Capitolo XIV L’INCREDIBILE IMPOSTURA

Ma non fu la voce di Barbadiferro a rispondere all’imperiosa domanda delle guardie. Fu la voce di Boghaz. E fu Boghaz, da solo che uscì sul balcone, venendogli incontro, con un’espressione triste e abbattuta.

«È stata Emer a mandarmi qui,» disse. «Lei mi ha annunciato la tragica notizia, e allora ho sentito il bisogno di venire a dirti addio.»

Con immensa tristezza, afferrò la mano di Carse.

«I Re del Mare sono riuniti nell’ultimo concilio di guerra, prima della partenza per Sark, ma la loro riunione non durerà a lungo. Vecchio amico, quante cose abbiamo vissuto insieme, quanti pericoli e quante sofferenze abbiamo affrontato, fianco a fianco! Mi ero affezionato a te come a un fratello, e questa tremenda separazione che ora ci sovrasta mi fa sanguinare il cuore.»

Il grasso Valkisiano pareva sinceramente addolorato. Quando sollevò lo sguardo per fissare Carse, i suoi occhi erano colmi di lacrime.

«Oh, sì, come un fratello!» ripeté, con voce spezzata. «E come fratelli, abbiamo litigato, a volte, ma abbiamo anche valorosamente combattuto insieme. Un uomo non può dimenticare.»

Fece un profondo sospiro.

«Vorrei almeno avere qualcosa di tuo da conservare, amico. Un tuo ricordo, che mi terrà compagnia nei tristi giorni che mi aspettano. Un ninnolo, un ornamento… quel tuo collare gemmato, forse, la tua cintura… ormai non potrai più avvertirne la mancanza, e io li custodirò amorosamente per tutti i giorni che mi restano da vivere.»

Si asciugò una lacrima, e Carse lo afferrò rudemente per la gola.

«Ah, ipocrita canaglia!» ringhiò all’orecchio dell’attonito Valkisiano. «Un piccolo ricordo, eh? Un ornamento, magari? Per tutti gli dei, quasi c’ero caduto!»

«Ma, amico mio…» squittì Boghaz.

Carse gli diede un rude scrollata, e lo lasciò andare. Rapidamente, con voce sommessa, gli disse:

«Non ho ancora intenzione di spezzarti il cuore, se solo posso fare qualcosa per impedirlo. Ascoltami, Boghaz. Ti piacerebbe riacquistare la potenza della Tomba di Rhiannon?»

Boghaz spalancò la bocca.

«Pazzo,» mormorò. «Le troppe emozioni hanno fatto uscire di senno il mio povero amico.»

Rapidamente, Carse andò sulla soglia del balcone, e guardò nell’appartamento. Le guardie stavano oziando, abbastanza lontano perché non potessero udire. Non avevano alcun motivo per fare particolare attenzione a ciò che stava accadendo sul balcone. Erano in tre, armate, e indossavano un’armatura di maglia di ferro. Boghaz era disarmato, e Carse non avrebbe potuto fuggire, a meno che non si fosse fatto spuntare un paio d’ali; quali motivi potevano avere le guardie per preoccuparsi?

Rapidamente, il terrestre prosegui:

«Questa disperata avventura dei Re del Mare è condannata a concludersi miseramente. Non c’è speranza, per la loro flotta. I Dhuviani aiuteranno i loro alleati Sark, e Khondor sarà allora condannato. E questo significa che anche tu sei condannato, Boghaz. I Sark verranno qui, e se riuscirai a sopravvivere al loro attacco, cosa già molto difficile, ti scuoieranno vivo, e manderanno i tuoi resti come regalo ai Dhuviani.»

Boghaz rifletté su queste parole, e dall’espressione del suo viso Carse poté capire che i suoi pensieri non erano piacevoli.

«Ma…» balbettò il grasso Valkisiano. «Recuperare le armi di Rhiannon, ora… è impossibile! Anche se tu riuscissi a fuggire da qui, nessun mortale potrebbe penetrare nel territorio controllato da Sark, ora, e rubare quel tesoro di sotto il naso di Garach!»

