CAPITOLO PRIMO

Il parto procedeva regolarmente. Le lunghe dita di Ethan staccarono con delicatezza la sottile cannula dai supporti.

— Ora dammi la soluzione ormonale C — ordinò al meditec in attesa al suo fianco.

— Eccola, Dr. Urquhart.

Ethan premette l’hypospray contro la membrana discoidale all’estremità della cannula e sparò nell’interno una dose calcolata. Controllò i monitor: la placenta ondeggiava libera, separata dalla superficie nutritiva che l’aveva sostenuta negli ultimi nove mesi. Era il momento.

Con gesti rapidi spezzò i sigilli, alzò il coperchio del contenitore cilindrico e passò il vibro-bisturi sullo spesso rivestimento di microscopici tubicini per lo scambio dei liquidi. Quand’ebbe aperto la massa spugnosa, il meditec la trasse di lato con una pinza e chiuse il tubo che la riempiva di soluzione oxi-nutriente. Solo poche gocce di fluido chiaro spruzzarono le mani guantate di Ethan. La sterilità dell’interno non era stata compromessa, notò con soddisfazione, e il suo passaggio col bisturi era stato così leggero che l’argenteo sacco amniotico sotto i tubicini era intatto. Una piccolo corpo roseo si muoveva impaziente nell’interno. — Fra un momento sarai fuori — gli promise allegramente lui.

Un’altra incisione, ed Ethan estrasse l’umido e sporco infante da quella che era stata la sua prima casa. — Detergente!

Il meditec gli mise il bulbo in mano, e lui ripulì dal fluido il naso e la bocca del bambino per prepararlo al suo primo stupefatto respiro. Il neonato ansimò, gemette, sbatté le palpebre e vagì nella gentile ma ferma presa di Ethan. Il meditec spostò il tavolino con la bacinella d’acqua sotto la luce calda e lui vi appoggiò il neonato, per chiudere e tagliare il cordone ombelicale. — Ora sei libero di andare per il mondo, piccolo — gli disse.

Il tecnico in attesa presso la porta venne a prendere il replicatore uterino che aveva così fedelmente incubato il feto per tre quarti di un anno. Le luci spia e i monitor dell’apparecchio erano spenti, adesso; l’uomo cominciò a staccarlo dal banco dov’era fissata una fila di macchinari identici, per portarlo al piano di sotto dove sarebbe stato pulito e riprogrammato.

Ethan si volse al padre dell’infante, che s’era fatto avanti con ansia. — Peso ideale, colorito ottimo, riflessi soddisfacenti. Posso assegnare a suo figlio un A-più, signore.

L’uomo sorrise, tirò su col naso, ebbe una breve risata e si asciugò una lacrima d’emozione dall’angolo di un occhio. — È un miracolo, Dr. Urquhart.

— È un miracolo che succede una decina di volte al giorno, qui a Sevarin. — Ethan sorrise.

— Lei non si annoia mai, dottore?

Ethan abbassò uno sguardo compiaciuto sul neonato, che agitava le gambe e apriva e chiudeva i pugni dentro la bacinella. — No. Mai.


Ethan era preoccupato per il CJB-9. Accelerò il passo nei silenziosi e pulitissimi corridoi del Centro di Riproduzione del Distretto di Sevarin. Era quasi la fine del turno di notte, e lui era stanco; la sera prima era venuto in anticipo per occuparsi di un paio di nascite difficili.

L’ultima mezzora del turno era stata come al solito la più indaffarata per tutti, un crescendo di rapporti da compilare e di istruzioni ai colleghi che sbadigliando arrivavano per sostituirli. Ethan non aveva sbadigliato, ma si fermò a prendere due tazze di caffè nero al distributore nell’ingresso del reparto tecnico, prima di far visita al caposquadra dei tecnomedici nel suo cubicolo di monitoraggio.

Georos lo salutò con un cenno, e la sua mano proseguì il movimento per afferrare la tazza che lui gli porgeva. — Grazie, signore. Come sono andate le sue ferie?

— Bene. Mio fratellastro, il minore, si è preso una settimana di permesso dalla caserma dove presta servizio, così per una volta tanto ci siamo ritrovati insieme a casa. Nella Provincia Meridionale. Per il nostro vecchio è stato bello. Il ragazzo ha avuto una promozione: ora è primo controfagotto nell’orchestra del reggimento.

— Ha intenzione di fare la firma, dopo i due anni di leva?

— Credo di sì. Almeno per altri due anni. Sta coltivando la sua esperienza musicale, cioè la cosa che più gli interessa, e i crediti extra per i doveri sociali che si metterà in tasca non gli daranno affatto fastidio.

