CAPITOLO SEDICESIMO

Clarity aveva acconsentito ad ogni cosa che il suo capo le aveva richiesto. Vandervort sapeva che, in ultima analisi, la ragazza era dotata di logica e di buon senso, come lei. Era possibile che coltivasse ancora l'idea di liberare Flinx, ma non aveva né l'esperienza né le conoscenze necessarie per farlo. La donna non aveva dubbi che col tempo sarebbe riuscita a manipolare come voleva entrambi i giovani.

Aveva un servizio di trasporto privato che avrebbe fatto il trasloco e poi c'erano anche Dabis e Monconqui. Il contenitore di plastacciaio, ora coperto per non rivelare il contenuto a qualche osservatore occasionale, non avrebbe presentato alcun problema.

Era un giorno non lavorativo e dovette pagare doppia tariffa per il servizio, ma il conto spese illimitato di cui godeva, le dava anche questa possibilità. I ricercatori della Scarpania erano più che ansiosi di vedere la sua preda.

Ci vollero due settimane per preparare ogni cosa. Un'installazione segreta era stata messa a punto su un'isola di un mondo isolato dall'altra parte del Commonwealth. Avrebbero viaggiato su di un'astronave mercantile della Scarpania, senza altra mercanzia che loro stessi e il loro prezioso carico addormentato. Per chiunque altro sarebbe stato un vistoso spreco di denaro, ma i nuovi membri del suo staff scientifico avevano riconosciuto l'importanza della scoperta della Vandervort e ne apprezzavano appieno il potenziale.

C'era anche Clarity, con l'aria abbattuta ma pronta a partire, anche se non si era del tutto rassegnata alla situazione. Stava certo continuando a fare piani e progetti, pensò Vandervort, ma andava bene così: questo le avrebbe dato qualcosa da pensare durante il lungo e noioso viaggio nel non spazio.

Dabis la chiamò dalla cima delle scale. — Sono arrivati, signora.

— Hai controllato i loro documenti?

— Sissignora…

— Allora lasciali passare e vediamo di muoverci.

Guardò un'ultima volta la stanza nella quale aveva passato tante ore febbrili durante il mese passato. Monconqui stava controllando il serbatoio del morfogas per essere sicuro che fosse pieno e funzionasse a dovere. Era un tipo di poche parole, a differenza di Dabis, ma entrambi sembravano fatti dello stesso stampo. Erano molto più che assassini senza cervello: con il denaro, si potevano assumere muscoli intelligenti, e non solo stupidi.

La squadra del trasloco indossava una tuta verde ed un berretto. Lei si era aspettata gente della taglia di Dabis, ma sembrava che la compagnia avesse optato per il numero invece che per la grossezza. Forse avevano avuto delle difficoltà a richiamare i soliti operai con un preavviso breve, anche se per paga doppia. Non che la taglia e la forza fossero indispensabili, ricordò a se stessa. Con le àncore a levitazione di cui erano dotati, in quattro potevano tranquillamente spostare un generatore di due tonnellate. Una delle donne, una bionda alta, dall'aspetto gelido, sembrava capace di sollevare da sola una delle estremità del contenitore, mentre i suoi tre compagni non sembravano altrettanto capaci. Uno in particolare sembrava troppo vecchio per un lavoro del genere, anche con l'aiuto dell'ancora. Ma lei non ne sapeva molto delle qualità necessarie per quel particolare tipo di lavoro, si disse.

Si accostò alla tenda e la scostò per l'ultima volta. — Cominciamo da qui.

— Bene. — disse il giovane che sembrava il capo.

I quattro piazzarono le ancore e le accesero. Un semplice movimento del polso bastò per sollevare di parecchi centimetri il contenitore con l'unità atmosferica. Con cautela, girarono la parte anteriore verso la scala.

— Ricordate che si tratta di materiale fragilissimo e di estremo valore — disse loro la Vandervort. Dietro di lei, Clarity emise uno sbuffo sprezzante. Vandervort quasi corrugò la fronte, ma poi riuscì a non cambiare espressione.

Dal canto suo, la donna bionda e alta sorrise.

Perché quel sorriso? E a pensarci bene, perché avrebbe dovuto avere una qualunque reazione per una cosa tanto insignificante? Il sorriso era già scomparso. Non era necessario dire nulla, fare nessun commento.

Ma qualcosa spinse Vandervort a fare un passo avanti, portandosi di fronte a quella donna tanto più alta di lei. — C'è forse qualcosa di buffo?

Lo splendido viso della donna era privo di espressione. — Nossignora. — Esitò. — È solo che siamo fieri del nostro lavoro. Mi divertiva il fatto che qualcuno potesse pensare che non avremmo maneggiato con la massima cura qualunque carico affidato a noi.

