UUUNOOO!

Erano le dieci di sabato sera, il che significa che il club era pieno al massimo. Ma non era semplicemente pieno, era tumescente. La gente quasi usciva dalle finestre, il che andava benissimo a Stuart Cole. Il club viveva degli incassi extra della folla straripante del sabato. Però, purtroppo, lui doveva anche assumere, e peggio ancora pagare, tre (uno due tre) buttafuori per quell’unica serata. E Cole, per il momento, aveva trovato un solo buttafuori, già distrutto, con le nocche spellate. Ne stava cercando altri due. Sino ad allora, avevano rifiutato l’offerta due ex lottatori, un ex berretto verde e un tipo nerboruto. A quanto pareva, volevano uscire di lì con la faccia intatta. L’Anestesia godeva di una certa reputazione…

Cole stava preparando un Chiodo Arrugginito e pensando ai buttafuori quando notò l’uomo con gli occhiali da sole. Lo notò come gli occhi di chiunque notano un galleggiante in mezzo alle onde: una cosa solida in un liquido in movimento. Le folle sono liquide, percorse da correnti e mulinelli. Le persone sono cose morbide, fatte più che altro d’acqua, e quando si spostano creano un movimento ondulatorio, senza strappi improvvisi. Invece, quell’uomo era una nave rompighiaccio: duro, implacabile, anche se con una sua grazia particolare. Non era enorme, e nemmeno troppo solido, ma aveva un’aria d’inflessibilità. Di resistenza.

Il buttafuori ideale.

Soppesandolo, Cole decise che non era ricco: il suo impermeabile nero di stile militaresco era strappato in due punti e senza cintura, e il cappello nero a falde larghe che gli scendeva sul viso stava perdendo ogni forma. Gli occhiali da sole scuri sembravano nuovi, riflettevano le luci che danzavano sulla sfera a specchi appesa sopra la pista da ballo. “Forse è un poliziotto in incognito”, pensò Cole. O forse, peggio ancora, un vigilante. I vigi avevano promesso di fare piazza pulita delle prostitute con tutta una serie di incursioni, e lì dentro le prostitute non mancavano.

L’uomo aveva una faccia squadrata, pallida, senza segni particolari; però tozza, un po’ come un viso umano scavato nel marmo. Il mento, tagliato in due da una fossetta, sporgeva molto più in fuori del naso rincagnato. I capelli erano corti, riccioluti, con sfumature d’un blu-nero metallico. Era sul metro e settantacinque, di corporatura media. Ma quella sua aria da grattacielo incrollabile prometteva una forza irresistibile.

Cole restò a guardarlo, pensando: “Attento a chi assumi…”. A San Francisco, non si potevano correre rischi con un maniaco qualsiasi preso dalla strada. Doveva essere il tipo giusto di maniaco…

Cole restò a guardarlo senza dare nell’occhio. Lasciò Bill Wallach a versare da bere e finse di voler controllare gli impianti sul palco, pensando che da lì avrebbe visto meglio l’uomo.

È così, raddrizzando microfoni e spostando fili senza nessun bisogno, Cole guardò. L’uomo con gli occhiali a specchio era fermo all’ombra del distributore di sigarette, ai margini della folla. Impassibile, osservava. Cole avrebbe voluto potergli vedere gli occhi.

Lo sguardo di Cole tornava di continuo sulle labbra dell’uomo. Erano labbra esangui, serrate, tirate all’indietro, e non si muovevano mai, nemmeno di un millimetro. Catz venne sul palco a chiedergli se l’impianto era a posto, e perché diavolo stava armeggiando con la cinghia di una chitarra…? — La sto, ehm, sistemando, Catz. Senti, credi che potresti tenere d’occhio quel tizio vicino al distributore di sigarette? Quello con gli occhiali a specchio. O è pericoloso, o è il buttafuori perfetto. Voglio saperlo. Non voglio andare a offrirgli un lavoro se non so che è a posto, che non è un maledetto infiltrato dei vigi…

Catz scrollò le spalle, annuì, e i suoi capelli corti, venati d’argento, danzarono attorno al suo viso vorace come la frangia di una tenda; i suoi occhi dorati si socchiusero, segno che lei voleva fare una domanda. Cole fece di no con la testa e tornò dietro il banco, ad aspettare il rapporto di Catz.

