Il mondo intero sembrava silenzioso e immoto, nell’alba, mentre la nera imbarcazione discendeva lungo l’estuario, dirigendosi a Sark. Nessuno parlava, tra loro, e nessuno si volgeva a guardare la grande cortina di vapori biancheggianti, una nuvola che continuava a salire, lenta e maestosa, nel cielo alle loro spalle.
Carse si sentiva stordito, prosciugato di ogni emozione. Si era lasciato dominare, e usare, dalla tremenda collera di Rhiannon, ed era come se un’energia possente lo avesse in parte consumato… non riusciva ancora a sentirsi lo stesso uomo che era stato prima dell’esperienza. Sapeva che qualcosa, della potenza e della collera di Rhiannon, era rimasto sul suo volto, perché gli altri due cercavano di evitare il suo sguardo, e né Boghaz, né Ywain, ruppero il silenzio frusciante della notte che ormai si stemperava nel chiarore dell’aurora.
E anche la grande folla riunita sui moli di Sark era silenziosa. Pareva che il popolo si trovasse là da molto tempo, per guardare in direzione di Caer Dhu; e anche ora, con l’ardore tremendo della sua distruzione già impallidito e scomparso dal cielo, la folla stava fissando con volti bianchi e spaventati il cielo nella direzione ove un tempo si era trovata la nera fortezza del Serpente.
Carse guardò più oltre, al di là della rada. Le lunghe navi di Khondor erano ferme, con le vele calate dagli alberi maestri, e Carse capì che quel terribile incendio nel cielo aveva spaventato e intimorito perfino i Re del Mare, inducendoli a rimandare l’attacco.
La nera chiatta toccò infine l’attracco di pietra del palazzo. La folla si fece avanti, ansiosa, quando Ywain scese a terra, e un clamore di voci si levò da ogni dove, voci ansiose e nel medesimo tempo stranamente soffocate.
Ywain parlò alla folla.
«Caer Dhu e il Serpente non esistono più… entrambi sono stati distrutti dalla potenza del Signore Rhiannon!»
Istintivamente, lei si rivolse a Carse, e gli occhi di tutti i presenti, in quella immensa folla, si volsero a guardare il terrestre, mentre la notizia faceva rapidamente il giro della folla, in un brusio che aumentò, fino a trasformarsi, d’un tratto, in un immane grido di giubilo e di gratitudine, che parve salire fino al cielo.
«Rhiannon!» gridava la folla. «Rhiannon! Rhiannon, il Liberatore!»
Non era più il Maledetto, almeno per quei Sark. E per la prima volta, Carse comprese appieno la misura e l’intesità dell’odio che quel popolo provava nei confronti degli alleati che Garach gli aveva imposto.
S’mcarnminò verso il palazzo, insieme a Boghaz e a Ywain, e capì, con un senso di meraviglia e di timore, cosa significava sentirsi un dio. Entrarono nei corridoi freschi e silenziosi, nella riposante, quieta penombra, e trovarono quel luogo diverso, come se un’ombra oscura ne fosse uscita per sempre. Ywain si fermò, davanti ai portali della sala del trono, e parve ricordare solo allora che Garach era morto, e che era lei la regina di Sark.
Si rivolse a Carse, dicendo:
«Se i Re del Mare ci attaccheranno, ora…»
«Non lo faranno… fino a quando non avranno scoperto cosa sia accaduto. E ora, dobbiamo cercare subito Rold, se è ancora vivo.»
«È vivo,» disse Ywain. «Dopo che i Dhuviani, con la loro scienza mentale, tolsero a Rold tutto ciò che’egli conosceva, mio padre lo rinchiuse in una segreta, pensando di usarlo come ostaggio da scambiare con me.»
E finalmente trovarono il Signore di Khondor, incatenato in una profonda segreta, nei sotterranei del palazzo. Era lacero ed emaciato e sfinito per i patimenti subiti, ma il suo spirito era indomito; egli trovò la forza per alzare il capo, e gridare il suo disprezzo, quando Carse e Ywain entrarono nella sua cella.
«Demone,» disse. «Traditore. Alla fine, tu e la tua strega siete venuti per uccidermi?»
Allora Carse si affrettò a narrargli la storia di Caer Dhu e di Rhiannon, e vide mutare lentamente l’espressione di Rold, dalla più nera disperazione a una gioia attonita, e incredula.
«La tua flotta è all’ancora al largo di Sark, al comando di Barbadiferro,» concluse Carse. «Sei disposto a portare ai Re del Mare la notizia di quanto è accaduto, e a convincerli a venire qui, per parlamentare?»
