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Una ricostruzione…

A mezza città di distanza, sulle sponde del lago Ontario, in una stanza di motel d’infima categoria, Cooter Falsey, seduto in una sedia sdraio, si stringeva le ginocchia e piagnucolava. — Non doveva andare così continuava a ripetere, come se fosse un mantra, una preghiera. — Non doveva andare così.

Falsey aveva ventisei anni; era magro, biondo, con capelli a spazzola e denti storti.

J.D. Ewell si sedette sul letto, di fronte a Falsey. Aveva dieci anni più dell’altro, viso tirato e capelli neri, più lunghi. — Ascoltami — disse in tono gentile. Poi, con più forza: — Stammi a sentire!

Falsey, occhi arrossati, alzò lo sguardo.

— Ecco, così va meglio — disse Ewell.

— È morto! — disse Falsey. — L’ha detto la radio: il medico è morto.

Ewell si strinse nelle spalle. — Occhio per occhio.

— Non volevo uccidere nessuno — disse Falsey.

— Lo so. Ma quel medico faceva il lavoro del diavolo. Lo sai, Cooter. Dio ti perdonerà.

Cooter Falsey parve riflettere su quelle parole. — Credi?

— Ma certo — disse Ewell. — Pregheremo per il Suo perdono, tu e io. E Lui lo concederà, sai che lo concederà.

— Che fine faremo, se ci sorprendono qui?

— Nessuno ci sorprenderà, Cooter. Non preoccuparti.

— Quando possiamo andare a casa? — chiese Falsey. — Non mi piace stare in un paese straniero. È stato già brutto venire a Buffalo, ma almeno era negli Stati Uniti, Se ci prendono, chissà cosa ci fanno, i canuck. Forse non ci faranno più tornare a casa.

Ewell pensò di dire che almeno in Canada non c’era la pena di morte, ma cambiò idea. Disse invece: — Ancora non possiamo varcare la frontiera. Hai sentito il notiziario: hanno già immaginato che si tratta degli stessi che hanno fatto saltare la clinica a Buffalo. Meglio stare qui per un poco.

— Voglio andare a casa — disse Falsey.

— Fidati di me — disse Ewell. — Meglio restare ancora un poco. — Esitò, incerto se fosse il momento buono per affrontare l’argomento. — E poi dobbiamo fare ancora un lavoro, quassù.

— Non voglio uccidere nessun altro. Non voglio… non posso farlo, J.D. Non posso.

— Lo so — disse Ewell. Accarezzò il braccio di Falsey. — Lo so. Ma non devi farlo, te lo prometto.

— Non lo sai — protestò Falsey. — Non puoi esserne sicuro.

— Sì, posso — replicò Ewell. — Non devi preoccuparti, stavolta non dovrai uccidere nessuno… quello che cerchiamo è già morto.

— Be’, è stata davvero una conversazione sconcertante — dissi a Hollus, quando il Wreed se ne fu andato.

I peduncoli oculari dell’alieno si incresparono in una S. — Ora capisci perché mi piace parlare con te, Tom. Almeno posso capirti.

— La voce di T’kna pareva tradotta da un computer.

— Sì. I Wreed non parlano in modo lineare. Le loro parole sono intrecciate in un modo complesso che per noi è del tutto non intuitivo. Il computer deve attendere la fine della frase e poi tenta di decifrare il significato.

Riflettei sulla spiegazione. — Qualcosa come le crittografie? Sai, quando scriviamo “lui egli stesso”, ma lo decifriamo come: la parola “lui” è accanto alle parole “egli stesso”; e ne ricaviamo: “lui non è in egli stesso”, ossia una metafora per indicare: “lui è fuori di sé, è in stato d’estrema eccitazione o agitazione”.

— Non ho mai incontrato simili enigmi — disse Hollus. — Sì, mi pare che ci sia una vaga analogia, però con pensieri molto più complessi e con relazioni fra le parole molto più intricate. La sensibilità del contesto ha estrema importanza per i Wreed: le parole hanno significato assai diverso a seconda della posizione nella frase. Molti sinonimi sembrano avere un identico significato, ma solo uno di essi è quello corretto, in un dato contesto. Abbiamo impiegato anni per imparare a comunicare verbalmente con i Wreed. Solo alcuni dei miei ci riescono senza l’aiuto del computer e io non sono fra questi. A parte le mere strutture sintattiche, i Wreed sono diversi dagli esseri umani e dai Forhilnor. Fondamentalmente non hanno il nostro processo di pensiero.

