Adikor abbandonò lentamente la Camera di consiglio. Quello che gli stava accadendo era pazzesco. Semplicemente pazzesco! Aveva perso Ponter, e come se non bastasse doveva affrontare un vero e proprio processo. La fiducia che aveva sempre avuto nel sistema giudiziario — un'entità di cui sino a quel momento aveva avuto solo una vaga idea — era stata scossa. Com'era possibile che una persona già duramente colpita da una perdita, e per di più innocente, venisse perseguitata in quel modo?
Imboccò un lungo corridoio, con le pareti piene di ritratti di vecchi magistrati, uomini e donne che avevano elaborato i principi della giurisprudenza moderna. Avevano avuto in mente quella farsa a cui aveva assistito? Proseguì senza porre attenzione alle persone che gli sfilavano accanto… finché non fu attratto da un bagliore arancione.
Bolbay, con ancora indosso i colori dell'accusa, in fondo al corridoio. Evidentemente si era attardata nell'edificio, forse per evitare gli Esibizionisti, e proprio in quel momento stava uscendo.
Senza nemmeno pensarci, si ritrovò a rincorrerla, il tappeto di muschio che attutiva i suoi passi. La raggiunse appena fuori dall'edificio, nel sole pomeridiano. «Daklar!»
La donna si voltò, spaventata. «Adikor!» esclamò, gli occhi sgranati. Immediatamente alzò la voce e avvertì: «Chiunque stia controllando il sorvegliato Adikor Huld faccia attenzione. È qui di fronte a me, la sua accusatrice!»
Adikor scosse lentamente il capo. «Non ho intenzione di farti del male.»
«Ho notato che non di rado le tue azioni non sono conseguenti alle tue intenzioni.»
«Questo accadeva anni fa» la rimbeccò Adikor usando volutamente la parola che sottolineava tutto il tempo trascorso da quel lontano episodio. «Prima di allora non avevo fatto del male a nessuno, né è più successo.»
«Ma quella volta lo hai fatto» disse Bolbay. «Hai perso la pazienza. Lo hai colpito. Hai tentato di ucciderlo.»
«No! Non ho mai voluto fare del male a Ponter.»
«Non è opportuno parlare tra di noi» disse Bolbay. «Mi scuserai» tagliò corto e fece per andare via.
Adikor le afferrò un braccio. «No, aspetta!»
Quando si girò a fronteggiarlo, il volto della donna mostrava tutta la sua paura, ma Bolbay mutò rapidamente espressione, lanciando uno sguardo significativo alla mano che le stringeva il braccio. Adikor lasciò subito andare la presa. «Per favore. Voglio solo sapere il motivo. Perché tutto… tutto questo astio nei miei confronti? Da quando ci conosciamo non ti ho mai fatto alcun torto. Sai bene che amavo Ponter. E sai anche che non avrebbe voluto che mi si perseguitasse così.»
«Non fare l'innocente con me» replicò Bolbay.
«Ma io sono innocente. Perché stai facendo tutto questo?»
Bolbay scosse il capo, si voltò e andò via.
«Perché?» le gridò dietro. «Perché?»
«Che ne dici se parliamo un po' della tua gente?» propose Mary. «Finora abbiamo potuto solo studiare qualche fossile. Ci sono un sacco di dispute su parecchi punti, come, per esempio, per quale ragione la tua specie abbia sviluppato una fronte così prominente.»
«Ripara gli occhi dal sole» rispose Ponter sbattendo le palpebre.
«Davvero? Be', in effetti è una spiegazione ragionevole. Ma allora perché noi ci siamo evoluti diversamente? Voglio dire, i Neandertal si sono diffusi in Europa, mentre i nostri progenitori erano originali dell'Africa, dove c'è più sole.»
«Anche noi ce lo siamo chiesti quando abbiamo rinvenuto i fossili dei Gliksin.»
«Gliksin?» ripeté Mary.