«Sì,» esclamò Rold. «Lo farò, per gli dèi!» Fissava ancora Carse, attonito, scuotendo lentamente il capo. «Questi ultimi giorni sono stati uno strano sogno, fatto di eventi incredibili e di follia! E ora… pensare che sarei stato felice di ucciderti subito, là, nella caverna dei Sapienti… pensare che l’avrei fatto con le mie mani!»
Questo era accaduto poco dopo l’alba. Verso mezzogiorno, il concilio dei Re del Mare era già riunito nella sala del trono, con Rold alla loro testa. Accanto al Re di Khondor c’era Emer, che non aveva voluto rimanere a Khondor, quando la flotta era partita per quella che avrebbe dovuto essere un’ultima, disperata impresa.
Tutti sedevano intorno a un lungo tavolo. Ywain era seduta sul trono, e Carse era in piedi, in disparte. Il suo volto era duro e stanco, e nei suoi occhi c’era ancora una traccia della presenza straniera che lo aveva dominato poche ore prima.
Fu lui a parlare, in tono di comando:
«Non c’è più bisogno di fare la guerra, ora. Il Serpente è perito, e senza la sua potenza Sark non potrà più opprimere i suoi vicini. Le città soggette, come Jekkara e Valkis, saranno liberate. L’impero di Sark non esiste più.»
Nell’udire questo, Barbadiferro balzò in piedi, gridando:
«Allora, questa è per noi l’occasione di distruggere per sempre Sark!»
Altri Re del Mare si alzarono a loro volta, per gridare il loro assenso a questa proposta; tra di loro, si udì più forte di tutte la voce di Thorn di Tarak. La mano di Ywain s’irrigidì sull’elsa della spada.
Carse fece un passo avanti, e i suoi occhi lampeggiavano di collera.
«Io ho detto che ci sarà la pace! Devo forse chiamare Rhiannon, per dare maggiore forza alle mie parole?»
Tacquero, intimoriti da quella minaccia, e Rold ordinò loro di sedersi, e di tenere a freno la lingua.
«Già troppo sangue è stato sparso, e siamo stanchi di guerre e di rovine,» disse in tono fermo agli altri re del Mare. «E per l’avvenire, potremo incontrarci con Sark da pari a pari. Io sono il Signore di Khondor, e dico che Khondor vuole la pace!»
Presi tra la minaccia di Carse e la decisione di Rold, i Re del Mare si arresero, uno dopo l’altro. Allora parlò, Emer:
«Gli schiavi dovranno essere tutti liberati… uomini e Halfling.»
Carse assentì.
«Sarà fatto.»
«E,» disse Rold, «C’è un’altra condizione.» Guardò Carse, e nei suoi occhi si leggeva una determinazione incrollabile. «Ho detto che noi vogliamo la pace con Sark… ma non con un Sark governato da Ywain, neppure se tu facessi muovere contro di noi cinquanta Rhiannon!»
«Sì!» ruggirono i Re del Mare, guardando Ywain con occhi crudeli. «Questa è anche la nostra parola!»
Ci fu un breve silenzio, e poi Ywain si alzò dal trono, con un’espressione orgogliosa e triste a un tempo.
«Questa condizione è accettata,» disse. «Non ho alcun desiderio di regnare su un Sark domato, e privo del suo impero. Io ho odiato il Serpente quanto l’avete odiato voi, e forse ancora di più… ma è ormai troppo tardi, per me, perché mi accontenti di essere regina di un insignificante villaggio di pescatori. Il popolo può scegliersi un altro sovrano.»
Scese dal palco del trono, voltando loro le spalle, e andò a fermarsi davanti a una finestra all’estremità opposta della sala, una finestra che dominava la rada e il porto.
Carse si rivolse ai Re del Mare:
«Allora, è convenuto.»
Ed essi risposero:
«È convenuto.»
Emer, il cui sguardo penetrante non s’era mai staccato da Carse, da quando era iniziata la riunione, si alzò e venne al suo fianco, ora, e posò una mano su quella del terrestre.
«E in tutto questo, dov’è il tuo posto?» domandò, dolcemente.
Carse la guardò, confuso.
«Non ho ancora avuto il tempo di pensarci.»
Ma ora doveva pensarci. Se ne rendeva conto. E lui non sapeva cosa fare.
Fino a quando egli avesse portato in sé l’ombra di Rhiannon, quel mondo non lo avrebbe mai accettato come un uomo simile agli altri. Certo, avrebbe potuto coprirlo di onori, ma nulla di più, e l’incombente, oscuro terrore del Maledetto sarebbe rimasto. Troppi secoli d’odio s’erano addensati intorno a quel nome.
