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Finito il suo hamburger, Ponter guardò Louise, poi Reuben e infine Mary. «Non vorrei lamentarmi,» disse dopo un po' «ma sono stanco di mangiare questa carne di… di mucca, la chiamate? Sarebbe possibile farci portare qualche altra cosa per stasera da quelli lì fuori?»

«Cosa ti piacerebbe?» gli chiese Reuben.

«Oh, qualsiasi cosa. Magari qualche bistecca di mammut.»

«Cosa?» disse Reuben.

«Mammut?» ripeté Mary, stupefatta.

«Forse Hak non ha tradotto bene. Mammut, quella specie di elefante con la pelliccia che vive nelle zone più fredde.»

«Sì, sì» disse Mary. «Sappiamo cos'è un mammut, ma…»

«Ebbene?» chiese Ponter, aggrottando il lungo sopracciglio.

«Be', sai… i mammut sono estinti» gli disse Mary.

«Estinti?» ripeté Ponter, sorpreso. «Ora che ci penso, non ne ho visti qui, ma, be', pensavo che preferissero non avvicinarsi troppo alle città così grandi.»

«No, no, sono estinti» confermò Louise. «In tutto il mondo. Estinti da migliaia di anni.»

«Qual è la causa? Una malattia?» volle sapere Ponter.

Nessuno rispose. Mary espirò lentamente, sforzandosi di trovare le parole adatte. «No, non è stata questa la ragione» disse infine. «Uhm, vedi, noi — la nostra specie, i nostri progenitori -abbiamo dato loro la caccia fino a sterminarli.»

Ponter spalancò gli occhi. «Cosa avete fatto?»

Mary si sentì disgustata; non sopportava che la storia dell'umanità venisse riassunta in quel modo. «Li uccidevamo per mangiare, e, insomma, abbiamo continuato fino all'ultimo esemplare.»

«Oh» disse Ponter debolmente. Guardò fuori dalla finestra, verso il grande giardino, poi aggiunse: «Adoro i mammut. Non solo la loro carne, che è deliziosa, ma proprio l'animale, come parte del paesaggio. Un piccolo gruppo vive nei pressi della mia abitazione: mi piace moltissimo starli a guardare.»

«Noi abbiamo i loro scheletri e le loro zanne, e ogni tanto in Siberia se ne trova qualcuno ibernato, ma…»

«Tutti,» disse Ponter incredulo scuotendo lentamente il capo, più triste che mai «li avete uccisi tutti…»

Mary sentì un moto di ribellione; avrebbe voluto dire: 'Non sono stata io,' ma sapeva che non era così; il sangue dei mammut gridava vendetta. Comunque sentì il bisogno di dare qualche giustificazione, per quanto flebile: «È accaduto tanto tempo fa.»

Con espressione preoccupata, Ponter chiese: «Ho quasi paura di farvi questa domanda; nel mio mondo ci sono molte altre specie di grossi animali. Pensavo che anch'essi evitassero di avvicinarsi troppo a queste vostre città, ma…»

Reuben scosse la testa rasata. «No, non è così.»

Mary chiuse un attimo gli occhi. «Mi dispiace, Ponter. Abbiamo sterminato quasi completamente gli animali di grossa taglia, qui in America, in Europa, in Australia,» man mano che la litania andava avanti sentiva sempre più un nodo allo stomaco «in Nuova Zelanda e in Sud America. L'unico continente dove si trovano ancora degli animali grossi è l'Africa, anche se la maggior parte sono a rischio.»

Bip.

«Sull'orlo dell'estinzione» spiegò Louise.

«Avevi detto che questo avveniva tanto tempo fa» disse Ponter col tono di chi è stato tradito.

Mary abbassò lo sguardo sul piatto vuoto. «Abbiamo smesso di uccidere i mammut tanto tempo fa perché, be', non ce n'erano più. E lo stesso abbiamo fatto con l'alce irlandese, e i grossi felini che popolavano il Nord America, e i rinoceronti e tutti gli altri: ci siamo fermati solo quando sono scomparsi.»

«Uccidere tutti i membri di una specie…» rifletté Ponter scuotendo lentamente la grossa testa.

«Almeno abbiamo fatto tesoro di quelle esperienze» proseguì Mary. «Abbiamo preso delle misure per proteggere le specie a rischio, con qualche successo. La gru americana era quasi scomparsa, come anche l'aquila dalla testa bianca e il bufalo, ma adesso si stanno moltiplicando.»

«Questo perché non li avete uccisi tutti» commentò Ponter freddamente.

Mary pensò di spiegargli che non era solo a causa della caccia che quegli esemplari erano sull'orlo dell'estinzione, ma anche per la distruzione degli habitat naturali, ovviamente sempre per causa dell'uomo, ma questo non migliorava certo la situazione.

