CAPITOLO NONO

— Ancora lei! — esclamò Ethan, incredulo di vederla lì. Poi le implicazioni di ciò che la mercenaria aveva detto lo colpirono, e la gratificò di uno sguardo ostile. — Dove mi ha appiccicato la microspia, stavolta?

— Nella tua carta di credito — rispose lei senza esitare. — Era l’unica cosa che ti portavi anche a letto. Si appoggiò allo stipite della porta e sporse la testa, per guardare dentro oltre le spalle di Ethan. — Non vuoi presentarmi al tuo nuovo amico? È il minimo che puoi fare, dopo avermi trasmesso la sua triste storia.

Ethan mugolò alcune parole sottovoce.

— Proprio così — annuì Quinn. — E devo dire che tu sei il miglior specchietto per le allodole che abbia mai visto, anche se quelli che hai catturato stamattina nel Settore Verde erano canarini. Ma oggi hai invischiato una preda assai più ricercata.

— Credevo che lei non sapesse cosa farsene dei "chiacchieroni che non hanno il fegato di fare le cose fino in fondo" — disse freddamente Ethan.

Lei ebbe un sogghigno astuto. — Be’, non prendertela tanto per una semplice osservazione. In realtà stavo cercando un modo per farti uscire da sotto il mio letto. Mi ha fatto piacere vedere che sai dimostrare una certa iniziativa.

Le labbra di Ethan si piegarono in una smorfia. Era sicuro che lo stesse prendendo in giro. Ma finché la mercenaria avesse tenuto il piede davanti alla fessura la porta avrebbe rifiutato di uscire dal muro. Si fece indietro e le accennò di entrare, di malavoglia.

Terrence Cee aveva ancora una mano sotto il bordo della blusa. — È un’amica? — gli domandò, teso.

— Io non ho amiche femmine — disse brusco Ethan.

— È un po’ timido con le ragazze, tutto qui — commentò Elli Quinn, dirigendo un sorriso abbagliante sul suo nuovo bersaglio.

Terrence Cee, notò Ethan con un vago disgusto, mostrava la stessa stupida attrazione che tutti i maschi non-athosiani rivelavano nei confronti della comandante Quinn; ma con suo sollievo parve subito riprendersi dalla reazione glandolare e la scrutò da capo a piedi con occhi simili al mirino di una pistola. Lo sguardo di Quinn prese le misure del giovanotto biondo con la stessa rapidità e, benché Cee fosse stato svelto a fingere di grattarsi il petto con la mano, lei inarcò un sopracciglio per comunicargli che sapeva benissimo cos’aveva sotto la blusa. Ethan sospirò. Era destino che quella mercenaria fosse sempre un passo più avanti di lui?

Mentre la porta si richiudeva con un sospiro. Quinn tirò giù un altro sportello-sedia e si sedette con le mani sulle ginocchia, visibilmente lontane dalla fondina e dall’arsenale che aveva celato addosso. — Racconta al tuo amico chi sono, Ambasciator-Dottor Urquhart.

— Perché? — grugnì Ethan.

— Oh, avanti, sii gentile. Dopotutto mi devi un favore o due.

— Cosa? — sbottò lui, agitando un dito mentre cercava il fiato per esprimere la sua indignazione. Ma Quinn lo precedette.

— Proprio così. Se io non avessi telefonato a mio cugino Teki per chiedergli di tirarti fuori dal Reparto Quarantena saresti ancora là, senza documenti, innocente quanto i canarini che hai aiutato a catturare ma prigioniero come loro. O avevi davvero la stupida illusione che raccontando chi sei alla Sicurezza (dopo esserti fatto pescare travestito da operaio, mentre in giro c’è un evaso collegato come te a una sparatoria e ad altri fatti molto strani) ti avrebbero scortato con tutti gli onori alla prima astronave per Colonia Beta?

— Senta, non è certo per merito suo che…

— Be’, devi a me se oggi eri abbastanza libero da fare la conoscenza col signor Cee. Perciò presentami.

Ethan decise di non darle la soddisfazione di replicare e scrollò le spalle, sempre più indignato da quella sfacciataggine. — Si presenti da sola — disse.

La bruna annuì e si volse a Terrence Cee, incapace di celare sotto la sua studiata indifferenza una certa eccitazione.

