CAPITOLO TREDICESIMO

Ethan ed Elli Quinn furono spinti uno accanto all’altra, entrambi nel potenziale raggio di fuoco della parabola con cui terminava la canna del distruttore neuronico, impugnato con truce decisione dall’individuo che portava l’uniforme della Sicurezza. Cee fu invece tenuto sotto tiro dallo storditore di Rau, in disparte. Questo bastò per far capire a Ethan quanto fosse più precaria la loro situazione.

Vista da vicino Quinn appariva ridotta ancora peggio, con un labbro spaccato, pallida e tremante sia per le percosse ricevute che per i postumi di un colpo di storditore. Senza gli stivaletti sembrava più piccola e delicata. Cee si muoveva come un cadavere in cerca di una tomba dove lasciarsi cadere, indifferente, rigido, con gli occhi azzurri vuoti e senza luce.

— Cos’è successo? — sussurrò Ethan a Quinn. — Come sono riusciti a trovarla loro, quando neppure la Sicurezza c’è riuscita?

— Mi ero dimenticata di avere addosso quel dannato rintracciatore — sibilò fra i denti lei. — Avrei dovuto sbatterlo nel primo cestino di rifiuti, quando non mi serviva più. Sapevo che avrebbe potuto compromettermi! Ma Cee mi stava distraendo con le sue chiacchiere, e io avevo fretta e… oh, all’inferno, ormai a che serve… — Si morse un labbro, frustrata, poi se ne pentì e lo leccò teneramente. Il suo sguardo continuava a scrutare i loro avversari, soppesando le possibilità, rifiutando le inevitabili conclusioni, cercando ancora altri sbocchi senza migliore fortuna.

Millisor s’incamminò intorno a loro, rilassato e soddisfatto. — È un piacere vederla qui, dottor Urquhart. Avremmo potuto organizzare due incidenti separati, uno per lei e uno per la comandante Quinn; ma avervi entrambi qui ci offre ora un’opportunità assai più… ghiotta. Per l’efficienza professionale, intendo.

— Perché vuole vendicarsi? — balbettò Ethan. — Noi non abbiamo mai cercato di ucciderla.

— Non sia sciocco — lo rimproverò amichevolmente Millisor. — La vendetta non ha niente a che fare con la professionalità. Voi due morirete per il semplice motivo che sapete troppo. Quant’è banale, vero?

Rau sogghignò aspramente. — Gli dica come, colonnello — lo invitò.

— Ma certo. Io le auguro di cuore che la cosa stimoli il suo senso dell’umorismo, comandante Quinn, perché vorrei davvero andarmene sapendo che lei è morta con il sorriso sulle labbra. — Millisor le indicò i moli. — Osservi, se non le spiace, i tubolari estensibili sulla paratia esterna della stazione. Sigillati a entrambe le estremità, essi costituiscono piccoli compartimenti privati. Proprio il posto adatto che una coppietta col gusto dell’avventura troverebbe stimolante per un amplesso un po’ insolito. Stimolante, ma ahimè sfortunato, perché nel sonno profondo seguito alle loro impegnative effusioni erotiche…

Rau alzò allegramente lo storditore. perché fosse chiaro quanto sarebbe stato inevitabile quel sonno profondo.

— … il corridoio tubolare verrà esteso nello spazio, durante i preparativi per l’aggancio automatico al convogliatore delle merci, nella stiva di una nave da carico. Detta nave trovasi in fase di avvicinamento, ed è attesa al Molo C-12, quello laggiù, dopo che il mio corriere sarà salpato. Ora, perché facciate buona impressione a chi vi scongelerà da quell’imbarazzante posa, mi domando: dovremmo lasciarvi completamente nudi? — Millisor si mostrò seriamente perplesso. — Oppure soltanto nudi dalla vita in giù, per inscenare un amplesso più appassionato e furioso?

— In nome di Dio il Padre — mugolò Ethan inorridito. — Il Consiglio della Popolazione penserà che ho raggiunto gli abissi d’ogni depravazione, per compiere atti sessuali con una femmina!

— Signore Iddio — ansimò sottovoce Quinn, non meno sbigottita. — L’ammiraglio Naismith penserà che mi sono completamente rimbecillita per fare all’amore dentro un tubolare d’attracco, fra tutti i maledetti posti che c’erano.

