Capitolo 9 SEPARAZIONE

Per alcuni interminabili istanti nessuno pronunciò una parola. Lackland e Barlennan, che avevano lavorato con tanta serietà sulle fotografie con le quali era stato possibile tracciare la mappa, erano sbalorditi.

— Ma come può essere sfuggita alle macchine fotografiche? — disse finalmente Barlennan alludendo alla scarpata. — D’accordo, vista dall’altezza a cui si trovava il razzo quando furono prese le fotografie, non poteva apparire troppo elevata, ma doveva gettare per forza un’ombra molto allungata, nei minuti immediatamente prima del tramonto… — Non so cosa dirti, Barl. Si vede che le fotografie di questa zona sono state prese fra l’alba e mezzogiorno, quando non c’erano ombre visibili. Adesso, però, dobbiamo trovare assolutamente il modo di continuare la nostra spedizione.

Seguì un altro silenzio, e sarebbe durato molto più a lungo del primo se bruscamente, con grande sorpresa dei due, non lo avesse rotto il Vicecomandante: — Non sarebbe opportuno che gli amici del Volatore, lassù in alto nel cielo, scoprissero per noi quanto si estende questo muragliene da una parte e dall’altra? Ci sarà un pendio più dolce dov’è possibile scendere, senza dover fare troppi giri viziosi. Non dovrebbe essere difficile per gli amici del Volatore fare nuovi rilievi, se questo strapiombo è sfuggito loro la prima volta.

Barlennan tradusse questa proposta, che era stata fatta dal suo Secondo in lingua mesklinita. Lackland inarcò le sopracciglia.

— A quanto pare — disse a Barlennan — il tuo amico capisce l’inglese abbastanza bene: per lo meno, abbastanza da comprendere il nostro ultimo colloquio sull’argomento. Benvenuto, dunque, nella nostra conversazione. La tua proposta è eccellente: chiamo subito la stazione su Toorey.

L’operatore ai servizi radio dell’osservatorio posto sul satellite detto Toorey rispose immediatamente. Funzionava infatti un servizio di ascolto ininterrotto sulla frequenza della trasmittente principale del trattore, collegata al satellite da numerosi relè che gravitavano nello spazio entro l’anello esterno di Mesklin. Lackland ebbe l’assicurazione che un volo di rilevamento sarebbe stato fatto al più presto possibile.

Quel «più presto possibile», tuttavia, implicò un gran numero di giorni di Mesklin. Nell’attesa, il terzetto tentò di escogitare altri piani, per l’eventualità che lo strapiombo non potesse essere superato a una ragionevole distanza dal punto in cui si trovava l’inquieta carovana.

Lackland stava dormendo profondamente da molte ore terrestri, quando giunse la comunicazione del razzo partito dalla luna per fare i nuovi rilievi dell’orografia di quella regione di Mesklin. Fu un messaggio piuttosto laconico e molto scoraggiante. La muraglia rocciosa su cui si affacciava la spedizione cadeva a picco sul mare, a un migliaio di chilometri a nord est della loro attuale posizione, quasi esattamente sull’equatore. Nella direzione opposta si allungava per quasi duemila chilometri, diventando sempre più bassa, fino a scomparire del tutto alla latitudine di cinque gravità circa. Il suo andamento non era perfettamente rettilineo: si allontanava con una vasta curva dall’oceano a un dato punto, cioè proprio nel punto dove si trovava il trattore. Gettandosi oltre l’orlo della muraglia entro i confini della baia, due fiumi formavano due grandi cascate: una, a una cinquantina di chilometri di distanza verso sud, l’altra a centosessanta chilometri a nordest, oltre 1 ansa della muraglia. Secondo l’osservatore che stava facendo la sua relazione a Lackland, su tutta l’estensione della parete verticale non esisteva un solo tratto in cui il trattore potesse tentare la discesa. Restava forse una minima probabilità di riuscita presso una delle cascate dove i processi di erosione potevano aver scavato qualche declivio percorribile.

— Ma come diavolo può essersi formata una muraglia del genere? — disse Lackland, furente. — Tremila chilometri di roccia a picco che ci bloccano la strada! Proprio a noi doveva capitare di imbatterci in un fenomeno del genere! Scommetto che non esiste un’altra muraglia come questa su tutto il pianeta!

— Non ti sbilanciare troppo con le scommesse — lo avvertì il cartografo. — I nostri geologi sono andati in brodo di giuggiole, poco fa, quando ho descritto loro questa muraglia. Uno ha detto di essere sorpreso che tu non ne avessi già incontrate… Un altro ha sostenuto che più ti allontanerai dall’equatore, più frequenti diventeranno questi bastioni rocciosi…

— Cioè, potrò trovarne altri, prima di arrivare all’oceano? Sempre ammesso che riusciamo a scendere giù da questo, senza romperci l’osso del collo, naturalmente…

— No. Se ce la farai a superarlo, i tuoi guai sono finiti, per così dire. Potrai anzi varare la nave del tuo amico pinzuto nel fiume che scorre ai piedi della parete rocciosa. Il tuo solo problema, adesso, è di portare giù la nave.

