che dovresti vedere in azione sotto altri aspetti per un lungo tempo, prima di poter cominciare a capirne qualcosa. Non è un’offesa: tutto questo vale in parte anche per me, che da quando sono al mondo vivo circondato da queste forze, e spesso anche me ne servo. Pensa che non ho neanche la speranza di riuscire a capirle prima di morire! La nostra scienza copre ormai un campo di conoscenze così vaste che nessuno al mondo potrebbe nemmeno cominciare a impararle tutte, e anch’io devo accontentarmi del piccolo settore di mia competenza, aggiungendovi forse quel poco che un uomo può apprendere durante un’intera vita.
«Non possiamo perciò accettare il tuo patto, Barl. Per la semplice ragione che è praticamente impossibile applicarlo da parte nostra.»
Barlennan non poteva sorridere nel senso umano del termine e si guardò bene dal lasciar trapelare la sua versione dell’equivalente mesklinita. Disse quindi, nello stesso tono grave di Lackland: — Tu puoi fare la tua parte, Charles, anche se non sai. Ricordo che a proposito degli alianti, mi hai detto che velivoli di quel genere erano stati inventati e usati sul tuo pianeta nel passato, oltre duecento dei vostri anni fa. Posso immaginare quanto ne sappiate di più oggi, e quante siano le cose che noi non sappiamo ancora. Perciò potete fare lo stesso quello che vi chiedo. Lo avete già fatto, anche se in minima parte, mostrandoci, come funziona quell’argano differenziale. Io non ci capisco niente, e nemmeno Dondragmer che ci ha studiato sopra più tempo di me, riesce a capire come e perché funziona, ma siamo sicuri entrambi che in certo qual modo quell’argano è parente delle leve che noi usiamo dall’antichità più remota della nostra razza. Noi vogliamo cominciare dal principio, anche se sappiamo che non potremo mai imparare tutto ciò che voi sapete nello spazio di una generazione. La nostra unica speranza è di imparare abbastanza per arrivare a scoprire da noi come siate riusciti a inventare tante cose. Capisco anch’io che in un campo come questo non si tratta di buttarsi a indovinare e nemmeno di fare della filosofia, come fanno i nostri sapienti che ci dicono che Mesklin è una coppa. Su questo punto sono pronto ad ammettere che hai ragione. Ma mi piacerebbe sapere come avete fatto voi a scoprire la forma del vostro mondo. Voglio sapere, per esempio, perché la «Bree» galleggia e perché la canoa per un po’«ha fatto lo stesso. Voglio sapere che cosa ha stritolato la canoa e perché il vento soffia ininterrottamente attraverso quello spacco del muraglione… no, non ho capito la spiegazione che me ne hai dato a suo tempo. Voglio sapere perché sentiamo più caldo d’inverno, quando non possiamo vedere il sole per il periodo di tempo più lungo. Voglio sapere perché il fuoco arde e perché la polvere di fiamma uccide. Voglio che i miei figli o i loro figli, se mai ne avrò, sappiano che cosa fa funzionare questa radio, il tuo trattore, questo razzo. Sì, riconosco che voglio sapere troppo, molto di più di quanto riuscirò mai a imparare. Ma se potrò portare la mia gente a imparare con i suoi mezzi, come dovete avere fatto voi… ebbene, quel giorno non m’interesserà più di vendere per il profitto!
Un lunghissimo silenzio seguì al discorso di Barlennan.
Fu Rosten che alla fine ruppe quel penoso silenzio: — Barlennan, se tu imparassi tutto quello che vuoi e cominciassi a insegnarlo ai tuoi simili, saresti disposto anche a rivelare da dove ti è venuta questa scienza? Credi che gioverebbe al tuo popolo saperlo?
— Per alcuni, sì: sarebbe un bene. Vorrebbero sapere degli altri mondi che popolano lo spazio e degli altri esseri umani che hanno seguito prima di loro la stessa via della conoscenza. Altri… bè, ci sono molti dei nostri simili che preferiscono non spremersi troppo le meningi. Se sapessero la verità, non si prenderebbero la briga di imparare a loro volta, chiederebbero solo di essere messi al corrente di tutto quello che li incuriosisce come facevo io ai primi tempi. E non ci crederebbero mai, quando si sentissero rispondere che non si può spiegare perché non capirebbero. Penserebbero che li si voglia ingannare. Immagino che se dicessi a tutti da chi ho saputo certe cose… no, credo che sarebbe meglio lasciar credere che il genio sono io. O magari Don: è più facile che credano che sia lui, il genio.
La conclusione di Rosten fu breve e precisa: — L’accordo è fatto.