— Cosa c’è di diverso?

— Hai notato le loro appendici digitali? — Le dita? Sì. Ne ho contate ventitré.

— Le hai contate, sì — disse Hollus. — La stessa cosa che ho fatto anche io, la prima volta che incontrai un Wreed. Ma un Wreed non avrebbe dovuto contare: avrebbe semplicemente saputo che erano ventitré.

— Be’, sono le sue dita!

— No, no, no. Non avrebbe dovuto contare perché non può percepire alla prima occhiata quel livello di cardinalità. — Ballonzolò. — È divertente, ma forse ho studiato psicologia umana più di te… non che sia il mio campo, però… — Rimase di nuovo in silenzio per qualche istante. — Questo è un altro concetto che i Wreed non hanno: uno specialistico campo di tentativo.

— Sei chiaro quanto T’kna — dissi, scotendo la testa.

— Hai ragione, scusami. Riproviamo. Ho studiato psicologia umana, per quanto si possa studiare dalle trasmissioni radio e televisive. Hai contato ventitré dita su T’kna e senza dubbio è vero. Nella tua mente hai detto: uno, due, tre eccetera eccetera, fino a ventitré. E, se sei come me, probabilmente hai rifatto il conteggio, solo per essere sicuro di non avere sbagliato la prima volta.

Annuii: avevo fatto proprio così.

— Bene, se ti mostrassi un oggetto, per esempio un sasso, tu non dovresti contarlo. Ti limiteresti a percepire la sua cardinalità: sapresti che è uno. Lo stesso avviene con due oggetti. Vedi due sassi e in una sola occhiata, senza conteggiare, percepisci che sono due. Puoi farlo per tre, quattro o cinque oggetti, se rientri nella media degli esseri umani. Solo davanti a sei o più oggetti inizi realmente a contare.

— Come lo sai?

— Ho guardato un programma che ne parlava, su Discovery Channel.

— D’accordo. Ma come fu originariamente determinato?

— Con esperimenti per vedere con quanta rapidità gli esseri umani possono contare gli oggetti. Se ti mostrano da uno a cinque oggetti, per dire quanti sono impieghi all’incirca lo stesso tempo. Solo per sei o più impieghi un tempo superiore, che cresce col crescere del numero di oggetti.

— Non lo sapevo — ammisi.

— Chi vive, impara — disse Hollus. — Individui della mia specie possono usualmente percepire cardinalità fino a sei, un leggero miglioramento rispetto a voi. Ma i Wreed ci battono: un normale Wreed può percepire la cardinalità fino a quarantasei e alcuni fino a sessantanove.

— Sul serio? E cosa accade quando il numero degli oggetti è superiore? Devono contarli tutti a partire da uno?

— No, i Wreed non contano! Non sanno contare, letteralmente. O percepiscono la cardinalità o non la percepiscono. Hanno parole distinte per i numerali da uno a quarantasei e poi un’altra parola che significa semplicemente “molti”.

— Ma non hai detto che alcuni percepiscono numeri più alti?

— Sì, ma non possono precisarli; non hanno i vocaboli per farlo. I Wreed in grado di percepire cardinalità superiori hanno ovviamente un vantaggio nella competizione. Uno potrebbe proporre di scambiare cinquantadue animali domestici per sessantotto animali domestici e l’altro Wreed, meno dotato, sapendo solo che tutt’e due sono grandi quantità, non avrebbe modo di valutare l’equità dello scambio. I sacerdoti wreed hanno quasi sempre una capacità superiore al normale in questo.

— Veri cardinali della chiesa — dissi.

Hollus capì la battuta. Increspò i peduncoli oculari e commentò: — Proprio così.

— Perché supponi che non abbiano mai sviluppato la capacità di contare?