Lo sguardo di Terrence Cee si girò sulla paratia esterna dei moli, come se cercasse la morte con la stessa disperazione con cui la comandante Quinn vi cercava una via d’uscita. Fece un passo da quella parte. Subito lo storditore di Rau lo prese di mira.

— Illuditi pure, mutante — grugnì Rau. — Non ti lasceremo una sola possibilità. Una mossa sbagliata e sarai portato a bordo in stato d’incoscienza. — I suoi denti si scoprirono in un sorriso. — Ma non vorrai perderti lo spettacolo che i tuoi amici stanno per darci, no?

Le mani di Cee si aprivano e si chiudevano; l’angoscia e la rabbia lottavano per prendere il sopravvento in lui. entrambe impotenti e inutili. — Mi dispiace, dottore — mormorò. — Puntavano un distruttore neuronico alla testa della comandante Quinn, e io sapevo che non stavano bluffando. Ho pensato che forse lei non sarebbe venuto, visto che ce l’aveva con me. Avrei dovuto lasciare che uccidessero una sola persona. Mi dispiace, mi dispiace…

Le labbra di Quinn si piegarono in un sorriso sarcastico; un’altra goccia di sangue uscì dal taglio. — Non è il caso di chiedergli scusa con tanto fervore, Cee. L’avrebbero eliminato anche senza la tua collaborazione.

— Non deve affatto chiedermi scusa — disse Ethan con fermezza. — Probabilmente io avrei fatto lo stesso, al suo posto.

L’uomo col distruttore neuronico accennò a Ethan e a Elli Quinn di muoversi e li scortò fino alla paratia esterna, tenendosi per sicurezza una decina di metri più indietro; poi lungo le piattaforme di carico verso il portello del Molo C-12.

— Chi è questo individuo? — domandò Ethan a Quinn, accennando col capo alle loro spalle. — È lui Setti?

— Già, proprio lui. Avrei dovuto sparargli nella schiena quando ne avevo l’occasione, e riscuotere il denaro che Casa Bharaputra mi aveva promesso — sussurrò la mercenaria con aria disgustata. E aggiunse, pensosamente: — Se io saltassi addosso a questo bastardo, pensi che riusciresti a raggiungere uno di quei corridoi sulla destra prima che Rau ti abbatta con lo storditore?

C’erano cinquanta metri o forse più. e quasi tutti allo scoperto sulla strada. — No — mormorò francamente Ethan.

— Che ne dici di gettarti al riparo in quel tubolare estensibile?

— E poi? Impiccarmi con la cintura dei pantaloni prima che vengano a spararmi?

— E va bene — ringhiò lei con impazienza. — Allora fammi la grazia di un’idea migliore.

Una mano di Ethan si appoggiò sulla tasca destra dei pantaloni e incontrò un piccolo oggetto oblungo. — Forse potremmo guadagnare tempo con questo — disse, tirando fuori la capsula del messaggio.

— Cosa diavolo è quella?

— Pensavo di consegnarla alla Sicurezza. Mentre venivo qui, un uomo mi ha avvicinato per strada e me l’ha voluta lasciare per forza. Ha detto che è un messaggio per Millisor, attivabile soltanto con il suo numero di matricola militare, e che io avrei dovuto dargliela se mi fosse capitata l’occasione di incontrarlo…

Quinn s’irrigidì, e allargò una mano a stringergli un braccio. — Di che colore era?

— Eh?

— Quell’uomo. Il suo colore!

— Rosa. Cioè, aveva un completo rosa.

— Non il vestito, la sua pelle!

— Una sfumatura interessante… color caffè. Insolita ma attraente. Vorrei che Athos consentisse l’importazione di geni della razza africana terrestre, per variare…

— Ehi, tu, cos’hai in mano? Fammi vedere — disse Setti dietro di loro, in tono minaccioso.

— Dammela, dammela! — sussurrò Quinn, strappando il piccolo oggetto dalla mano di Ethan. — Vediamo. 672-191… oh, Dio, era 142 o 124? — Le sue dita si artigliarono sui minuscoli pulsanti della serratura a combinazione, poi esitarono frementi. — 421, e prega. — Si voltò. — È un messaggio per il tuo padrone — esclamò gettando la capsula verso lo stupito cetagandano. che automaticamente alzò la mano libera per afferrarla al volo. — Buttati giù! — gridò subito la mercenaria in un orecchio di Ethan. e gli si aggrappò addosso trascinandolo al suolo accanto a un nastro trasportatore.