— Io mi chiamo Elli Quinn. Ho il grado di comandante nella Libera Flotta dei Mercenari Dendarii, e in questo periodo lavoro per il servizio informazioni della Flotta. Ho l’ordine di osservare l’attività del Ghem-colonnello Millisor e del suo gruppo, e di scoprire cosa stanno cercando di fare e perché. Grazie al qui presente ambasciatore Urquhart, oggi ho finalmente saputo tutto. — I suoi occhi neri brillavano di soddisfazione.

Terrence Cee li guardava entrambi con aria molto insospettita. Questo irritò Ethan, dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per ammorbidire il giovanotto e indurlo a fidarsi di lui.

— Lei per chi lavora? — volle sapere Cee.

— Prendo gli ordini dall’ammiraglio Miles Naismith.

Cee ebbe un gesto d’impazienza. — Per chi lavora lui, allora?

Ethan si chiese perché non gli fosse mai venuto in mente di fare quella domanda.

La comandante Quinn si schiarì la gola. — Una delle ragioni per cui certe persone assoldano mercenari, invece di esporre personalmente se stesse oppure altri loro agenti, è che queste certe persone non desiderano esser coinvolte. E allorché l’ammiraglio Naismith manda in missione un suo agente, deve tenere presente che costui o costei non è immune né al penta-rapido né ai calci nelle costole.

— In altre parole, lei non sa per chi lavora.

— Proprio così.

Terrence Cee strinse le palpebre. — Io riesco a pensare a un’altra ragione per assoldare dei mercenari. Come agisce un governo quando vuole un riscontro esterno sul funzionamento dei suoi servizi segreti? Perciò… chi mi dice che lei non stia lavorando per i cetagandani?

Ethan ansimò, inorridito da quell’ipotesi abbastanza logica.

— Lei pensa davvero che i superiori di Millisor ricorrano a questi metodi per sapere se è un traditore, o un incapace, o se merita una promozione? — Quinn parve divertita all’idea. — Gli auguro di no, perché dall’ultimo rapporto che ho spedito Millisor e Rau non ne vengono fuori esattamente come due mostri di efficienza. — Dal modo in cui la mercenaria si teneva nel vago, Ethan capì che non aveva intenzione di reclamare per sé l’eliminazione di Okita. La sua generosità mancò di riempirlo di gratitudine.

— La sola garanzia che posso offrirle, signor Cee, è un mio giudizio personale sulle inclinazioni dell’ammiraglio Naismith: lui non accetterebbe mai un contratto coi cetagandani.

— I mercenari non possono permettersi di rifiutare un contratto, a volte anche per una misera paga — disse Cee. — Hanno sempre molto bisogno di lavorare, e non gli interessa sapere per chi.

— Non è esatto. I mercenari che desiderano vivere abbastanza da riscuotere la loro paga, per quanto misera, devono essere in gamba. Chi comanda dei mercenari in gamba non può essere uno sciocco. E solo a uno sciocco non interessa sapere per chi lavora. Vero, nel nostro ambiente esistono degli individui senza morale, degli avventurieri a cui va bene tutto, o degli psicopatici… ma non nello staff dell’ammiraglio Naismith.

Ethan si trattenne a stento dal dire che lui avrebbe preso con un grano di sale quell’ultima affermazione.

— Veniamo ora al motivo per cui ho deciso di parlarle. — Ormai lanciata, la bruna dimenticò il suo atteggiamento non minaccioso e si alzò in piedi, andando avanti e indietro nell’esiguo spazio accanto al letto. — Signor Cee, ciò che io sono in grado di offrirle è un posto sicuro e un buon lavoro nella Libera Flotta dei Mercenari Dendarii. Basandomi soltanto sulle sue capacità telepatiche, purché siano effettive, io posso garantirle il grado iniziale di tenente nel Servizio Informazioni. Forse qualcosa di più, data la sua esperienza, ma comunque un grado da ufficiale. Se lei è stato addestrato fin dall’infanzia al controspionaggio militare, perché non mettere a frutto questa sua istruzione? Fra i Dendarii lei non sarà soggetto a nessun regime tirannico o struttura di potere come i Ghem-lord. Farà carriera solo con le sue capacità. E per quanto diverso lei pensi d’essere, troverà dei compagni a volte perfino più strani di lei…

— Non ne dubito — mugolò Ethan.

— … gente nata da donne come da replicatori uterini, persone provenienti da habitat che hanno mutato alcune loro caratteristiche umane. Uno dei nostri capitani più stimati, ad esempio, è un ermafrodita betano.

Agitava le braccia, annuiva con enfasi, se avesse potuto si sarebbe messa a volare come un angelo, pensò Ethan, per meglio promuovere la sua causa.

