21

Finora Susan non aveva fatto parola delle dichiarazioni, ampiamente pubblicizzate, di Salbanda sul fatto che l’universo aveva avuto un creatore: un creatore che, a quanto pareva, almeno in cinque occasioni era direttamente intervenuto nello sviluppo della vita intelligente.

Alla fine però affrontammo l’argomento. In un modo che non avevo previsto. Avevo accontentato mia moglie, assecondando la sua fede, accettando perfino il matrimonio in chiesa. Dentro di me, però, ero convinto d’essere io l’illuminato, d’essere nel giusto, d’essere quello che sapeva come andavano realmente le cose.

Susan e io ci eravamo seduti fuori, sulla veranda. Era una sera d’aprile insolitamente calda. Susan stava per portare Ricky alla lezione di nuoto; a volte andavo io, a volte andavamo insieme, ma quella sera io avevo altri programmi. Ricky era salito in camera sua a cambiarsi.

— Hollus ti aveva detto d’essere alla ricerca di Dio? — attaccò Susan, a occhi bassi, fissando la tazza di caffè.

Risposi con un cenno d’assenso.

— E non mi hai detto niente?

— Be’, credevo… — Lasciai morire la frase. — No — ripresi. — Non ti ho detto niente.

— Mi sarebbe piaciuto parlarne con lui.

— Scusa.

— Perciò i Forhilnor sono religiosi — disse Susan, ricapitolando tutto, almeno per quanto la riguardava.

— Hollus e i suoi colleghi — precisai — credono che l’universo sia stato progettato in maniera intelligente. Ma non adorano Dio.

— Non pregano?

— No. Be’, i Wreed passano metà della giornata in meditazione, nel tentativo di comunicare telepaticamente con Dio, ma…

— A me pare preghiera.

— Dicono di non volere niente da Dio.

Susan rimase un momento in silenzio. Raramente parlavamo di religione e per un buon Motivo. — La preghiera — obiettò — non è fatta di richieste; non è come andare dal Babbo Natale dei grandi magazzini.

Mi strinsi nelle spalle. Non ne sapevo abbastanza, immagino, sull’argomento.

— I Forhilnor credono nell’anima? Nella vita dopo la morte?

Rimasi sorpreso: non ci avevo mai pensato. — Onestamente, non lo so.

— Dovresti chiedere a Hollus.

Risposi con un cenno: forse avrei dovuto chiederglielo.

— Sai che io credo nell’anima — disse semplicemente Susan.

— Lo so.

Arrivò solo a questo punto, però. Non mi chiese di andare di nuovo con lei in chiesa; me l’aveva chiesto una volta, tempo fa. Ma non avrebbe insistito. Se assistere alle funzioni nella chiesa di St. George l’aiutava a sopportare la situazione, per me andava più che bene. Ma ciascuno di noi doveva vedersela a modo suo.

Ricky varcò la porta scorrevole e uscì sulla veranda. — Ehi, giovanotto — dissi — vieni a dare un bacio a papà.

Si avvicinò e mi baciò sulla guancia. Poi mi diede dei colpetti sul viso. — Così stai meglio — disse. Credo che volesse tirarmi su di morale: gli aveva sempre dato fastidio, la barba lunga. Gli sorrisi.

Susan si alzò e venne anche lei a darmi un bacio.

E tutt’e due, mia moglie e mio figlio, se ne andarono.

Ricky e Susan erano andati al Douglas Snow Aquatic Centre, quattro isolati da casa nostra, e così ero da solo. Rientrai e accesi la videocamera (una debolezza, un regalo di Natale che ci eravamo fatti alcuni anni prima) sistemata su un treppiede nel mio studio.

La misi in funzione e mi sedetti alla scrivania. “Ciao, Ricky” dissi. Sorrisi con aria di scusa. “Chiederò a tua madre di mostrarti questa cassetta solo fra dieci anni, perciò adesso ne hai sedici, credo. Sono sicuro che nessuno ti chiama più ‘Ricky’. Forse sei diventato ‘Rick’ o forse hai deciso che ‘Richard’ va meglio. Così… così ti chiamerò ‘figliolo’.”

Esitai. “Sono sicuro che hai visto un mucchio di mie fotografie; tua mamma ha sempre avuto la mania delle istantanee. Forse avrai anche dei ricordi di me… me lo auguro davvero. Rammento anch’io episodi di quando avevo sei-sette anni… forse un paio d’ore in totale.” Esitai di nuovo. Se davvero mi ricordava, speravo che mi ricordasse com’ero prima del tumore, quando avevo ancora i capelli, quando non ero così magro. Avrei dovuto registrare quella cassetta appena m’avevano diagnosticato il tumore, prima di sottopormi alla chemioterapia.

