CAPITOLO OTTAVO

Dopo un momento di sbalordito silenzio, Ethan si guardò attorno. Nessuno li stava osservando; il giovanotto biondo che lo aveva avvicinato era solo, o almeno non aveva complici nelle vicinanze. — Che cosa vuole da Athos? — gli domandò, vincendo l’impulso di allontanarsi di corsa.

— Rifugio, signore — disse l’altro. — Perché io sono un fuggiasco, non c’è dubbio su questo. — La tensione dipingeva di una luce falsa e ansiosa il suo sorriso. Il modo in cui Ethan si ritraeva davanti a lui lo rese ancor più allarmato e supplichevole. — Sull’elenco dei passeggeri della nave del censimento c’era solo il suo nome, e lì ho letto che lei è l’ambasciatore del suo pianeta all’estero. Lei può offrirmi asilo politico, non è così?

— Io… io… — Ethan alzò le mani per tenerlo lontano. — Quello è soltanto un titolo che il Consiglio della Popolazione ha pensato di attribuirmi all’ultimo momento, perché non sapevano cos’avrei trovato qui fuori. Ma io non sono un diplomatico, io sono un medico.

Cercò di calmarsi e guardò il giovanotto, che lo fissava come se volesse aggrappargli addosso. Con una parte della sua attenzione notò in lui i segni della stanchezza fisica. La faccia attraente di Cee aveva una sfumatura grìgia, gli occhi erano iniettati di sangue, e qualche tremito percorreva le sue mani lisce ed eleganti. D’un tratto Ethan fu colpito da un dubbio orribile. — Senta, uh… non mi sta per caso chiedendo di proteggerla dal Ghem-colonnello Millisor, vero?

Cee annuì senza esitare.

— Ehi, no… no, aspetti. Lei non capisce. Io qui sono un turista, un viaggiatore di passaggio. Non ho nessuna ambasciata o niente del genere. Voglio dire, le ambasciate hanno impiegati e guardie, una intera organizzazione per la sicurezza dei cittadini del loro paese e la tutela dei loro diritti, mentre invece io non…

Cee ebbe un sorrisetto incredulo. — L’uomo che ha eliminato Okita, un sicario addestrato e pericoloso, ha davvero bisogno di tutto questo apparato?

Ethan restò a bocca aperta, troppo stupito da quel malinteso per riuscire a rispondere.

Cee continuò: — Loro sono in molti. Millisor ha a disposizione le risorse dell’intero Cetaganda contro di me… e io sono solo. L’unico rimasto, L’unico superstite. Ormai non ò più questione di se riusciranno a uccidermi, ma di quando. — Le sue mani ben strutturate si aprirono in un gesto di supplica. — Io ero sicuro di aver fatto perdere le mie tracce a quella gente, e mi illudevo che avrei potuto trovare un passaggio su un’astronave diretta molto lontano da qui. ma… l’ultima via di fuga che mi restava è stata sbarrata da quel vampiro di Millisor. un cacciatore di uomini assetato di sangue… — La bocca del giovanotto si torse in una smorfia amara. — Non mi lasceranno scampo. Io la prego, signore, mi dia asilo politico.

Ethan si schiarì nervosamente la gola. — Ah. uh… cosa intende con "cacciatore di uomini", esattamente?

— È così che lui vede se stesso. — Cee scrollò le spalle. — Per Millisor, perfino i delitti più feroci sono atti di eroismo compiuti al servizio di Cetaganda, in base al principio che qualcuno deve fare anche i lavori sporchi… lui stesso lo pensa con grande convinzione. Ed è orgoglioso di ciò che fa. Ma non ha avuto il fegato di fare personalmente il suo lavoro sporco su di me. Nel profondo della sua anima meschina quell’uomo mi odia e mi teme più dell’inferno… ah! Come se i suoi piccoli segreti personali fossero più importanti o più vergognosi di quelli degli altri. Come se a me importasse qualcosa dei suoi segreti, o della sua anima.

Ethan stava cercando, vanamente, di capire cosa ci fosse dietro quelle dichiarazioni piuttosto oscure. Qualcosa c’era. Ma gli sarebbe piaciuto che la conversazione restasse più sul concreto. — Insomma, lei chi è? Anzi, cosa è?

Il giovanotto fece un passo indietro, mentre il suo sguardo si faceva improvvisamente sospettoso e guardingo. — Asilo politico. Prima mi garantisca asilo politico, e poi potrete avere tutto.

— Uh? In che senso?

Sul volto di Cee la disperazione tornò a sostituire il sospetto. La speranzosa eccitazione con cui aveva avvicinato Ethan per chiedergli aiuto lasciava il posto a una truce amarezza. — Già, capisco. Lei mi vede come mi vedono loro. Una mostruosità biologica messa insieme con pezzi di cadavere, un essere non del tutto umano partorito da un utero artificiale. Ebbene… — Sospirò, risolutamente. — Sia pure. Ma prima di morire io mi vendicherò sul capitano Rau. Questo l’ho giurato a Janine. fosse l’ultima cosa che farò.