Ci fu qualche secondo di silenzio perplesso mentre Setti, con il distruttore neuronico nell’altra mano, esaminava la capsula. Nell’aria davanti a lui s’era materializzata un’immagine olografica. — Un messaggio, eh? Molto bene. Alzatevi, voi due.

— Ah. dannazione — sospirò Quinn. pesando su una spalla di Ethan. — Ho preso un granchio.

Lui si tirò in piedi, lamentandosi. — Cosa diavolo credevi di…

L’improvvisa esplosione li scaraventò dall’altra parte del nastro trasportatore, facendoli rotolare storditi fra i cavi di un argano accanto alla piattaforma di carico. Per qualche momento Ethan non riuscì a sentire né a vedere niente. La sua testa echeggiava come se fosse un tamburo di bronzo, e la vista gli si era oscurata.

— Lo sapevo che non poteva essere un messaggio amichevole — mugolò Quinn soddisfatta annaspando sulla sua schiena. Si puntellò su di lui per alzarsi, cadde, si tirò ancora in piedi e sbandò contro la paratia, sbattendo le palpebre e agitando le mani davanti a sé.

Le sirene d’allarme cominciarono a ululare come bestie impazzite in tutti gli angoli del settore. Le luci gialle d’emergenza si accesero qua e là sui moli (Ethan fu sollevato nell’accorgersi che non era diventato cieco) e in distanza ci furono i tonfi dei portelli stagni che si chiudevano uno dopo l’altro.

Più vicino, meno rumoroso ma assai più allarmante c’era il sibilo, sempre più acuto, dell’aria che stava sfuggendo nello spazio dal portello del tubolare estensibile dinnanzi al punto dove si trovava Setti, danneggiato dall’esplosione. Un turbine di cristalli di ghiaccio si allargava attorno alla falla.

D’istinto Ethan si trascinò in direzione opposta, sulle mani e sulle ginocchia. La gravità artificiale aumentava e diminuiva con effetti sconvolgenti sul suo stomaco, e il vento gli scompigliava i capelli. Girandosi vide che le piastre metalliche della piattaforma di carico erano divelte per un paio di metri. Di Setti non c’era traccia da nessuna parte.

— Per Dio il Padre — mugolò, storditamente, — è proprio un’esperta nel far sparire la gente…

Spinse lo sguardo attraverso il vasto spazio deserto della strada e vide Terrence Cee che correva come un cervo inseguito dagli altri due cetagandani. Non andò lontano, perché Rau si tuffò su di lui e lo fece cadere al suolo. Millisor li raggiunse da dietro, prese la mira per sferrare un calcio alla testa del giovanotto biondo, poi sembrò riflettere che quello era un punto troppo prezioso e lo colpì invece al plesso solare. La loro preda rimase faccia al suolo, senza fiato. Millisor e Rau lo agguantarono ciascuno per un braccio e presero a trascinarlo di peso in direzione del corridoio estensibile con la luce accesa, quello che comunicava con la loro astronave.

Ethan vacillò in piedi e cominciò a correre verso di loro. Non aveva la minima idea di cos’avrebbe fatto dopo averli raggiunti, salvo che tentare di fermarli in qualche modo. Quello era l’unico imperativo. — Dio il Padre — ansimò, — dev’esserci un premio in paradiso per gli stupidi come me…

Aveva il vantaggio di un’angolazione più breve da attraversare, mentre Millisor e Rau erano ostacolati dalle contorsioni della loro preda. Ethan riuscì a balzare davanti all’entrata del tubolare estensibile con qualche metro d’anticipo e la bloccò allargando le braccia e le gambe. Era in posizione perfetta per sferrare un pugno a chi l’avesse aggredito per primo, a parte il grave handicap di doversi difendere senza armi. Aiutatemi, qualcuno pensò. — Non provateci! — disse, raucamente.

