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Il dooslarm basadlartn di Adikor Huld andava avanti. Il giudice sedeva sempre nella parte meridionale della sala, mentre Adikor rimaneva sulla panca rovente, con Daklar Bolbay che gli gattonava intorno.

«È stato davvero commesso un crimine?» domandò l'accusatrice rivolta al giudice Sard. «Non è stato rinvenuto alcun cadavere, si potrebbe quindi sostenere che si tratti di un semplice caso di persona scomparsa, anche se tale ipotesi oggi ci sembra altamente improbabile. Abbiamo effettuato delle ricerche approfondite nella miniera, anche con l'ausilio di sofisticati rilevatori, e cosa abbiamo appurato? Che l'impianto di Ponter non emette alcun segnale. Se fosse ferito, ne invierebbe. Anche nel caso in cui fosse deceduto per cause naturali l'impianto continuerebbe a funzionare, impiegando l'energia di riserva, per diversi giorni dopo la cessazione dei processi biochimici. Questo ci porta alla conclusione che solo una causa violenta può spiegare la scomparsa di Ponter e il silenzio del suo Companion.»

Adikor sentì lo stomaco contrarsi. Il ragionamento di Bolbay non faceva una piega: i Companion erano stati progettati per essere infallibili. Prima della loro invenzione, passavano dei mesi prima che le persone scomparse fossero dichiarate decedute. Ma Lonwins Trob aveva promesso che i suoi Companion avrebbero cambiato le cose: nessuno sarebbe più svanito nel nulla senza lasciare tracce.

Ovviamente, Sard si trovò d'accordo con la requisitoria dell'accusa. «Sono convinta» disse «che la scomparsa del corpo e del suo Companion fanno supporre un atto criminoso. Si proceda.»

«Molto bene» disse Bolbay, che prima di rivolgersi nuovamente al giudice lanciò una rapida occhiata ad Adikor. «Qui da noi» riprese «l'omicidio non è un reato comune. Togliere la vita ad una persona — voglio dire, porre definitivamente fine all'esistenza di qualcuno — è il crimine più grave ed efferato che esista. Eppure, alcuni casi si sono verificati, la maggior parte, comunque, prima dell'avvento dei Companion e delle registrazioni negli archivi degli alibi. In quei casi, per suffragare l'accusa di omicidio il tribunale richiedeva tre elementi.

«Il primo è l'occasione di commettere il crimine; e questa occasione Adikor Huld l'ha avuta come mai nessun altro su questo pianeta, dato che il suo Companion era nell'impossibilità di trasmettere le informazioni.

«Il secondo è la tecnica, vale a dire il modo in cui il crimine è stato commesso. Senza il cadavere, si possono solo fare delle congetture sulle modalità dell'assassinio, anche se, come vedremo tra breve, esiste un metodo particolarmente idoneo a tale scopo.

«E, infine, bisogna dimostrare il movente, la giustificazione logica dell'omicidio, qualcosa che abbia spinto l'assassino a commettere un atto così atroce e irrimediabile. Ed è proprio il movente che ho intenzione di provare adesso, signor giudice.»

L'anziana donna annuì. «La ascolto.»

Bolbay si voltò verso Adikor. «Tu e Ponter Boddit vivevate insieme, vero?»

Adikor annuì. «Da sessanta mesi.»

«Lo amavi?»

«Moltissimo.»

«La sua compagna è morta di recente, vero?»

«Era anche la tua compagna» disse Adikor cogliendo al balzo l'opportunità di sottolineare il conflitto di interessi di Bolbay.

Ma la donna era preparata: «Sì. La mia amata Klast. Non è più in vita, e ne provo un gran dolore. Ma per quello che è accaduto non incolpo nessuno, perché nessuno è responsabile della sua morte. La malattia è un evento naturale, e gli specialisti hanno fatto tutto il possibile per renderle sereni gli ultimi mesi di vita. Ma per la morte di Ponter Boddit esiste un responsabile.»