— Il nostro cervello ha solo le qualità ricevute dall’evoluzione. Per gli antenati della tua e della mia specie, c’erano effettivi vantaggi orientati alla sopravvivenza nel saper determinare quantità superiori a cinque o sei: se sette individui in collera ti bloccano la strada sulla sinistra e otto sulla destra, le tue probabilità, per quanto scarse, sono migliori se vai a sinistra. Se hai dieci membri della tribù, te compreso, e devi raccogliere frutta per il pranzo, cerca di tornare con dieci frutti, altrimenti ti farai un nemico. Anzi, portare solo nove frutti significherà rinunciare al tuo per tenere buoni gli altri, ossia un maggiore sforzo personale senza personale beneficio.

“Ma i Wreed non formano mai gruppi permanenti più numerosi di una ventina di individui… quantità che percepiscono come gestalt. E se hai quarantanove nemici alla tua sinistra e cinquanta alla tua destra, la differenza è irrilevante: sei condannato sia da una parte sia dall’altra. In effetti, per usare una metafora degli esseri umani, si potrebbe dire che la natura ha distribuito ai Wreed una brutta mano… o in realtà quattro brutte mani. Voi avete dieci dita, che è un buon numero: porta alla matematica, poiché è pari e può essere diviso in metà, in quinti e in decimi; è anche la somma dei primi quattro numeri interi. Anche a noi Forhilnor è andata bene. Noi contiamo battendo a terra i piedi: ne abbiamo sei e anche sei è un numero pari e suggerisce metà, terzi e sesti. Ed è la somma dei primi tre numeri. Anche in questo caso, una base mentale per la matematica.

“Ma i Wreed hanno ventitré dita. Ventitré è un numero primo, non suggerisce nessun divisore a parte se stesso ed è troppo grande per applicazioni nel mondo quotidiano. E non è la somma di nessuna sequenza continua di numeri interi. Ventuno e ventotto sono la somma dei primi sei e dei primi sette numeri; ventitré non ha un simile significato. Con l’arrangiamento di dita che hanno, non hanno mai sviluppato il contare né il tipo di matematica da noi utilizzato.”

— Affascinante — dissi.

— Davvero — ammise Hollus. — C’è di più: avrai di sicuro notato l’occhio di T’kna.

Restai sorpreso. — A dire il vero, no. Mi pareva che non avesse occhi.

— Ne ha esattamente uno, quella striscia nera e umida intorno alla parte superiore del tronco. Un grande occhio che percepisce un angolo completo, 360 gradi. Una struttura affascinante: la retina dei Wreed ha strati di fotoricettori che si alternano in una sequenza sfalsata di trasparenza e di opacità. Questi strati sono sovrapposti in una pila di più di un centimetro e forniscono nette immagini in tutte le lunghezze focali simultaneamente.

— Gli occhi si sono evoluti una decina di volte, nella storia della Terra — dissi. — Insetti, cefalopodi, ostriche, vertebrati e molte altre specie hanno sviluppato occhi, indipendentemente l’una dall’altra. Ma non ho mai sentito parlare di una disposizione come quella.

— Nemmeno noi, finché non abbiamo incontrato i Wreed. Ma la struttura dell’occhio ha anche un impatto sul loro modo di pensare. Per restare nell’ambito della matematica, considera il modello basilare per tutti i computer digitali, sia vostri sia nostri: il modello, secondo un documentario che ho visto sulla pbs, detto macchina di Turing.

La macchina di Turing è semplicemente una striscia di nastro di carta di lunghezza infinita, diviso in quadrati, accoppiato con una testina stampa/cancella che può muoversi a sinistra, a destra o restare ferma e può stampare un simbolo in un quadrato o cancellare il simbolo che già si trova nello stesso quadrato. Programmando movimenti e azioni per la testina stampa/cancella, si può risolvere ogni problema calcolabile. Con un cenno invitai Hollus a proseguire.

— L’occhio dei Wreed ha una visione panoramica circolare completa e non richiede messa a fuoco: tutti gli oggetti sono percepiti con uguale chiarezza nello stesso tempo. Voi umani e noi Forhilnor usiamo le parole concentrarsi e focalizzare per descrivere l’atto di fissare l’attenzione su qualcosa e quello di riflettere; ci si concentra su una questione, ci si focalizza su un problema. I Wreed non fanno né l’una né l’altra cosa: percepiscono il mondo in maniera olistica, perché sono fisiologicamente incapaci di concentrarsi su una sola cosa. Certo, possono stabilire priorità in senso intuitivo: il predatore vicino è più importante del filo d’erba lontano. Ma la macchina di Turing si basa su un tipo di pensiero estraneo a loro: la testina stampante è il punto dove tutta l’attenzione si concentra: il punto focale dell’operazione. I Wreed tuttavia hanno analoghi computer e sono esperti in fenomeni di conformazione empirica, oltre che nel capire quali fattori entrano nel produrli… ma non possono avanzare un modello matematico. Per metterla in un altro modo, possono predire senza spiegare: hanno logica intuitiva, non deduttiva.