Con sua sorpresa i due si fermarono. Rau aveva perduto il suo storditore da qualche parte nella lotta con Cee. ma Millisor estrasse dalla blusa una piccola quanto micidiale pistola ad aghi e gliela puntò addosso. Ethan sapeva che i sottili proiettili ad ago si espandevano al contatto del bersaglio, squarciando come una raffica di rasoi la carne umana. L’autopsia del suo corpo sarebbe stata una faccenda molto sanguinosa…

Terrence Cee si liberò di Rau con una spinta e barcollò fra Ethan e Millisor, spalancando le braccia in un futile gesto di protezione. — No! Lui no!

— Razza d’idiota, credi che io sia obbligato a tenerti in vita solo perché le colture di quella cagna non ci sono più? Mi basta un chilo della tua carne… e sai quale parte di te congelerò? — Millisor rise, inferocito. — Proprio quella che da ragazzo mi davi così poco volentieri, stupido mutante. E adesso muori, perdio! — La mano con cui puntava l’arma oscillò. — Ma cosa… — L’uomo s’inclinò di lato quando i suoi piedi si staccarono dal pavimento metallico, e agitò le braccia per ritrovare l’equilibrio.

Ethan si aggrappò a Cee. Il suo stomaco sembrava fluttuare via indipendentemente dal resto del corpo. Si guardò attorno, sconvolto, e vide Quinn aggrappata alla paratia alquanto lontano da lì, fra il Molo C-12 e il portellone d’ingresso del settore. La mercenaria stava cercando di strappare il coperchio da un largo pannello di comandi.

Il corpo di Millisor ondeggiò a mezz’aria quando l’uomo compensò con mosse esperte l’indesiderata rotazione sul suo asse, e questo lo mise in grado di prendere ancora la mira verso Cee. La comandante Quinn, con un rauco grido, cercò di distrarlo scaraventando verso di loro il coperchio del pannello. L’oggetto roteò nell’aria davanti ai moli, ma ancor prima di aver coperto metà della distanza fu chiaro che avrebbe mancato abbondantemente Millisor. Con un’imprecazione rabbiosa l’individuo puntò la pistola ad aghi…

I moli furono attraversati da una striscia di luce bianca. Per un abbagliante momento Millisor si agitò nel raggio di plasma che l’aveva colpito, incorniciato nell’aureola di quella vampa come un martire assunto al cielo, poi i sensi di Ethan furono aggrediti dal disgustoso puzzo della carne bruciata e dei vestiti e della plastica fusa. Inorridito sbatté le palpebre, per scacciare le immagini retiniche rosse e verdi oltre le quali la forma scura e carbonizzata del Ghem-lord si contorceva in una nuvola di fumo bianco.

La pistola ad aghi era volata via, e Rau lasciò la ringhiera a cui si stava aggrappando per lanciarsi in un vano tentativo di afferrarla. Il cetagandano nuotò freneticamente nell’aria, girandosi da una parte e dall’altra alla ricerca della provenienza di quel nuovo attacco devastante. Il coperchio scagliato da Quinn rimbalzò nella paratia esterna e saettò sopra la testa di Ethan, mancandolo per pochi centimetri.

— Eccolo, lassù! — gridò Cee, che si spingeva con energia da un appiglio all’altro verso il cetagandano superstite. Il giovanotto arrivò accanto a Ethan e gli indicò le passerelle e le scalette sopra la zona interna dei moli. Una figura vestita di rosa alzò un braccio, puntando un’arma contro Rau.

— No, lui è mio! — gridò Cee. E ringhiando con furia animalesca si puntellò su Ethan, usando il suo corpo per proiettarsi in direzione di Rau. — Ti ammazzo, bastardo!

L’unico beneficio che Ethan poté vedere nell’imprudente iniziativa del telepate fu che lui venne spinto con forza in alto, verso la paratia esterna dei moli. Riuscì ad agguantare abilmente il braccio di un argano senza spaccarsi un dito a causa del momento d’inerzia del suo corpo, e mise fine a quel volo pericoloso.

— No, Terrence! — gridò dietro di lui. — Se qualcuno sta sparando ai cetagandani, dobbiamo toglierci di mezzo! — Ma la sua voce fu portata via dal vento. Vento? Si girò verso il portello danneggiato. La falla si stava allargando sempre più; da un momento all’altro avrebbe potuto verificarsi una decompressione esplosiva…

Nel pannello di comandi da cui aveva strappato il coperchio. Quinn stava cercando di accendere le piastre di gravità d’emergenza. Il peso tornava, e Rau e Cee avvinti nella lotta scesero lentamente al suolo. Ethan smise di ondeggiare come una bandiera al vento e si ritrovò a penzolare, benché ancora molto leggero, a una decina di metri d’altezza rispetto ai moli. In fretta scese giù dall’argano e raggiunse la pavimentazione, prima che Quinn facesse la stessa cosa che Helda aveva fatto con gli uccelli fuggiti.