«Sia più prudente, Daklar Bolbay» intervenne il giudice Sard. «Non ha ancora provato che lo scienziato Boddit sia morto, e finché non sarò io a dichiararlo tale lei si deve limitare solo a ipotizzare una simile circostanza.»

Bolbay si voltò verso Sard. «Le mie scuse, signor giudice» disse con un inchino. Quindi si voltò nuovamente a fronteggiare Adikor. «Stavamo parlando di un'altra morte, sulla quale non esiste dubbio alcuno: quella di Klast, che è stata la compagna di Ponter… oltre che la mia.» Chiuse gli occhi e continuò: «Il mio dolore è troppo grande da comprendere, e non è mia intenzione manifestarlo a nessuno. E il dolore di Ponter, ne sono sicura, è stato altrettanto grande. Klast parlava spesso di lui, e so bene quanto lo amasse, e quanto lui amasse lei.» Si fermò un attimo, come per ricomporsi. «E alla luce di questa recente tragedia, dobbiamo formulare un'altra ipotesi riguardo alla scomparsa di Ponter: potrebbe essersi tolto la vita per la morte di Klast?» Fissò Adikor, rivolgendogli la domanda: «Qual è la tua opinione in proposito, scienziato Huld?»

«La scomparsa di Klast lo aveva duramente colpito, ma è avvenuta già un po' di tempo fa. Se avesse deciso di suicidarsi lo avrei certamente saputo.»

Bolbay annuì come se condividesse la supposizione fatta dall'accusato. «Non pretendo di conoscere bene Ponter Boddit quanto te, ma condivido quanto hai detto. Ma ti chiedo ancora: ci potrebbero essere state delle ragioni per spingerlo al suicidio?»

Adikor fu colto di sorpresa: «Quali?»

«Be', per esempio il vostro lavoro. Perdonami, scienziato Huld, ma non trovo un modo cortese per affermare che il vostro lavoro è stato un fallimento. La sessione del Consiglio dei Grigi, nella quale entrambi avreste dovuto discutere del vostro contributo alla comunità, era imminente. Potrebbe darsi che lui si sia tolto la vita temendo che avrebbero fermato i vostri esperimenti?»

«No» rispose Adikor sbigottito. «No. In effetti, se qualcuno rischiava qualcosa davanti al Consiglio, quello ero io.»

Bolbay lasciò che le parole fossero pienamente recepite dall'uditorio, quindi chiese: «Saresti così gentile da illustrarci meglio la situazione?»

«Nel nostro progetto Ponter è il teorico. Le sue teorie non sono state dimostrate ma nemmeno invalidate, quindi bisognerà continuare a lavorarci su. Io sono l'ingegnere: il mio compito è quello di costruire un sistema sperimentale in grado di verificare le sue idee. Ed è proprio quel sistema — il nostro prototipo di computer quantistico — ad aver fallito. Il Consiglio avrebbe potuto reputare inadeguato il mio contributo, ma certo non quello di Ponter.»

«Quindi escludi che Ponter possa essersi suicidato» gli chiese per la seconda volta Bolbay.

«Le ripeto» intervenne nuovamente il giudice Sard «che deve parlare dello scienziato Boddit come se fosse vivo, finché non decreterò il contrario.»

Bolbay si inchinò di nuovo verso il giudice: «Le porgo di nuovo le mie scuse.» Quindi tornò a rivolgersi all'accusato: «Se Ponter avesse voluto uccidersi, è ragionevole supporre che lo avrebbe fatto senza coinvolgerti?»

«L'ipotesi del suicidio è così inverosimile…» cominciò Adikor.

«Sì, su questo siamo d'accordo,» lo interruppe Bolbay pacatamente «ma, sempre in via ipotetica, sei d'accordo che se avesse deciso di farlo avrebbe scelto un modo che non avrebbe suscitato dei sospetti su di te?»

«Sì, sono d'accordo.»