— Già — osservò Lackland ironico — un gioco da ragazzi! Grazie, Hank. Comunque può darsi che abbia bisogno di parlarti ancora, più tardi.

Lackland si allontanò dall’apparecchio e si coricò sulla sua cuccetta, sforzandosi di pensare. Non aveva mai visto la «Bree» galleggiare e quindi ignorava il pescaggio dello scafo. Tuttavia, per poter galleggiare su un oceano di metano liquido, che ha una densità inferiore del cinquanta per cento a quella dell’acqua, doveva essere estremamente leggero. In più, la nave non era cava, non galleggiava cioè in virtù di una vasta massa d’aria al centro della sua struttura, come fa un bastimento d’acciaio sui mari della Terra. Il «legname» di cui era fatta la «Bree» era di per sé abbastanza leggero da galleggiare sul metano, sostenendo inoltre l’intero equipaggio e un carico molto spesso ingente.

Ognuna delle zattere che formavano la nave, di conseguenza, non poteva pesare più di qualche etto, forse un chilo al massimo, in quelle regioni del pianeta. In queste condizioni lo stesso Lackland avrebbe potuto stare in piedi sul ciglio del precipizio e calare parecchie zattere alla volta. Due marinai qualsiasi sarebbero stati probabilmente in grado di sollevare la nave intera, una volta convinti a mettersi sotto quel peso. Lackland non aveva nessun’altra cima o gomena oltre a quella usata per trainare la slitta. Ma le corde non mancavano alla «Bree». E i marinai sarebbero stati senza dubbio capaci di montare qualche congegno di sollevamento per risolvere il problema, ammesso che lo volessero. Sulla Terra sarebbe stata una normale manovra marinara. Su Mesklin, però, con tutti quei pregiudizi profondamente radicati verso ogni azione che comportasse il sollevamento dei gravi, come saltare contro la legge di gravità, o lanciare un grave nello spazio, e la generale diffidenza verso qualsiasi altra azione che richiedesse comunque un dislivello dal suolo, la situazione poteva anche essere molto diversa.

Il vero problema, adesso, era di sapere se i marinai di Barlennan sarebbero stati disposti a venire calati oltre l’orlo del dirupo insieme con la loro nave.

Lackland allora, attivata la sua piccola trasmittente, chiamò il suo minuscolo amico: — Barl, stavo pensando a una cosa: il tuo equipaggio non potrebbe calare la nave a pezzi, una zattera per volta, grazie a cavi posti sull’orlo del precipizio, per poi ricostruire il tutto sul fondo?

— E tu, come scenderesti con il trattore?

— Io non scenderei affatto. C’è un grosso fiume a una cinquantina di chilometri a sud che dovrebbe essere navigabile fino al mare, se è vero quello che mi ha detto Hank Stearman. La mia proposta è di rimorchiarti fino alla cascata, aiutarti in ogni modo a calare la «Bree» oltre l’orlo del precipizio, assistere alla sua messa in acqua nel fiume e augurarti ogni fortuna e ogni bene. Tutto ciò che potremo fare per te, d’allora in poi, sarà fornirti dati precisi sul tempo e la navigazione, come avevamo già stabilito. Tu hai corde, non è vero, che possono reggere il peso di una zattera?

— Sì.

— E l’equipaggio? Accetterà di farsi calare nel vuoto in quel modo?

Barlennan rifletté per qualche istante. Poi: — Credo di sì, Charlie. Farò salire i marinai sulle zattere, con l’ordine di tenerle staccate dalla parete di roccia. Cosi non staranno con gli occhi fissi verso il basso e non avranno il tempo di pensare al fatto di essere sospesi nel vuoto. E poi, con la sensazione di estrema leggerezza che tutti noi proviamo in queste regioni, non si pensa molto a cadere. — Lackland, che faticava a tenere un braccio teso, da quanto gli pesava, a questo punto gemette dentro di sé. — Andrà tutto bene, vedrai. Sarà meglio metterci in viaggio subito per la cascata, allora.

— D’accordo.

Lackland si alzò a fatica dalla cuccetta della cabina di guida per rimettere in moto il trattore. Una stanchezza immensa era scesa improvvisamente su di lui. La sua parte era quasi finita, ormai, più presto di quanto si fosse aspettato, e tutta la sua carne adesso implorava sollievo dal peso feroce che da sette mesi a quella parte lo torturava a ogni passo, a ogni gesto e in ogni istante.

Il trattore voltò a destra e riprese ancora una volta la sua lenta marcia, parallelamente al corso del burrone, a duecento metri di distanza dal ciglio.