Rau scaraventò sulla strada Cee. più snello e leggero, e mentre il giovanotto rotolava via lui corse verso il tubolare del Molo C-8, collegato con la nave ormeggiata all’esterno. Ma aveva fatto appena due passi quando il suo corpo fiammeggiò e bruciò come un tizzone nei raggi incrociati di armi al plasma, usate non da uno ma da due individui appostati sulle passerelle. Lo sventurato cadde con un tonfo molle, visse ancora qualche orribile istante mentre la sua mandibola scarnificata si apriva in un muto grido, e poi fu scosso solo dai sussulti interni delle ossa che si carbonizzavano. Poco più in là Cee, sulle mani e sulle ginocchia lo guardò a occhi sbarrati, come stupito dalla distanza ormai insuperabile che qualcun altro aveva messo fra lui e la sua vendetta.

Ethan aspettò d’essere certo che quegli uomini non avrebbero sparato a nessun altro prima d’incamminarsi verso il telepate. Gli sconosciuti stavano scendendo lungo una scaletta. Uno era l’uomo in completo rosa che l’aveva avvicinato fuori dall’albergo, l’altro, anche lui nero di pelle, vestiva un abito marrone altrettanto vistoso e ricamato. I due si avvicinarono subito a Quinn, che invece di mostrarsi lieta dell’intervento dei loro salvatori cominciò ad arrampicarsi su per la parete come un ragno spaventato.

Gli individui di pelle nera la agguantarono ciascuno per una caviglia e la tirarono giù senza complimenti, facendole sbattere la testa su una piattaforma di carico. La mercenaria cercò di colpire uno di loro con un calcio in faccia, ma il suo tentativo fu sventato da Abito Marrone e lei precipitò dalla piattaforma, in una caduta che sarebbe stata dolorosa a piena gravità e anche così non fu certo piacevole. Abito Rosa le immobilizzò le braccia dietro la schiena, e Abito Marrone le tolse la voglia di lottare ancora con un pugno nello stomaco che le mozzò il respiro.

Subito dopo, tenendola per le braccia, i due la trascinarono su per una rampa verso la luce gialla di un’uscita d’emergenza, mentre le squadre del controllo-danni della stazione, in tuta pressurizzata, stavano già entrando nel settore da altri portelli.

— Quei due stanno portando via Quinn… la rapiscono! — gridò Ethan a Cee. — Chi sono? Cosa vogliono? — Aiutò il giovanotto a rialzarsi e rimase lì a ballare da un piede all’altro, sgomento e senza sapere cosa fare.

Il telepate li guardò e scosse il capo. — Gente del Gruppo Jackson? Di Casa Bharaputra? Non lo so, ma dobbiamo fermarli!

— Preferibilmente fuori di qui, dove c’è aria da respirare…

Aggrappandosi uno all’altro per non procedere a salti troppo lunghi e incontrollati, I due attraversarono la strada più rapidamente possibile e salirono su per la rampa.

Al compartimento stagno d’emergenza dovettero aspettare per decine di terribili secondi, coi denti stretti e le dita ficcate negli orecchi per proteggere i timpani contro la pressione dell’aria che diminuiva sempre più, mentre il terzetto che li aveva preceduti passava attraverso il ciclo automatico del piccolo locale che comunicava con le zone a minore rischio della stazione. Ethan scoprì che premere tutti i pulsanti, o maledire e prendere a calci in preda al panico i comandi manuali, non serviva ad accelerare il ciclo. Il meccanismo si aprì solo quando i suoi sensori gli diedero le risposte giuste.

I due si gettarono nell’interno e poi dovettero aspettare che la pressione si ristabilisse, mentre i rapitori di Quinn aumentavano il loro vantaggio. Ethan poté riempirsi i polmoni per respirare di sollievo. S’era sbagliato sull’aria della stazione: riciclata o no, aveva il profumo più dolce che lui avesse mai sentito.