— Potrei farle notare, comandante Quinn, che il signor Cee ha già chiesto asilo politico al pianeta Athos.

Lei non si sprecò neppure a fare del sarcasmo. — Sì, lei ha chiesto protezione, signor Cee — disse subito. — Se è Millisor che teme, quale posto migliore che in mezzo a un esercito?

C’era il fatto, fu costretto a riflettere Ethan, che la comandante Quinn appariva molto avvenente quando si arrossava in viso e si eccitava così. Pochi uomini giovani, su Athos, avevano quel genere di avvenenza. E i non-athosiani trovavano attraenti le femmine… sbirciò Cee, senza parere, e fu sollevato nel vedere che appariva freddo e analitico. Notevole. Lo stesso Ethan, se tutta quella passione fosse stata diretta su di lui, avrebbe potuto sentirsi tentato di firmare l’ingaggio. Chissà se i Dendarii avevano bisogno di un medico-chirurgo?

— Suppongo — disse seccamente Cee, — che prima di assumermi il suo ammiraglio mi interrogherebbe.

— Be’ — lei si strinse nelle spalle. — Direi di sì.

— Con una droga della verità, senza dubbio.

— Ah… questa è la prassi con tutti i nuovi dipendenti del Servizio Informazioni. Nonostante la sincerità dei soggetti è possibile che qualcuno abbia ricevuto un "impianto’", materiale o psichico, senza saperlo.

— Un esame completo in tutti i sensi, dunque.

Lei sospirò un assenso. — Noi disponiamo dell’attrezzatura per tutti i test fisici e mentali, ovviamente. Se fosse necessario.

— E sapete come usarla. Se fosse necessario.

— Quella a cui presumo si stia riferendo, non la usiamo con la nostra gente. Solo con gli estranei.

— Signora — Cee si toccò la fronte. — quando questa cosa è attivata, io sono il più estraneo che lei abbia mai visto.

Un po’ dell’energia nervosa della mercenaria si spense, e per la prima volta mostrò i sintomi del dubbio. — Ah. Mmh.

— E se decidessi di non unirmi a voi… lei cosa farà allora, comandante Quinn?

— Oh, be’… — disse lei con un’aria che a Ethan parve quella di una gatta che stesse fingendo di non inseguire il topo. — Lei non è ancora fuori da Stazione Kline. Millisor è sempre in giro a darle la caccia. Io sono in erado di farle un favore o due…

Era un’offerta sincera, o dietro di essa si nascondeva la minaccia di consegnarlo ai suoi avversari?

— In cambio, lei può darmi altre informazioni su Millisor e sui servizi di controspionaggio cetagandani. Così avrò almeno qualcosa da riportare all’ammiraglio Naismith.

Ethan immaginò la gatta che orgogliosamente depositava il topo morto ai piedi del suo padrone.

Cee doveva aver visualizzato sospetti dello stesso genere, perché in tono sarcastico chiese: — La mia salma in un sacco di plastica servirebbe allo scopo?

— L’ammiraglio Naismith non è la persona che lei crede, glielo assicuro — disse Quinn.

Cee sbuffò. — Cosa ne sapete voialtri ciechi di quel che c’è davvero nella mente degli altri? Potete forse dire di conoscere a fondo qualcuno? Quando io la guardo, cieco come sono adesso ai suoi pensieri, cosa ne so di lei?

Costretta su quel piano retorico certo non molto pratico dal suo punto di vista, Quinn esitò. — Be’, non è esattamente con occhi ciechi che tutti noi giudichiamo gli altri — disse infine. — Noi soppesiamo le azioni e le parole, senza fermarci alle apparenze esterne. Facciamo le nostre ipotesi, per quanto in parte basate sulla fantasia. E poi decidiamo se fidarci o meno di una persona. — Si volse a Ethan con aria d’attesa e lui annuì, per onestà, anche se non aveva alcuna voglia di appoggiare le argomentazioni della mercenaria.

Cee scartò quelle parole con un gesto secco. — Sia le azioni che le parole possono mentire, o non fornire indizi sulla realtà. Io ho visto persone oneste servire passivamente dei criminali, convinte d’essere nel giusto. Quando dico che è cieca, lei non capisce fino a che punto lo è. — Andò verso la finta finestra e guardò l’ologramma del panorama silvestre, poi si girò di nuovo. — Io devo sapere. Devo sapere. — Li guardò entrambi, come se davanti a lui ci fosse un muro di tenebra in cui non vedeva niente. — Procuratemi un po’ di tyramina. Poi parleremo. Quando potrò sapere chi siete realmente.

