Quando uscì dall'apertura praticata col laser, Norton provò la sensazione che i sei soli di Rama continuassero a splendere come prima. Rousseau doveva essersi sbagliato, pensò, per quanto strano potesse sembrare. Ma Rousseau aveva previsto quella reazione.
— Avviene molto lentamente — spiegò il giovane come se volesse scusarsi, — e ci vuole parecchio prima di accorgersi della differenza. Ma è proprio vero… ho fatto delle misurazioni. L'intensità luminosa è calata del quaranta per cento.
Adesso che la sua vista si era riadattata, dopo la penombra del tempio di vetro, Norton poté constatare che Rousseau aveva ragione. La lunga giornata di Rama stava avviandosi al tramonto.
Faceva caldo come prima, tuttavia Norton rabbrividì. Era la stessa sensazione che aveva provato una volta sulla Terra al finire di una bella giornata d'estate, quando si era verificato un inspiegabile affievolimento della luce, come se il Sole avesse perduto parte della sua forza o stessero calando le tenebre, sebbene il cielo fosse terso. Poi si era ricordato che era cominciata un'eclisse parziale.
— È vero — ammise con dispiacere. — Torniamo a casa. Lasciamo qui gli utensili. Non ci serviranno più.
Si congratulò con se stesso per aver scelto di esplorare Londra, che era la più vicina a una delle gradinate. Distava infatti solo quattro chilometri da Beta.
Si avviarono al piccolo trotto, andatura che meglio si adattava alla forza di gravità di Rama, e Norton calcolò che, di quel passo, sarebbero arrivati ai piedi della scala in breve tempo e senza stancarsi. Poi dovevano salire per otto chilometri, e quella era la parte più estenuante del percorso, ma si sarebbe sentito molto più tranquillo appena arrivati ai piedi della gradinata.
La prima scossa si verificò quando ormai erano quasi arrivati alla scala. Era molto leggera, e Norton si voltò istintivamente verso sud, aspettandosi di assistere a un altro spettacolo pirotecnico. Ma Rama non si ripeteva mai. Se sulle punte aguzze degli Horns si producevano scariche, erano troppo deboli per essere visibili.
— Plancia — chiamò. — Avete avvertito la scossa?
— Sì, Comandante. Era molto leggera. Può darsi che si tratti di un'altra variazione dell'assetto. Teniamo d'occhio i giroscopi. Ancora niente… no, aspettate… sì, c'è una variazione di meno di un microraggio al secondo, ma continua.
Dunque, Rama cominciava a muoversi, anche se con lentezza impercettibile. Le scosse che avevano avvertito alcuni giorni prima potevano essere state un falso allarme, ma questa volta non c'era da sbagliarsi.
— Aumenta… Cinque micron… ehi, avete sentito questa?
— Direi! Che tutto sia pronto per la partenza. È probabile che ce ne dobbiamo andare subito.
— Pensate che stia già cambiando orbita? Siamo ancora lontani dal perielio.
— Non credo che Rama segua le norme dei libri di testo. Siamo ai piedi di Beta. Ci riposiamo per cinque minuti.
Cinque minuti erano pochi, eppure sembrarono un'eternità perché ormai era evidente che la luce diminuiva, e anche in fretta.
Sebbene fossero dotati di lampade portatili, il pensiero del buio era insopportabile. Si erano così psicologicamente adattati a quel giorno senza fine, che non riuscivano a ricordare com'era Rama quando l'avevano esplorato le prime volte. Provavano un irresistibile bisogno di scappare, di uscire alla luce del sole.
— Controllo Mozzo — chiamò Norton, — il riflettore funziona? Può darsi che fra poco ce ne sia bisogno.
— Sì, Comandante. Ecco fatto.
Un fascio di luce si accese otto chilometri sopra di loro. Ma anche se la luce di Rama si era notevolmente affievolita, il riflettore sembrava molto debole; ma si era già reso utile in precedenza e li avrebbe guidati anche adesso.
Norton sapeva che quell'ultima ascensione sarebbe stata la più ardua e snervante che mai avesse fatto. Qualsiasi cosa succedesse, non potevano affrettarsi, se si stancavano troppo si sarebbero accasciati esausti su quelle rampe interminabili, costretti ad aspettare che i muscoli troppo affaticati permettessero loro di continuare. Ormai erano allenati a quelle scalate, ma c'erano limiti che la carne e il sangue non potevano oltrepassare.