— Mmh. — Georos annuì. — Provincia Meridionale, eh? Mi chiedevo perché non la vedevamo mai in giro quando ha un momento libero.

— È il solo modo in cui ho l’impressione di prendermi una vacanza vera: uscire dalla città — ammise seccamente Ethan. Guardò le file di monitor allineati nel cubicolo. Il capo della squadra notturna tacque e sorseggiò il caffè, gettando un’occhiata al medico che ora, esaurito il suo unico argomento di conversazione spicciola, sembrava un po’ a disagio.

I display mostravano il Banco 1 di Replicatori Uterini. Ethan chiamò sugli schermi il Banco 16, dei quali faceva parte l’embrione CJB-9.

— Ah, dannazione. — Scosse il capo e fece un lungo sospiro. — Proprio come temevo.

— Già — annuì Georos, con un sorrisetto malinconico. — Totalmente non-utilizzabile, non c’è dubbio su questo. Un paio di sere fa ho eseguito un ecoscandaglio… è solo una massa di cellule.

— Non potevano diagnosticarlo la settimana scorsa? Perché il replicatore non è stato riciclato? Ci sono altri in attesa. Dio il Padre sa che è vero.

— Per eliminare l’embrione bisognava aspettare il permesso paterno. A proposito… — Georos si schiarì la gola. — Roachie ha chiesto al padre di venire a colloquio con lei, questa mattina.

— Umpf… — Ethan si passò una mano fra i corti capelli neri, lasciandoli assai meno ben pettinati di prima. — Ricordami di dire grazie al nostro beneamato capo. Mi avete tenuto da parte qualche altro lavoro sporco?

— Soltanto una riparazione alla genetica del 5-B… probabilmente una deficienza ormonale. Ma immagino che ci tenga a occuparsene lei stesso.

— Infatti.

Il capo della squadra tecnica cominciò a registrare il suo rapporto di fine turno.


Ethan arrivò con qualche minuto di ritardo al colloquio con il padre del CJB. Durante l’ispezione mattutina era entrato in una delle camere dei replicatori trovando il tecnico di servizio che lavorava tenendo a tutto volume una canzone rauca e aritmica dal titolo Resta Sveglio Tutta La Notte, popolare fra i giovani non specializzati, che con versi folleggianti esaltava gli stimo-vocali. Le sue note stridule avevano fatto allegare i denti a Ethan; difficilmente la si poteva considerare una stimolazione sonora prenatale per i feti in crescita.

Quand’era uscito, nella camera risuonava il classico inno Dio dei Nostri Padri, Illumina la Strada, eseguito dall’Orchestra Sinfonica della Fratellanza Unita, e il tecnico stava sbadigliando vistosamente.

Nella camera successiva aveva trovato un banco di replicatori uterini che da quella notte andavano avanti con una saturazione del 75% di sostanze di rifiuto nella soluzione di scambio-eliminazione. Il tecnico di servizio s’era affrettato a spiegargli che stava aspettando il regolamentare minimale dell’80% prima di eseguire il cambio dei filtri. Ethan gli aveva spiegato, con voce dura e nitida, la differenza fra minimale e ottimale, quindi aveva assistito al cambio del filtri e atteso che la saturazione delle sostanze di rifiuto scendesse a un più ragionevole 40%.

L’impiegata all’ingresso del Centro dovette far squillare a lungo il suo avvisatore per penetrare nell’attenzione di Ethan, occupato a illustrare al tecnico l’esatta gradazione di trasparenza giallo-limone in una soluzione oxi-nutriente che operasse al meglio. Lui salì di corsa al piano degli uffici e restò ad ansimare qualche momento fuori dalla porta, in bilico fra l’urgenza di ritrovare la sua dignità di rappresentante del Centro e la scortesia del far aspettare un cliente. Poi inalò un lungo respiro che non aveva nulla a che fare col suo galoppo su per le scale, si dipinse sulla faccia un sorriso cordiale e aprì la porta dove la scritta Dr. Ethan Urquhart — direttore del Reparto Riproduzione Biologica risaltava in lettere dorate sulla superficie di plastica bianca.

— Fratello Haas? Io sono il dottor Urquhart. No, no… non si alzi, la prego. Resti comodo — aggiunse, mentre l’uomo scattava in piedi nervosamente salutandolo con un cenno del capo. Ethan lo aggirò per andare dietro la sua scrivania, dove ebbe l’impressione assurda di essere più al sicuro.