«La specie degli ominidi che vivevano nel mio mondo, a cui voi assomigliate molto. Non avevano la fronte così prominente, per questo pensavamo che fossero esseri notturni.»
Mary sorrise. «Sono convinta che molte delle teorie basate sull'analisi dei reperti fossili siano errate. E dimmi un po', a che pensavate che servisse questo?» chiese battendosi l'indice sul mento.
Ponter sembrava imbarazzato. «Lo so che non è così, ma…»
«Sì?» lo incoraggiò Mary.
Si lisciò la barba con il palmo della mano, indicando che non aveva mento, e disse: «Dato che noi non abbiamo questa prominenza, abbiamo presunto …»
«Cosa?»
«Be', che fosse un mezzo per non sbavare. Le cavità della bocca sono così piccole che abbiamo presunto che avevate problemi per la fuoruscita di saliva. Inoltre, i vostri cervelli sono più piccoli dei nostri, e, insomma, gli idioti sbavano spesso…»
A Mary scappò una risata. «Caspita! E dimmi un po', a proposito di mandibole, cosa è accaduto alla tua?»
«Niente» rispose Ponter. «È sempre stata così.»
«Dalle lastre che ti hanno fatto in ospedale, ho visto che te l'hanno ricostruita.»
«Ah, intendi quello» disse Ponter come per scusarsi. «Ho preso un colpo sul viso un paio di centinaia di mesi fa.»
«Con cosa ti hanno colpito? Con un mattone?»
«Con un pugno» rispose Ponter.
Mary spalancò la bocca. «Immaginavo che i Neandertal fossero esseri molto forti, ma… accidenti! Un pugno ha prodotto tutti quei danni?»
Ponter annuì.
«Sei stato fortunato. Avrebbe potuto ucciderti.»
«Siamo stati entrambi fortunati, io e chi ha sferrato il pugno.»
«Perché lo ha fatto?»
«Un banale diverbio. Naturalmente non avrebbe dovuto farlo, e dopo l'accaduto si è ampiamente scusato. Decisi di non denunciarlo; se lo avessi fatto, l'avrebbero processato per tentato omicidio.»
«Avrebbe davvero potuto ucciderti con un pugno?»
«Certo. Per fortuna ho fatto in tempo a schivare parzialmente il colpo; per questo mi ha preso sulla mascella e non in pieno viso. Se mi avesse centrato mi avrebbe sfondato il cranio.»
«Santo cielo!» esclamò Mary.
«Era molto arrabbiato perché l'avevo provocato. Abbiamo sbagliato entrambi.»
«E tu… potresti uccidere qualcuno con le sole mani?»
«Certamente. Soprattutto se lo colpissi da dietro.» E per rendere meglio l'idea intrecciò le dita, sollevò le braccia e mimò il gesto di un colpo a mani unite portato dall'alto verso il basso. «Prendendolo da dietro potrei fracassargli il cranio; se invece lo colpissi davanti, con un pugno ben assestato o con un calcio nel petto, potrei sfondargli il torace.»
«Ma… ma… senza offesa, anche i gorilla sono molto forti, eppure è raro che qualche esemplare rimanga ucciso negli scontri.»
«Questo si spiega con il fatto che i combattimenti che hanno luogo all'interno del gruppo, per stabilire chi sia l'individuo dominante, sono istintivi e ritualizzati, quindi gli esemplari si limitano a spintonarsi e a tirare qualche colpo. In realtà, si tratta di un comportamento dimostrativo. Ma gli scimpanzé si uccidono, anche se quasi sempre per effetto dei morsi. Stringere le dita per formare un pugno è una cosa che solo gli umani sanno fare.»
«Santo… cielo.» Mary si rese conto di avere già usato quell'espressione, ma non le veniva nient'altro che riuscisse a esprimere ciò che provava. «Qui da noi gli esseri umani sono in continua competizione violenta. Ci sono addirittura degli sport basati sul combattimento, come la boxe e la lotta libera.»
«Ma è pazzesco.»