— Capisco. — Vandervort si spostò. Una spiegazione perfettamente plausibile per un sorriso innocente. Troppo plausibile? O troppo tempestiva? — Un'altra cosa. — I quattro si fermarono, ognuno con la mano sui comandi delle ancore. — Posso vedere ancora una volta i vostri documenti, per favore?

Il capo esitò una frazione di secondo, poi tese la mano verso la tasca superiore della tuta. Fu l'uomo anziano che commise l'errore fatale. Forse credeva di parlare a voce più bassa di quanto facesse in realtà. Forse invece era solo un po' duro d'orecchi. Comunque fosse, Vandervort lo udì chiaramente sibilare: — Non fargliela vedere.

Gli occhi della donna bionda guizzarono nella sua direzione. Ignorando il consiglio, il giovane prese il documento e lo tese a Vandervort, che finse di ispezionarlo attentamente. Sussurri, sguardi in tralice, sorrisi inesplicabili.

— Nessun problema, signora — stava dicendo il giovane tutto allegro. — C'è qualcosa che non va?

— Solo un controllo di routine. — Tenendo in mano il documento, Vandervort si voltò perché non potessero vederla in viso. Colse lo sguardo di Dabis e mosse silenziosamente le labbra. L'omone spalancò gli occhi e fece un cenno impercettibile. A quel punto, la Vandervort si tuffò al riparo dietro alcune casse.

Dabis si chinò e fece fuoco con la pistola ad aghi. Non essendo stato messo in guardia, Monconqui fu leggermente più lento, ma non appena vide muoversi il compagno, si gettò al riparo.

La reazione dei trasportatori fu rapida, ma non abbastanza. Nonostante la recente esperienza, non possedevano ancora l'abilità di combattenti professionisti. Il più lento dei quattro venne colpito in pieno petto dal colpo di Dabis. Questo penetrò attraverso lo sterno, bruciando nervi, vasi sanguigni, e spina dorsale, per uscire dalla schiena e andare a conficcarsi nella parete.

Urla e grida riempirono la stanza. Clarity era un facile bersaglio per i falsi operai, ma questi non ebbero tempo di concentrarsi su di lei e così riuscì a mettersi al riparo. Il problema erano Dabis e Monconqui. Entrambi erano nascosti dietro grosse casse che contenevano equipaggiamenti di monitoraggio e strumenti elettronici. Erano in inferiorità numerica, ma erano tiratori migliori e controllavano l'unica uscita della stanza, mentre gli avversari dovevano mettersi allo scoperto sulla scala per poter prendere di mira la stanza.

Il fuoco continuava serrato. Il colpo di una pistola neuronica sfiorò Clarity, paralizzandole momentaneamente il fianco sinistro. Ma pochi istanti dopo, la sensibilità tornò, lasciando solo una sensazione di prurito.

Vandervort era sdraiata poco distante, e osservava lo scontro. — Tieni giù la testa, bambina! Tu ed io non c'entriamo niente con tutto questo. — Stava sbirciando tra due grosse casse e poteva farlo senza problemi, in quanto gli avversari avevano concentrato il fuoco sulle due guardie del corpo.

L'uomo che era stato colpito, giaceva ai piedi delle scale, con lo sguardo vitreo rivolto verso l'alto e il buco nel petto ancora fumante. Abbandonato dai trasportatori, il contenitore era andato alla deriva e si era fermato contro una parete poco lontana, ancora sospeso alle quattro ancore che ronzavano piano.

— I tuoi amici di Alaspin e Longtunnel — mormorò Vandervort, cercando di ottenere una visuale migliore senza esporsi. Alzò la voce. — Arrendetevi! I miei due uomini prima o poi vi colpiranno, loro sono professionisti e voi no! Qualunque cosa intendeste fare qui, è andata a monte. Non riuscirete ad avere Clarity.

— L'avremo. — Clarity pensò di riconoscere la voce del giovane, che si teneva fuori vista in cima alle scale. — E avremo te e anche il mutante.

— Come fanno a sapere di Flinx? — Vandervort scosse la testa incredula. — Come hanno fatto a scoprirlo? — Di colpo si voltò verso Clarity, accucciata poco distante. La ragazza spalancò gli occhi e scosse con forza la testa. L'amministratore rifletté prima di parlare ancora.

— Non so di cosa stiate parlando.

Questa volta, la bionda alta rispose con una risata acuta. — Abbiamo decifrato il codice di comunicazione della Coldstripe molto tempo fa, quindi puoi fare a meno di mentirci. Abbiamo saputo del mutante ancor prima della Scarpania.

— Maledizione — mormorò Vandervort. — Avevo detto ai nostri di cambiare le chiavi di accesso almeno ogni due giorni. Lavativi figli di puttana!