Sì, Rhiannon aveva redento il suo delitto, eppure, malgrado ciò, e fino a quando Marte avesse vissuto, egli sarebbe stato ricordato come il Maledetto.
E, come per rispondere a questa muta domanda, per la prima volta dopo la distruzione di Caer Dhu l’oscuro invasore parve riscuotersi, e il suo pensiero si fece udire, parlando a Carse, dai recessi della mente.
«Ritorna nella Tomba, e io ti lascerò libero, perché allora potrò seguire i miei fratelli. Dopo, tu sarai libero. Posso guidarti di nuovo lungo la strada che hai percorso, facendoti ritornare nel tuo tempo, se lo desideri. Oppure potrai rimanere qui.»
E Carse non riusciva ancora a trovare una risposta.
Quel verde e sorridente Marte gli piaceva. Ma, guardando i Re del Mare che stavano attendendo la sua risposta, e poi guardando alle loro spalle, al di là delle finestre, là dove si stendevano le fumiganti paludi e il Mare Bianco, egli capì che non era quello il suo mondo, che non avrebbe mai potuto trovarsi compiutamente in esso, che mai avrebbe potuto appartenergli davvero.
E infine parlò, e, parlando, si accorse che Ywain si era voltata, e lo stava fissando, nell’ombra.
«Emer e gli Halfling sapevano che io non vengo da questo mondo. Io sono venuto dallo spazio e dal tempo, lungo la strada che è celata per sempre nella Tomba di Rhiannon.»
Fece una pausa, per lasciare loro il tempo di afferrare il significato delle sue parole, e notò che non parevano stupiti. Dopo tutto quello che era accaduto, erano disposti a credere qualsiasi cosa, su di lui, anche cose al di là delle loro capacità di comprensione.
Carse disse, stancamente:
«Un uomo appartiene al mondo nel quale è nato. Perciò, io ritornerò al mio.»
Malgrado le proteste formali, capì che i Re del Mare erano sollevati, da quelle parole.
«Che le benedizioni degli dèi siano con te, straniero,» mormorò Emer, e lo baciò dolcemente sulle labbra.
Poi uscì, e i festanti Re del Mare la seguirono. Anche Boghaz era scivolato fuori, furtivamente, e Carse e Ywain rimasero soli, nella grande, solenne sala vuota.
Allora andò da lei, e la guardò negli occhi, e vide che quegli occhi non avevano perso l’antico fuoco neppure ora.
«E tu dove andrai, ora?» le domandò.
Lei rispose, sommessamente:
«Se mi vuoi, verrò con te.»
Lui scosse il capo.
«No. Tu non potresti vivere nel mio mondo, Ywain. È un luogo crudele e amaro, vecchissimo, e vicino alla morte.»
«Non importa. Anche il mio mondo è morto.»
Le posò le mani sulle spalle, sentendone la forza, sotto la maglia di ferro dell’armatura.
«Tu non capisci. Io vengo da molto lontano, attraverso il fiume del tempo. Il mio mondo dista da qui milioni di anni.» Fece una pausa, perché non sapeva in quale modo avrebbe potuto spiegarle la verità.
«Guarda… guarda là fuori. Pensa a come sarà, quando il Mare Bianco sarà solo un deserto di polvere portata dal vento… quando il verde se ne sarà andato dalle colline, e le città bianche saranno ridotte in rovina, e il letto dei fiumi sarà asciutto, e le rive brulle e pietrose.»
Ywain capì, e sospirò profondamente.
«Alla fine, la vecchiaia e la morte giungono per tutti. E la morte giungerà molto presto, per me, se rimango qui. Ormai sono bandita, e il mio nome è odiato quanto quello di Rhiannon.»
Capì che lei non aveva paura della morte, ma che si serviva semplicemente di quell’argomento per convincerlo.
Eppure, quel che diceva era vero.
«Potresti essere felice,» le chiese, «Con il ricordo del tuo mondo che ti giungerà, ossessionante e strano, a ogni passo?»
«Non sono mai stata felice,» rispose lei. «E perciò non sentirò la mancanza di nulla.» Lo guardò, e il suo sguardo era sincero. «Sono pronta a correre il rischio. E tu?»
Allora, la stretta delle dita di Carse si fece più forte.
«Sì,» le disse, a bassa voce. «Sì, lo farò.»
La prese tra le braccia, e la baciò, e quando alla fine lei si ritrasse gli mormorò, con una dolcezza del tutto nuova, in lei:
«Il ’Signore Rhiannon’ ha detto il vero, quando mi ha fatto oggetto del suo sarcasmo a proposito del barbaro.» Tacque per un momento, e poi aggiunse, «Io penso che non avrà importanza il mondo in cui vivremo, finché saremo insieme.»