L’uomo era grosso come un orso, con la faccia arrossata dai lunghi giorni trascorsi al sole e al vento. Le sue mani, che giravano e rigiravano il berretto, erano robuste e callose. Dopo aver scrutato Ethan commentò con voce rombante: — Mi aspettavo un medico più anziano.

Lui si passò le dita sul mento glabro, poi si rese conto di quel gesto e abbassò subito la mano. Se solo avesse portato la barba, o magari anche i baffi, la gente avrebbe smesso di prenderlo per un ventenne malgrado il suo metro e ottantacinque di statura. Fratello Haas aveva un’ispida barba di due settimane, cortissima a paragone dei lussureggianti mustacchi che lo proclamavano — evidentemente da molto tempo — genitore alternativo. Un solido cittadino.

Ethan fece un sospiro. — Si accomodi, prego. — E ripeté il cenno.

L’uomo sedette sul bordo della sedia, stringendo il berretto quasi in gesto di supplica. L’abito che indossava, probabilmente il suo unico vestito buono, era fuori moda e un po’ liso, ma lavato e stirato con cura; Ethan si chiese quanto avesse dovuto sfregarsi le mani con la spazzola, quel mattino, per riuscire a togliersi così bene ogni granello di polvere da sotto quelle unghie cornee.

Fratello Haas sbatté distrattamente il berretto contro un polpaccio. — Il mio bambino… dottore, c’è per caso… c’è qualcosa che non va con mio figlio?

— Uh… non le hanno detto niente per videofono?

— No, signore. Mi hanno detto soltanto di venire qui. Così ho firmato per una vettura al garage della mia comune, e sono venuto.

Ethan guardò il dossier sulla sua scrivania. — Lei ha guidato per tutta la strada dalle Sorgenti Cristallo fin qui, questa mattina?

Fratello Haas sorrise. — Io faccio il contadino. Sono abituato ad alzarmi presto. Comunque, nessun sacrificio è di troppo per il mio bambino. È il primo, sa… — Si passò una mano sulla mandibola e rise. — Be’, questo credo che sia ovvio.

— Come mai è venuto qui a Sevarin, e non al Centro Replicatori del suo distretto a Las Sands?

— È stato per via del CJB. A Las dicono che là non hanno un CJB.

— Capisco. — Ethan si schiarì la gola. — C’è qualche particolare ragione se ha deciso per il gruppo CJB?

Il contadino annuì con fermezza. — Sì, è una decisione che ho preso dopo un incidente durante l’ultimo raccolto. Uno di noi è caduto contro una trebbiatrice dalla parte sbagliata… ha perso un braccio. Era un tipico incidente di fattoria, ma hanno detto che se un dottore fosse potuto intervenire prima avrebbero potuto salvargli il braccio. Il fatto è che la comune sta crescendo. Siamo proprio sul confine della zona terraformata. Abbiamo bisogno di un dottore nostro. Tutti sanno che dal gruppo CJB vengono i medici migliori. Chi può dire quando mai avrò abbastanza crediti da doveri sociali per un secondo figlio, o un terzo? Così ho voluto il migliore.

— Non tutti i dottori in medicina sono CJB — disse Ethan. — E senza dubbio non tutti i CJB fanno i medici.

Haas sorrise educatamente, per nulla d’accordo. — Lei a che gruppo appartiene, dottor Urquhart?

Ethan si schiarì ancora la gola. — Be’… in effetti io sono un CJB-8.

Il contadino annuì, confermato nella sua opinione. — Dicono che lei è il migliore nel suo campo. — E guardò l’esperto in riproduzione biologica con aria famelica, come se vedesse nel suo volto quello del figlio che anelava di avere.

Ethan poggiò le mani sulla scrivania e cercò di assumere un atteggiamento gentile ma distaccato e professionale. — Senta, mi sembra di capire che per videotelefono non le abbiano spiegato la situazione, e me ne dispiace. Come lei però ha sospettato, c’è un problema col suo, uh, concepito.

Fratello Haas Sbatté le palpebre. — Mio figlio.

— Ah… no, temo che lei non potrà avere un figlio. Non questa volta. — Ethan allargò le mani con un sospiro di compatimento.