Ethan riiletté sull’unica cosa abbastanza comprensibile di quel discorso, e con tutta la dignità che poté trovare disse: — Se per "utero artificiale" intende un replicatore uterino, sappia che io stesso sono stato incubato nove mesi in un replicatore, e che questo metodo di gestazione è lecito e giusto quanto l’altro. Di più, anzi. Così la prego di non definire "non del tutto umane" le mie origini, o il lavoro a cui ho dedicato la mia vita.

Un po’ della confusione che lui sentiva di avere nella testa era leggibile anche sulla faccia di Cee. E perché no, del resto? La miseria pensò Ethan con acida soddisfazione, ama la compagnia.

Il giovanotto — il ragazzo, in realtà, perché la tensione e la stanchezza gli aggiungevano qualche anno, mentre doveva essere più giovane di Janos — parve sul punto di dire qualcos’altro, poi scosse il capo, gli volse le spalle e si allontanò.

La necessità, rifletté ad un tratto Ethan, era il replicatore uterino dell’inventiva. — Aspetti! — esclamò. — Farò in modo che Athos le dia asilo politico! — Per quanto stava nei mezzi di cui disponeva avrebbe potuto promettergli anche la remissione dei peccati e la salvezza eterna, visto che le sue possibilità di offrirgli l’una o l’altra cosa si equivalevano. Ma Cee tornò subito verso di lui, così ribollente di speranza che quell’emozione sembrava schizzar fuori come un vapore dai suoi occhi azzurri. — Solo a un patto — proseguì Ethan. — Lei dovrà dirmi cosa ne ha fatto delle colture ovariche che il Consiglio della Popolazione aveva ordinato ai Laboratori di Casa Bharaputra.

Stavolta fu Terrence Cee a restare a bocca aperta per lo stupore. — Vuol dire che Athos non le ha ricevute?

— Nossignore.

L’imprecazione che scaturì fra i denti del giovanotto biondo fece voltare un paio di turiste indignate, ma lui non se ne accorse neppure. — Millisor! Dev’essere stato lui a rubarlo! Ma… no, come avrebbe potuto… non sarebbe riuscito a…

Ethan gli accennò di abbassar la voce e scosse il capo. — Credo che il colonnello Millisor non c’entri con quel furto, infatti. A meno che lei non pensi che mi abbia interrogato per ben sette ore, e in modo molto sgradevole, solo per convincermi che lui era estraneo al fatto.

È quasi un sollievo vedere qualcun altro agitato e confuso come me, pensò Ethan. Questo aveva l’effetto di renderlo più freddo e lucido, per reazione, e lui aveva bisogno d’essere freddo e lucido. Cee espresse uno stupore teatrale allargando le braccia.

— Ma, dottor Urquhart… se voi non avete quelle colture, e gli uomini di Millisor non le hanno, e neppure io le ho… dove sono finite?

Ethan sentì che finalmente capiva quella frase di Elli Quinn sul fatto che era stanca di stare sulla difensiva. Lui non ne poteva più d’essere un giocattolo in balia di eventi messi in moto da altri. Aggredisci la realtà, prendila a calci pensò selvaggiamente, accorgendosi che il più piccolo seme di risolutezza sbocciato nel suo cuore poteva fiorire in un poderoso albero capace di resistere agli scrolloni di ogni bufera. Il sorriso che rivolse all’attraente giovanotto biondo fu tranquillo. Cee era più snello di Janos, ma gli somigliava davvero. Anche nell’incarnato pallido, e nel colore dei capelli. Ma la bocca di Cee non assumeva quella piega petulante che a volte guastava l’espressione di Janos, quand’era irritato o stanco.

— Supponiamo di mettere insieme ciò che sappiamo e di scoprirlo — propose Ethan. — Che ne pensa?

Cee alzò lo sguardo su di lui (era qualche centimetro più basso) e domandò: — Lei è davvero un agente segreto del suo governo?

— In un certo senso — annuì Ethan, riflettendo che fra i suoi doveri di rappresentante di Athos all’estero poteva benissimo esserci anche quello, — lo sono, sì.

Terrence Cee annuì. — Allora sarà un piacere, signore. — Trasse un lungo respiro. — In questo caso mi occorrerà una certa quantità di tyramina. Ho usato l’ultima che avevo per sondare Millisor, tre giorni fa.

La tyramina era un aminoacido legato a un certo numero di attività chimiche del cervello, ma Ethan non aveva mai saputo che la si potesse usare anche come droga della verità. — Le serve… a cosa? — domandò, perplesso.

— Per la mia telepatia — spiegò Cee, sottovoce.

La strada, le piante e la fontana si fecero evanescenti intorno a Ethan. che aveva l’impressione d’essere sospeso nell’aria. — Tutte le teorie sulla psionica sono state definitivamente scartate molti secoli fa, prima ancora dei viaggi spaziali — sentì dire dalla sua voce, come di lontano. — Non c’è mai stato un potere mentale chiamato telepatia.

Terrence Cee si toccò la fronte in un gesto che gli fece pensare a un paziente che descrivesse la sua emicrania.

— Adesso c’è — disse semplicemente.

Accecato dalla luce dell’alba di una nuova era, Ethan guardava negli occhi il giovane che aveva davanti. — Senta, noi siamo in mezzo alla pubblica strada — disse alla fine, con voce rauca, — in uno dei luoghi meno intimi e più monitorati che esistano nella galassia. Prima che il colonnello Millisor e quel pazzoide di Rau saltino fuori da dietro una siepe, non sarebbe meglio trovare un posto, uh, più tranquillo per fare due chiacchiere?