La band salì sul palco. Quando ebbero accordato e sistemato e acceso gli strumenti, Cole premette l’interruttore che fermava il nastro della disco music e urlò nel microfono del banco: — Zinnone e genitaluomini, CATZ WAILEN! — Metà della gente sulla pista da ballo urlò, e l’altra metà rise. Tutti mormorarono ansiosamente. Anche quelli a cui Catz non piaceva avevano sentito storie sul suo conto.

Catz, accordando la chitarra, si chinò a mormorare qualcosa a una cameriera. La ragazza annuì e si fece strada verso Cole tra la marea di mani protese.

— Catz mi ha detto di dirti che il rapporto è nelle parole della canzone. Di cosa diavolo stava parlando?

— Te lo spiego dopo — rispose Cole, anche se non aveva nessuna intenzione di spiegarglielo. La cameriera riempì il vassoio di bicchieri e ripartì per dar da bere agli assetati, e Cole aspettò. “Il rapporto è nelle parole della canzone?” Rabbrividì. Era uno dei pochi in grado di capire il senso dei testi di Catz. Perché la conosceva da anni? Forse. Ma anche perché tra loro esisteva affinità. Molti non sapevano che Catz improvvisava le parole cantando, le componeva sul momento. Ogni sera erano diverse. Per questo era raro che fossero in rima.

La band era pronta, sistemata, elettrificata, in attesa. Era un gruppo di cinque persone, un gruppo di angoscia rock. e Catz era la leader. Catz strizzò gli occhi quando si accesero le luci del palco, poi diede un colpetto sul microfono per vedere se funzionava e abbaiò alla folla: — CHIUDETE IL BECCO!

Cole non aveva mai visto un altro cantante capace di ottenere risultati concreti a quel modo.

Quella sera, il pubblico era particolarmente rumoroso. Fracassava bicchieri, lanciava bottiglie di gomma, rideva e strillava. Il rumore avrebbe continuato a salire d’intensità; entro mezzanotte, la folla avrebbe sguazzato nel proprio tuono, un unico urlo gigantesco che avrebbe fatto tremare le pareti. Solo che Catz, una donna piccola, sottile, fragile, col collo lungo, aveva detto chiudete il becco.

E quelli avevano chiuso il becco.

Era miracoloso: era scesa la quiete. Qualche colpo di tosse, una risata sottovoce, i clic degli accendini. Il locale pieno di fumo fu percorso qua e là da un bagliore: qualcuno accendeva uno spinello, in attesa della musica. La gente sulla pista da ballo si preparò, rilassò il corpo, pronta a lanciarsi nel ritmo del primo pezzo.

Quella calma era innaturale; tutti attendevano che finisse. L’attesa fu più che soddisfatta quando la band si lanciò nel primo brano. Un’esplosione improvvisa di suoni, di frastuoni elettrici. La prima chitarra attaccò un a solo potente: sembrava un argano senz’olio che tentasse, ululando, di sollevare una tonnellata di rottami metallici.

Il tuono del basso unificava i gemiti degli altri strumenti, ne faceva una forza d’urto compatta, così come le viti tengono assieme un carrarmato lanciato alla carica. Catz mise giù la chitarra ritmica e iniziò a cantare. Cole, teso, decifrò le parole:

Porci da due soldi, ruffiani, imbroglioni,

siete obsoleti, siete obsoleti

donne sempre pronte a urlare,

uomini sempre pronti a sbavare,

siete obsoleti, siete obsoleti

non c’è più posto per voi sulla strada

anche i vostri trucchi sono obsoleti.

Perché la strada è stanca,

stanca di tutto, stanca di voi,

stanca del piscio e delle Cadillac,

e la notte sarà chiara, il giorno buio

quando la città camminerà,

quando ciò che è suo reclamerà…

La chitarra solista si lanciò in un lungo “a solo”, ritraendo la gioventù nel linguaggio dell’elettricità. Catz danzò, in cento variazioni, gli ultimi spasimi della falena bruciata dalla fiamma della candela. Catz tirò un calcio nel sedere del bassista e rise e aprì ad arco le braccia e balzò in aria a più di un metro, girò su se stessa, tirò un altro calcio al ragazzo della chitarra solista mentre scendeva, chiuse di colpo le ginocchia, batté le mani, atterrò sul palco, tracciò percorsi serpentini col collo, agitò il sedere e le spalle in una doppia provocazione, e non perse mai il ritmo.