Un’ombra scese sul volto di Fratello Haas. L’uomo strinse le labbra, poi rialzò lo sguardo con un anelito di speranza. — C’è qualcosa che lei possa fare? Io so che lei fa riparazioni genetiche. Se costa molto… be’… la fratellanza della mia comune mi aiuterà, e col tempo io potrò pagare il debito…

Ethan scosse il capo. — Noi possiamo intervenire soltanto in una dozzina di problemi genetici più comuni. Alcuni tipi di diabete, ad esempio, possono essere eliminati sostituendo un gene in un piccolo gruppo di cellule che vengono poi immesse nel feto, se questo può essere curato in uno stadio precoce del suo sviluppo. Altre malattie possono essere prevenute intervenendo sullo sperma quando filtriamo via la parte difettosa, nei portatori di cromosoma X. Ci sono molti problemi abbastanza facili da individuare negli esami preliminari, eseguiti cioè prima che la blastula sia impiantata nel replicatore e cominci a formare la sua placenta. Di routine, a questo punto si sceglie una cellula iniziale che viene passata attraverso una serie di controlli computerizzati. Ma i controlli computerizzati scoprono solo ciò che sono programmati per scoprire, ovvero un centinaio dei più comuni difetti di nascita. Non è impossibile che ad essi sfugga una malattia rara, o ancora poco nota. Succede una dozzina di volte all’anno… ma succede. Il suo non è un caso unico. In genere noi procediamo subito all’annullamento del parto, e fertilizziamo un altro ovulo. È la soluzione migliore anche in termini di costo, dato che solitamente non vanno sprecati più di sei giorni di lavoro del replicatore uterino. Nel suo caso è trascorso più tempo.

Fratello Haas fece un sospiro. — Così bisogna ricominciare daccapo. Si accarezzò la mandibola. — Dag me lo diceva che porta sfortuna cominciare a farsi crescere la barba da padre prima della nascita. Suppongo che avesse ragione.

— Si tratta solo di un ritardo — lo rassicurò Ethan. — Dato che l’origine del problema era nell’ovulo, e non nel suo sperma, il Centro non le farà pagare il mese di lavoro del replicatore uterino. — Scrisse una frettolosa nota in merito, sul dossier.

— Vuole che io torni giù, al reparto paternità, per rilasciare una seconda dose di sperma? — domandò Fratello Haas, rassegnato.

— Ah… prima che lei se ne vada, sì, certo. Questo le risparmierà un altro lungo viaggio. Ma c’è un piccolo problema di cui sarà bene parlare fin d’ora. — Ethan tossicchiò. — Temo che non sarà possibile offrirle di nuovo il gruppo CJB.

— Ma io sono venuto fin qui proprio per il CJB! — protestò Fratello Haas. — Dannazione… ho il diritto di deciderlo io! — Le sue mani si chiusero a pugno in modo allarmante. — Perché non è possibile?

— Be’… — Ethan fece una pausa, e scelse le parole con cura. — La sua difficoltà con il gruppo CJB non è la sola che abbiamo avuto negli ultimi tempi. Quella cultura sembra essersi… deteriorata. In realtà abbiamo fatto un gran lavoro proprio per questo feto: tutti gli ovuli che la cultura ha prodotto in una settimana sono stati assegnati al suo caso e vagliati, in cerca di uno che… mmh, fosse almeno all’apparenza adatto. — Non c’era bisogno di dire a Fratello Haas quanto fosse stata spaventosamente esigua quella produzione. — I miei tecnici migliori hanno lavorato duro, e io anche. Parte del motivo per cui abbiamo accettato il rischio e continuato oltre i sei giorni standard con questo concepito, è che si trattava del solo gruppo di cellule di cui proseguiva la crescita dopo la suddivisione della quarta cellula. Da allora, la nostra cultura del gruppo CJB ha praticamente cessato la produzione di ovuli. Capisce?

— Ah. — Fratello Haas annuì, placato. Poi si animò di decisione nuova. — Dove posso rivolgermi, allora? Non m’importa se dovrò attraversare tutto il continente. Quello che voglio è un figlio del gruppo CJB.

Cupamente Ethan si chiese perché la fermezza di propositi fosse considerata una virtù, e non una dannata seccatura. Trasse un lungo respiro e disse quello che aveva sperato di non essere costretto a dire: — Temo che non possa occuparsene nessun altro centro, Fratello Haas. Il nostro era il solo ad avere una cultura CJB, su tutto Athos.

Il contadino lo guardò sbalordito. — Non ci sarà più nessun neonato del gruppo CJB? Ma allora dove troveremo i nostri medici, i nostri meditec.

— I geni del gruppo CJB non sono certo scomparsi — puntualizzò Ethan, seccamente. — Ci sono uomini su tutto il pianeta che li hanno in sé, e che li passeranno ai loro figli.