— Ah. Oh, sì, naturalmente, signore. Lei ha senza dubbio una base sicura. È nelle vicinanze?

— E… mmh, la sua non va bene?

Il giovanotto biondo sorrise e annuì. — Finché le autorità della stazione non indagheranno troppo sui miei documenti.

Ethan lo invitò a fargli strada con un gesto, e Cee si avviò. "Base sicura" decise Ethan dopo un po’, doveva essere un termine usato dagli agenti segreti per indicare il posto in cui si nascondevano, perché il giovanotto lo accompagnò fino a un albergo molto economico dove alloggiavano i lavoratori stranieri che si fermavano alla stazione con un permesso di soggiorno, in attesa di trovare una sistemazione migliore. Nell’atrio c’era un certo traffico di clienti, in genere operai e fattorini, o al più impiegati e tecnici le cui funzioni Ethan non poteva neppure immaginare, come ad esempio le due femmine dai vestiti coloratissimi e con facce coperte da un makeup innaturale quasi-cetagandiano, che dapprima accostarono lui e Cee con fare cordiale e poi sbuffarono insulti incomprensibili in tono sprezzante allorché loro si affrettarono ad allontanarsi.

L’alloggio di Cee era praticamente il gemello della Camera Turistica Economica di Ethan, poco pulito e così stretto che in due ci si muoveva a stento. Non senza una certa preoccupazione lui s’era chiesto se il fuggiasco cetagandano stesse leggendo la sua mente… in apparenza non era così, visto che non aveva dato segno d’intuire in anticipo le sue risposte né d’accorgersi dell’errore che faceva affidandosi a lui.

— Se ho capito bene — disse Ethan, — i suoi poteri mentali sono intermittenti.

— È così, infatti — rispose Cee. — Se la mia fuga in direzione di Athos fosse andata come avevo programmato all’inizio, non ne avrei fatto uso mai più. Suppongo che ora il vostro governo domanderà di avere i miei servizi, come pagamento per la protezione che mi date.

— Questo non saprei dirglielo. Vedremo — rispose onestamente Ethan. — Ma se lei possiede davvero un talento psi sarebbe un peccato non farne più uso. Voglio dire, potrebbe avere delle applicazioni in molti campi socialmente utili.

— Anche inutili, mi creda — mormorò aspramente Cee.

— Pensi alla medicina pediatrica… che aiuto sarebbe nella diagnosi su pazienti pre-verbali! I neonati non possono rispondere a domande tipo: dove ti fa male? Cosa ti senti? O per le vittime di colpi apoplettici, o per quelli rimasti paralizzati dopo incidenti che li hanno resi incapaci di comunicare, prigionieri dei loro corpi! Nel nome di Dio il Padre… — L’entusiasmo di Ethan si stava scaldando. — Lei potrebbe diventare un benefattore dell’umanità!

Terrence Cee sedette pesantemente sullo sportello dell’armadio, che abbassato si trasformava in una sedia. Nei suoi occhi c’era una luce di stupore e incomprensione; poi strinse le palpebre, insospettito. — È molto più facile che gli altri mi vedano come una minaccia. Nessuno di quelli che conoscono il mio segreto mi ha mai proposto di usarlo altro che nel campo dello spionaggio.

— Be’… queste persone erano spie, o militari?

— Ora che ci penso, sì. Per la maggior parte.

— Mi sembra ovvio, allora. Quella gente non pensava a sfruttare il suo talento in modo davvero pratico, ma soltanto nel ristretto campo di loro competenza.

Cee gli diede un’occhiata scrutatrice e la sua bocca si curvò in un sorrisetto. — Spero che lei abbia ragione, signore. — Il suo atteggiamento si fece meno rigido, un po’ della tensione che gli bloccava la muscolatura si sciolse, ma i suoi occhi azzurri restarono fermi e attenti su di lui. — Dottor Urquhart, lei si rende conto che io non sono un essere umano? Io sono una costruzione genetica artificiale, un composito proveniente da una dozzina di sorgenti, con l’aggiunta di un organo di senso che nessun uomo ha mai avuto, un organo incuneato nel mio cranio come un granchio in una buca. — E curvò le dita di una mano a imitare la forma di un mollusco.

— Be’, mmh… i biologi che hanno fabbricato il suo corpo, se vogliamo usare questo termine, dove hanno preso i geni? Da altri uomini, voglio supporre — domandò Ethan.

— Oh, sì. Esseri umani selezionati con cura. — Gli occhi di Cee si persero in qualche visione del passato, non molto piacevole a giudicare dalla sua smorfia ostile.

— Tuttavia — gli fece notare Ethan, — se lei risale all’indietro di, mi lasci fare il conto, quattro generazioni, ogni essere umano è un composito di sedici diverse sorgenti. Che li chiami antenati o con qualsiasi altro nome, sono sempre la stessa cosa. Il suo miscuglio di geni è stato meno casuale, tutto qui. Ora, io conosco la genetica. Se lasciamo da parte quel nuovo organo che ha menzionato, io posso garantirle che la sua mescolanza genetica per quanto peculiare non può essere anormale. Non è questo il test della sua umanità.