— Sorprendente — dissi. — Ho sempre pensato che la matematica sarebbe stata l’unica cosa che avremmo avuto in comune con ogni altra forma di vita intelligente.

— Era anche la nostra ipotesi. I Wreed, è ovvio, sono stati svantaggiati dalla mancanza della matematica. Non hanno mai inventato la radio… ecco perché, malgrado tutti gli ascolti che il vostro Progetto seti ha dedicato a Delta Pavonis, non sono mai stati individuati. Quando la nostra prima astronave giunse su quel pianeta, restammo enormemente sorpresi nel trovarvi una civiltà tecnologica.

— Be’, forse i Wreed non sono realmente intelligenti.

— Lo sono. Hanno costruito bellissime città, pur disponendo solo dell’argilla che copre gran parte del pianeta. L’urbanistica è per loro un’arte; vedono l’intera metropoli come un’entità coesiva. In effetti, per molti versi sono più intelligenti di noi. Be’, forse è un’affermazione esagerata: diciamo che la loro forma di intelligenza è diversa. La cosa più prossima a un punto d’accordo è il nostro uso dell’estetica per valutare teorie scientifiche. Tu e io conveniamo che la teoria più elegante ha grandi probabilità di essere anche la più giusta: cerchiamo l’eleganza, nel modo in cui opera la natura. I Wreed condividono questo nostro atteggiamento, ma in loro è innata la comprensione di ciò che costituisce la bellezza; consente loro di percepire quale di parecchie teorie è quella corretta, senza farne l’esame matematico. Il loro senso della bellezza pare anche in qualche modo collegato al fatto che siano così bravi in questioni che ci rendono perplessi.

— Per esempio?

— L’etica e la morale. Non esiste il crimine, nella loro società; e i Wreed paiono in grado di risolvere con facilità i più fastidiosi dilemmi morali.

— Ossia? Quali intuizioni hanno sulle questioni morali?

— Be’, una delle più semplici è che l’onore non deve essere difeso.

— Molti esseri umani sarebbero in disaccordo con questa idea.

— Non quelli che sono in pace con se stessi, sospetto.

Meditai su quelle parole, poi scrollai le spalle. Forse aveva ragione lui. — E poi?

— Fammi un esempio di dilemma morale e cercherò di mostrarti come un Wreed lo risolverebbe.

Mi grattai la testa. — Be’, d’accordo… d’accordo, senti questo. Di recente mio fratello Bill si è sposato per la seconda volta. Ora, sua moglie Marilyn è molto bella, credo…

— I Wreed direbbero che non dovresti tentare di accoppiarti con la moglie di tuo fratello.

Scoppiai a ridere. — Oh, lo so! Ma la questione era un’altra. Marilyn è bella, ma è anche, be’, formosa; troppo in carne, perfino. E non fa esercizi fisici. Ora, Bill continua a fare pressioni su Marilyn affinché vada in palestra. Marilyn vuole che lui la smetta di tormentarla, dice che dovrebbe accettarla così com’è. E Bill replica: “Be’, sai, se accettassi che tu non faccia esercizi fisici, allora tu dovresti accettare la mia voglia di cambiarti… poiché la voglia di cambiare la gente è parte fondamentale del mio carattere!”. Capito? Ovviamente Bill sostiene che i suoi commenti sono altruisti, mossi da genuina preoccupazione per la salute di Marilyn. — Esitai. Questa storia mi fa venire l’emicrania, ogni volta che ci penso. Fissai Hollus. — Allora, chi ha ragione?

— Nessuno dei due — rispose subito Hollus.

— Nessuno dei due? — ripetei, sorpreso.