Alcuni giorni più tardi, la galera nera entrò nel porto di Jekkara, issando per l’ultima volta lo stendardo di Ywain di Sark.
Fu una strana accoglienza, quella che lei e Carse ricevettero là, dove l’intera città si era radunata per vedere lo straniero, che era anche il Maledetto, e la regina di Sark, che non era più regina. La folla si tenne a rispettosa distanza, e tutti acclamarono alla distruzione di Caer Dhu e alla morte del Serpente. Ma per Ywain non ci fu un solo grido di benvenuto.
Soltanto un uomo si fece avanti, sul molo, quando essi sbarcarono. Era Boghaz… uno splendido Boghaz in abiti di velluto, carico di enormi, preziosi gioielli, e con una splendida corona d’oro in testa.
Boghaz era scomparso da Sark, nello stesso giorno in cui era stata conclusa la pace, dicendo di avere affari privati da sbrigare; e, a quanto pareva, gli affari erano andati bene, qualunque fosse stata la loro natura.
Egli s’inchinò profondamente a Carse e a Ywain, facendo sfoggio di magniloquente cortesia.
«Sono stato a Valkis,» spiegò. «Ora è di nuovo una città libera… e grazie all’eroismo senza pari da me dimostrato nella distruzione di Caer Dhu, mi hanno eletto re.»
Sorrise, e sul suo volto di luna piena c’era un’espressione di felicità radiosa, e poi aggiunse, con un sogghigno confidenziale:
«È sempre stato il mio sogno, quello di rubare un tesoro reale!»
«Ma adesso,» gli ricordò Carse, «Quel tesoro è tuo.»
Boghaz trasalì.
«Per gli dèi, è vero!» Drizzò le spalle, e sul suo volto si dipinse un’espressione di ferrea determinazione. «Ah, ci penserò io, affinché Valkis sia ripulita da ogni genia di ladri! Ci saranno pene severissime per ogni delitto contro la proprietà… specialmente, contro la proprietà del Re!»
«E, fortunatamente,» aggiunse Carse, con un sorriso, «Tu hai una certa familiarità con tutti i trucchi dei ladri, vero?»
«Questo è vero,» disse, in tono cattedratico. «Ho sempre detto che il sapere è una cosa preziosa. Ora puoi vedere come i miei studi sugli elementi che vivono fuori della legge mi aiuteranno a garantire la sicurezza del mio popolo!»
Li accompagnò attraverso tutta Jekkara, fino a quando non raggiunsero l’aperta campagna, e là li salutò, con visibile commozione. Sfilò dal dito un anello, che mise nella mano di Carse. Delle grosse lacrime scorrevano sulle guance grasse del Valkisiano.
«Porta questo anello, vecchio amico, per ricordare sempre Boghaz, che ha guidato saggiamente i tuoi passi in un mondo straniero.»
Si voltò, e s’allontanò, con un passo malfermo, e Carse lo seguì con lo sguardo, fino a quando la grassa figura di Boghaz non scomparve nelle strade della città ove si erano incontrati per la prima volta.
Soli, Carse e Ywain percorsero la lunga strada tra le colline di Jekkara, fino al luogo in cui si trovava la Tomba. Insieme, indugiarono allora sulla piattaforma rocciosa, a guardare l’ondulata distesa delle verdi colline boscose e il lontano biancheggiare lucente del mare, e le torri della città, bianche nella luce del sole.
«Sei ancora certa di voler lasciare tutto questo?» domandò Carse.
«Qui non c’è più posto per me,» rispose lei, con voce triste. «Desidero liberarmi di questo mondo, come questo mondo desidera liberarsi di me.»
Lei si voltò, ed entrò, senza esitare, nel corridoio oscuro. Ywain, l’orgogliosa Ywain, che neppure gli dèi potevano piegare. Carse andò con lei, impugnando una torcia accesa.
Attraverso il corridoio riecheggiante, e al di là della porta sulla quale era incisa la maledizione di Rhiannon, nella camera interna, dove il chiarore fumoso della torcia si fermò contro le tenebre… le tenebre assolute, impenetrabili, di quello strano varco nel continuum spazio-temporale dell’universo.
All’ultimo momento, il volto di Ywain mostrò paura, e lei afferrò la mano del terrestre. Le scintille danzanti si muovevano e riverberavano davanti a loro, nella profonda oscurità del tempo. La voce di Rhiannon parlò a Carse, ed egli fece un passo avanti, entrando nelle tenebre, stringendo forte la mano di Ywain.