La bionda non aveva ancora finito. — Come pensi che sapessimo dove trovarvi su Longtunnel, dove fossero i vostri archivi e i laboratori? Quando è stata nostra ospite su Alaspin, la vostra pasticcia-geni ci ha detto qualcosa di quello che volevamo sapere, ma non tutto. Il resto lo abbiamo saputo tenendo sotto controllo le vostre trasmissioni locali e tramite il nostro agente nella vostra organizzazione. — Fece un risata priva di allegria. — Non avete notato che il vostro amico Jase sembra avere nove vite?

Vandervort impallidì e Clarity godette dello sconforto dell'altra. — Avevi pensato a tutto, vero? — L'amministratore non rispose. La bionda stava ancora parlando.

— La pasticcia-geni viene con noi, così saremo sicuri che non manipolerà più la natura.

— E che cosa ne fate del giovane? È stato trattato con tutte le cure. Si chiama Flinx e non avete alcun diritto di…

Questa volta fu l'uomo giovane ad interromperla. — Proprio tu ci fai una lezione sui diritti degli individui? Ci credi sciocchi come i tuoi ex datori di lavoro? Stai sprecando fiato, Vandervort.

Nonostante l'avvertimento del suo superiore, Clarity sollevò la testa al di sopra delle casse, per farsi sentire chiaramente. — E allora lasciatelo andare. Non fatelo prendere da nessuno! — Ignorò i gesti frenetici di Vandervort. — Lui non vi ha fatto nulla.

— È quello che è stato fatto a lui che importa. — Era la voce dell'altro uomo, che si faceva sentire per la prima volta e il tono era autoritario. — Lo tratteremo con ogni cura, mentre tenteremo di riportarlo alla normalità, cercando di correggere i danni perpetrati dai Meliorare. Ci sono ingegneri genetici che simpatizzano con la nostra causa.

— I Meliorare lavoravano su cellule prenatali — replicò Clarity. — Era una cosa diversa. Non potete manipolare il codice genetico di un essere adulto. Finirete col rovinare la sua mente o la sua personalità, se non entrambe le cose.

— Non abbiamo intenzione di fare nessuna delle due cose — rispose l'uomo. — Indipendentemente dal risultato, si tratterà sempre di un miglioramento di ciò che esiste ora, perché l'individuo in questione sarà di nuovo pienamente umano, dopo che avremo finito con lui.

Il colpo di una pistola neuronica le passò sopra la testa e Clarity fu costretta ad abbassarsi di nuovo. Dabis e Monconqui risposero al fuoco.

— Lo volete? Venite a prendervelo! — Il tono di Dabis era volutamente provocatorio. — Sta galleggiando proprio lì, contro la parete ai piedi delle scale. Perché non vi fate una capatina giù e non riprendete le vostre ancore?

— Lo faremo presto — gridò la donna. — Possiamo anche non avere il vostro addestramento, ma ci siamo esercitati a lungo per un momento come questo. Non siamo a digiuno di tattica. Forse non riusciremo a farvi uscire allo scoperto o a impadronirci del mutante, ma voi siete intrappolati qua sotto. Abbiamo tagliato tutte le comunicazioni verso l'esterno e l'intero edificio è schermato. Neppure un elettrone può uscirne. Non potete parlare con nessuno all'esterno e nessuno vi aspetta per un po', quindi nessuno verrà a cercarvi. La tua ossessione per la riservatezza, Vandervort, lavora anche a nostro vantaggio. Noi non possiamo entrare e voi non potete uscire. Quindi dobbiamo trovare un altro modo per risolvere il nostro piccolo impasse.

— Stai tranquilla che lo risolveremo! — fu l'aspra risposta di Vandervort. — Voi tre andrete a fare compagnia al vostro amico sul pavimento.

— Non credo. Noi non faremo altro che starcene qui seduti tranquilli, mentre uno di noi andrà a cercare aiuto. Questo è il nostro vantaggio. Per coprire l'uscita basta una persona sola.

— Potrete portarvi qui un centinaio di rinforzi, ma non riuscirete mai a farli scendere da quelle scale! — Dabis stava guadagnandosi la paga.

— Non ce n'è bisogno. Il morfogas che avete usato per addormentare il mutante, si può facilmente introdurre in questa stanza. E tutti voi vi farete un sonnellino. — A questo, Dabis non ebbe una risposta pronta.

Ci provò Monconqui. — Abbiamo delle maschere, il gas non ci darà alcun fastidio.

— Forse le avete, e forse no. Vediamo di scoprirlo. Non abbiamo niente da perdere a provare. A meno che trattiate.