«Nessun mortale, hai detto,» fece Carse. «Ma io non sono un semplice mortale, non ricordi? E, tanto per cominciare, di chi sono quelle armi?»

La luce della comprensione cominciò ad apparire negli occhi del Valkisiano. Il suo faccione da luna piena parve schiarirsi. Parve quasi sul punto di gridare, e si controllò a stento, quando già Carse gli aveva posato la mano sulla bocca.

«Le mie congratulazioni, Carse!» mormorò poi. «Neppure il Padre delle Menzogne in persona avrebbe potuto fare meglio.» Pareva addirittura estasiato. «È sublime. È degno di… di Boghaz!»

Poi si calmò, il suo viso si oscurò, ed egli scosse lentamente il capo.

«È meraviglioso, certo. Ma è anche una pazzia!»

Carse lo afferrò per le spalle.

«Non più di quanto lo fosse prima, sulla galera… nulla da perdere, tutto da guadagnare. Sei con me?»

Il Valkisiano chiuse gli occhi.

«Sono tentato,» mormorò. «Come artista, mi piacerebbe veder fiorire questo meraviglioso inganno.» Rabbrividì. «Scuoiato vivo, hai detto. E poi i Dhuviani. Suppongo che tu abbia ragione. E in ogni caso, la nostra vita non vale nulla!… Siamo morti comunque!» Si interruppe, bruscamente. «Oh, no, un momento! Per Rhiannon, tutto può andare bene, a Sark… ma io sono soltanto Boghaz, uno degli schiavi che si ribellarono a Ywain. Oh, no! Preferisco restare a Khondor.»

«Rimani, allora, se proprio lo desideri,» disse Carse, scuotendolo con forza. «Grasso idiota che non sei altro! Ci penserò io a proteggerti. Come Rhiannon, posso farlo. E quando diventeremo i salvatori di Khondor, e avremo nelle nostre mani le potentissime armi di Rhiannon, credi che ci possano essere dei limiti a ciò che potremo fare? Per esempio, non ti piacerebbe diventare Re di Valkis?»

«Be’…» Boghaz sospirò profondamente. «Saresti capace di indurre in tentazione perfino il diavolo. E, a proposito di diavoli…» Socchiuse gli occhi, guardando Carse con una certa apprensione, «Sei in grado di tenere a bada il tuo? Non mi sorride l’idea di avere come un compagno un demone.»

«Posso tenerlo a bada,» disse Carse, con sicurezza. «Hai udito tu stesso, quando Rhiannon lo ha ammesso.»

«E allora,» disse Boghaz, «Faremo bene a muoverci presto, prima che i Re del Mare abbiano terminato il loro concilio di guerra.» Ridacchiò, «Il vecchio Barbadiferro ci ha aiutati, senza volerlo… ed è piuttosto comico pensarci. Tutti gli uomini hanno ricevuto l’ordine di occupare i loro posti di combattimento, e così la nostra vecchia ciurma si trova tutta a bordo della galera, in attesa di salpare… e, a dire il vero, nessuno tra loro è particolarmente soddisfatto.»

Un momento più tardi le guardie che si trovavano nelle stanze interne dell’appartamento udirono un grido acutissimo di Boghaz.

«Aiuto! Accorrete, presto… Carse si è gettato in mare!»

Le guardie si precipitarono sul balcone, dove Boghaz si stava sporgendo dalla balaustra, e puntava il braccio tremante in direzione della spuma ribollente e luminosa del mare che si agitava, molto in basso, tra gli scogli.

«Ho cercato di fermarlo,» gemette. «Ma non ci sono riuscito!»

Una delle guardie grugnì:

«Non è una gran perdita!» disse, e in quello stesso istante Carse uscì fulmineo dall’ombra, dove si era tenuto nascosto, contro la parete, e colpì il malcapitato con un pugno tremendo, che lo fece cadere come un sacco vuoto, mentre Boghaz si voltava di scatto, e mandava nel regno dei sogni la seconda guardia.