— E allora qual è il test dell’umanità di un individuo?

— Be’… lei ha il libero arbitrio, questo è ovvio, altrimenti non si sarebbe opposto ai suoi creatori. Ne consegue che lei non è un robot di carne, bensì un figlio di Dio il Padre, destinato a vivere finché Lui vorrà per poi rispondere a Lui dei suoi peccati — gli fece il predicozzo Ethan.

Se avesse spalancato un paio d’ali e preso il volo davanti a lui, Terrence Cee non avrebbe potuto guardarlo con uno sbalordimento maggiore. Sembrava proprio che quei fatti, così palesi e ovvii, non gli si fossero mai presentati alla mente.

Si piegò in avanti, protendendosi verso Ethan. — Cosa sono io per lei, allora, se non sono un mostro?

Lui si passò una mano sul mento e rifletté qualche istante. — Tutti noi restiamo Suoi figli agli occhi del Padre, per quanto possiamo credere d’essere orfani. Lei è mio fratello, naturalmente.

— Naturalmente, dice? — mormorò Cee. Si strinse le braccia al petto e chinò la testa, scosso da un tremito. Quando sbatté le palpebre, più volte, fu per schiarirsi la vista offuscata dalle lacrime che gli avevano improvvisamente riempito gli occhi. Se le asciugò con un polsino della blusa, quasi rabbiosamente, e il suo volto avvampò di vergogna. — Dannazione — mugolò, — l’arma segreta dei militari, la super-spia, l’uomo sopravvissuto a tutti i suoi simili e sfuggito a quelli che gli davano la caccia. Com’è riuscito a farmi piangere? Non mi succedeva da molti anni. — Strinse i pugni e aggiunse, con voce rauca: — Se dovessi scoprire che lei mi ha mentito, giuro che la uccido!

Dette da un altro uomo avrebbero potuto essere soltanto parole, ma la luce fredda che ci fu negli occhi azzurri di Cee fece capire a Ethan che stava dicendo la semplice verità. — Senta, adesso lei è molto stanco — disse per placarlo, allarmato da quell’atteggiamento così emotivo. Per Cee non fu facile ritrovare l’autocontrollo, tuttavia ci provò, lavorando sulla respirazione come uno yogi. Ethan vide che sul minuscolo comodino da notte c’era un fazzoletto e glielo diede perché si asciugasse la faccia. — Credo che guardare il mondo attraverso gli occhi di Millisor, se è questo che lei ha fatto ultimamente, abbia avuto un brutto effetto psicologico su di lei.

— Vedo che lei ha capito questa situazione — mormorò Cee annuendo. — Io sono andato dentro e fuori dalla sua mente fin da quando questa cosa — e allargò ancora le dita di una mano a imitare la forma di un granchio, — si è sviluppata del tutto dentro la mia testa, all’età di tredici anni.

— Un’esperienza spiacevole, già — disse Ethan. senza pensarci. — Come annusare della spazzatura.

Sorpreso, Cee si lasciò sfuggire una risata che per ritrovare la padronanza di sé gli servì meglio della respirazione. — Come ha fatto a saperlo?

— Io non so niente su come funziona la sua telepatia, ma conosco quell’individuo — Ethan si mordicchiò pensosamente le labbra. — Lei è giovane. Quanti anni ha? — domandò all’improvviso.

— Diciannove anni standard.

Non c’era alcuna sfida adolescenziale in quella risposta. Cee stava soltanto esponendo un fatto, come se la sua giovinezza non fosse mai stata un periodo in cui s’era sentito contrapposto agli adulti. La consapevolezza della sua diversità raggelò un momento Ethan, come la vista della cima di un iceberg. — Ah-ehm… spero che non le dispiaccia raccontarmi qualcosa di lei, adesso. Parlando nelle mie vesti di Ufficiale addetto all’Immigrazione, se posso dire così.


Il lavoro dei genetisti, gli spiegò Terrence Cee, era stato basato su una mutazione della glandola pineale. Come quella donna di razza mista, povera e deforme, un’emigrante senza radici che si faceva passare per strega e chiromante, fosse giunta all’attenzione del Dr. Faz Jahar, Cee non l’aveva mai saputo. Ad ogni modo la sedicente strega era stata tolta dalla misera baraccopoli in cui viveva, e portata nel laboratorio universitario di quel giovane medico dalle insolite ambizioni. Jahar conosceva qualcuno che conosceva qualcuno che aveva rapporti con un Ghem-lord d’alto rango dell’esercito, e così era riuscito a farsi ascoltare da un personaggio potente disposto ad assistere a una dimostrazione delle strane facoltà da lui scoperte nella donna. Si trattava di poteri allo stadio molto larvale, e tuttavia la dimostrazione aveva avuto successo. Il Dr. Jahar era così riuscito ad ottenere il finanziamento dei militari per le sue ricerche. La strega-chiromante era svanita nei meandri di qualche installazione segreta, e nessuno dei parenti che vivevano in quel misero sobborgo l’aveva mai più rivista, né viva né morta.