“Perciò sono in svantaggio nei tuoi riguardi” ripresi. “Tu sai che aspetto ho, mentre io mi chiedo come sei… quale giovanotto sei diventato.” Sorrisi. “A sei anni eri un po’ piccolino per la tua età, ma dieci anni possono cambiare moltissimo una persona. Alla tua età di adesso, sedici anni, mi ero fatto crescere la barba. Nella mia scuola solo un altro la portava; era, immagino, un atto di ribellione giovanile.” Cambiai posizione nella poltroncina.

“A ogni modo” continuai “sono sicuro che sei un bravo ragazzo: so che tua madre non ti avrebbe fatto crescere male. Mi dispiace di non essere stato lì per te. Ti avrei insegnato a farti il nodo alla cravatta, a raderti, a lanciare un pallone, a bere un bicchiere di vino. Non so quali interessi hai adesso. Sport? Recite scolastiche? In ogni caso, lo sai, sarei stato fra il pubblico tutte le volte che ne avessi avuto la possibilità.”

Rimasi un attimo in silenzio. “Immagino che avrai già progettato cosa fare nella vita. Qualsiasi cosa avrai deciso, sono sicuro che troverai felicità e successo. Dovrebbe esserci denaro a sufficienza per frequentare l’università finché ne avrai voglia. Fai ciò che ti rende più felice, naturalmente, ma io ho apprezzato moltissimo le ricompense di una vita accademica; forse non andrà bene per te, ma se la prendi in considerazione, te la raccomando. Ho viaggiato per il mondo, guadagno abbastanza bene e ho una grande flessibilità di orario di lavoro. Te lo dico nel caso ti chiedessi se tuo papà era contento del suo lavoro; sì, ero contento, moltissimo. Questa è la cosa più importante. Posso darti un solo consiglio, sul lavoro: non pensare a quanti soldi guadagnerai. Scegli un lavoro che ti piace: si vive una volta sola.”

Esitai di nuovo. “In realtà non ho grandi consigli da darti.” Sorrisi. “Diavolo, alla tua età l’ultima cosa che volevo erano i consigli di mio padre!” Mi strinsi nelle spalle. “Però ti dico una cosa: per favore, non prendere il vizio del fumo. Credimi, figliolo, niente vale il rischio di passare ciò che ho passato io. Non fumavo, sono sicuro che mamma te lo ha detto, ma è col fumo che la maggior parte della gente si ammala di cancro. Per favore, ti prego, non correre questo rischio.”

Lanciai un’occhiata all’orologio a parete: restava ancora un mucchio di tempo… sulla cassetta, almeno.

“Probabilmente sei curioso sui miei rapporti con Hollus, il Forhilnor” ripresi. Scrollai le spalle. “In tutta franchezza, sono curioso anch’io. Se hai un vivido ricordo di un episodio della tua fanciullezza, immagino riguardi di sicuro la sera in cui l’alieno è venuto a cena da noi. Sapevi che era il vero Hollus, non una proiezione? Tu, io e tua madre siamo stati i primi esseri umani a incontrare un Forhilnor in carne e ossa. Oltre a questa cassetta, ti lascio anche una copia del diario dove ho riportato tutte le mie esperienze con Hollus. Forse un giorno tu o un altro scriverete un libro su questa storia. Naturalmente ci saranno vuoti da riempire… sono sicuro che sono in corso eventi importanti di cui non so niente… ma i miei appunti dovrebbero costituire un buon punto di partenza.

“Comunque, sui miei rapporti con Hollus, tutto ciò che so è questo: mi è simpatico e penso di essergli simpatico. Secondo un detto popolare, una vita non esaminata non merita d’essere vissuta; il tumore mi ha indotto a esaminare la mia vita, ma penso che avere conosciuto Hollus sia stato ciò che mi ha spinto a esaminare che cosa significa essere uomo.” Mi strinsi nelle spalle, quasi a significare che ciò che stavo per dire era quella sorta di cosa di cui di solito la gente non parla. “E immagino che il significato sia questo: essere uomo è essere fragile. Restiamo facilmente feriti, non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello emotivo. Perciò, mentre procedi nella vita, figliolo, cerca di non ferire gli altri.” Scrollai di nuovo le spalle. “Ecco: questo è il consiglio che ho per te.” Ce n’era quasi d’avanzo, lo sapevo: impossibile compensare dieci anni persi, usando qualche luogo comune. Ricky era già l’uomo che sarebbe diventato… senza il mio aiuto.

“Un’ultima cosa voglio che tu sappia” dissi. “Non dubitare di questo nemmeno per un istante, Richard Blaine Jericho. Un tempo hai avuto un padre e lui ti voleva bene. Ricordalo sempre.”

Mi alzai, spensi la videocamera, e rimasi lì nello studio, il mio rifugio.

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