Intervenne il giovane. — Voi due con le armi… questo per voi è solo un lavoro. Perché rischiare di farsi ammazzare per quattro soldi?

— Perché è il nostro lavoro — replicò Dabis in tutta semplicità.

— Siamo pronti a raddoppiare o anche a triplicare la somma che vi dà la Vandervort.

— Spiacente — e Monconqui lo sembrava davvero, — ma se rompiamo un contratto, nessuno ci darà più lavoro. E inoltre, ci sono anche delle gratifiche che ci aspettano quando avremo consegnato le persone in questione alla loro destinazione.

— Un'etica ammirevole al servizio di una causa persa — dichiarò il secondo uomo.

— Forse possiamo fare un patto — si intromise Vandervort.

— Che genere di patto?

— Voi volete l'ingegnere genetico. Per noi invece è più importante il mutante.

Clarity fissò esterrefatta il suo capo e cominciò ad indietreggiare, fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete. Vandervort fece un sorriso di scusa. — Mi spiace, mia cara, ma la situazione è grave. E a mali estremi, estremi rimedi.

La risposta di Clarity fu un sussurro inorridito. — Non avrei mai dovuto ascoltarti, avrei dovuto dare retta a Flinx. Non è lui quello pericoloso, qui. Tu sei diabolica e pericolosa.

— Dal momento che la pensi così, non mi sento più obbligata a farti le mie scuse. — Vandervort si voltò e parlò di nuovo a voce alta. — Che ne dite? Avete già distrutto l'installazione di Longtunnel. Io sono solo un amministratore, che sta per cambiare lavoro. Potete prendervi l'ingegnere.

Fu la bionda a rispondere. — Dobbiamo avere anche il mutante. Da come la vedo io, strategicamente noi siamo in vantaggio. Voi dovete attraversare la stanza per raggiungere le scale. Non vedo nessuna ragione di venire a patti con voi, per niente.

— Noi potremo anche non farcela, ma qualcuno di voi morirà — disse Dabis. — Sarebbe molto meglio se potessimo uscirne tutti senza altri morti.

Seguì un lungo silenzio, poi la bionda rispose. — Ci penseremo.

— Non pensateci troppo — l'ammonì Vandervort. — Potremmo decidere di andarcene senza il vostro permesso. — E pronunciate quelle parole, si lasciò ricadere dietro le casse, dimostrando di colpo tutti i suoi anni. Facendo attenzione al braccio ferito, si scostò i capelli dalla fronte e colse lo sguardo di Clarity che la fissava impietrita.

— Oh, non guardarmi così, mia cara — mormorò irritata, — è maleducato da parte tua e non ti si addice e oltretutto non mi fa nessun effetto.

— Sai — disse Clarity in tono neutro, — ho sempre voluto essere come te. Ti ammiravo per la facilità con cui riuscivi a conciliare scienza e affari. Eri una donna che ce l'aveva fatta e da sola.

— Certo, ho fatto tutto da sola. E intendo continuare così. Con te vicino, sarebbe stato più facile, ma anche se tu sei la migliore, riuscirò a rimpiazzarti, trovando un altro altrettanto bravo o quasi. È il nostro giovanotto ad essere insostituibile, non tu.


Il lago si agitò. All'improvviso, l'acqua non fu più così limpida e lui non galleggiava più immerso nella pace. Sentì, più che vedere, Pip e Scrap che fluttuavano accanto a lui e seppe che anche la loro serenità era stata disturbata.

Le forme continuavano a volteggiare sopra la superficie del lago, ma neppure esse erano più placide e sognanti: erano diventate demoniache e irate. Per la prima volta, percepì di non essere solo in quel lago. C'erano delle cose che si muovevano nelle profondità, molto al di sotto di lui, laggiù, dove l'acqua diventava fredda e oscura. C'era un'immensa cosa verde, senza forma, che cercava disperatamente di raggiungerlo, cercando di risvegliare la sua coscienza, come una pietra che trae scintille da un'altra roccia. Forme nel vuoto, familiari e al tempo stesso irriconoscibili.

Per quanto cercasse di concentrarsi, la cosa verde senza forma e quella sensazione strana scomparvero, mentre i visi demoniaci diventavano duri come il vetro. Gli sembrò di cominciare ad innalzarsi verso la superficie del lago, come se stesse acquisendo una sorta di galleggiamento mentale e non solo fisico. Ma anche così, quando attraversò la superficie, non era pronto.

Niente aveva senso. Quando fluttuava sott'acqua, il suo respiro era normale e rilassato. Ora che era tornato nell'atmosfera, si trovava a boccheggiare in cerca d'aria. Gli occhi sembravano schizzargli dalle orbite e i polmoni annaspavano. Accanto a lui, Pip e Scrap erano due ammassi di spire contorte.