— Ma cos’è successo alle… alle culture? Perché non funzionano più? — domandò Fratello Haas, sbalordito.

— Forse sono state… uh, avvelenati, o qualcosa del genere? Un sabotaggio di quei maledetti Emarginati…

— No, no! — lo interruppe Ethan. Nel nome di Dio il Padre, che disordini avrebbe potuto scatenare una voce come quella. — È una cosa del tutto naturale. La prima cultura del gruppo CJB fu portata dai Padri Fondatori quando Athos venne colonizzato… dunque risale a duecento anni fa. Duecento anni di servizio eccellente. È soltanto… diventata vecchia. Consumata. Sfruttata al limite delle sue possibilità. Ha raggiunto la fine del suo ciclo vitale, già una dozzina di volte più lungo di quanto lo sarebbe stato in una, uh… — si trattava di un’oscenità, ma lui era un dottore e quella parola faceva parte della terminologia medica — "una femmina".

In fretta, prima che Fratello Haas potesse trarne la sola logica conclusione, proseguì: — Senta, ciò che intendo fare è proporle una buona soluzione, Fratello Haas. Il mio migliore meditec, una persona assai coscienziosa e abilissima nel suo prezioso lavoro, è un JJY-7. Ora, noi qui a Sevarin abbiamo un’ottima cultura del gruppo JJY-7, e lei ne può approfittare. Io stesso non esiterei ad avere un figlio del gruppo JJY-7, se soltanto… — S’interruppe, per non impantanarsi in un argomento troppo personale con un cliente. — Io sono convinto che lei ne sarà più che soddisfatto.

Benché riluttante Fratello Haas si lasciò persuadere ad accettare quell’alternativa, e poi scese al reparto prelievi che aveva già visitato un mese prima armato di più rosee speranze. Seduto alla sua scrivania, dopo l’uscita del cliente, Ethan sospirò accigliato e si massaggiò lentamente le tempie con due dita. Quel gesto parve non ottenere altro che spargere la preoccupazione invece che dissiparla. La sola logica conclusione…

Tutte le culture di ovuli su Athos discendevano da quelle portate dai Padri Fondatori. Era stato un segreto a disposizione di tutti nei centri di riproduzione, negli ultimi due anni… quanto sarebbe occorso perché arrivasse a conoscenza del pubblico? La cultura del gruppo CJB non era stata la sola a morire, in quegli anni. Ethan supponeva che il decorso delle culture seguisse una linea parabolica, e la maggior parte di esse si trovava nella curva discendente. Il sessanta per cento dei feti cresceva senza problemi, nelle loro placente alloggiate in uno spesso bozzolo di tubicini di scambio, ma provenivano da otto sole colture di ovuli. Da lì a un anno, se i suoi calcoli segreti sarebbero stati confermati, la situazione sarebbe stata ancor più grave. Quanto tempo restava prima che non ci fossero più abbastanza ovuli da soddisfare la domanda, sempre crescente… o addirittura da mantenere stabile di numero la popolazione? Ethan mugolò, immaginando un futuro in cui le sue prospettive di lavoro continuavano a diminuire… sempreché, ancora prima, non fosse stato travolto da una folla inferocita di non-padri d’aspetto ursino…

Scrollò via quei pensieri funesti. Si doveva fare qualcosa, senza dubbio, prima che la situazione precipitasse a quel punto. Qualcosa doveva esser fatto.


Quella preoccupazione continuò a echeggiare come una luttuosa nota stridente, in sottofondo alle normali e spesso piacevoli giornate lavorative di Ethan, nei tre mesi successivi al suo ritorno dalle ferie. Un’altra cultura ovarica, il gruppo LMS-10, avvizzì e fu dichiarata morta, e la produzione di cellule-uovo della cultura EEH-9 diminuì della metà. Sarebbe stata la prossima ad andarsene, calcolò Ethan. La prima novità in quella fosca parabola discendente arrivò del tutto inaspettata.

— Ethan? — La voce del capo del personale, Desroches, suonava tesa anche attraverso l’intercom. Sulla sua faccia c’era un’espressione strana: le labbra, incorniciate fra i mustacchi e la voluminosa barba nera, continuavano a fremere agli angoli. Non aveva affatto l’aria bisbetica, minacciosa, che in quegli anni era diventata la sua caratteristica permanente. Incuriosito, Ethan depose con cura sul bancone del laboratorio la microsiringa e si avvicinò allo schermo.

— Sì, signore?

— Vorrei che lei salisse un momento nel mio ufficio. Subito, se non le spiace.