«Be', direi di sì. Ma è raro che qualcuno rimanga ucciso. Voglio dire, è molto difficile che un essere umano uccida un suo simile a mani nude. Immagino solo perché non siamo abbastanza forti.»
«Nel mio mondo» disse Ponter «colpire equivale a uccidere. Per questo non lo facciamo mai. Il minimo atto di violenza può essere fatale, quindi non possiamo permettercelo.»
«Eppure qualcuno ti ha colpito» gli fece notare Mary.
Ponter annuì. «È accaduto tanto tempo fa, quando ancora studiavo all'Accademia delle scienze. Stavo discutendo come succede ai giovani, che vogliono sempre averla vinta. Mi ero reso conto che la persona con cui stavo litigando cominciava a perdere la calma, eppure ho continuato ugualmente a difendere la mia tesi, finché lui ha reagito in modo… deplorevole. Ma l'ho perdonato.»
Mary lo guardò, immaginandolo porgere l'altra, grossa guancia angolosa alla persona che lo aveva colpito.
Per tornare a casa, Adikor aveva chiamato con il suo Companion un cubo viaggiante. Sedeva dietro, unico passeggero, e stava esaminando con l'ausilio del suo impianto alcuni atti di vecchi processi. Anche se probabilmente qualcuno stava controllando le comunicazioni del suo Companion, poteva comunque usarlo per raccogliere le informazioni delle banche dati disponibili e trasferire i risultati in un archivio personale, per poterli poi esaminare con calma.
La sua compagna, Lurt, aveva accettato senza indugio di difenderlo. Ma se anche tutti i suoi conoscenti — questa volta era permesso chiamare in causa dei testimoni — avessero attestato la buona reputazione di cui godeva e la stabilità della sua relazione con Ponter, difficilmente sarebbe bastato a convincere della sua innocenza il giudice Sard e i suoi colleghi. Per questo stava scavando nei meandri della storia giuridica, alla ricerca di altri casi con capi di imputazione per omicidio in cui non era stato rinvenuto il corpo della vittima, nella speranza di trovare una sentenza che potesse tornargli utile.
Il primo caso in cui si imbatté riguardava la generazione 17. L'imputato era un certo Dassta, un uomo accusato di aver ucciso la sua compagna dopo essere entrato di soppiatto nel Centro. Il corpo della donna non era mai stato trovato: un giorno, era semplicemente svanita nel nulla. Il tribunale aveva stabilito che senza un cadavere non si poteva parlare di omicidio.
Quella scoperta lo entusiasmò… finché non lesse tutta la sentenza.
Sulla veranda, lui e Ponter avevano sistemato delle sedie, per la verità piuttosto fragili. Era un altro segno dell'incrollabile fiducia che Ponter aveva nella sua raggiunta capacità di controllare gli scatti d'ira dopo la cura cui si era sottoposto. Ma la delusione fu tale che con un pugno fracassò il bracciolo della sedia, facendo volare schegge di legno ovunque. Consultando il Codice della civiltà aveva infatti scoperto che, poiché la società progrediva in continuazione e il senso comune era in perenne trasformazione, solo i casi verificatisi nelle ultime dieci generazioni potevano assumere una rilevanza giuridica.
Continuò la ricerca, finché si imbatté in un caso piuttosto intrigante avvenuto nella generazione 140 — quindi solo otto generazioni prima -. in cui un uomo era stato accusato di aver ucciso il vicino che aveva costruito la propria casa senza rispettare i limiti stabiliti dalla legge. Anche in quel caso non era stato rinvenuto il corpo, e, similmente al caso precedente, il tribunale aveva stabilito che la mancanza del cadavere determinava il rigetto dell'accusa di omicidio. Questo lo rincuorò, senonché…
Senonché…
La generazione 140 era vissuta all'incirca tra i 1.100 e i 980 mesi, cioè dagli 89 ai 79 anni prima. I Companion erano stati introdotti appena un migliaio di mesi prima, e infatti a breve sarebbero cominciate le celebrazioni per commemorare l'evento.