— Esatto. È un dilemma facile, dal punto di vista dei Wreed. Non avendo matematica, non trattano mai le questioni morali come un gioco dove uno deve vincere e un altro deve perdere. Dio, direbbero i Wreed, vuole che amiamo gli altri così come sono e inoltre che ci sforziamo di aiutarli a realizzare il loro potenziale… le due cose dovrebbero accadere insieme. In realtà una basilare convinzione dei Wreed è che il nostro fine individuale nella vita è aiutare altri a divenire grandi. Tuo fratello non dovrebbe esprimere dispiacere per il peso della moglie; ma finché lui non raggiunge quell’ideale di silenzio, sua moglie dovrebbe non tenere conto dei suoi commenti: imparare a non tenere conto delle cose è uno dei grandi sentieri che portano alla pace interiore, dicono i Wreed. Intanto, però, se sei in relazione amorosa e il tuo partner è diventato dipendente da te, hai l’obbligo di proteggere te stesso, portando cinture di sicurezza nei veicoli, mangiando bene, facendo esercizi fisici eccetera… questo è l’obbligo morale di Marilyn verso Bill.

Corrugai la fronte. — Be’, immagino che sia sensato — dissi poi. Non mi veniva in mente però nessun modo di farlo capire a Bill o a Marilyn. — E nelle questioni controverse? Avrai letto della clinica per aborti fatta saltare in aria.

— I Wreed direbbero che la violenza non è una soluzione.

— Sono d’accordo, però ci sono moltissime persone non violente in tutt’e due le fazioni.

— Quali sono, queste due fazioni?

— Quella a favore della vita e quella a favore della scelta. La prima ritiene che ogni concepimento abbia diritto di compiersi. La seconda ritiene che ogni donna debba avere il diritto di controllare il proprio processo riproduttivo. Allora, chi è nel giusto?

Hollus dondolò con insolita velocità i peduncoli oculari. — Anche in questo caso, nessuno dei due — disse. Esitò. — Mi auguro di non risultare offensivo… non è mai stato mio desiderio essere critico verso la tua razza. Ma mi sorprende vedere che avete sia saloni per tatuaggi sia cliniche per aborti. I primi, una faccenda commerciale dedicata a modifiche permanenti dell’aspetto, implicano che gli esseri umani possono predire ciò che vorranno nel futuro, anche a distanza di decenni. Le seconde, ambulatori per porre fine alle gravidanze, implicano che gli esseri umani spesso cambiano idea addirittura nel giro di alcuni mesi.

— Be’, molte gravidanze non sono volute. La gente fa sesso perché è divertente e lo fa anche quando non desidera procreare.

— Non avete metodi contraccettivi? Se non li avete, sono sicuro che Lablok potrebbe studiarne alcuni per voi.

— No, no. Abbiamo molti metodi per il controllo delle nascite.

— Efficaci?

— Sì.

— Dolorosi?

— Dolorosi? No, certo.

— I Wreed direbbero allora che l’aborto non dovrebbe essere una questione morale perché la semplice precauzione ovvierebbe alla necessità di discuterne, eccezion fatta per alcuni casi inusuali. Se si può facilmente scegliere di non restare incinta, allora questo è senz’altro il corretto esercizio della scelta. Se si può scansare un difficile problema morale, come stabilire il momento d’inizio della vita, perché non limitarsi a evitarlo?

— Ci sono casi di stupro e di incesto.

— Incesto?

— Accoppiamento nell’ambito familiare.

— Ah. Senza dubbio saranno eventi eccezionali. Forse la migliore lezione morale da noi appresa dalla frequentazione con i Wreed è che i principi generali non dovrebbero basarsi su casi eccezionali. Questa sola intuizione ha enormemente semplificato il nostro sistema legale.

— E allora cosa fate nei casi eccezionali? Nel caso di uno stupro che dia origine a una gravidanza?

— Naturalmente la donna non ha avuto la possibilità di esercitare preventivamente mediante contraccettivi il proprio diritto alla riproduzione; quindi dovrebbe avere il permesso di riacquisire il pieno controllo della propria biologia come desidera. In simili casi, l’aborto è un’ovvia scelta accettabile; in altri, il controllo delle nascite è la via preferibile.

— C’è però chi ritiene immorale il controllo delle nascite.