Ethan si chiese se il disappunto che sentiva di avere sulla faccia fosse lo specchio di quello sulla faccia di Quinn. Si scambiarono un’occhiata, senza alcun bisogno della telepatia per intuire i pensieri dell’altro: Quinn era senza dubbio preoccupata dei suoi segreti e delle procedure del Servizio Informazioni Dendarii; lui, be’… era destino che Cee prima o poi scoprisse quale errore aveva fatto rivolgendosi a lui per essere protetto. Ma forse era meglio così. Ethan ebbe un sospiro di rimpianto al pensiero di dover rinunciare all’immagine di sé che aveva creato per gli occhi di Cee. Ma uno sciocco lo era due volte se cercava di nasconderlo. — D’accordo, per me sta bene — concesse in tono lugubre.

Quinn si stava mordicchiando un labbro con espressione assente. — Questo è obsoleto — mormorò. — Stando così le cose, ora dovranno cambiare tattica… ma Millisor sapeva già tutto questo. E il resto sono soltanto fatti miei, personali. — Si volse a Cee. — Come vuole.

Il giovanotto la guardò stupito. — Lei è d’accordo?

Quinn storse la bocca in una smorfia. — È la prima volta che il signor ambasciatore athosiano e io ci troviamo d’accordo su qualcosa, non è vero? — Inarcò un sopracciglio verso Ethan, che bofonchiò: — Umpf.

— A me occorre della tyramina pura — disse loro Cee. — Voi sapete dove trovarla?

— Oh, qualsiasi farmacia dovrebbe tenerne un poco — disse Ethan. — Ha un uso medicinale abbastanza esteso anche fuori Athos, da quanto ho letto nelle riviste di…

— C’è un problema, se bisogna per forza rivolgersi a una farmacia — lo interruppe bruscamente Cee, come irritato da quell’ipotesi.

Quinn annuì subito, con un sospiro. — Già, è ovvio.

— È ovvio cosa? — domandò Ethan.

— Ora capisco perché Millisor agisce sotto le spoglie di un commerciante — disse la mercenaria. — Si è dato molta pena per inserirsi nella rete commerciale computerizzata, senza preoccuparsi troppo di cercare tracce collegate alla presenza di turisti e lavoratori stranieri. Mi chiedevo perché, e quale misterioso motivo lo inducesse a buttare via soldi per iscriversi alla Camera di Commercio. — Nei suoi occhi neri brillava una luce soddisfatta.

— Ah, sì? — disse Ethan, perplesso.

— È una trappola, vero? — domandò Quinn a Cee.

Il giovanotto ebbe un cenno d’assenso.

La mercenaria spiegò a Ethan: — Millisor ha chiesto dei servizi alla rete commerciale computerizzata. Scommetto che se qualcuno, qui su Stazione Kline, acquista un medicinale che contiene una pur minima percentuale di tyramina, sulla sua consolle di comunicazione arriva automaticamente un messaggio. Dopodiché lui manda Rau, o Setti, o magari un impiegato della Camera di Commercio, a controllare se si tratta di un falso allarme. Oh, sì. Molto logico. Del resto, sono professionisti.

Quinn andò a sedersi e per qualche momento rifletté, grattandosi uno dei candidi incisivi superiori con un’unghia. Anche lei era una ex-mangiatrice di unghie, diagnosticò Ethan riconoscendosi in quel gesto.

Poi la bruna rialzò lo sguardo. — Forse ho il modo di aggirare questo ostacolo — mormorò.


Ethan non aveva mai pensato che un giorno gli sarebbe successo di lavorare a un posto d’ascolto di spionaggio, e trovava affascinante quella tecnologia. Terrence Cee si mostrava assai più distaccato, certo perché non era nuovo a esperienze simili e all’uso di strane attrezzature. I Dendarii, evidentemente, si basavano molto su oggetti micro-miniaturizzati di produzione betana. Soltanto la necessità d’interfacciarsi con gli occhi e le mani dell’uomo faceva sì che il terminale di controllo, appoggiato sul tavolino davanti a Cee e ad Ethan, avesse le dimensioni di un libro tascabile.