Il racconto di Cee s’era fatto freddo e distaccato, ordinato, come se avesse fatto pratica raccontandolo a chissà quanti altri fino alla noia. Ethan non sapeva se quell’eccessiva dimostrazione di autocontrollo fosse più snervante dell’atteggiamento emotivo e passionale di poco prima, ma cercò di ascoltare con attenzione.

Il complesso genetico della donna dai poteri telepatici era stato isolato e fatto riprodurre in vitro, venti generazioni in cinque anni di lavoro per raffinare e potenziare queir insieme. I primi tre esseri umani ad averlo inserito nei loro cromosomi erano morti prima d’essere estratti dai replicatori uterini, e quei cromosomi ulteriormente selezionati erano stati introdotti in altre cellule-uovo fecondate. Altri quattro erano morti durante la prima infanzia, uccisi da un tumore cerebrale non operabile, ed i cinque successivi, pur sopportando in qualche modo l’organo estraneo al resto del loro tessuto cerebrale, erano stati soppressi da Jahar dopo aver sviluppato orripilanti deformità fisiche collegate a quella presenza anomala nel cranio.

— La sto mettendo a disagio? — domandò Cee, interrompendosi per scrutare la sua espressione.

Seduto su un angolo del letto gonfiabile, Ethan era per la verità un po’ pallido. Si schiarì la voce. — No… no, vada avanti.

I prodotti di quella matrice genetica — Ethan li avrebbe chiamati bambini, ma evidentemente per qualcuno non erano stati tali — mostravano tuttavia grandi progressi dal punto di vista che interessava a Jahar. Il medico aveva continuato gli esperimenti in vitro e messo in crescita altri feti nei replicatori uterini. Le imperfezioni fisiche erano state eliminate. Il feto L-X-10 Terran-C era stato il primo della nuova serie a sopravvivere all’infanzia, anche se diverse caratteristiche ritenute importanti erano state eliminate a favore della perfezione fisica. I militari, che stavano perdendo la pazienza, avevano infatti chiarito che esseri grotteschi dalla testa deforme non erano molto utili come agenti segreti. I risultati dei test preliminari effettuati sul bambino erano stati ambigui, deludenti. Le sovvenzioni al laboratorio erano state tagliate. Ma Jahar, dopo tutti quegli anni di lavori e di sacrifici (di sacrifici umani, lo corresse Ethan, disgustato) aveva rifiutato di arrendersi.

— Quando ripenso alla mia infanzia — disse Cee. — posso dire che Jahar fu una specie di padre per me, a suo modo. Lui credeva in me… o meglio, credeva nel suo lavoro, personificato in me. Quando non ebbe più le sovvenzioni dell’esercito per le governanti e i tecnici e tutto il resto, dovette cedere una parte del laboratorio a dei ricercatori che si occupavano di guerra batteriologica. Ma gli restavano ancora abbastanza soldi per continuare a occuparsi di me e di Janine, e proseguì i suoi studi e i test mentali.

— Chi è Janine? — domandò Ethan dopo un momento, vedendo che Cee taceva.

— J-9-X Ceta-G era… mia sorella, si potrebbe anche dire — rispose Cee sottovoce. Il suo sguardo non cercava quello di Ethan. — Lei e io condividevano molti geni, oltre a quelli dell’organo ricevitore derivato dalla glandola pineale. Dei venti neonati che uscirono dai replicatori uterini in quella generazione, Janine fu l’unica superstite oltre a me. O forse era mia moglie. Non so se Jahar intendesse farci accoppiare per avere una prima coppia umana, anche se le fertilizzazioni in vitro gli andavano benissimo… comunque incoraggiava il sesso fra noi già quando avevamo sette od otto anni di età. Vivevamo tuttavia in una base dell’esercito, ed eravamo sempre sottoposti all’autorità dei militari. Però, a differenza di me, Janine non frequentava la scuola per gli agenti dei servizi segreti. Millisor pensava a lei come a una specie di potenziale ape regina in un futuro alveare di spie. Inoltre aveva delle fantasie sessuali su loro due… in realtà abusava di lei, con la complicità di Jahar, a cui occorreva il suo appoggio. Anche in età pre-puberale Janine era molto femminile e provocante. — Cee tacque, con sollievo di Ethan, a cui non interessava un resoconto dettagliato delle predilezioni sessuali di Millisor.

Le fortune del Dr. Faz Jahar avevano avuto una brusca impennata verso l’alto quando Terrence Cee era giunto alla pubertà. Il completarsi della crescita dell’encefalo e i cambiamenti nel suo equilibrio ormonale avevano infine attivato l’organo, fin’allora chiuso in un frustrante silenzio. Le capacità telepatiche di Cee erano divenute dimostrabili con test precisi, ripetibili, affidabili.

C’erano delle limitazioni. L’organo poteva essere portato in condizioni di ricettività elettrica soltanto con l’ingestione di grosse dosi di un aminoacido chiamato tyramina. La ricettività diminuiva man mano che l’organismo di Cee metabolizzava l’eccesso della sostanza e tornava al suo originale equilibrio biochimico. Il raggio della telepatia era al massimo poche centinaia di metri, in condizioni ottimali. La ricezione veniva bloccata da qualsiasi barriera che interferisse con il campo elettrico del cervello il cui segnale si volesse intercettare.