Batteria e basso tacquero, in drammatica attesa. I grandi occhi d’oro di Catz si spalancarono ancora di più. Il sudore le aveva appiccicato alla testa i capelli color platino. Il suo viso perse ogni incertezza, e lei accennò all’uomo con gli occhiali a specchio; poi cantò:

La città si alza e cammina,

reclama ciò che è suo,

gli indù e le loro incarnazioni,

Catz e le sue chitarre,

Zeus un cigno per Leda…

A volte il mondo prende la forma degli dei

a volte gli dei prendono forma d’uomini

a volte gli dei camminano sulla Terra come mortali…

E stanotte la città si è alzata,

ha camminato,

e noi siamo tutti obsoleti…

Catz urlava fuori nota, quasi senza seguire la musica, e il pubblico non aveva nessuna idea di che cosa stesse dicendo. Però l’adoravano. Perché lei dava la sensazione di credere in tutto quello che cantava.

La canzone salì d’intensità, come fanno le guerre, la sfera di vetro sfaccettato girò proiettando frammenti di luce, bottiglie di gomma volarono nell’aria, il fumo si avvolse a spirale, e Catz fissò intensamente Cole (e Cole desiderò non essere un quarantaduenne con la pancetta) e disse nel microfono: — Questa parte della canzone… Ehi, porci, mi state ascoltando? — La folla, rabbiosamente felice, rispose con un urlo. — Okay! Figli di vacca, questa parte della canzone racconta una storia in dieci parti, come un libro con dieci capitoli. Io vi dirò il numero di ogni capitolo e voi dovrete capire da soli quello che succede visualizzando l’architettura invisibile della musica, e se non ci riuscite andate a farvi fottere, quindi state attenti per Dio! — Catz respirò a fondo, la band si fermò, l’urlo della folla divenne un mormorio, e lei cantò: — UU NOO! — La chitarra solista si lanciò in un riff strangolato, e a Cole sembrò di vedere se stesso e l’uomo con gli occhiali a specchio assieme sulla strada.

Lei urlò: — DUEEE! — Entra di prepotenza il basso e fabbrica l’immagine dell’uomo con gli occhiali a specchio su uno schermo televisivo.

— TRRRRE! — La batteria elabora l’immagine di vigilantes che sparano alla cieca tra gli spettatori di un concerto rock.

— QUAAATTRO! — Il sintetizzatore fa tremare i loro cervelli con immagini sonore sub e ultrasoniche, immagini di Catz e Cole sanguinanti su un pavimento di legno, circondati da uomini che ridono.

— ZINQUEE! — La chitarra ritmica porta la visione di Cole e Catz che fanno l’amore.

— ESSSEI! — Le due chitarre, ruggendo assieme, creano contrasti di luce e ombra, fanno intravedere Cole sdraiato su un letto, con un proiettile nella gamba; al suo fianco, Catz sta preparando le valigie.

— ESSETTE! — La batteria evoca l’immagine di Cole che indietreggia quando un amico gli sbatte la porta in faccia.

— OTTTTTo! — L’organo mostra a Cole se stesso chiuso in carcere.

— NOVVEY! — Cole si vede nudo davanti a uno specchio. Si sta sfregando gli occhi.

— DIECCIII! — Tutti gli strumenti si fondono in un unico accordo, evocando la visione di Cole scosso dagli spasmi, solo in un corridoio, mentre sputa sangue…

La canzone terminò di colpo. Cole dovette correre in bagno. Dopo aver rimesso si sentì un po’ meglio. Si versò da bere per scacciare gli ultimi residui di disorientamento. “Perché mi ha fatto vedere tutte quelle cose?”

Cole tornò dietro il baco e ricominciò a lavorare: una specie di yoga per recuperare la calma. Catz lanciò la band in un altro pezzo.

Lo sconosciuto con gli occhiali a specchio osservava pensoso il palco. Era l’unico a non muoversi al ritmo delia musica. Persino i baristi schioccavano le dita. Ma lo sconosciuto se ne stava lì a guardare e basta. E non si muoveva.

Cole lavorò al banco, nutrì il mostro insaziabile dalle mille bocche che il banco di legno tratteneva a stento: lui versava liquore nella gola del mostro, e le sue bocche ne chiedevano ancora… A intervalli regolari, i terminali dell’Interfondo installati lungo il banco accettavano le carte di credito offerte dai clienti, mostravano se il cliente o la cliente aveva un conto in attivo, trasferivano istantaneamente il denaro dal conto del cliente a quello del proprietario del locale, verificavano l’operazione sul pannello di controllo a cifre digitali…

Come accadeva almeno una volta per sera, qualcuno mise sul banco, al posto della carta di credito dell’Interfondo, denaro contante. Era un vecchio con una gran criniera di capelli bianchi e sporchi e occhi azzurri, acquosi. — Dove sono i tuoi soldi, nonno? — disse Cole. — I soldi veri. La carta del Tif.