L’immagine inquadrata nel piccolo schermo olovisivo (una galleria all’altro capo di Stazione Kline, con negozi e passanti) tendeva a sobbalzare in un modo che disorientava lo sguardo, poiché la telecamera era mimetizzata in uno degli orecchini a forma di fiore fissati ai lobi degli orecchi di Elli Quinn. Ma con un po’ di concentrazione e dopo una mezzora di pratica Ethan riusciva a lasciarsi assorbire dalla scena che si svolgeva in quel settore. La camera d’albergo di Cee, dove aveva trascorso la notte, svanì dalla sua percezione, anche se il giovanotto biondo seduto accanto a lui poteva distrarlo con la sua presenza.

— Niente può andare male, se tu fai esattamente ciò che ti ho detto e ti comporti in modo normale — stava spiegando Quinn a suo cugino Teki, che quel mattino appariva fresco e riposato. Elegante nella linda uniforme verde-pino e azzurro-cielo. Teki non sospettava che la mercenaria stesse trasmettendo altrove la sua immagine. Il bendaggio bianco che il giorno prima gli ornava la fronte era stato sostituito da una striscia di plastica trasparente. Ethan notò che non c’era rossore o irritazione intorno ai bordi del taglio, già ben rimarginato.

— Non dimenticare che è l’assenza del segnale a indicare che tutto va annullato — continuò Quinn. — Io sarò nelle vicinanze, per ogni eventualità, ma tu non guardare mai direttamente verso di me; solo con la coda dell’occhio. Se non mi vedrai alzare una mano nel segno di "tutto bene’" sulla balconata, tornerai subito dentro e restituirai la roba al farmacista, dicendogli che hai sbagliato e che volevi l’altra medicina, il, uh…

— Tryptophan — mormorò Ethan. — Contro l’insonnia.

— Il tryptophan — continuò Quinn. — contro l’insonnia. Poi vai al lavoro come al solito. Non cercare di metterti in contatto con me. Passerò io più tardi a prendere la roba.

— Elli, questa faccenda ha qualcosa a che fare con l’individuo che mi hai chiesto di far uscire dalla quarantena ieri mattina? — volle sapere Teki. — Hai promesso che mi avresti raccontato tutto al momento giusto.

— Non è ancora il momento giusto.

— Stai lavorando per i Mercenari Dendarii, è così?

— Sai bene che sono in ferie.

Teki sorrise. — Sei innamorata di qualcuno di qui, allora? Se non altro è un progresso, rispetto al nanerottolo che viaggiava con te l’anno scorso.

— L’ammiraglio Naismith — disse rigidamente Quinn, — non è un nanerottolo. È una persona di bassa statura. E io non sono mai stata innamorata di lui, razza di ficcanaso cialtrone. Ammiro la sua intelligenza, tutto qui. — L’immagine oscillò quando scosse la testa con un sospiro spazientito. — È un professionista, capisci?

Teki mugolò qualcosa, scettico. — E va bene, ma se questa non è una cosa che stai facendo per il nanerottolo. di che si tratta? Non starai arrotondando la paga col commercio di droga o qualche altra strana illegalità, vero? Io sono sempre felice di farti un favore, ma non se questo deve costarmi il lavoro, dolcezza.

— Sei dalla parte della legge e del bene, te lo assicuro — disse Quinn, dandogli un colpetto nelle costole. — Ma se non ti metti subito in marcia farai tardi al tuo prezioso lavoro. Coraggio.

— E va bene. — Teki scrollò le spalle, senza prendersela. — Ma più tardi dovrai raccontarmi tutto, siamo intesi? — Si girò a guardare la galleria. — Comunque. se è tutto così legale e morale e giusto, perchè continui a dirmi che niente può andare male?

— Perché niente deve andare male — disse Quinn fra i denti, in una via di mezzo fra una minaccia e una preghiera, e gli fece cenno di avviarsi.

Pochi minuti dopo s’incamminò nella stessa direzione in cui era scomparso Teki. Ethan e Cee furono condotti in una lenta passeggiata davanti alle vetrine dei negozi. Soltanto un movimento cauto che consentì alla telecamera d’inquadrarlo li informò che il cugino della comandante Quinn era ancora in vista. Quando lei si fermò su una balconata riuscirono a scorgerlo; il giovanotto era entrato in una farmacia e stava aspettando il suo turno. Quinn si spostò fino a poterlo vedere attraverso la porta e poi regolò il microfono direzionale che aveva fra i capelli, regolandolo per oltrepassare la voce di un video che proponeva ai clienti un nuovo farmaco contro la nausea in assenza di peso.