Alcune menti potevano essere ricevute e comprese con più chiarezza di altre; il 10 o 12% dei soggetti erano invece ricevibili a stento e indecifrabili, anche se Cee si avvicinava a loro fino al contatto fisico. Questo sembrava essere un problema di compatibilità fra l’emittente e il ricevente, perché alcune menti che per Cee erano informi e muschiose nel loro contenuto (l’input sensoriale, la subvocalizzazione, la normale corrente di pensiero) risultavano perfettamente leggibili a Janine, e viceversa.

La presenza di troppi individui fra l’emittente e il ricevente creava un’interferenza dovuta al sovrapporsi dei segnali. — È come essere a una riunione in cui tutti parlano a voce alta — disse Cee, — e sforzarsi di isolare una conversazione singola.

Il Dr. Jahar aveva catechizzato Terrence Cee fin da bambino sui suoi doveri patriottici, sulla vita onorata che lo attendeva al servizio di Cetaganda, e dapprima lui era stato felice, perfino orgoglioso di essere un’arma segreta dell’esercito. La stessa cosa valeva anche per Janine, soprattutto perché quando era diventata preziosa per i militari Millisor aveva dovuto smetterla di abusare di lei. Le prime incrinature nelle certezze di Cee erano apparse quando aveva cominciato a conoscere meglio la mentalità degli ufficiali e del personale della Sicurezza che li circondava. Era una conoscenza inevitabile quanto compieta, date le sue facoltà. — Il loro aspetto esterno era diverso da quello interno — spiegò Cee. — Ma i peggiori erano così corrotti che credevano sinceramente d’essere bravi patrioti, persone oneste e pulite. Solo chi ha un fondo di bontà capisce grazie ad esso d’essere malvagio, e si tormenta. In quei giorni ho appreso che dietro il caldo sorriso di un padre che torna a casa ad abbracciare la moglie e i figli può esserci un carnefice, o un uomo che assiste impassibile ad ogni crudeltà.

Quei dubbi s’erano aggravati negli anni successivi, ad ogni incarico che il controspionaggio assegnava a Terrence ed a Janine.

— L’errore di Millisor, quello decisivo — disse Cee pensosamente, — fu di farci presenziare all’interrogatorio di intellettuali cetagandani dissidenti, sospetti di aver complottato contro il regime. Io non avevo mai conosciuto persone simili.

Cee aveva cominciato l’addestramento militare con insegnanti molto qualificati. Si era parlato di utilizzarlo come agente sul campo, in missioni non pericolose oppure in altre abbastanza importanti da giustificare che la sua preziosa persona fosse messa a repentaglio. Nessuno aveva mai accennato alla possibilità di ammetterlo fra i Ghem-lord, la ristretta classe nobiliare che controllava le forze armate e governava in pratica Cetaganda, i pianeti conquistati e le basi militari nei sistemi solari più o meno sottomessi.

La telepatia di Cee non gli apriva un’analoga finestra anche verso il subconscio dei soggetti esaminati. Gli unici ricordi che lui poteva leggere e "vedere" erano quelli che una persona portava alla superficie della sua mente per esaminarli lei stessa. Questo aveva fatto decidere i superiori di Cee che usarlo nei compiti di spionaggio attivo (monitorando la mente di soggetti inconsapevoli della sua presenza) era uno spreco del suo prezioso tempo. Gli interrogatori organizzati erano assai più efficienti. Cee e Janine erano così diventati assidui frequentatori delle prigioni, in specie quelle dov’erano alloggiati i detenuti politici.

— È sorprendente quante cose si imparano sulla patria che ami quando cominci a conoscere i suoi nemici — disse Cee. — Finche si trattava di criminali, o di stranieri, era facile. Ma quando senti la presenza di una mente libera, istruita, saggia… ed entrando in una stanza vedi un povero essere nudo e coperto di piaghe disteso su un tavolo, cominci a chiederti perché i tuoi compagni di lavoro l’hanno ridotto così.

— La capisco benissimo — annuì Ethan, con un brivido.

Era stata Janine, probabilmente, la prima a vedere i loro creatori come loro padroni e carcerieri. Il desiderio di fuggire, ancora mai espresso a voce, aveva cominciato ad andare avanti e indietro fra Terrence e Janine quando i loro poteri mentali erano attivi nello stesso tempo. Entrambi avevano preso a mettere da parte pasticche di tyramina, sottraendole al laboratorio. La loro risoluzione di fuggire era stata alimentata e infine perfezionata in un piano concreto, nel più assoluto silenzio.

La morte del Dr. Faz Jahar era stata un incidente. Cee tornò ad accalorarsi nel tentativo di convincerne Ethan, che gli aveva fatto qualche domanda in merito. Forse la loro fuga sarebbe stata più facile se non avessero cercato di distruggere il laboratorio, per mettere fine alle ricerche, e di portare via con loro i quattro bambini dell’ultima generazione di esperimenti. Cee era sicuro che questo avrebbe complicato le cose. Ma Janine (sapendo che Jahar aveva poca memoria e quindi molte registrazioni) era stata molto decisa sul fatto che non dovevano lasciare niente di utilizzabile. Quando lui e la ragazza erano stati assegnati in pianta stabile agli interrogatori dei prigionieri politici. Cee aveva smesso di discutere con lei su quella parte del piano.