I due compagni si lanciarono allora sulla terza guardia, che cadde sotto i loro pugni, prima ancora di essere riuscita a sfoderare completamente la spada. Gli altri due uomini, in quel momento, stavano riprendendo i sensi, e tentarono di rialzarsi, probabilmente con l’idea di proseguire la lotta; ma Carse e il Valkisiano non avevano certo del tempo da perdere, e lo sapevano bene. Con brutale precisione, colpirono i due malcapitati con una nuova scarica di pugni precisi, e nel giro di pochi minuti i tre guardiani, privi di sensi, furono saldamente legati e imbavagliati.

Carse si curvò, per sfilare la spada dal fodero di uno dei guardiani, e nello stesso istante, vedendo quel gesto, il grasso Valkisiano si mise a tossire, con aria imbarazzata.

«Forse preferiresti riavere la tua spada,» disse.

«Dov’è?»

«Fortunatamente, è proprio qua fuori, dove le guardie mi avevano ordinato di lasciarla, prima di entrare a farti visita.»

Carse annuì. Era una prospettiva lieta, quella di poter avere tra le mani di nuovo la spada di Rhiannon.

Carse, nell’attraversare la stanza, si fermò per m momento, raccogliendo un mantello che apparteneva a una delle tre guardie abbattute. Nel farlo, lanciò un’occhiata di sbieco a Boghaz.

«Per quale fortunatissima combinazione la mia spada era nelle tue mani?» domandò.

«Be’, essendo un tuo vecchio amico, e dovendo succederti al comando, l’ho chiesta, come mio diritto.» Il Valkisiano fece un sorriso sentimentale. «Sapevo che tu ormai eri condannato a morire… e sapevo anche che tu avresti voluto lasciarla a me.»

«Boghaz,» disse Carse, «Il tuo affetto per me è veramente una cosa meravigliosa. Quasi mi commuove.»

«Eh, sono sempre stato sentimentale di natura.» Ormai erano giunti sulla porta, e il grasso Valkisiano fece cenno a Carse di lasciarlo passare. «È meglio che esca io per primo.»

Varcò la soglia dell’appartamento, e fece qualche passo nel corridoio; poi fece un cenno a Carse, che si affrettò a seguirlo. La lunga spada era appoggiata a una parete. Carse la raccolse, e sorrise.

«D’ora in poi, ricorda che io sono Rhiannon!» esclamò.

Quell’ala del palazzo era poco frequentata. I corridoi erano immersi in una fosca penombra, appena rischiarata, a lunghissimi intervalli, dalla luce fumosa di qualche torcia rossigna. Boghaz ridacchiò.

«Conosco ormai tutti gli angoli del palazzo, come se ci fossi nato,» si vantò. «Anzi, ti dirò che ho scoperto un’infinità di passaggi… vie d’accesso e vie d’uscita, passaggi segreti, e cose del genere… dei quali perfino i Khond si sono dimenticati.»

«Bene,» disse Carse. «Allora mi guiderai tu, perché io sono rimasto confinato in quelle stanze, e non ho potuto guardarmi attorno. Per prima cosa, dobbiamo trovare Ywain.»

«Ywain!» Boghaz lo fissò sgomento, spalancando gli occhi. «Sei impazzito, Carse? Non abbiamo certo il tempo di andare a trastullarci con quella vipera!»

Carse sbuffò, impaziente.

«Deve venire con noi, a Sark, per testimoniare davanti al suo popolo la verità delle mie parole… e cioè il fatto che io sono Rhiannon. Altrimenti, tutto il nostro piano fallirà. Andiamo, adesso?»

Si era già reso conto del fatto che Ywain rappresentava il punto d’appoggio di quel suo tentativo disperato. Ywain aveva assistito, per due volte, al rivelarsi della personalità di Rhiannon nel corpo di Carse… una volta nella sua cabina, a bordo della nave, e una volta nella caverna dei Sapienti. Sarebbe stata Ywain a testimoniare in suo favore. Era una carta sicura in suo possesso, soprattuto perché la donna aveva visto ogni cosa con i suoi occhi.