— Dovrò farla arrivare dal magazzino — stava dicendo il farmacista, non abbiamo molte richieste di questa sostanza. Vediamo… — Batté qualcosa su una tastiera e guardò uno schermo. — Le sono state consigliate le pasticche da mezzo grammo, o quelle da un grammo?

— Uh… quelle da un grammo, mi sembra — rispose Teki.

— Bene, le ho richieste — disse l’uomo, e si girò verso il tubo della spedizione pneumatica. Ci fu una lunga pausa. Il farmacista bofonchiò tra i denti e batté ancora sulla tastiera. Lo sportello trasparente del tubo non si aprì. Il computer emise alcune note musicali. Il farmacista scosse il capo e introdusse di nuovo l’ordinazione.

— La trappola di Millisor al lavoro? — mormorò Ethan a Cee.

— È probabile. Un ritardo, per dare a uno di loro il tempo di intervenire. Spero di sbagliarmi, ma…

— Mi spiace, signore — disse il farmacista a Teki. — Sembra che in magazzino ci sia qualche intoppo. Se vuole accomodarsi lì, vado a prelevare le pillole personalmente. Ci vorranno pochi minuti.

Quinn si piegò sulla balaustra e controllò la ripresa della microcamera-orecchino con un minuscolo schermo da polso. Eseguì uno zoom trasmettendo a Ethan e Cee un’inquadratura del farmacista, che stava tirando fuori un catalogo o qualcosa del genere da sotto il banco. L’uomo soffiò via uno strato di polvere e uscì da una porta sul fondo, sfogliando le pagine.

Teki fece un sospiro e si gettò a sedere su un comodo divano, voltandosi a cercare Quinn con lo sguardo. Lei spostò l’inquadratura su un piccolo scaffale pieno di contraccettivi bisex, pillole gialle che avevano effetto per un mese. Anche la scena del depliant sullo scaffale era bisex, e tale che Ethan arrossì per l’imbarazzo. Sapeva che gli uomini e le femmine facevano quella cosa, ma vederlo esposto così… gettò un’occhiata di traverso a Cee, il quale non mostrava però la minima reazione. Ethan riportò fermamente lo sguardo sullo schermo olografico. Il giovanotto biondo era senza dubbio abituato a cose simili, dato che per sua stessa ammissione aveva vissuto in intimità con una femmina per parecchi anni. Probabilmente non vedeva nulla di sbagliato in quella cosa. Ethan desiderò che Quinn la smettesse d’interessarsi a quelle imbarazzanti specialità farmaceutiche.

— Topi — mormorò la mercenaria. — Sono svelti, dannazione.

L’inquadratura della microcamera si allargò di nuovo, e dopo un attimo di disorientamento Ethan vide che nella farmacia era entrato un altro cliente. Altezza media, abito grigio, compatto come una bomba… Rau.

Il cetagandano rallentò il passo, si voltò a guardare il banco dietro cui al momento non c’era nessuno, diede una lunga occhiata a Teki e poi gli voltò le spalle con indifferenza, comportandosi come un cliente qualsiasi. Fermo davanti allo scaffale dei contraccettivi si girò verso la porta, guardò fuori e vide Quinn dall’altra parte della galleria, appoggiata alla ringhiera. La bruna mercenaria doveva avergli elargito uno dei suoi sorrisi più abbaglianti, comprese Ethan, perché le labbra dell’uomo si curvarono in un involontario sorriso di risposta. Subito dopo, tuttavia, il cetagandano diede la schiena alla porta e a quella presenza che rischiava di distrarlo troppo.

Due minuti dopo il farmacista riapparve dal retro, salutò con un cenno del capo il nuovo cliente, mostrò a Teki una confezione di compresse con aria soddisfatta e si fece consegnare la sua carta di credito. Il computer la inghiottì e ne esaminò il contenuto, senza problemi e senza ritardi, quindi la restituì con l’accompagnamento di alcune soddisfatte note musicali.

