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SECONDO GIORNO
SABATO 3 AGOSTO
148/118/25

Adikor Huld non riusciva a rimanere in casa. Lì dentro tutto gli ricordava il povero Ponter, così misteriosamente scomparso. La sua sedia preferita, il notes per gli appunti, le amate sculture: ovunque si posasse lo sguardo. Per questo era uscito sulla veranda, sedendosi a contemplare mestamente la natura circostante. Pabo gli si avvicinò e rimase a fissarlo a lungo; era la cagna di Ponter, che viveva lì ben prima di lui. L'avrebbe tenuta: almeno quel posto gli sarebbe sembrato meno vuoto. Pabo rientrò in casa. Sapeva che si sarebbe piazzata di fronte alla porta ad aspettare Ponter. Sin dal giorno prima, da quando era rincasato da solo, aveva fatto la spola tra i due ingressi, in attesa. Non gli era mai accaduto di tornare senza Ponter; il povero animale era sconcertato e la sua tristezza era evidente.

Anche lui si sentiva prigioniero di una tristezza invincibile. Aveva passato quasi tutto il giorno a piangere; non a piagnucolare o a lamentarsi, ma proprio a piangere, a volte persino senza accorgersene, fin quando qualche grossa lacrima non gocciolava sul braccio o sulla mano.

Le squadre di soccorso avevano cercato ovunque, senza trovare il minimo segno di Ponter. Esseri umani e cani addestrati avevano perlustrato tutte le gallerie, alla ricerca dell'odore di un uomo forse svenuto, nascosto da qualche parte. Avevano anche impiegato le apparecchiature portatili per rilevare il suo Companion.

Tutto invano. Ponter era letteralmente svanito nel nulla, senza lasciare la minima traccia.

Cambiò posizione. La sedia, intessuta di assi di pino, aveva un ampio schienale e braccioli sufficientemente larghi, su cui si potevano poggiare delle lattine: era davvero una sedia comoda. Senza dubbio chi l'aveva costruita — ne aveva dimenticato il nome, che comunque era inciso sullo schienale — aveva dato un bel contributo alla società. La gente aveva bisogno di mobili. Adikor possedeva un tavolo e due armadietti fatti dallo stesso falegname.

E a proposito di contributi, adesso quale sarebbe stato il suo senza il caro amico? Tra i due, il più brillante era Ponter: Adikor lo riconosceva e lo accettava. Come avrebbe fatto senza il suo amatissimo compagno?

Per quanto ne sapeva, il progetto del computer quantistico era concluso. Da solo non era in grado di andare avanti. Altri scienziati — come quel gruppo di donne al di là dell'oceano, a Evsoy, o quello degli uomini sulla costa occidentale del continente — avrebbero continuato il lavoro procedendo per linee parallele. Si augurava che avessero fortuna: ne avrebbe letto con interesse gli studi, anche se avrebbe sempre rimpianto che non erano stati loro due ad arrivare per primi alla soluzione.

I pioppi e le betulle, sulle cui radici muschiose fiorivano dei trillium bianchi, formavano una volta ombrosa intorno alla veranda. Uno scoiattolo sgambettò veloce; in lontananza s'udiva il martellio di un picchio su un tronco. Respirò a fondo, inalando polline e odore di terra e di pacciame.

Poi udì qualcosa in movimento; non era raro che anche di giorno qualche grosso animale si spingesse nei pressi delle abitazioni, e…

All'improvviso Pabo piombò a tutta velocità dalla porta sul retro: anche lei aveva sentito qualcosa. Adikor dilatò le narici. Qualcuno — un uomo — si stava avvicinando.

Era forse…?

Pabo cacciò un mugolio lamentoso. Eccolo.

No, non era Ponter. Certo che no.

Sentì una fitta al cuore. Pabo rientrò in casa, continuando la sua straziante attesa.

«Buongiorno» disse Adikor all'uomo che stava salendo sulla veranda. Non lo conosceva: un tipo ben piantato, con i capelli rossi, che indossava una camicia svasata blu scuro e pantaloni grigi.

«È lei Adikor Huld, che risiede qui nella periferia di Saldak?»

«In persona.»

L'uomo sollevò il braccio sinistro puntando il polso verso Adikor, per trasferire delle informazioni al suo Companion.

Adikor annuì e premette un pulsante del suo impianto. Vide il piccolo schermo lampeggiare mentre riceveva le informazioni. Pensava che si trattasse di una lettera di presentazione: forse quel tipo era un parente in visita, o magari un commerciante in cerca di lavoro, che mostrava le sue credenziali, dati che avrebbe potuto facilmente cancellare se non lo avessero interessato.

«Adikor Huld, è mio dovere informarti che Daklar Bolbay, in qualità di tabant dei minorenni Jasmel Ket e Megameg Bek, ha sporto una denuncia nei tuoi confronti con l'accusa di omicidio del loro padre, Ponter Boddit.»

«Cosa?» disse Adikor alzando lo sguardo. «Stai scherzando?»

«No, non scherzo.»

«Ma Daklar è — o meglio era — la compagna di Klast. Ci conosciamo da sempre.»

«Tuttavia ha inoltrato una denuncia» tagliò corto l'uomo. «Per favore, mostrami il polso in modo che possa accertarmi dell'avvenuto trasferimento della documentazione.»

Completamente sbalordito, Adikor obbedì. L'uomo diede una rapida occhiata al display - su cui compariva la scritta: 'Capo d'imputazione di Bolbay nei confronti di Huld, trasferimento completato' -, quindi tornò a guardare Adikor. «Ci sarà un dooslarm basadlarm — una vecchia frase che significava letteralmente 'chiedere poco prima di chiedere tanto'; si tratta di una sorta di udienza preliminare — in cui si stabilirà se si dovrà istituire un processo per il delitto commesso.»

«Ma quale delitto!» sbottò Adikor, già ribollente di rabbia. «Ponter è scomparso. Forse è morto, questo te lo concedo, ma se così fosse si è trattato di un incidente.»

L'uomo lo ignorò. «Hai facoltà di scegliere una persona di fiducia che ti difenda. Il dooslarm basadlarm è stato fissato per domani mattina.»

«Domani!» esclamò Adikor stringendo i pugni. «Ma è assurdo!»

«Giustizia rimandata, giustizia cancellata» disse l'uomo prima di andare via.

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