«Quali… quali altre specie sono a rischio di estinzione?» chiese Ponter esitante.

Mary scrollò lievemente le spalle. «Molte specie di uccelli, le tortore giganti, i panda, i capidogli, gli scimp…»

«Gli scimp?» la interruppe. «Cosa sono…?» Piegò la testa da un lato, come se stesse ascoltando Hak che si sforzava di tradurre la parola che Mary aveva solo cominciato a pronunciare. «Oh, no. No. Gli scimpanzé! Ma… sono i nostri cugini. Avete sterminato anche i nostri cugini?»

Mary si fece piccola piccola. Come poteva dirgli che si dava la caccia agli scimpanzé per mangiarli, e che i gorilla venivano uccisi per trasformare le loro mani in portacenere esotici?

«Hanno un valore inestimabile» continuò Ponter. «Tu che sei una genetista lo sai benissimo. Sono gli unici parenti stretti che abbiamo; studiandoli allo stato brado e analizzando il loro DNA possiamo apprendere molte cose su noi stessi.»

«Lo so,» disse Mary con un filo di voce «lo so.»

Ponter li squadrò tutti, a turno, soppesandoli, come se li stesse considerando sotto una nuova luce.

«Voi uccidete senza pensare. Uccidete intere specie viventi. Uccidete persino i primati.» Si fermò di nuovo a guardarli uno per uno, quasi per far capire loro quello che stava per dire, sperando in una spiegazione logica, una giustificazione a tutto ciò. Ma nessuno parlò, e allora Ponter andò avanti: «E su questo mondo anche la mia specie è estinta.»

«Sì» bisbigliò Mary. Sapeva quello che era successo. Anche se le opinioni non erano unanimi, molti paleoantropologi ritenevano che tra 40.000 e 27.000 anni fa, l'Homo sapiens avesse perpetrato il primo genocidio di massa, cancellando dal pianeta l'unica altra specie che aveva lo stesso patrimonio genetico, una specie più mite che forse avrebbe meritato di più l'appellativo di umanità.

«Ci avete sterminati?» chiese a quel punto il Neandertal.

«Su questo punto non tutti concordano» rispose Mary.

«Tu cosa credi che sia accaduto?» insisté Ponter, gli occhi dorati fissi su di lei.

Mary respirò a fondo prima di rispondere. «Io… sì, credo che sia andata così.»

«Ci avete sterminati» ripeté Ponter con la sua voce, che Hak tradusse con una certa difficoltà.

Mary annuì. «Mi dispiace. Davvero. Tutto ciò è avvenuto tanto tempo fa. Allora eravamo dei selvaggi, e…»

In quel momento squillò il telefono. Reuben, visibilmente sollevato dall'interruzione, saltò dalla sedia e si precipitò a rispondere. «Pronto?»

Mary guardò Reuben che aveva alzato il tono della voce. «Grandioso!» stava dicendo il medico. «Meraviglioso! Sì, no… sì, sì, va bene. Grazie! Certo. Arrivederci.»

«Allora?» gli chiese Louise.

Reuben faticava palesemente a trattenere un sorriso. «Ponter ha l'adenite equina» rispose riagganciando.

«Adenite equina?» ripeté Mary. «Ma gli esseri umani non ne sono soggetti.»

«Giusto» confermò Reuben. «Ne siamo naturalmente immuni. Ma non Ponter, perché la sua specie non è vissuta per generazioni insieme agli animali domestici. Si è beccato questa malattia, che i veterinari chiamano anche stranguglione, a cui vanno soggetti i cavalli giovani. A causarla è un batterio, lo streptococcus equii. Si cura con la penicillina, che per fortuna gli ho già somministrato. Dovrebbe andare tutto bene.»

«Quindi noi non dobbiamo preoccuparci?» chiese Louise.

«Già. E questa non è l'unica buona notizia» disse Reuben con un sorriso a trentadue denti. «Hanno deciso di porre fine alla quarantena! Se le ultime analisi saranno negative, domani mattina saremo liberi!»

Louise batté le mani, Mary era felice come una bambina. Guardò Ponter, che era rimasto con il capo reclinato, probabilmente ancora alle prese con il pensiero dell'estinzione della sua specie su questo pianeta.

Gli mise una mano sul braccio e lo chiamò dolcemente: «Ehi, Ponter, non è una notizia fantastica? Domani potremo uscire, ti mostrerò il nostro mondo!»

Ponter alzò lentamente il capo e guardò Mary, che stava scrutando l'espressione del suo viso. La bocca semiaperta, gli occhi spalancati, esprimevano le parole che pronunciò subito dopo: «Devo proprio?»

E annuì rassegnato.

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