— Ho appena cominciato una fertilizzazione…

— Appena avrà finito, allora — concesse Desroches, con un gesto della mano.

— Che sta succedendo?

— La nave del censimento annuale è arrivata ieri. — L’uomo indicò in alto con un pollice, benché l’unica stazione spaziale di Athos si trovasse in orbita sincrona sopra un altro quadrante del pianeta. — C’è la posta. Le sue riviste sono state approvate dal Consiglio dei Censori… ho tutti i numeri usciti l’anno scorso, qui sulla mia scrivania. E c’è anche un’altra cosa.

— Un’altra cosa? Ma io ho ordinato solo le pubblicazioni…

— Non una sua proprietà personale. Una cosa che riguarda il Centro di Riproduzione. — I denti di Desroches biancheggiarono. — Finisca quel che sta facendo, e poi venga a vedere. — Lo schermo si spense.

Certo che sarebbe andato. Un anno di numeri arretrati del Giornale Betano di Biologia Riproduttiva, importato a un costo astronomico, anche se difficilmente l’estremo interesse scientifico di quegli articoli avrebbe fatto brillare di gioia gli occhi di Desroches. Ethan si affrettò, pur procedendo meticolosamente, a completare la fertilizzazione; poi mise il contenitore dell’ovulo nello scomparto dell’incubatrice dal quale, entro sei o sette giorni, se tutto fosse andato bene, la blastula sarebbe stata trasferita in un replicatore uterino su uno dei banchi del laboratorio accanto, quindi salì subito al piano di sopra.

Su un angolo della consolle di comunicazione del capo del personale c’era infatti un’ordinata pila di dischetti, ciascuno nella sua elegante scatoletta etichettata. Sull’altro angolo campeggiava un olocubo raffigurante due ragazzi bruni in sella a un paio di pony dal pelame scuro. Ethan non guardò neppure da quella parte, perché la sua attenzione era stata istantaneamente attirata da un candido contenitore refrigerato, piuttosto voluminoso, poggiato al suolo. Le luci-spia del suo display di controllo brillavano di un rassicurante colore verde.

Forniture Biologiche L. BHARAPUTRA FIGLI — Gruppo Jackson diceva un’etichetta. Contenuto: tessuto umano congelato, ovarico. 50 unità. Mantenere funzionante e non ostruito il filtro del refrigeratore. E sotto : Questo lato in ALTO.

— Abbiamo il tessuto ovarico! — esclamò Ethan estasiato e sorpreso, battendo le mani.

— Alla fine, sì — sorrise Desroches. — Questa sera il Consiglio della Popolazione avrà una riunione molto concitata, ci scommetto. Ma… che sollievo! Quando penso alla caccia che dobbiamo dare al materiale di fabbricazione straniera, alla fatica che mi costa avere valuta estera… per un poco ho creduto che avremmo dovuto mandare personalmente qualche povero diavolo su un altro mondo, a procurarsi questa roba.

Ethan rabbrividì a quel pensiero, poi rise. — Uhau! Grazie al Padre nessuno ha dovuto fare questo sacrificio. — Passò una mano sullo scatolone di plastica bianca, con reverenza. — Presto ci vedremo attorno delle facce nuove.

Desroches annuì con aria pensosa, poi sorrise allegramente. — Proprio così. Be’… questa è tutta roba sua, dottor Urquhart. Lasci i lavori di routine del laboratorio ai suoi tecnici, e metta le nuove culture nella loro nuova casa. Priorità assoluta.

— Su questo può scommetterci!


Ethan depose teneramente il contenitore su un banco del Laboratorio Colture, e regolò i comandi per far alzare di qualche grado la temperatura interna. Prima di maneggiare il materiale doveva attendere un poco. Quel giorno lui avrebbe prelevato soltanto una dozzina di gruppi, per rifornire le apparecchiature di coltura fredde e vuote e rimettere in loro nuova vita. Serio in viso toccò il pannello spento dietro il quale il feto CJB-9 era cresciuto così a lungo e inutilmente. Quella vista lo fece sentire triste e, cosa strana, in balia degli eventi.

Il resto dei tessuti avrebbe atteso nel contenitore dove aveva viaggiato finché i tecnici delle Costruzioni avrebbero installato un banco di apparecchiature nuove lungo la parete opposta. Ebbe un sogghigno al pensiero dell’attività frenetica che adesso avrebbe scombussolato la placida routine di quel dipartimento. Be’, un po’ di esercizio non avrebbe fatto male a quella gente.