I globi oculari dell’alieno si guardarono brevemente l’un l’altro e ripresero la normali oscillazioni. — Pare proprio che voi umani facciate deviazioni solo per fabbricare questioni morali — disse Hollus. — Non c’è niente d’immorale, nella contraccezione. Questi però sono facili esempi del modo di pensare dei Wreed. Se andiamo in campi più complessi, le loro risposte purtroppo non hanno senso per noi; sembrano gergo incomprensibile… il nostro cervello non è attrezzato per apprezzare ciò che loro dicono. I dipartimenti di filosofia nell’equivalente forhilnor delle vostre università avevano scarsa considerazione, finché non abbiamo incontrato i Wreed; adesso sono occupatissimi nel tentativo di decifrare complessi pensieri wreed.

Meditai su quelle parole. — E con menti portate all’etica e alla percezione dell’implicita bellezza, i Wreed hanno deciso che Dio esiste realmente?

Hollus fletté le sei gambe, sia al ginocchio superiore sia al ginocchio inferiore. — Sì.

Non sono un tipo troppo arrogante. Non insisto perché mi chiamino dottor Jericho e cerco di tenere per me le mie opinioni. Sono però convinto di avere una buona presa sulla realtà, un’accurata visione del mondo.

E il mio mondo, anche prima che il cancro mi colpisse, non comprendeva un dio.

Ora però avevo conosciuto non una, ma due forme di vita aliena, due diversi esseri provenienti da mondi più progrediti del mio. E tutt’e due queste forme di vita credevano che l’universo fosse stato creato, che mostrasse chiara prova di progetto intelligente. Perché ne ero così sorpreso? Perché avevo presunto che simili pensieri sarebbero stati, be’, alieni a creature progredite?

Fin dai tempi antichi il segreto dei filosofi era sempre stato questo: noi sappiamo che Dio non esiste o almeno che, se esiste, è del tutto indifferente ai nostri affari individuali; ma non possiamo lasciare che la plebaglia lo sappia; è la paura di Dio, la minaccia del castigo divino e la promessa della ricompensa divina, ciò che tiene in riga quelli troppo sempliciotti per capire da soli le questioni morali.

In una razza progredita, però, con cultura universale e desideri materiali appagati grazie al potere della tecnologia, di certo ognuno è filosofo, ognuno è informato dell’antica verità un tempo tenuta segreta, ognuno sa che Dio è soltanto una favola, soltanto un mito: allora possiamo lasciar cadere ogni pretesto, liberarci della religione.

Naturalmente è possibile apprezzare le tradizioni religiose… i riti, i legami col passato… senza credere in Dio. In fin dei conti, come ha osservato un mio amico ebreo, gli unici ebrei sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale o erano diventati atei o non si erano accorti del conflitto.

Però, in realtà, ci sono milioni di ebrei che credono realmente in Dio; a dire il vero, il secolare giudaismo sionista era in fase decrescente, mentre sorgeva l’osservanza formale. E ci sono milioni di cristiani che credono nella santa trinità composta da (come ha detto spiritosamente una volta un mio amico cattolico) il Grande Vecchio, Junior e il Fantasma. E ci sono milioni di musulmani che ritengono il Corano la parola rivelata di Dio.

A dire il vero, anche qui, all’alba del secolo che segue quello in cui abbiamo scoperto il dna e la fisica quantistica e la fissione nucleare, nel quale abbiamo inventato computer e astronavi e laser, il novantasei per cento della popolazione mondiale crede davvero in un essere supremo… e la percentuale cresce, non cala.

Allora perché ero così sorpreso che Hollus credesse in Dio? Che un alieno di una cultura un paio di secoli più progredita della mia non si fosse tolto di dosso le ultime tracce del sovrannaturale? Anche se non avesse avuto una teoria unificata per giustificare le sue convinzioni, perché sarebbe dovuto essere tanto bizzarro da non essere ateo?

Non mi ero mai chiesto se avevo ragione o torto, nell’affrontare creazionisti chiaramente illusi. Non avevo mai dubitato delle mie convinzioni, nel difendermi da fondamentalisti. Eppure ero qui, in contatto con creature di altre stelle, e il fatto che fossero venute sul mio pianeta, mentre io non potevo andare sul loro, proclamava con grande chiarezza chi di noi era intellettualmente superiore.

E quegli alieni credevano in ciò in cui avevo smesso di credere fin dall’infanzia…

Che l’universo tosse opera di un progettista intelligente.

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