Quando il contenitore era stato abbandonato, era andato alla deriva sulle sue ancore di levitazione, finendo contro la parete sotterranea. La scatola beige che conteneva i cilindri di morfogas e la valvola di flusso, avevano subito una leggera scossa. Il risultato era stata una frattura in uno dei tubi di raccordo. Monconqui avrebbe potuto notarlo in una delle sue ispezioni, ma purtroppo, quel gentiluomo era stato occupato con altre cose, per un po'.

L'aria della stanza entrava nel sarcofago, mentre il gas ne usciva. Molto lentamente, l'atmosfera nel contenitore stava tornando alla normalità e pur continuando ad essere sigillato, non era a prova di suono. Dall'interno si udivano le voci che discutevano e gli spari delle armi.

Ma con la lastra di copertura chiusa, l'interno continuava ad essere buio come le caverne di Longtunnel.

Flinx cercò di rimettere in moto il cervello. L'ultima cosa che ricordava era di trovarsi seduto sul letto della sua camera di albergo, a guardare il tridi, con Pip arrotolata su di una sedia lì accanto e Scrap che cercava di avvolgere la coda sul lampadario. E ora invece si trovava sdraiato in un qualche tipo di contenitore, con Pip e Scrap accanto a lui. Il suono ovattato delle grida e degli spari giungeva fino a lui. Le voci sembravano umane, quindi era probabile, anche se non sicurissimo, che all'esterno della sua prigione ci fosse aria respirabile.

Esplorò l'interno del contenitore come poté, ma non trovò né un'interruttore né una maniglia di apertura. Questo significava che quel sarcofago era costruito per aprirsi solo dall'esterno ed era un fatto che aveva senso. Le sue dita trovarono tre spesse cerniere e ne capirono la funzione.

Ricordò il riposo pieno di pace nel lago dei suoi pensieri. Per qualche ragione era stato narcotizzato e a giudicare dai muscoli intorpiditi, era rimasto parecchio privo di sensi. Ma nonostante questo, si sentiva vigile e a posto. Il lungo sonno gli aveva sgombrato la mente dalle ragnatele. Lasciò libero il suo talento e scoprì di poter percepire con molta chiarezza le emozioni che lo circondavano. Forse la combinazione tra il lungo riposo forzato e l'agente narcotizzante avevano favorito un innalzarsi della sua percezione. O forse gli era successo qualcosa mentre era rinchiuso in quella prigione, senza poter vedere altro che la sua mente. Aveva vaghi ricordi di potenti forme che non riusciva a vedere, e soprattutto di una, verde e immensa. Echi di un mondo di sogno pieno di pace.

Toccò delle menti ostili e si allontanò, come una farfalla che passa di fiore in fiore. I suoni e le emozioni gli dissero che quella persone stavano sparandosi addosso. In mezzo a quell'oceano di sensazioni sconosciute, ce n'erano due che conosceva bene. Una era Alynasmolia Vandervort, una combinazione di cupidigia, ambizione, speranza e odio.

Clarity invece era piena di disgusto, preoccupazione, paura e qualcosa d'altro che non riuscì ad identificare. A quel punto, sussurrò qualcosa a Pip. Non comunicavano solo empaticamente: il serpente volante aveva un'intelligenza sufficiente per imparare e rispondere ad alcuni comandi verbali elementari.

Spostandosi il più possibile verso destra, batté con un dito sulla cerniera più bassa, mormorando una parola. Pip individuò la posizione del suo dito dal suono che faceva colpendo la cerniera, attese che il suo padrone avesse ritirato la mano e poi sputò.

L'odore pungente del metallo che si dissolveva riempì il contenitore, minacciando di soffocare Flinx. Lottando per respirare, batté altre due volte sulle cerniere, mormorò due volte il comando e attese che il veleno di Pip producesse il suo effetto. Nessuno si avvicinò per vedere cosa stesse succedendo. Forse le cerniere che si scioglievano non erano visibili dall'esterno, o più probabilmente, i combattenti che aveva percepito, erano troppo impegnati ad ammazzarsi.

Tossendo per i vapori, intrappolato nella sua prigione, sentì la rabbia montare. Tutto quello che gli era capitato, era successo perché aveva cercato di aiutare qualcun altro. Avevano giocato con le sue emozioni e più lui cercava di aiutare, più la gente sembrava solo volergli fare del male. Era furioso.

Galleggiando sereno nel suo lago privato, aveva imparato molte cose su se stesso. La meditazione forzata aveva rivelato cose la cui esistenza non aveva mai voluto riconoscere. E una era che in tutto l'universo c'erano solo due intelligenze in grado di comprenderlo veramente. Una erano i sumacrea. L'altra era un'arma gigantesca costruita da una razza morta da molto tempo. L'unico scopo della vita dei sumacrea era comprendere. Quello dell'arma era distruggere.