— Porca miseria, questi sono i soldi veri. Quella merda di carta è solo…

— Sì, sì, lo so come la pensi, ma noi qui non vendiamo più niente in contanti, fratello. Nessuno vende più in contanti. Non ci pigli nemmeno una birra, con questi. Per un caffè, un liquore, o quello che vuoi, devi avere la carta del Tif… Non so come facciate a cavarvela voialtri che usate i soldi. In città saranno rimasti tre negozi al massimo che li accettano ancora. Il Trasferimento Istantaneo di Fondi…

— Va’ a farti fottere! — abbaiò il vecchio, che si leccò le labbra secche raccogliendo i soldi. — Tanto qui la musica fa schifo!

Uscì. — Mi spiace, nonno! — gli urlò dietro Cole, depresso. “C’è qualcuno che proprio non riesce ad adattarsi”.

Cole era talmente preso dal lavoro che gli altri numeri di Catz volarono in un lampo. Catz annunciò un intervallo e scese subito dal palco. Cole fece ripartire il nastro della disco e versò da bere a Catz. Lei bevve d’un fiato il suo martini dry doppio, e Cole gliene servì altri due. Catz era iperattiva, tremava, come le succedeva sempre dopo un’esibizione. Quando cantava, dava tutta se stessa, febbrilmente.

— Hai sentito? — gli chiese poi.

Cole si protese sul banco, piantò i gomiti sul legno e il mento sulle mani e chiese: — E che razza di senso dovrebbe avere la roba che hai cantato?

— Credevo che all’università ti fossi specializzato in poesia, Stu — disse lei, prendendolo un po’ in giro.

— E allora? Io voglio sapere se posso assumere un tizio come buttafuori, e tu mi rispondi stanotte la città si è alzata, ha camminato, e fregnacce del genere.

— Hai ricevuto le visioni psi che ti ho trasmesso?

— Sì, ma non le ho capite bene.

— Be’, nemmeno io. Vuoi sapere se puoi fidarti di quel tizio? — Catz rise. — Un tizio, lo chiami. Fidarsi, dici. Cristo! Sì, potresti fidarti di quel tizio. Potrebbe farti da babysitter, se tu avessi dei figli, oppure potrebbe fare la guardia ai tuoi soldi, o buttare fuori i rompiscatole da qui. Se accettasse, stai sicuro che non ti fregherebbe. Solo che non accetterebbe. Non ha tempo per sciocchezze del genere. Ha le sue cose da fare, e solo una notte per farle… A ogni modo, non è una persona. Non capisci? È la città. Tutta intera. La città immersa nel sonno, che sogna e s’incarna in un corpo, fratello. Chiaro? È la Gestalt di questo posto, di questa fottuta città, racchiusa in un uomo solo. A volte il mondo prende la forma degli dei e gli dei prendono forma d’uomini. A volte. Questa volta… quell’uomo è un’intera città, e non sto parlando per metafora.

Lo disse senza esitazioni. Lo avesse detto chiunque altro, Cole si sarebbe messo a ridere. Nessuno può dare un’occhiata a uno sconosciuto e conoscerlo come se avesse trascorso con lui tutta la vita. Nessuno tranne Catz. Catz possedeva un dono. Una volta, un ricercatore della Duke University le aveva offerto valanghe di soldi se avesse accettato di sottoporsi a test sulla percezione extrasensoriale. Ma Catz aveva rifiutato. Catz vede solo quando lo vuole, quando l’intuizione le dice che è il momento giusto. Quindi, Cole sapeva di potersi fidare del suo giudizio: era il giudizio del suo dono. E così Cole seppe chi era lo sconosciuto. Ed ebbe paura.

Catz tornò sul palco. D’improvviso, il club Anestesia parve soffocante. Il fumo della droga e il fumo delle sigarette e la miriade di uomini esagitati afferrarono Cole alla gola. Era sul punto di stare male. Disse a Bill di badare al banco e uscì.

Si fermò sul marciapiede, respirò l’aria frizzante della primavera.

Non riusciva a stare fermo. L’energia in eccesso lo costringeva a passeggiare in su e in giù davanti al locale.

Non era uscito solo per prendere una boccata d’aria. Era uscito per accertarsi di qualcosa.