«Grazie» disse Bolbay. «E invece, riguardo alla questione da te stesso sollevata: l'inadeguatezza del tuo contributo…»

Adikor si agitò sulla panca. «Ebbene?»

«Be', io non ho certo intenzione di sollevare questo dubbio» aggiunse Bolbay, e Adikor intuì il colpo basso. «Ma dal momento che sei stato tu stesso a parlarne, sarebbe forse il caso di esaminare un po' più a fondo la questione… anche solo per dissipare ogni dubbio, come certo capirai.»

Adikor rimase in silenzio, finché Bolbay non riprese: «Come ci si sente a vivere all'ombra di qualcun altro?» gli chiese nel modo più amabile di questo mondo.

«… Come, prego?»

«Insomma, hai appena affermato che non era il suo contributo ad essere messo in questione, ma il tuo.»

«Mi riferivo alla riunione del Consiglio,» si difese Adikor «ma in generale…»

«In generale» disse Bolbay con voce melliflua «devi ammettere che il tuo contributo rispetto al suo è minimo. Non è forse vero?»

«La domanda è pertinente con il dibattimento?» interloquì Sard.

«In verità, Vostro Onore, credo che lo sia» rispose l'accusatrice.

Sard sembrò dubbiosa, ma col capo fece segno a Bolbay di continuare, cosa che ella fece immediatamente: «Scienziato Huld, sono certa che tu sia consapevole del fatto che i futuri studiosi di fisica si imbatteranno di frequente nel nome di Ponter, mentre il tuo sarà praticamente dimenticato.»

Adikor sentiva il cuore scalpitare. «Non ho mai pensato a cose simili» rispose.

«Oh, andiamo» l'incalzò Bolbay, come se stesse parlando di qualcosa che entrambi sapevano bene. «La differenza dei vostri contributi è lampante.»

«Daklar Bolbay, la diffido nuovamente a continuare su questo argomento» la riprese il giudice. «Non c'è ragione di umiliare l'accusato.»

«Sto solamente cercando di indagare il suo stato mentale» ribatté Bolbay, inchinandosi ancora una volta, e senza aspettare la risposta del giudice continuò a rivolgersi all'imputato: «Allora, scienziato Huld, spiega a tutti noi come ci si sente ad essere quello che dà il contributo minore.»

Adikor respirò a fondo. «Non sta a me giudicare i nostri rispettivi meriti.»

«Certo che no, ma la differenza è fuori questione» insisté Bolbay come se Adikor stesse svicolando invece di affrontare la questione. «Tutti sanno che tra voi due il genio è Ponter» aggiunse accompagnando le parole con un sorriso. «Quindi, ti chiedo nuovamente di spiegarci come si vive nella consapevolezza della propria inferiorità.»

«Provo esattamente quello che provavo prima della scomparsa di Ponter. L'unica differenza è una tristezza indicibile per la perdita del mio migliore amico» rispose Adikor cercando di controllare il tono della voce.

Adesso Bolbay gli era dietro. La panca su cui sedeva era girevole, quindi avrebbe potuto girarsi per seguire i movimenti circolari della sua accusatrice, ma decise di rimanere fermo. «Il tuo migliore amico?» ripeté Bolbay come se si trattasse di una ammissione sorprendente. «Il tuo migliore amico, dici. E in che modo hai reagito alla sua scomparsa? Proclamando a gran voce che i vostri esperimenti riguardavano il software e i computer creati da te, piuttosto che i suoi teoremi?»

Adikor rimase a bocca aperta. «Io… io non ho mai affermato una cosa simile. Ho solo detto ad un Esibizionista che riguardo ai nostri esperimenti potevo esprimere delle opinioni solamente sul ruolo del software e dell'hardware, perché questi sono sotto la mia diretta responsabilità.»

«Proprio così! È dal momento della sua scomparsa che stai minimizzando il contributo di Ponter.»