Quando Teki uscì in strada, con la scatoletta in mano, Quinn non era più sulla balconata ma passeggiava davanti ai negozi. Invece di prender atto della cosa e di rientrare nel negozio, come Ethan gli stava "telepaticamente" gridando, il giovanotto si avviò con aria pigra e casuale nella galleria, gettando attorno occhiate nervose. Alla fine decise di sedersi su una panchina fra alcuni sempreverdi in vaso, davanti alla fontana, a una dozzina di metri dalla farmacia. Rau era uscito venti secondi dopo di lui, dopo aver acquistato qualcosa (o forse niente) con sorprendente rapidità, ma non s’era allontanato molto. Quando la mercenaria si volse per far inquadrare la scena dalla microcamera. Ethan vide che il cetagandano aveva introdotto un dischetto in un lettore e, con lo schermo in mano, si stava sedendo proprio sulla stessa panchina di Teki, a un metro di distanza da lui. L’individuo si concentrò sulla lettura. Quinn continuò a muoversi lentamente da una vetrina all’altra.

Se pure Teki aveva notato Rau (dopotutto era la seconda volta che veniva accostato, e Rau aveva l’aspetto di uno straniero) doveva avere ben altre preoccupazioni per la testa. Poco dopo il giovanotto consultò l’orologio da mignolo, probabilmente pensando al suo lavoro e irritato da quel ritardo. Ma invece di eseguire le istruzioni continuò a guardare Quinn, come in disperata attesa del segnale di via libera che lei avrebbe dovuto fargli con la mano. La bruna mercenaria seguitò a ignorare ostentatamente la sua esistenza. Alla fine, con sollievo di Ethan, Teki si alzò e cominciò a tornare verso la farmacia.

— Ehi, signore — lo chiamò Rau, con un sorriso. — Ha dimenticato qui il suo pacchetto! — E glielo indicò con un gesto cortese.

— Se il regno dei cieli è dei poveri di spirito, tu diventerai vice-presidente del Paradiso, Teki — mormorò fra i denti Quinn, che teneva il microfono direzionale puntato su di loro. — La presidenza me la sono già accaparrata io, fidandomi di te.

— Oh, guarda… grazie, molto gentile. — Teki raccolse la confezione dalla panchina e restò lì un momento con l’aria di non sapere cosa farsene. Rau annuì e tornò al suo schermo tascabile. Teki borbottò qualcosa fra sé e con passi decisi andò dritto verso la farmacia.

— Senta, mi scusi — disse al farmacista, mentre entrava, — ma è la tyramina oppure il tryptophan, che va bene contro l’insonnia?

— Il tryptophan, direi — rispose il farmacista. — Ma lei non mi ha parlato dell’insonnia, altrimenti le avrei detto…

— Lo so, abbia pazienza. Quello che volevo era il tryptophan.

Ci fu un breve ostile silenzio. Il farmacista si spolverò il camice con gesti ostentati. — Una confezione di tryptophan — disse infine. — Questa l’abbiamo in negozio, fortunatamente. Se mi consegna un momento la carta di credito, le rimborso la differenza.


— Non è stata una completa perdita di tempo — disse Quinn, togliendosi gli orecchini e riponendoli con cura nei piccoli vani imbottiti entro il coperchio del monitor. — Se non altro abbiamo la conferma che Millisor si attendeva questa mossa, e che il capitano Rau è molto solerte nella sorveglianza che hanno organizzato. Non che io ne dubitassi, comunque.

Rimise al suo posto anche il piccolo microfono direzionale, chiuse il coperchio e s’infilò il monitor in una tasca della blusa.

Poi abbassò uno sportello-sedia anche per sé e sedette vicino al tavolo estraibile di Terrence Cee. — Suppongo che uno di loro pedinerà Teki per una settimana, adesso, anche se Rau si è bevuto la scenetta della sostituzione. I cetagandani sono pignoli e sospettosi. Meglio così. Pensandoci bene, quella di farli stancare con un po’ di lavoro inutile può essere una buona tattica. Se Teki non fa la sciocchezza di venirmi a cercare, per ora tutto va bene.

Non quanto credi tu pensò Ethan, gettando un’occhiata in tralice al profilo di Terrence Cee. Il giovanotto era parso rinfrancato quando sembrava che avrebbero potuto avere la tyramina. Adesso era di nuovo taciturno e sospettoso, e si teneva sulle sue.

A parte la sua infelice promessa di offrire protezione a Cee, Ethan sapeva di non poter uscire da quell’intrigo finché Millisor fosse stato una minaccia per Athos. E anche se i loro scopi erano del tutto diversi e separati — quelli di Cee, quelli di Quinn e i suoi — risolvere in qualche modo la situazione avrebbe richiesto l’unione delle loro forze.

— Suppongo che potrei rubare un po’ di tyramina — disse senza entusiasmo Quinn, evidentemente conscia della freddezza di Cee. — Stazione Kline non è il luogo più adatto per rubare in un negozio, dato il continuo monitoraggio… — Tacque, rimuginando su qualche altra possibilità.