Guardò la città.

Il traffico era intenso: gente in cerca di prostitute da due soldi, ragazzi in macchina. I clacson gemevano e ululavano, i fari abbagliavano, i ragazzi urlavano frasi senza senso dai finestrini delle auto. Qualcuno tirò una bottiglia a Cole. La bottiglia rimbalzò sul muro alla sua destra. — Stronzo — mormorò lui, distratto. I piani dei palazzi erano stratificazioni di luce: l’azzurro chiaro dei televisori nei soggiorni bui. il bianco accecante dei bagni, le luci multicolori dei party. Insegne rosa al neon reclamizzavano i locali porno, e una brezza lieve smuoveva la sporcizia accumulata nelle grondaie.

— Fratello, posso chiederti un piacere…

Cole lanciò al barbone la sua carta dell’Interfondo, restò a guardarlo mentre raggiungeva la cabina del Tif all’angolo, mentre inseriva la carta di credito nel terminale. — Non più di un dollaro o ti rompo il muso! — urlò Cole. Il barbone, senza sorridere, gli restituì la carta. Adesso aveva un dollaro sul suo conto, poteva permettersi mezzo litro di vino.

Il barbone trottò via. Cole infilò le mani nelle tasche dei calzoni, fece una smorfia. Il grembiale che portava ancora svolazzava al vento. Dal locale all’angolo uscivano fumi putridi, e l’odore di vino rancido e di pizza ancora più rancida, quella che vendevano a cinquanta centesimi al taglio. Il marciapiede ospitava prostitute, qualche punk, accattoni, e una donna che portava a passeggio un barboncino con la sinistra infilata nella borsa, probabilmente serrata sul calcio di una pistola.

Dal club continuava a uscire la disco music. Catz non aveva ancora attaccato la seconda parte dello spettacolo. Cole sorrise, ricordando le discussioni sulla disco che aveva avuto con lei. Catz diceva che ormai erano solo i computer a produrre disco music, sulla base di studi psicologici, di rilevamenti di tendenza, per cui la disco risultava conforme allo status quo, cioè era uno strumento della repressione, un sedativo sociale che aiutava a mantenere l’ordine esistente. Il rock ’n ’roll come forma di potere. E Cole si metteva a ridere e ribatteva che ogni tipo di musica popolare riflette lo status quo o il desiderio di esserne parte, e che lui cercava solo di mandare avanti il club secondo i gusti dei clienti. Due volte l’anno faceva svolgere un’indagine dalle cameriere, per esempio chiedeva che genere di musica preferissero ascoltare i clienti negli intervalli dello spettacolo dal vivo, e quasi tutti volevano la disco. Era per quello che Cole ogni tanto poteva ingaggiare band strane, band radicali come quella di Catz Wailen; perché giungeva a compromessi in altre cose. E perché la maggioranza dei gruppi che ingaggiava erano gruppi normalissimi, band che eseguivano i pezzi alla moda. Ma Catz rispondeva che lui faceva il ruffiano con una mentalità fascista, e aggiungeva: — In ultima analisi, mio caro Cole, tu sei un collettivista. Vai matto per la volontà del popolo. Io sono un’individualista. — E Cole ribatteva qualcos’altro e le discussioni non finivano mai, continuavano a girare su se stesse come la disco music.

La disco s’interruppe quando Catz urlò nel microfono: — Spegnete subito quella musicaccia idiota! — La sua voce amplificata risuonò su e giù per la strada. Le puttane risero, la gente accelerò il passo.

La musica di Catz aggredì la strada, fece vibrare i lampioni. Cole aveva la mano contro un lampione, sentì il basso vibrare nella colonna d’acciaio. Assalito dal desiderio di sfuggire per un po’ al rumore, di sottrarsi al tono d’accusa della voce di Catz che quella sera sembrava diretto, sotto sotto, proprio a lui, Cole si allontanò dal club. Le mani in tasca, passeggiò in direzione sud, fermandosi ogni tanto a parlare con qualcuno, con gli sfaccendati che alla luce dei lampioni tessevano discorsi grandiosi, discorsi inutili… Cole che annuisce e dice: — Sul serio? Mi pare una buona idea, se riesci a trovare il capitale — quando Mario gli racconta che sta per avere un successo bestiale nel campo dell’abbigliamento perché la sua vecchia ha inventato i jeans senza fondelli, i jeans che sul sedere hanno un pezzo di stoffa trasparente, e così gli basterà trovare qualcuno disposto a investire per farla finita coi debiti. E Cole che dice: — Ti è sempre piaciuto guardare i sederi, Mario. — Gli altri ridono: filippini di Mission Street che hanno voglia di menare le mani. Cole offre sigarette, rifiuta l’offerta di Mario di diventare il finanziatore della sua fabbrica di jeans, finge di tirare una boccata dallo spinello che qualcuno gli offre, e infine se ne va.