Se solo Jahar non avesse cercato di salvare i suoi appunti e le colture genetiche, non sarebbe morto quando il laboratorio era saltato in aria. Se solo uno dei bambini non si fosse messo a piangere, l’uomo di guardia al cancello di servizio non si sarebbe accorto di loro.

Se solo non avessero cominciato a correre verso il furgone, forse lui non avrebbe sparato. E in seguito, benché fossero riusciti a fuggire con una piccola astronave, tutto sarebbe andato diversamente se avessero scelto un altro corridoio di balzo, un altro pianeta, un’altra società, e altre false identità sotto cui vivere.

La freddezza della narrazione di Cee tornò a farsi glaciale e la sua voce piatta, vuota di emozioni come se quei fatti riguardassero qualcun altro. Era come se cercasse di filtrare via il contenuto di sofferenza dai suoi ricordi appiattendoli in un resoconto lineare, salvo che a tratti, inconsciamente, qualche piccolo gesto anomalo rivelava la tensione. Ethan si accorse che si stava mangiucchiando le unghie, un vizio che credeva di aver sconfitto da anni, e incrociò le braccia sul petto.

Se solo quel giorno Cee non avesse lasciato l’appartamento per andare a lavorare allo spazioporto, dove assumevano scaricatori a giornata. Se solo non fosse tornato dieci minuti prima, per trovare aperte le botteghe dove la paga ricevuta gli avrebbe permesso di fare un po’ di spesa. Se solo il capitano Rau fosse arrivato dieci minuti più tardi. Se solo Janine non fosse uscita di corsa in strada per avvertirlo, gettandosi fra lui e il distruttore neuronico del cetagandano… Se solo. Se solo. Se solo.

Cee aveva scoperto in sé la gelida follia del combattente votato alla morte durante la lotta per riconquistare il corpo di lei, per impedire che le preziosissime cellule umane in cui era racchiuso il segreto della telepatia cadessero nelle mani di Millisor. Era poi trascorsa una giornata intera prima che Cee riuscisse a congelare il cadavere di Janine in un contenitore criogenico, troppo tardi per impedire la completa morte cerebrale anche se il distruttore neuronico avesse lasciato qualcosa di lei.

Ma lui non aveva smesso di sperare. Tutta la sua forza di volontà s’era concentrata su un solo ossessionante scopo: fare soldi il più in fretta possibile per riportare in vita Janine. Terrence Cee, a cui non era importato nulla del denaro finché la ragazza viveva, e che aveva soltanto desiderato vivere una vita onesta insieme a lei, s’era messo a usare nel modo più criminoso e sottile i suoi poteri mentali per ammassare il denaro che adesso gli serviva. Abbastanza denaro per condurre un uomo ed un contenitore criogenico sul Gruppo Jackson, dove c’erano laboratori biologici assai evoluti, e dove si diceva che il denaro potesse comprare tutto.

Ma non c’era denaro che potesse riportare in vita una persona uccisa da un distruttore neuronico. Gli erano state gentilmente suggerite delle valide alternative: l’onorevole cliente desiderava un perfetto clone della sua defunta sposa? Pagandola, era possibile produrre una copia così identica che nessuno l’avrebbe mai distinta dalla Janine originale. Non avrebbe dovuto neppure aspettare diciassette anni perché il clone arrivasse alla maturità; in vasca, la crescita poteva essere molto accelerata.

Anche la personalità della copia poteva essere ricreata con un sorprendente grado di somiglianza, affidandola a ben pagati esperti… magari la si poteva perfino migliorare, se c’erano aspetti dell’originale che non avevano molto soddisfatto i gusti dell’onorevole cliente. Il clone non si sarebbe certo lamentato della differenza.

— Tutto ciò che mi occorreva per riaverla fra le mie braccia — disse Cee, — era una montagna di soldi, e la capacità di persuadere me stesso che la menzogna era verità. — Fece una pausa. — La montagna di soldi ce l’avevo.

Cee tacque e restò in silenzio, a lungo. Dopo qualche minuto Ethan si agitò, a disagio come un estraneo ad una veglia funebre.

— Non vorrei che pensasse che le sto facendo pressione — disse alla fine, — ma credo che lei sia sul punto di spiegarmi il nesso fra questi fatti e le 450 colture ovariche vive che Athos ordinò ai laboratori di Casa Bharaputra. È così? — E rivolse a Cee un sorriso conciliante, sperando che non decidesse di cambiare discorso per nascondergli le sue responsabilità nella faccenda, dopo avergliele ormai fatte sospettare.

Cee gli gettò un’occhiata penetrante, poi si passò le mani sulle tempie in un gesto stanco e frustrato. Alla fine disse: — L’ordinazione di Athos arrivò al reparto genetico dei laboratori di Casa Bharaputra mentre io mi trovavo là, a discutere con loro sulle possibilità di riportare in vita Janine. Teoricamente questo era possibile. La difficoltà stava nei danni subiti dal cervello, ma purtroppo la loro diagnosi sul corpo di lei mi tolse ogni illusione. Ero presente per caso quando li sentii parlare di Athos… non avevo mai sentito nominare quel pianeta. Ne trassi l’impressione che fosse un posto isolato e lontano, tranquillo, e pensai che se fossi andato laggiù forse avrei potuto lasciarmi alle spalle per sempre il mio passato e la gente come Millisor. Così, dopo che i resti mortali di Janine furono cremati… — deglutì, con espressione sofferente, evitando lo sguardo di Ethan, — lasciai il Gruppo Jackson e mi imbarcai su una rotta destinata a far sparire le mie tracce. Mi sono perfino procurato un lavoro qui su Stazione Kline. per mascherare la mia identità intanto che aspettavo un’astronave diretta su Athos.