— Come diavolo hanno fatto Millisor e Rau — ansimò, nell’attesa che l’indicatore dei minibar raggiungesse la linea verde, — a fuggire dai Reparto Quarantena? Credevo che neppure un virus avrebbe potuto uscire di là.

— Li ha liberati Setti — ansimò in risposta Cee. — Si è presentato dicendo di essere l’agente che li doveva scortare nella stiva di un mercantile ormeggiato ai moli, in attesa della deportazione. O forse era veramente lui ad avere quell’incarico, non lo so. Non credo che Quinn avesse capito fino a che punto erano riusciti a infiltrarsi nell’organizzazione della stazione.

Il portello interno del compartimento stagno si aprì con un sibilo, ed Ethan e Cee corsero nel corridoio all’inseguimento di una preda già scomparsa e dalla quale, disarmati com’erano, sapevano che avrebbero dovuto restare a prudenziale distanza. Al primo incrocio si fermarono, indecisi.

Cee allargò le braccia e girò su se stesso, come se la sua telepatia fosse attiva e stesse cercando di captare qualcosa. — Da questa parte — decise, indicando a sinistra.

— Ne è sicuro?

— No.

I due ripresero a correre. Arrivati all’incrocio successivo furono ricompensati dal suono di una voce femminile che gridava qualcosa, in tono di protesta, dalla traversa di destra. Seguirono quella direzione e da lì a poco videro che il corridoio sfociava in un atrio da cui partiva un pozzo antigravità per le merci.

L’uomo dal vestito di seta marrone aveva spinto Quinn faccia al muro, e le torceva un braccio dietro la schiena. Lei cercava di divincolarsi per attenuare il dolore, ma in quella posizione non aveva possibilità di opporsi.

— Avanti, signora mia — stava dicendo l’uomo dall’abito rosa. — Non farci perdere altro tempo. Dov’è il denaro?

— Se avete fretta non voglio trattenervi, andate pure — ansimò lei con la faccia schiacciata contro il muro. Quella sfacciataggine le costò cara. — Ouch! Razza di… agh! Sentite, vi consiglio di nascondervi nella vostra ambasciata prima che arrivi la Sicurezza. Fra poco sarà pieno di gente, qui, dopo quell’esplosione.

Abito rosa girò su se stesso e alzò la pistola a plasma nel sentire i passi di Ethan e di Cee che arrivavano nell’atrio.

— Si fermi! — disse il telepate afferrando Ethan per un braccio.

— Non sparate, questi due sono amici! — protestò Quinn, lottando per divincolarsi. — Sono amici, vi dico. Non c’è bisogno di sparare, siamo tutti amici, qui!

— È così, ve l’assicuro! — si affrettò a dire Ethan, stordito e confuso ma non al punto di tentare qualcosa contro quelle armi.

— I mercenari che riscuotono soldi per un contratto e poi non lo portano a termine, non hanno amici — grugnì Abito Marrone. — Hanno soltanto eredi.

— Io stavo eseguendo il contratto — replicò Quinn. — Voialtri scalzacani non apprezzate la professionalità. Qui uno non può riempire le strade di cadaveri e correre sotto la protezione di questa o quell’ambasciata. Non può neanche farsi sbattere fuori e dichiarare persona non grata su Stazione Kline, se ci tiene a lavorare da queste parti anche in futuro. Non solo io sono stata costretta a recitare due diversi ruoli, ma ho dovuto restare dietro le quinte, se volevo poter tornare qui un giorno o l’altro. A me piace fare il lavoro con professionalità.

— Hai avuto sei mesi per fare il lavoro con professionalità. Adesso il Barone Luigi rivuole indietro i soldi della Casa — disse Abito Rosa. — Questa è l’unica professionalità che io so apprezzare.

Abito Marrone le strappò un gemito, costringendola ad alzarsi sulle punte dei piedi. — Ouch! Ouch! E va bene, non c’è problema! — La vostra tessera di credito è nel taschino interno della mia blusa. Servitevi da soli.

— E dov’è la tua blusa?

— Me l’ha levata Millisor. È giù ai moli. Auch! No. credetemi, è la verità!

Nei gesti di Abito Marrone ci fu una pausa disgustata. — Potrebbe essere come dice lei — borbottò Abito Rosa.