Arrivarono alla cascata in una sola tappa di venti giorni di Mesklin. Sia i marinai, sia Lackland avevano cominciato a sentirla già molto tempo prima di giungervi. All’inizio una vaga vibrazione dell’aria, come un fremito, che in breve era diventato un rumore tonante e alla fine un rombo, un boato ininterrotto, d’una potenza straordinaria. Era giorno, quando arrivarono in vista della cascata e Lackland istintivamente si arrestò. Il fiume raggiungeva una larghezza di quasi un chilometro, là dove si gettava nel vuoto, e la sua corrente era liscia e piana come vetro: nessuno scoglio, nessun ostacolo sembrava infrangere il suo corso. Poi sul ciglio s’incurvava e con un semplice salto precipitava di sotto. Per l’erosione incessante la cascata era arretrata di un buon chilometro e mezzo dalla linea del ciglio e, da dove si trovavano, gli esploratori godevano una vista superba della gola entro cui scorreva il fiume. La velocità con cui il liquido cadeva faceva sollevare un’eruzione di spruzzi dal fondo. Nonostante l’atmosfera e la forza di gravità del pianeta, una nube costante di vapori ricopriva la parte più bassa della cascata. Poi questa nube svaporava a poco a poco, man mano che ci si allontanava dalla parete a picco, rivelando la superficie ribollente, vorticosa, del corso inferiore del fiume dopo il salto. La massa liquida sollevava un turbine di vento tutt’intorno, poi la corrente diventava più placida e fluiva via verso l’oceano.

Il lavoro ebbe subito inizio. Mentre alcuni marinai calavano una corda come un filo a piombo lungo la parete della muraglia, per avere una misura precisa del salto, altri si misero a staccare le varie zattere che componevano la nave.

Barlennan e Dondragmer andarono a cercare il punto più adatto dove iniziare le operazioni di discesa. Lo scelsero il più vicino possibile alla gola e al fiume, dal momento che, una volta calate, le varie parti avrebbero dovuto essere trascinate fin sulla riva senza l’aiuto del trattore.

Poi, unendo insieme i vari alberi della nave, venne eretta un’alta impalcatura sull’orlo dello strapiombo, per avere un punto di sospensione abbastanza in fuori da evitare l’attrito e il conseguente logorio delle corde. Carrucole e corde furono infine piantate sull’impalcatura e la prima zattera messa in posizione.

Alcuni minuti dopo, la zattera calava senza incidenti venti metri più sotto, ai piedi del bastione roccioso, con a bordo Dondragmer e un marinaio. Le altre zattere vennero a poco a poco portate al livello sottostante con lo stesso sistema, cosicché, alla fine, rimasero presso il burrone soltanto l’impalcatura fatta con gli alberi, Barlennan e Lackland dentro il suo carro corazzato.

Quando il terrestre, pregato da Barlennan, usci dal trattore, il penultimo carico stava calando, manovrato dal basso e composto quasi esclusivamente dei materiali che erano serviti nelle operazioni precedenti. L’ultima zattera, già pronta per essere calata, era in attesa presso l’orlo, con l’apparecchio radio a bordo. Senza esitazioni Barlennan vi salì sopra, e Lackland cominciò a far scorrere l’ultima corda intorno all’ultimo albero rimasto sul ciglio del precipizio.

Zattera, radio e Barlennan scomparvero sotto il ciglio. Ma la voce del mesklinita continuava a risuonare pacata e cortese nei microfoni dentro il casco di Lackland, mentre la zattera, lentissimamente, scendeva lungo la parete verso le rocce del fondo. Finalmente la voce di Barlennan avverti, con un tono evidente di sollievo: — Ecco, abbiamo toccato il fondo, Charles. Adesso aspetta il mio segnale, prima di lasciare cadere l’albero e la corda. Dobbiamo ancora sgomberare il punto.

Rimasto solo, Lackland, per ingannare il tempo e pieno di simpatia per il suo piccolo amico mesklinita, tagliò un mezzo metro di corda a uno dei capi e se lo avvolse intorno alla manica dello scafandro, come ricordo.

Aveva appena finito che la voce di Barlennan risuonò ancora nei microfoni: — Ecco, Charles. Abbiamo sgomberato il punto dove lascerai cadere i materiali.

Lackland obbedì, e albero e corda sparirono di colpo, come risucchiati verso il basso da una forza spaventosa.

Nelle due ore che occorsero all’equipaggio per ricostruire la «Bree», seguì le operazioni sullo schermo del radiotelevisore posto nell’interno del trattore. Con l’ombra di un desiderio nostalgico, quello di poter esserci anche lui a bordo, vide i fasci di zattere ricongiunte che venivano spinti nell’ampio e rapido fiume, mentre i saluti di Barlennan, di Dondragmer e di tutto l’equipaggio ronzavano nell’altoparlante. In breve, la corrente trasportò la nave abbastanza a valle dalla cascata perché potesse vederla dagli oblò del trattore. Lentamente e silenziosamente Lackland alzò il braccio in un lungo cenno di addio, poi rimase ancora a guardare la «Bree» farsi sempre più piccola, fino a quando non fu scomparsa del tutto nella sua corsa verso l’oceano lontano.

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