«Sono arrivato qui soltanto cinque giorni fa. Per abitudine ho controllato subito i registri dei viaggiatori in transito, alla ricerca di eventuali cetagandani. E ho scoperto che Millisor alloggiava qui da tre mesi facendosi passare per un commerciante di oggetti d’arte e di artigianato. Dapprima avvicinarlo senza che i suoi uomini mi individuassero è stato un problema, ma poi gli sono arrivato a distanza abbastanza breve da potergli leggere la mente con una certa chiarezza. Ho scoperto così che lui e gli altri stavano frugando in tutta la stazione per cercare lei e Okita. Il loro proposito è quello di rintracciare me, ovviamente, ma con un uomo in meno hanno delle difficoltà. Non riescono neppure a coprire tutti i moli dove ci sono navi passeggeri in partenza o in arrivo. Questo è un vantaggio di cui devo ringraziare lei, dottor Urquhart. Posso chiederle come è riuscito a eliminare Okita?

Ethan rifiutò di lasciarsi distrarre. — Lei cos’ha avuto a che fare con il lavoro dei Laboratori Bharaputra sull’ordinazione di Athos? — chiese, inchiodandogli addosso in via sperimentale uno sguardo fermo e inespressivo.

Cee si umettò le labbra. — Niente. Millisor pensa che io c’entri per qualcosa, lo so. Temo di avergli lasciato credere che sia così, tanto per dargli una falsa pista.

— Guardi che io non sono ingenuo come posso sembrarle — disse cortesemente Ethan. Cee ebbe un gesto come a dire che non l’aveva mai pensato. — Si dà il caso che io abbia saputo, da un’altra fonte molto attendibile, che la squadra genetica principale di Casa Bharaputra ha lavorato per ben due mesi su un’ordinazione che avrebbe potuto essere soddisfatta in una settimana. — Indicò la misera cameretta intorno a loro. — Noto anche che lei sembra aver già speso altrove la sua montagna di denaro. — Raddolcì la voce ancor di più. — Li ha incaricati di ricavare delle colture ovariche dal corpo di sua moglie, invece di farla clonare, quando ha capito che la clonatura non le avrebbe restituito la persona che lei era? E li ha pagati per spedire queste colture ad Athos, con l’idea di seguirle sul nostro pianeta?

Cee deglutì saliva. Agitò una mano come per cercare qualche scusa, ma infine sussurrò soltanto: — Sì, signore.

— Colture ovariche contenenti il complesso di geni della glandola pineale mutata?

— Sì, signore. La sua eredità genetica, inalterata. — Cee abbassò gli occhi al suolo. — Lei amava i bambini. Sperava di averne da me, appena fossimo stati certi d’essere al sicuro, prima che Rau spegnesse anche quel sogno. Perciò… quella era ormai la sola cosa. l’unica cosa al mondo che io potessi fare per lei. Qualsiasi altra cosa, come ad esempio un clone, l’avrei fatto meramente per me. Riesce a capirlo, signore?

Ethan, commosso, annuì. In quel momento sarebbe stato disposto a rimbeccare senza esitare qualsiasi fondamentalista athosiano che avesse affermato che la fissazione di Cee per la sua femmina era disgustosa e preistorica, indegna di un uomo dalla mente libera. Quel sentimento inaspettato, così radicale, gli diede un brivido. E tuttavia s’era tanto immedesimato nelle parole di Cee da sentirlo, quasi, come un sentimento suo…

Il cicalino della porta emise un ronzio secco.

I due uomini balzarono in piedi. Cee si portò una mano sotto la blusa in cerca di un’arma nascosta e lo guardò allarmato. Ethan aveva il fiato mozzo.

— Qualcuno sa che lei è qui? — sussurrò Cee.

Ethan scosse il capo. Ma aveva promesso a quel giovanotto la protezione di Athos, per quel che valeva. — Apro io — si offrì. — Lei, uh… mi copra — aggiunse, mentre l’altro cominciava a obiettare. Cee annuì e si trasse da parte, tenendosi pronto.

Ethan sfiorò il pulsante. Il battente scivolò di lato con un sibilo.

— Buongiorno, ambasciatore Urquhart. — La bruna femmina in attesa fuori dalla porta gli elargì un sorrisetto. — Ho sentito dire che l’ambasciata athosiana è disposta ad assumere guardie, impiegati ed esperti in spionaggio. Non cercate oltre. Elli Quinn è qui, tutte e tre le cose in una sola persona. Faccio anche sconti speciali per salvare e togliere dai guai stranieri in difficoltà su Stazione Kline, purché l’offerta mi pervenga prima di mezzanotte. — E dopo un momento aggiunse: — Mancano cinque minuti, perciò hai tutto il tempo di invitarmi a entrare.

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