— Quel settore dei moli è pieno di gente della Sicurezza, a quest’ora — obiettò Abito Marrone. — Potrebbe essere un trucco.

— Sentite, ragazzi, cercate d’essere ragionevoli e di mettervi nei miei panni, uh? — disse Quinn. — Il prezzo del Barone Luigi era metà in anticipo e metà a lavoro finito. E io ho già eliminato Okita. Perciò un quarto della somma mi spetta a buon diritto.

— Noi abbiamo soltanto la tua parola, su Okita. Io non ho visto il corpo — disse Abito Rosa.

— Professionalità, sergente, professionalità.

— Maggiore — la corresse Abito Rosa.

— E sono stata io a far fuori Setti, giù al molo, proprio poco fa. Questo fa metà del lavoro. Dunque siamo pari, mi sembra.

— L’hai fatto fuori con la nostra bomba — disse Abito Marrone.

— Vogliamo litigare su dettagli così meschini? Sentite, noi siamo alleati, si o no?

— Nossignora — grugnì Abito Marrone, storcendole il braccio ancor di più.

Nel corridoio si stavano avvicinando delle voci, e rumori di veicoli e di attrezzature, dalla parte dei moli. Abito Rosa s’infilò la pistola al plasma in una fondina ascellare, sotto la blusa ricamata. — E ora di andare.

— E vuoi passargliela liscia? — domandò Abito Marrone.

Abito Rosa scrollò le spalle. — Metà lavoro l’ha fatto. Diciamo che gliela passiamo liscia a metà. Tu sei mancina o destra, comandante Quinn?

— Destra.

— Saldiamo il conto del Barone sul suo braccio sinistro, e andiamocene.

Abito Marrone lasciò cadere in ginocchio Quinn, le fece allungare il braccio sinistro sul bordo di un grosso vaso da piante e premette con fredda e calcolata energia. Il lieve crack cartilaginoso fu quasi udibile. La mercenaria scivolò al suolo senza un gemito. Per la seconda volta Cee trattenne Ethan dal precipitarsi avanti. I due bharaputrani di pelle nera entrarono nel pozzo antigravità, si diedero una spintarella verso il basso e sparirono.

— Dannazione, credevo che non se ne sarebbero più andati — mugolò Quinn tirandosi a sedere. — L’ultima cosa di cui ho bisogno è che la Sicurezza mi veda con quei due figli di puttana e tragga le sue conclusioni. — Si girò con la schiena contro il vaso, pallida in faccia. — La prossima volta mi farò assegnare a una missione di combattimento. Questo lavoro dei Servizi Segreti non mi piace come mi aveva assicurato l’ammiraglio Naismith.

Ethan si schiarì la gola. — Comandante, lei ha… uh, bisogno di un medico?

La mercenaria cercò di sorridergli. — Forse. E tu?

— Già. — Ethan sedette pesantemente accanto a lei. Gli ronzavano gli orecchi, e le pareti di quell’atrio sembravano pulsare. Ruminò sul commento di lei. — Questo non sarà per caso il suo primo lavoro per il Servizio Segreto, eh?

— L’hai detto.

— La mia solita fortuna. — Ethan poggiò le mani al suolo. Il pavimento antiattrito non gli era mai sembrato così invitante.

— La Sicurezza sta arrivando — osservò lei. Alzò lo sguardo verso Cee. che si protendeva su di loro con ansiosa ma impotente sollecitudine. — Che ne dice di far loro un favore e semplificargli un po’ la scena? Sparisca, signor Cee. Se si allontana con aria indifferente, quella tuta verde la farà arrivare dove vuole. Vada al lavoro, o da qualche altra parte.

— Io… io… — Cee allargò le braccia. — Come potrò mai ripagarvi? Voi due avete fatto molto per me.

Lei si teneva il braccio, con una smorfia. — Non si preoccupi, penserò a qualcosa. Nel frattempo io non ho visto nessun telepate qui attorno, oggi. E tu, dottore?

— Neppure uno — annuì blandamente Ethan.

Terrence Cee scosse il capo, frustrato, gettò uno sguardo verso il corridoio e sparì verso l’alto nel pozzo antigravità.

Quando gli agenti della Sicurezza fecero finalmente la loro comparsa, arrestarono Elli Quinn.

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