— C’è un motivo particolare per cui lei deve usare tyramina pura? — domandò all’improvviso Ethan. — Oppure basta che lei abbia nella circolazione sanguigna qualche milligrammo di tyramina, assunta in qualsiasi forma?

— Non lo so — rispose Cee. — Noi abbiamo sempre usato pasticche di tyramina pura.

Ethan corrugò le sopracciglia. Andò alla consolle di comunicazioni della camera, chiamò a schermo un indice e poi cominciò a battere sulla tastiera una lista di voci.

— Che stai facendo? — domandò Quinn sporgendosi verso di lui.

— Una prescrizione dietetica, per Dio il Padre — disse Ethan, con un sogghigno eccitato. — La tyramina si trova anche in molti alimenti, sa? Se lei si attiene a un menu che possa fornirle una certa concentrazione della sostanza… Millisor non può aver messo sotto controllo tutte le rivendite di generi alimentari al minuto e all’ingrosso della stazione, no? E non c’è niente d’illegale nell’andare a fare semplicemente la spesa. Probabilmente lei dovrà rivolgersi ai fornitori di cibi d’importazione per molte di queste cose… non credo che il distributore di questa camera possa offrire qualcosa di apprezzabile.

Quinn prese la lista che uscì dalla stampante, la lesse e inarcò le sopracciglia. — Tutta questa roba?

— Tutto ciò che lei può procurarsi.

— Il dottore sei tu. — La mercenaria scrollò le spalle e si alzò. Ebbe un sorrisetto ironico. — In ogni caso al signor Cee non farà male metter su qualche chilo.


Dopo un paio d’ore, durante le quali Ethan e Cee non trovarono niente da dirsi per ingannare l’attesa, Elli Quinn fece ritorno all’albergo con due grosse borse.

— Mi sono fatta aiutare da un’amica — disse, poggiandole sul tavolo. — Io ho già mangiato qualcosa. Questo è tutto per lei, signor Cee.

Il giovanotto biondo non parve molto entusiasta del cibo che la mercenaria cominciò a tirare fuori.

— Vedo che lei ha comprato molta roba — osservò Ethan.

— Non mi hai detto quanta avrei dovuto comprarne — ribatte Quinn. — Comunque, Cee non deve far altro che mangiare e bere finché la sua telepatia non comincia a funzionare. — Schierò come soldati le bottiglie di vino bianco, Borgogna e Champagne d’importazione, lo sherry, e i bulbi di birra chiara e scura. — O finché non perisce nel tentativo. — Intorno ai liquori dispose una forma di formaggio giallo di Escobar, un duro formaggio bianco di Sergyar, due qualità di aringhe sott’olio, una dozzina di tavolette di cioccolato, dei vasetti di sottaceti e altre cose ancora. — A meno che non vomiti tutto. — concluse.

L’unico prodotto delle vasche di crescita di Stazione Kline erano i cubetti di fegato di pollo, nella confezione autoriscaldante. Ethan pensò a Okita e scosse il capo quando Cee lo invitò ad assaggiarli. Prese qualcosa dagli articoli d’importazione, e imprecò fra i denti nel vedere le etichette col prezzo.

Quinn sospirò, con un sorrisetto aspro. — Sì, avevi ragione dicendo che non avrei trovato molto fra i prodotti nostrani. Hai un’idea di quanto sia diventato poco spiegabile il mio conto spese? — Guardò Terrence Cee, oltre le bottiglie e le confezioni sigillate che riempivano il tavolo. — Buon appetito.

La mercenaria si tolse le scarpe e si distese sul letto gonfiabile di Cee. con le inani intrecciate dietro la nuca e un’espressione di grande interesse sulla faccia. Ethan tolse il sigillo di plastica a una bottiglia da un litro di vino bianco, e dispose volonterosamente nel poco spazio libero le posate e i piatti usa-e-getta forniti dal distributore della camera.

Cee annusò con espressione dubbiosa i formaggi, sedette a tavola di fronte a lui e domandò: — Dottor Urquhart, è sicuro che questo metodo funzionerà?

— No — ammise lui con franchezza, — però mi sembra un esperimento abbastanza innocuo per l’organismo, se consideriamo che lei non sta assumendo sostanze pericolose.

Dal letto provenne un borbottio ironico. — La scienza è una cosa meravigliosa, no? — disse Elli Quinn.

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