Intanto che aspettava portò le sue nuove riviste alla consolle di comunicazioni, per darci un’occhiata. Esitò un momento. Da quando era stato promosso alla direzione del dipartimento, l’anno addietro, il suo grado di censura era stato elevato a Livello di Sicurezza A. Questa era la prima occasione che aveva di sfruttarlo, la prima occasione di controllare la maturità e la capacità di giudizio che si supponevano necessarie per maneggiare riviste galattiche senza tagli, del tutto non-censurate. Si umettò le labbra e tenne i nervi sotto controllo, desideroso di dimostrare a se stesso che meritava appieno la fiducia che avevano voluto dargli.

Scelse un dischetto a caso, lo inserì nella fessura del lettore e chiamò a schermo l’indice del contenuto. La maggior parte delle due dozzine di articoli riguardavano, comprensibilmente ma con sua delusione, vari problemi della riproduzione dal vivo in femmine della razza umana, cosa che quindi non poteva riguardare il suo lavoro. Con virtuosa fermezza Ethan represse l’impulso di guardarli. C’era tuttavia un articolo sulla diagnosi precoce di una poco nota forma di cancro dei vasi deferenti, e un altro con l’assai invitante titolo Un miglioramento nella permeabilità delle membrane di scambio nei replicatori uterini. Il replicatore uterino era un’invenzione sviluppata in origine su Colonia Beta, pianeta assai famoso per la sua tecnologia biologica d’avanguardia, e un tempo lo si usava quasi unicamente per ospitare gravidanze in caso d’emergenza medica. La maggior parte dei perfezionamenti tecnici, degli studi, e delle novità biologiche proveniva tutt’ora da Colonia Beta, fatto che non era molto apprezzato su Athos.

Ethan chiamò l’articolo a schermo e lo lesse con attenzione. Il nuovo metodo sembrava basarsi su una mescolanza diabolicamente sottile di linfoproteine e polimeri, espediente che deliziò la sua mentalità geometrica, almeno alla seconda lettura, quando riuscì finalmente a capirlo. Per un poco si perse in calcoli su quel che sarebbe costato realizzare lo stesso lavoro lì a Sevarin. Avrebbe dovuto parlarne col direttore di Costruzioni…

Distrattamente, intanto che rifletteva ai materiali che sarebbero occorsi, chiamò a schermo la pagina dell’autore. Un miglioramento nella permeabilità delle membrane di scambio nei replicatori uterini proveniva dall’ospedale universitario di una città di nome Silica. Ethan sapeva poco della geografia di altri mondi, ma quello sembrava proprio un nome betano. Ciò che menti ordinate e mani abili sarebbero state capaci di realizzare con quell’idea…

Kara Burton M.D. Ph.D. ed Elizabeth Naismith M.S. Bio-ingegneria… questi furono i nomi alzando lo sguardo dai quali si trovò a fissare due delle più strane facce che avesse mai visto.

Facce prive di barba, come quelle di uomini che non avessero figli o di ragazzi, ma senza la solidità giovanile di un ragazzo. Facce molli e pallide, dall’ossatura sottile, e tuttavia segnate dalle rughe dell’età matura. I capelli di Elisabeth Naismith erano quasi tutti bianchi. L’altra persona era corpulenta, vestita con un camice da laboratorio celeste lungo al ginocchio e scarpe a tacco alto.

Ethan s’irrigidì con un tremito, in attesa che la pazzia scaturisse da quei loro sguardi da medusa per contagiarlo e travolgerlo. Non accadde nulla. Dopo qualche momento staccò le mani dal bordo della consolle, a cui le aveva attanagliate, e cercò di calmarsi. Forse, allora, la follia che possedeva gli uomini, schiavi di quelle creature nel settore colonizzato della galassia, era qualcosa che si trasmetteva soltanto col contatto della carne… o attraverso una sorta di aura telepatica che emanava come il calore fisico dai loro corpi? Coraggiosamente Ethan alzò di nuovo lo sguardo in quello delle figure a schermo.

Così, dunque. Quella era una femmina… due femmine, in effetti. Ethan analizzò la sua reazione alle immagini; con immenso sollievo scoprì che almeno in apparenza non ne era stato toccato. Provava indifferenza, perfino una leggera repulsione. Il Pozzo del Peccato non s’era spalancato per ingoiare la sua anima nelle profondità dell’abisso, sempre presumendo che lui avesse l’anima. Quando allungò una mano e spense lo schermo del lettore in lui non ci fu altra emozione che una curiosità frustrata. Chiarito questo fatto decise che. per affermare la validità inespugnabile della sua risolutezza, per quel giorno non avrebbe letto una parola di più. Infilò di nuovo il dischetto nella scatola e lo mise via, insieme agli altri.