Ma lui non era un'arma. Lui era Philip Lynx, detto Flinx: un orfano di diciannove anni, con una storia insolita, una parentela enigmatica e un talento erratico con sbocchi sconosciuti.

Qualunque cosa lui fosse, quando spostò di lato il coperchio distrutto del sarcofago e si mise a sedere, tutti i presenti rimasero paralizzati. Gli ci volle un istante per abituare gli occhi alla luce e in quell'istante, tutti ebbero la possibilità di reagire.

Vandervort si alzò a metà da dietro la sua barriera di casse e gridò: — Prendeteli! — Dabis e Monconqui cominciarono a muoversi. Il vecchio acquattato sulla cima delle scale fissò Flinx come se vedesse un rettile carnivoro invece di un giovane snello.

— Uccidete la cosa! — urlò. — Uccidetela subito!

Il giovane seduto sull'ultimo gradino esitò, ma non la donna alta accanto a lui. Cominciò a sollevare la canna della pistola neuronica che teneva tra le mani. Ma senza essere sfiorata da alcuna arma visibile, di colpo cadde in avanti, rotolando giù dalle scale e finendo sul corpo dell'uomo morto prima.

Pip e Scrap erano in aria, pronti ad attaccare, ma per la prima volta nella sua vita, Flinx non aveva bisogno di loro. In confronto alla lotta sostenuta per emergere dal lago, questa volta fu facile. Usando Pip come lente empatica, era in grado di proiettare emozioni, non solo di riceverle. Forse ciò non era dovuto solo al lago e al sonno drogato. Forse c'entravano anche le forme e le sagome indistinte che avevano cercato di raggiungerlo. Forse lo avevano raggiunto. Non lo sapeva.

Aveva tutto il tempo di scoprirlo dopo, se viveva.

Quello che aveva proiettato nella mente della donna alta erano paura e un terrore soverchiante. La stessa cosa fece con il suo compagno, che emise un gemito tremante, si alzò per fuggire, ma svenne sulle scale. Il vecchio riuscì a sparare un colpo in direzione di Flinx, che lo sfiorò appena, intorpidendogli il braccio. Istintivamente, il giovane rispose con una forza maggiore.

Quello che avvenne fu involontario. Il vecchio si alzò tremando, con gli occhi fuori dalle orbite, e crollò addosso al suo giovane compagno. Ma al contrario di lui, non era semplicemente svenuto. La paura gli aveva fermato il cuore.

Vedendo crollare gli avversari, le due guardie del corpo si erano fermate in mezzo alla stanza, sollevate al pensiero di non dover più sfidare le pistole dei nemici. E quasi nello stesso istante, si accorsero che il prigioniero era seduto nel sarcofago e li guardava; ma non ricollegarono la sua resurrezione con la distruzione degli avversari.

Incerto, Monconqui sollevò la pistola. Clarity vide il gesto, si alzò e urlò.

Fu più difficile mettere fuori combattimento le due guardie del corpo. Esse conoscevano il tipo di paura che Flinx aveva usato per togliere di mezzo gli altri, ma dopotutto, ogni uomo ha un limite e alla fine anche i due crollarono sotto il cieco terrore proiettato da Flinx.

Poi nella stanza furono solo lui, Clarity e Vandervort. La donna anziana uscì da dietro la sua piccola fortezza di casse e avanzò verso di lui, con la mano tesa e un gran sorriso sul volto.

— Bene, ragazzo mio, non so come ci sei riuscito, ma so che sei stato tu. Ti ho visto fissarli e farli crollare, o qualunque altra cosa tu abbia fatto. Prima quella feccia sulle scale e poi i miei uomini, che non hanno avuto il buon senso di abbassare le armi prima di scoprire che eravamo tutti dalla stessa parte.

Flinx stava arrampicandosi fuori dal sarcofago. — E di che parte si tratta?

— Non ascoltarla, Flinx! — gridò affannata Clarity. — È lei che ti ha drogato e messo in quella cassa!

Vandervort si girò di scatto. — Stai zitta, piccola cagna. Se sai cosa ti conviene, è meglio che tu tenga la bocca chiusa. — Continuando a sorridere, tornò a rivolgersi a Flinx. Lui la studiò impassibile.

— La nostra cara Clarity è un po' scombussolata. E confusa da tutte le cose che sono successe e devo dire che non la biasimo. — Vandervort rise, una risata morbida, fiduciosa. — Io stessa sono un tantino confusa.

— Anch'io.

Vandervort sembrò aumentare di statura. — Sono certa che possiamo chiarire tutto.