«Daklar Bolbay!» scattò Sard. «Le intimo di trattare lo scienziato Huld con il dovuto rispetto.»

«Rispetto?» ribatté Bolbay sprezzante. «Come quello che ha dimostrato nei confronti di Ponter da quando è scomparso?»

Adikor ebbe un capogiro. «Possiamo controllare il mio archivio degli alibi, o quello dell'Esibizionista» riuscì a dire. Poi, facendo un cenno a Sard come se fossero vecchi amici:. «Il giudice potrà ascoltare le parole esatte che ho usato.»

Bolbay fece un cenno con la mano, come se Adikor avesse detto una sciocchezza. «Non importano le parole esatte ma i sentimenti che rivelano. E ciò che è lampante è il senso di sollievo per la scomparsa del tuo rivale…»

«No» disse Adikor duro.

«Daklar Bolbay, è la terza volta che la richiamo» disse il giudice aspramente.

«Una liberazione di cui avevi bisogno» continuò Bolbay.

«No!» sbottò Adikor con l'ira che gli montava dentro.

«Un sollievo» incalzò Bolbay con voce sempre più alta «che è il tuo unico contributo rispetto a tutto quello che avete fatto insieme.»

«La smetta, Bolbay!» sbraitò il giudice Sard sbattendo il palmo della mano sul bracciolo della sedia.

«Sollievo» urlò Bolbay «per la morte del tuo rivale!»

Adikor scattò in piedi e si voltò a fronteggiarla, serrando i pugni e preparandosi a colpire.

«Scienziato Huld!» tuonò la voce del giudice nella sala.

Adikor si immobilizzò, il cuore che martellava nelle tempie. Aveva notato che Bolbay si era astutamente messa sottovento, in modo che i ventilatori non potessero portare i suoi feromoni nella sua direzione. Si guardò il pugno contratto: avrebbe potuto fracassare il cranio della donna con un sol colpo, sfondarne il torace, frantumare le costole e perforare il cuore. Quel pugno gli fece l'effetto di un'entità aliena, come se non appartenesse al suo corpo. Abbassò il braccio, ancora talmente pervaso d'ira e d'indignazione che per parecchi secondi non riuscì ad allentare la stretta delle dita. Si voltò verso il giudice e in tono implorante disse: «Io… Vostro Onore, può ben capire… Io… Io non avrei mai potuto…» Scosse la testa. «Lei ha sentito quello che mi ha detto. Io… nessuno può…»

Gli occhi violacei del giudice Sard erano spalancati su Adikor. «Non ho mai veduto nulla di simile, né dentro né fuori un tribunale. Scienziato Huld, che cosa le succede?»

Adikor stava ancora tremando. Bolbay doveva averlo scoperto. Era stata la compagna di Klast nello stesso periodo di Ponter. Ma… ma… poteva essere quello il motivo per cui lo stava perseguitando con quella furia? Quella la molla che la spingeva? Era certo che Ponter non avrebbe mai voluto una cosa simile.

Adikor era stato in terapia per le sue difficoltà nel controllare gli accessi d'ira. Il caro Ponter aveva scoperto che la malattia era dovuta a uno squilibrio chimico, e quell'uomo meraviglioso, durante tutto il periodo del trattamento, era andato a stare da lui.

Ma adesso… adesso Bolbay lo aveva preso in giro, provocandolo e spingendolo a tradirsi in modo così plateale.

«Vostro Onore» disse sforzandosi — sforzandosi, sforzandosi! - di apparire tranquillo. Doveva parlarne? Poteva farlo? Abbassò il capo. «Chiedo scusa per il mio comportamento.»

La voce del giudice Sard vibrava ancora, sbigottita: «Daklar Bolbay, ci sono altre prove a sostegno della sua accusa?»

La donna, raggiunto il suo scopo, era il ritratto della ragionevolezza. «Se mi è concesso, Vostro Onore, vorrei ancora parlare di una certa cosetta…»

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