Lo scatolone refrigerante era quasi alla temperatura giusta. Ethan andò a prendere le bacinelle termiche, preparò i bagni di soluzione nutriente per le nuove colture e li programmò per raffreddarsi a una temperatura molto bassa, identica a quella del contenuto dello scatolone. Indossò i guanti isolanti, spezzò il sigillo e sollevò il coperchio.

Invece del cilindro metallico che si aspettava c’erano dei pacchetti di plastica. Dei pacchetti?

Stupefatto Ethan abbassò lo sguardo nel contenitore. Ogni campione di tessuto avrebbe dovuto essere racchiuso, isolatamente degli altri, in un suo bagno di azoto liquido, non c’era dubbio su questo. Gli informi pacchetti che vedeva erano invece ammucchiati insieme come involti di carne acquistata in una cooperativa alimentare. Il cuore gli balzò in gola per il terrore e la sorpresa.

Un momento, un momento, non doveva lasciarsi prendere dal panico… forse quella era una nuova tecnologia galattica di cui non aveva ancora sentito parlare. Alacremente frugò nella statola in cerca di un manuale d’istruzioni, o magari di un foglio spiegazzato buttato lì fra i pacchetti. Niente. Per qualche minuto la sua mente girò a vuoto.

Guardando quegli involti refrigerati Ethan si rese conto, alla fine, che lì dentro non c’erano affatto colture di tessuti, bensì dei semplici pezzi di organi interni, tagliati e refrigerati. Avrebbe dovuto ricavarne lui stesso le colture. Deglutì un groppo di saliva. Non é impossibile, si disse, cercando di rassicurarsi.

Trovò un paio di forbici, aprì un primo pacchetto e lasciò scivolare il roseo contenuto nel bagno nutriente di una bacinella termica, con un liquido plop. Attraverso il fluido trasparente lo contemplò, preoccupato e deluso. Forse avrebbe dovuto tagliarlo a strisce, per far giungere la soluzione nutriente a ogni strato… no, non ancora; il bisturi avrebbe potuto danneggiare la struttura delle cellule, congelate com’erano. Prima bisognava scongelare.

Aprì anche altri pacchetti, pervaso da un crescente disagio. Strano, molto strano. Qua c’era un blocco di carne grosso sei o sette volte più degli altri, vitreo e tondeggiante. Là ce n’era un altro piatto e bianco, simile a formaggio di campagna e un po’ repellente. Con improvviso sospetto contò i pacchetti. Erano trentotto. E quelli più grandi sul fondo dello scatolone…

Una volta, durante il servizio militare, lui s’era offerto volontario per il servizio di cucina nel reparto macelleria, forse affascinato da quel poco di rozza anatomia che là si eseguiva. Il ricordo gli piombò addosso come una mazzata.

— Questa roba — sibilò raucamente, a denti stretti, — è l’ovaia di una mucca!

Il suo esame del materiale fu attento e completo, e gli prese tutto il pomeriggio. Quand’ebbe finito, il laboratorio somigliava alla classe di dissezione anatomica del suo primo anno di zoologia, della quale Ethan conservava ancora sanguinose memorie, ma adesso era sicuro, più che sicuro.

Salito al piano di sopra, ci mancò poco che non aprisse con un calcio la porta dell’ufficio di Desroches. Si fermò sulla soglia a pugni stretti, faticando a controllare la rabbia che l’aveva invaso.

Desroches si stava infilando il soprabito, con l’aria d’essere già lontano da lì, a casa sua. Aveva spento l’olocubo. cosa che faceva soltanto alla fine della giornata lavorativa. Nel vedere la faccia stravolta del suo visitatore sbatté le palpebre, sconcertato. — Per Dio il Padre, Ethan. cosa le è successo?

— Avanzi di isterectomie. Rifiuti di sala operatoria, per quello che ne so. Un quarto del materiale è chiaramente canceroso, metà è roba atrofizzata, e cinque pezzi non sono neppure di tessuto umano, per l’amor di Dio! E tutti quanti sono in stato di putrefazione!

— Cosa? — Desroches ansimò, sbiancandosi in faccia. — Non avrà guastato il refrigeramento del contenitore, vero? Non avrà…

— Venga a vedere lei stesso. Venga e guardi — sbottò Ethan. Girò su se stesso, e mentre usciva disse: — Io non so cos’abbia pagato il Consiglio della Popolazione per questa roba, ma una cosa la so: siamo stati truffati.

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