— Quindi tu non sei responsabile di questo? — Il suo sguardo era fermo, la voce calma. Pip era sospesa lì vicino, mentre Scrap guizzava incerto verso Clarity, poi verso Flinx, finendo con lo svolazzare infelice a mezz'aria tra i due.

— Non ho detto proprio questo. Quello che ho detto è che è stato tutto molto confuso.

Queste furono le parole che pronunciò. Ma quello che emanava da lei era una combinazione di paura e rabbia, non tutta diretta ai nemici morti o svenuti ammassati in fondo alle scale. Una parte era diretta a Flinx.

— Se hai tutto questo desiderio di aiutarmi, perché hai tanta paura di me?

— Paura di te, giovanotto? Ma io non ho paura di te. — All'improvviso capì e sorrise, ma questa volta fu un sorriso incerto. — Tu sei in grado di dire quello che provo, vero? Non quello che penso, ma quello che provo.

— Esatto. E quello che percepisco in questo momento è che non ti piaccio poi tanto quanto vuoi far credere.

— Non dovresti prendere alla lettera le emozioni, giovanotto. Possono essere confuse e confondere. Hai appena finito di mettere fuori combattimento cinque persone senza neppure alzare in dito. Credo di avere il diritto di essere quantomeno intimidita.

— Ma tu non sei intimidita. Tu hai paura e questa è una cosa diversa. Credo che in questo momento tu stia pensando di impadronirti di una delle pistole dei tuoi scagnozzi, appena ti volto le spalle.

Vandervort divenne bianca come un cencio. — Non puoi sentire questo. Non è un'emozione: è un pensiero specifico. — Indietreggiò di un passo. — Tu non puoi…

— Giustissimo. Non posso leggere i pensieri. Ma se insinuo una cosa e tu reagisci, io percepisco la tua reazione e quindi la riconosco con la stessa chiarezza che se tu mi avessi dato una risposta sincera. Se avessi risposto in un altro modo, allora forse avrei esitato. Avrei potuto essere incerto. Avrei potuto persino essere tentato di stare ad ascoltarti.

— Non mi ucciderai — sussurrò cupa. — In te non c'è l'assassinio.

— Ehi, non possiamo sapere cosa ci sia in me, ricordi? Io sono l'imprevedibile mutante contro cui hai messo in guardia tutti. — Non fu l'espressione di puro terrore sul viso di lei che lo fece star male, ma il fatto che lui stava godendo di quel terrore. Sospirò. — Basta morti. — Indicò le scale. — Due di loro sono morti, gli altri svenuti. Una di quelle morti è stata un incidente, e l'altra è stata provocata da una pistola ad aghi. Non ti ucciderò, Vandervort.

La donna si fermò. — Che cosa hai intenzione di fare? — Non lo stava guardando. — Che cosa hai fatto a loro?

— Ho solo fatto in modo che non mi dessero fastidio per un po'. Dimmi: c'è qualcosa di cui hai paura? Qualcosa che ti spaventa davvero?

— No, sono uno scienziato. Osservo ogni cosa analiticamente. Non ho paure.

All'improvviso, i suoi occhi sporsero in fuori come quelli di un pesce intrappolato nella bassa marea. Gettò la testa all'indietro e si girò lentamente. Le dita annasparono nell'aria e lei emise un unico urlo acuto, prima di ricadere a terra svenuta.

Clarity uscì da dietro le casse. — Che cosa le hai fatto?

Flinx fissò triste la figura rattrappita. — La stessa cosa che ho fatto agli altri. Ho proiettato dentro di loro la paura, fino a quando il sistema nervoso è stato sopraffatto. Ho percepito delle paure striscianti nella sua mente. Insetti, o cose simili, non so. — Scosse il capo. — Non sono necessari i dettagli. — Ecco dove è finito il suo approccio analitico.

— Flinx, sono così contenta che tutto…

Lui si voltò di scatto. — Penso che sia meglio che tu non aggiunga altro.

Sconcertata e ferita, lei si interruppe. — Non riesco ad immaginare cosa pensi. Io non ho nulla a che fare con tutto questo.

— Tu lo sapevi. Dimmi che non ne sapevi nulla.

— Non posso. Tu ti accorgeresti se mento, Flinx, non sapevo cosa fare, cosa pensare. Lei mi ha raccontato delle storie… — indicò la figura immobile del suo ex capo. — … storie sulla Società, sul loro lavoro e su di te. Su quello che saresti potuto diventare. Non le ho creduto. Non volevo crederle. Ma lei ha tanta più esperienza di me, non ho avuto scelta. Se avessi rifiutato, avrebbero trovato qualcun altro che prendesse il mio posto, qualcuno a cui non importava nulla di te.