«C’è del vero, in quello che dici,» dovette ammettere Boghaz, per affrettarsi poi ad aggiungere, in tono amaro. «Ma non mi piace ugualmente. Prima un diavolo, poi una strega con gli artigli avvelenati… non c’è dubbio che questo sia un viaggio per i pazzi!»

Ywain era tenuta prigioniera su quello stesso piano. Boghaz s’incamminò lungo il corridoio, con passo veloce, e durante il tragitto essi non incontrarono nessuno. Il grasso Valkisiano manifestava una sicurezza, nel muoversi, che faceva capire come egli non si fosse affatto vantato, prima, quando aveva dichiarato di conoscere bene il palazzo. Dopo qualche tempo, dietro la curva che si trovava nel punto in cui due corridoi s’incrociavano, Carse vide una torcia solitaria ardere accanto a una porta sbarrata, che aveva uno spioncino sistemato in alto. Una guardia dall’aria sonnolenta stava oziando là, in un angolo, tenendosi appoggiata alla propria lancia.

Boghaz trasse un lunghissimo sospiro.

«Ywain potrà convincere i Sark,» disse poi. «Ma tu riuscirai a convincere lei?»

«Devo farlo,» disse Carse, con espressione cupa.

«Bene, allora… invochiamo l’aiuto della fortuna, e andiamo. E di fortuna abbiamo molto bisogno.»

Durante il tragitto lungo il corrdoio, i due avevano stabilito i particolari del loro piano; così, prima di raggiungere il luogo in cui Ywain veniva tenuta prigioniera, Boghaz lasciò indietro Carse, e andò a scambiare quattro chiacchiere con la guardia, che fu ben felice di avere qualche notizia su ciò che stava accadendo. Poi, nel bel mezzo di una frase, la voce del grasso Valkisiano tremò, e si spezzò, con un accento di sincerità assoluto. A bocca aperta, e con gli occhi sbarrati, guardò il corridoio, alle spalle della guardia.

L’uomo, sbalordito, si volse bruscamente.

Carse stava avanzando lungo il corridoio. Aveva l’incedere sicuro di chi sa di possedere il mondo, il mantello ondeggiava a ogni passo, gettato con arroganza dietro le spalle, la testa fulva era eretta, gli occhi lampeggiavano. L’ondeggiante, fumigante luce della torcia giocava stranamente con il suo volto, traeva armonie di bagliori dai gioielli del collare e della cintura, e la spada di Rhiannon era come uno scettro argenteo, dai bagliori sinistri, ch’egli stringeva nella mano.

Parlò, cercando di imitare gli accenti vibranti, possenti, che ricordava di avere udito nella grotta.

«Prostrati a terra e nascondi il tuo volto, spregevole figlio di Khondor… se non vuoi morire!»

L’uomo rimase immobile, come paralizzato, con la lancia sollevata a metà. Alle sue spalle, Boghaz lanciò un gemito di orrore, e balbettò:

«Per gli dei! Il demonio si è nuovamente impadronito di lui. È Rhiannon… libero!»

Alto nella luce rossastra della torcia, Carse aveva l’aspetto solenne di un dio; e in quei bagliori corruschi, egli sollevò la spada, non come un’arma, ma come un talismano di potenza. Si permise un sorriso.

«Così tu mi conosci. Buon per te.» Abbassò lo sguardo sulla guardia, il cui volto era spaventosamente pallido. «E tu dubiti, forse, mortale? Parla, che io possa insegnarti a conoscermi!»

«No,» l’uomo rispose raucamente, «No, Signore!»

Si inginocchiò. La lancia cadde sul pavimento di roccia, rumorosamente, sfuggendo alle mani tremanti del Khond. Poi la guardia si prostrò a terra, nascondendosi il volto tra le mani.

Boghaz balbettò di nuovo:

«Signore Rhiannon!»