In definitiva, quel caso era anteriore o posteriore all'introduzione dei Companion? Continuò a leggere.
Gristle! Era avvenuto prima. Bolbay avrebbe senza dubbio sostenuto che non era pertinente. Certo, avrebbe detto, i cadaveri e persino i vivi potevano scomparire nel nulla con grande facilità nei tempi bui che avevano preceduto la grande innovazione introdotta da Lonwis Trob, che ci aveva liberato tutti; e un caso in cui non esistevano le registrazioni delle azioni compiute dall'imputato non ha attinenza alcuna con uno dove l'imputato ha escogitato uno stratagemma per evitare tali registrazioni.
Non gli rimaneva altra speranza che continuare la ricerca. A pensarci, sarebbe stato utile se ci fosse stato qualcuno specializzato nelle materie giuridiche, in grado di prestare aiuto agli imputati: sarebbe stato un contributo davvero utile alla società. In quel momento avrebbe desiderato scambiare delle idee con qualche esperto del settore, che avrebbe potuto effettuare le ricerche in sua vece. Ma no, non era una buona idea. La sola esistenza di persone che lavorassero a tempo pieno sui casi giuridici avrebbe certamente provocato una moltiplicazione dei procedimenti, e…
In quel mentre, Pabo uscì a tutta birra dal soggiorno, abbaiando. Adikor alzò la testa, e, come sempre gli avveniva in quei giorni, il cuore gli sobbalzò. Poteva essere? Poteva essere?
No, non era. Certo che no. Ma almeno apparve qualcuno che non si aspettava di vedere: la giovane Jasmel Ket. «Buongiorno» lo salutò quando fu a una decina di metri da lui.
«Buongiorno» le rispose, sforzandosi di mantenere un tono neutrale.
La ragazza si accomodò sulla sedia accanto, dove era solito sedersi il padre. Pabo la conosceva bene, perché era venuta spesso al Centro durante il periodo in cui Due diventano Uno, e ora era chiaramente contento di quella visita. Le annusò le gambe, mentre la ragazza gli accarezzava il pelo fulvo della testa.
«Cosa è successo alla tua sedia?» gli chiese.
«Niente» rispose distogliendo lo sguardo.
Jasmel decise di non approfondire la questione; dopo tutto, quello che era accaduto era piuttosto evidente. «Lurt ha accettato?»
Adikor annuì.
«Bene. Sono sicura che farà del suo meglio.» Rimase per un po' in silenzio, poi, posando di nuovo lo sguardo sulla sedia rotta, disse: «Ma…»
«Sì» la interruppe. «Ma.»
Jasmel alzò gli occhi sulla campagna circostante. In lontananza, un mammut vagava placido e indifferente. «Adesso che questa faccenda è stata rimessa alla decisione di un tribunale, il cubo degli alibi di mio padre è stato trasferito nell'ala dove vengono conservati gli alibi dei defunti. Daklar ha trascorso tutto il pomeriggio a esaminarlo, alla ricerca di altre prove contro di te. Ne ha facoltà, in qualità di accusatrice che tutela una persona scomparsa. Ho insistito per essere presente anch'io, e ho potuto vedere te e mio padre durante gli ultimi giorni prima della sua scomparsa.» Tornò a guardare Adikor. «Bolbay non può capire, è stata sola troppo a lungo. E… be', ti ho già detto che c'è un giovane che mi fa la corte. Come hai detto tu stesso, non mi sono ancora unita con nessuno, ma so cos'è l'amore… e non ho nessun dubbio sul fatto che tu amassi davvero mio padre. Dopo aver visto il modo in cui vi guardavate, non posso credere che avresti potuto fargli del male.»
«Grazie.»
«E… posso fare qualcosa per te prima del processo?»
Adikor scosse tristemente il capo. «Stando così le cose, non credo che ci sia qualcosa che possa salvare me e la mia prole.»