— Tutti hanno una scelta. — Abbassò lo sguardo, stanco di fissare. Stanco e basta. — È solo che molta gente non ha il fegato di fare quella giusta.

— Mi spiace, mi spiace tanto. — Stava piangendo. — Ti avevano messo in quella maledetta scatola prima che potessi saperlo; era troppo tardi per fermarli. Sono rimasta con loro nella speranza di aiutarti, in qualche modo, quando avessero abbassato la guardia. Devi credermi! Hai sentito che gridavo per avvertirti, vero? Hai sentito quando ho detto che era lei la responsabile di tutto quello che era successo, che era tutta opera sua.

— Sì, ti ho sentito. È per questo che sei ancora in piedi, invece di essere sdraiata sul pavimento con gli altri. So che stai dicendo la verità. Altrimenti sei la bugiarda più in gamba che abbia mai incontrato.

— Se lo sai, se lo senti, allora devi anche sentire che ti amo.

Lui si voltò. — Non so nulla del genere. I tuoi sentimenti sono forti, ma qualunque cosa tu dica, io percepisco che sono ancora confusi ed incerti. Ora dici che mi ami, poi dirai che hai paura di me. Caldo e freddo. Non voglio una relazione così.

— Dammi una possibilità, Flinx — lo implorò. — Sono così confusa.

Lui girò su se stesso e la guardò. — E come pensi che mi senta io? Queste sono emozioni di cui non mi libererò mai. Dopo tutto quello che è successo, come credi che potrò mai affidarti qualcosa, per non parlare della mia vita? Non che abbia importanza, comunque. Non puoi dividere la mia vita. Nessuno può. Perché, guarda l'ironia, Vandervort potrebbe aver ragione. Non posso, non voglio rischiare di mettere in pericolo qualcun altro, se davvero dovessi diventare pericoloso.

«Era una cosa di cui prima non ero sicuro, ora lo sono. Non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere nella tua vita. In questo, la colpa è stata mia.

— Flinx, io so cosa sei e non mi spaventa più. Tu hai bisogno di qualcuno come me, qualcuno che possa offrirti comprensione, affetto e… amore.

— Qualcuno che mi aiuti ad essere umano, vero?

— No, maledizione! — Nonostante i suoi sforzi, non riuscì a trattenere le lacrime. — Non volevo dire questo.

Lui avrebbe voluto che mentisse, ma Clarity non stava mentendo.

— Mentre dormivo, o ero svenuto, o drogato, o qualunque altra cosa, la mia mente ha vagato libera, come mai prima. Per la prima volta mi sento bene con me stesso. È stato più di un sonno ristoratore o ringiovanente, Clarity. Mentre ero in quel sarcofago, mi è successo qualcosa, qualcosa che non so ancora definire, perché non sono sicuro di cosa sia stato. Ma mentre ero là dentro, ho percepito delle cose. Alcune bellissime, altre spaventose, altre inesplicabili e fino a che non riuscirò a capirle, devo restare solo.

— Sei ingiusto — singhiozzò lei.

— Una volta mi hanno detto che l'universo non è un luogo giusto. E più lo vedo, più mi convinco della verità di quell'affermazione.

Il rombo iniziò come un ronzio nelle orecchie e un sottile tremore del pavimento e le due cose si incontrarono nello stomaco. Non era un terremoto, ma qualcosa di più vasto. Clarity si afferrò alle casse di plastica per sostenersi, mentre Flinx cercò di restare in piedi. Pip rimase in aria, ma Scrap decise finalmente dove andare e atterrò con circospezione sulla spalla di Clarity. Quella vista addolorò Flinx, ma non aveva tempo di preoccuparsene in quel momento.

La sua preoccupazione immediata era il fatto che il centro del pavimento stava sprofondandogli sotto i piedi. Si spostò di lato, fissando la duralega e l'acciaio cemento polverizzarsi e scomparire nella bocca spalancata di un pozzo nero largo tre metri.

L'enorme creatura che sporse la testa fuori dal buco e si guardò intorno con curiosità era alta quanto il buco era largo. Pesava almeno una tonnellata e la sua folta pelliccia era macchiata di terra. Il muso piatto terminava in un minuscolo naso, sopra il quale un paio di occhi gialli grandi come piatti, splendevano come due lanterne. Le orecchie era ridicolmente piccole.

Posando due immense zampe a sette dita sul bordo del buco, la creatura si issò nella stanza, con la testa pelosa che quasi sfiorava il soffitto. Clarity balbettò incredula, come se avesse visto materializzarsi un incubo. Anche Flinx trasalì, ma per una ragione completamente diversa. In quel momento il mostro lo vide… e fece un grande sorriso.

— Di nuovo salve, Flinx-amico — disse. Solo che la sua bocca non si mosse.

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