«Legalo,» ordinò solennemente Carse, «E apri quella porta.»

Era fatta. Carse aveva calcolato bene la reazione della guardia… la reazione nata da un oscuro terrore superstizioso, più antico del tempo. Boghaz tolse le tre pesanti sbarre dagli anelli che le fermavano alla porta. La porta si aprì verso l’interno, e Carse avanzò, fermandosi sulla soglia.

Lei stava aspettando, in piedi, ritta e tesa nel buio della stanza. Non le avevano dato neppure una candela, e la piccola cella era chiusa… l’unico spiraglio era dato dalla feritoia della porta. L’aria era stantia e quasi irrespirabile, e c’era l’odore pungente della paglia umida, che veniva dal pagliericcio che era l’unica cosa che si trovasse in quel locale spoglio, orribilmente spoglio e disadorno. I polsi e le caviglie erano ancora serrati dalle catene con le quali i Khond l’avevano legata, al suo arrivo nella rocca. Doveva essere stata una prigionia terribile, la sua. Eppure, lei era eretta, e orgogliosa; non erano riusciti a piegarla.

Carse si fece forza, perché era giunto il momento di giocare la sua carta più importante. Si domandò se, nei più profondi recessi della sua mente, il Maledetto lo stesse osservando. Gli parve quasi di udire l’eco di una risata tenebrosa e beffarda, venata da una strana collera sorda… la risata che scherniva l’uomo che fingeva di essere un dio.

Ywain disse:

«Tu sei veramente Rhiannon?»

Cerca di dare alla tua voce quell’accento vibrante, indomabile… cerca di fare entrare nei tuoi occhi quel cupo, pensieroso ardore che può esistere soltanto negli occhi di un dio…

«Mi hai già conosciuto,» le disse, altezzosamente. «Cosa puoi dire, ora?»

Aspettò, mentre gli occhi di lei lo studiavano, penetranti, nella penombra che filtrava dal corridoio. E poi, lentamente, lei piegò il capo, rigidamente, altezzosamente, come si addiceva a Ywain di Sark, perfino davanti a Rhiannon.

«Signore,» disse.

Carse ebbe una breve, aspra risata, poi si rivolse a Boghaz, che se ne stava in un angolo, apparentemente spaurito.

«Avvolgila nelle coperte del giaciglio. Dovrai portarla in spalla… e trattala con delicatezza, maiale!»

Umilmente, Boghaz si affrettò a obbedire. Era evidente che Ywain era furibonda, al pensiero di venire trattata in maniera così umiliante, e sul viso della principessa di Sark c’era un’espressione tempestosa… ma non diede voce ai suoi pensieri, e non protestò.

«Fuggiamo, dunque?» chiese soltanto.

«Abbandoniamo Khondor al suo destino.» Carse strinse con forza la spada, «Io sarò a Sark, quando verranno i Re del Mare, e così potrò distruggerli io stesso, con le mie antiche armi!»

Boghaz le coprì anche il volto con la coperta, che era poco più di uno straccio sporco e lacero. L’usbergo e le catene che le serravano polsi e caviglie erano perfettamente nascosti; le coperte avvolgevano completamente il suo corpo. Il grasso Valkisiano si mise in spalla, allora, quello che a un occhio impreparato avrebbe potuto sembrare soltanto uno sporco fagotto di stracci. E facendo questo, si volse a Carse, e gli strizzò l’occhio, con espressione radiosa.

Ma Carse non era così sicuro della vittoria. In quel momento, aggrappandosi all’insperata opportunità di fuggire, di ritrovare la libertà quando già aveva pensato di cadere per mano dei suoi nemici, Ywain non avrebbe mostrato alcun dubbio, neppure se fosse stata convinta che Carse recitava una parte; perché la sua situazione le impediva di essere troppo critica.

Ma prima di giungere a Sark il viaggio era lungo.

Era stata soltanto una sua impressione, o nel suo atteggiamento c’era stata una lievissima sfumatura d’ironia, appena percettibile, quando aveva chinato il capo?

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