Parla col nero dal piede deforme che lavora al negozio di film porno iridi, guarda gli ultimi visori che gli mostrano coiti ripresi dal vero, osserva con scarso interesse gli schermi su cui passano i film: le figure, nella moltitudine di accoppiamenti, si fondono in un unico grumo di carne. Pensandoci, sospetta di essere andato a trovare il nero perché sperava di provare un po’ di desiderio, magari anche solo una briciola, davanti ai riti olografici di fertilità. Così, per controllare, per vedere se le cose sono cambiate. E invece no, nessun desiderio, nemmeno una mezza erezione… Ride cortesemente davanti alla catasta di vecchi libri che il nero, sogghignando, gli mostra nella stanza sul retro. Nessuno legge più libri pornografici. Vanno solo le riviste e i trivisori e i film e i multistimolatori. — Sono cinque anni che tengo qui questi fottuti libri. Pensavo che li avrei venduti — dice il vecchio, tornando in negozio col suo passo claudicante. — Venduti un corno. Be’, almeno quest’inverno posso bruciarli se mi tolgono di nuovo il riscaldamento. In merda anche il razionamento dei combustibili.

Cole disse che era d’accordo e tornò in strada. Superò tre prostitute nere. L’unica che non lo conosceva gli fece l’offerta di rito: — Vuoi venire con me? — Le altre due finsero, per scherzo, di volerlo sedurre, e Cole finse interesse. — Ma voi non chiedete abbastanza, signore. Per gambe così belle io non pago meno di 737.000 crediti. Però non posso farvi una cosa del genere. Quelli delle tasse vi spellerebbero vive.

— Merda. Io ci sto per un bicchiere gratis nella tua fogna.

— In una fogna non ti servono da bere, puttana.

— Volevo dire in quel meraviglioso locale pubblico di tua proprietà, tesoro.

— Tesoro, eh? Meraviglioso locale pubblico, eh? Se fai un salto a mezzanotte, per un complimento del genere ti offro un brandy e tutto quello che vuoi.

Le altre si unirono immediatamente alle lodi. — Ne ho sentito parlare su Bon Appetit. Ehi, uomo, ma io ho visto di recente la tua foto su una rivista, giuro.

— Dove?

— Su Overview.

— Già. Legge sempre qualche stronzata — disse una delle altre, accendendosi uno spinello.

— L’articolo diceva che sei un uomo tutto d’un pezzo, Cole. E tu raccontavi certe cose che faranno schiattare qualche testa di cavolo di vigilante.

— Cioè? Non ricordo. Un tizio mi ha fatto delle domande e io ho risposto e poi me ne sono dimenticato. Non avrei dovuto lasciarmi intervistare.

— Dicevi che i vigi lavorano per ì delinquenti più grossi che vogliono mettere le mani sulle puttane, solo che il sindacato delle puttane non li ha lasciati fare, e allora quelli hanno assunto i vigi per dare una lezione alle puttane, e che fanno finta di sentirsi offesi nel loro senso morale ma in realtà vogliono solo diventare pro…

— Ha maledettamente ragione — disse una delle tre, ma Cole non capì quale. Era preso dalle preoccupazioni. A Oakland, i vigi avevano distrutto a furia di bombe incendiarie un club solo perché il proprietario lasciava entrare le prostitute…

Cole disse: — Ci vediamo più tardi, signore — e s’incamminò, tirando calci ai rifiuti sparsi per terra di un bidone della spazzatura rovesciato. Uno scarafaggio grande come un topo gli corse sullo stivale; Cole lo lanciò lontano, rabbioso. L’insetto andò a sbattere sul parabrezza di una Mini-Cad elettrica.

Cole raggiunse una cabina telefonica con lo schermo per le videonotizie, sedette sullo sgabello di metallo, inserì la carta di credito nel foro, impostò sulla tastiera il codice delle riviste. Sullo schermo sopra il telefono apparve l’indice delle riviste disponibili, e lui scelse il numero del maggio 1991 di Overview. Apparve l’indice della rivista. Cole batté sulla tastiera il numero di pagina che gli interessava.

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