Questa volta, dapprima, non ci fu lo spaventoso tuffo nelle tenebre, l’orribile, tremendo precipitare in un abisso senza confini. La sapienza di Rhiannon li guidava e dava loro forza. La torcia si spense. Carse la lasciò cadere. Il suo cuore batteva più forte, e lui era cieco e sordo, in quel vortice di forza.
E Rhiannon parlò di nuovo:
«Guarda, ora, con la mia mente, ciò che i tuoi occhi umani non hanno potuto vedere la prima volta!»
L’oscurità pulsante parve schiarirsi, in una maniera strana, che nulla aveva a che fare con la luce o con la vista. E Carse vide Rhiannon.
Il suo corpo era disteso in una bara di nero cristallo, dalle mille sfaccettature interne che sfavillavano riflettendo la strana energia che lo teneva prigioniero per l’eternità, raggelato nel cuore di una gemma preziosa.
Attraverso quella nebulosa sostanza, Carse poté distinguere, fievolmente, una forma nuda, di una bellezza e di una forza che trascendevano la dimensione umana, così vitale pervasa di vita che pareva terribile tenerla prigionierara là, in quello spazio angusto. E anche il volto era bello, di una bellezza maestosa, un volto cupo e imperioso e forte, pur se ora aveva gli occhi chiusi, come nel sonno della morte.
Ma la morte non poteva esistere, in quel luogo. Era al di là del tempo, e senza tempo non poteva esistere decomposizione, e Rhiannon avrebbe avuto tutta l’eternità davanti a sé, per giacere in quella bara, a ricordare il suo peccato.
E mentre guardava, Carse si rese conto che l’essere alieno si era ritirato da lui, così piano, così sottilmente, che non v’era stata alcuna scossa, che non v’era stato un vero e proprio senso di distacco. La sua mente era ancora in contatto con quella di Rhiannon, ma lo strano dualismo era finito. Il Maledetto lo aveva lasciato libero.
Eppure, attraverso quella soprannaturale empatia che esisteva ancora tra le due menti che per tanto tempo erano state una sola, Carse udì il richiamo appassionato di Rhiannon… un grido mentale che parve protendersi lontano, vibrare lontano, lungo il sentiero dello spazio e del tempo.
«Quiru, fratelli miei, ascoltatemi! Ho redento il mio antico delitto!»
E chiamò di nuovo, con tutta la selvaggia forza della sua volontà. Ci fu un prolungato silenzio, un nulla oscuro e silen zioso, e poi, gradualmente, Carse percepì l’avvicinarsi di al tre presenze, di altre menti, gravi, e potenti, e severe.
Non avrebbe mai saputo da quale lontano mondo erano giunte quelle presenze. Nel più remoto passato i Quiru erano partiti, seguendo quella strada che conduceva al di là dell’universo, nelle regioni cosmiche che si trovavano irrimediabilmente al di là della sua portata, e perfino delle sue capacità di comprensione. E ora, per breve tempo, essi erano ritornati, per rispondere all’appello di Rhiannon.
Confuse e fievoli come ombre, Carse vide materializzarsi delle forme di maestà quasi divina, apparizioni uscite dal nulla, tenui come scintillante fumo nel buio.
«Lasciatemi venire con voi, fratelli! Perché io ho distrutto il Serpente, e il mio peccato è redento!»
Parve allora che i Quiru meditassero, cercando la verità nell’animo di Rhiannon. Poi, finalmente, una figura si fece avanti, e posò la mano sulla bara. Le palpitanti, tenui fiamme che ardevano in essa si spensero.
«Alzati, Rhiannon: sei libero! Questo è il nostro giudizio.»
Uno strano senso di stordimento s’impadronì di Carse. La scena cominciò a impallidire. Vide che Rhiannon si alzava, e andava a raggiungere i suoi fratelli Quiru, mentre il suo corpo, allontanandosi, si faceva più fievole e indistinto.
Si voltò solo una volta, per guardare Carse, e ora i suoi occhi erano aperti, coirai di una gioia che la mente umana non avrebbe mai potuto comprendere.
«Conserva la mia spada, uomo della Terra… e portala con orgoglio; perché senza di te non avrei potuto distruggere Caer Dhu.»
Confusamente, con. la mente vacillante, Carse udì quell’ultimo comando mentale. E, avanzando a fatica, insieme a Ywain, attraverso il vortice nero, cadendo, ora, con una velocità d’incubo, attraverso quelle tenebre paurose, egli udì l’ultima eco vibrante dell’addio di Rhiannon.