Arrivarono alla quarta rampa dopo un'ora di cammino senza soste, circa tre chilometri dalla pianura. D'allora in avanti sarebbe stato più facile, perché la forza di gravità era già ridotta a un terzo di quella terrestre. Sebbene si verificassero a tratti alcune leggere scosse non si erano prodotti altri fenomeni allarmanti, e c'era ancora abbastanza luce. Cominciavano a essere un po' più ottimisti, e perfino a chiedersi se non erano partiti troppo presto. Di una cosa però erano sicuri: che non sarebbero mai più tornati indietro. Quella era stata l'ultima volta che avevano camminato sulla pianura di Rama.
Mentre stavano riposandosi per dieci minuti sulla quarta piattaforma, Calvert esclamò: — Cos'è questo rumore, Comandante?
— Quale rumore? Io non l'ho sentito.
— Un fischio molto acuto, che adesso sta morendo. È impossibile che non lo sentiate.
— Sarà perché invecchio… Ma sì, adesso lo sento anch'io.
Sembrava che il fischio venisse da tutte le direzioni. Dopo essersi abbassato, riprese a salire di tono fino a diventare acuto e penetrante. Poi cessò di colpo. Ma dopo pochi secondi ricominciò, ripetendo la stessa sequenza. Era lugubre come la sirena di un faro in una notte di nebbia. Quel fischio celava un messaggio urgente. Non era fatto per essere percepito da orecchie umane, però era facile capirne il senso. Poi, per accentuarne l'urgenza, intervennero le luci, che, ormai quasi spente, ripresero a brillare improvvisamente vivide. In ciascuna delle sei strette valli luminose si accese una vampa che le percorse più volte, partendo dai poli per fermarsi al mare, con un ritmo incalzante, quasi ipnotico. Al mare! Al mare! pareva invitasse quella luce mobile. Ed era difficile resistere a quel richiamo. I quattro esploratori dovettero fare uno sforzo per resistere all'impulso di tornare indietro e cercare l'oblio nel mare di Rama.
— Controllo Mozzo! — chiamò Norton. — Vedete cosa sta succedendo?
La voce di Rousseau, intimorita, forse addirittura spaventata, rispose: — Sì, Comandante. Sto guardando verso l'Emisfero Meridionale. Ci sono moltissimi biot, laggiù, alcuni dei quali sono molto grandi: gru, bulldozer… e moltissimi spazzini. Stanno tutti correndo verso il mare a una velocità incredibile. Ecco una gru… è sull'orlo della scarpata. Salta come Jimmy… ma come precipita in fretta… È andata in pezzi toccando l'acqua… adesso la stanno finendo di demolire gli squali… Oh, non è un bello spettacolo. Adesso guardo verso la pianura… C'è un bulldozer… sembra guasto… continua a girare in tondo. Arrivano due granchi… Lo smantellano… Comandante, è meglio che vi affrettiate.
— Stiamo salendo più in fretta che possiamo — rispose Norton.
Rama stava chiudendo i boccaporti, come una nave nell'imminenza di un uragano. Questa almeno era l'impressione di Norton, sebbene non avesse una base logica. Ma non riusciva a connettere normalmente: a un desiderio di fuga si univa in lui l'impulso di seguire l'invito di quei lampi intermittenti e di unirsi ai biot nella loro corsa verso il mare.
Un'altra rampa, e altri dieci minuti di riposo. Poi un'altra. Mancavano due chilometri alla fine della gradinata. Meglio non pensarci.
Fischi e luci cessarono all'improvviso. I soli di Rama andavano rapidamente spegnendosi, come se venisse tolta loro l'energia perché serviva altrove. Di tanto in tanto si avvertivano leggere scosse. Dalla plancia comunicarono che Rama continuava ancora a spostarsi con lentezza impercettibile come l'ago di una bussola che risponde a un campo magnetico debole. Probabilmente non c'era di che preoccuparsi, sarebbe stato molto peggio quando Rama avesse smesso di spostarsi.
Rousseau riferì che tutti i biot erano scomparsi. A muoversi nell'interno di Rama erano rimasti solo i quattro uomini che si arrampicavano con penosa lentezza lungo la superficie curva della cupola settentrionale.
Norton era riuscito a vincere da un pezzo le vertigini della prima discesa, ma adesso una nuova paura cominciava a insinuarglisi nel cervello. Erano così vulnerabili, lì, mentre risalivano dalla pianura al mozzo! Cosa sarebbe successo se Rama avesse completato il suo cambiamento di assetto e avesse cominciato ad accelerare?
Probabilmente la spinta si sarebbe propagata lungo l'asse. Se avesse avuto una direzione da sud verso nord non ci sarebbero stati problemi: loro quattro si sarebbero trovati schiacciati con più forza contro il pendio che stavano risalendo. Ma se la spinta avesse avuto direzione opposta sarebbero stati scagliati nello spazio, per poi precipitare nella pianura sottostante.
Norton cercò di rassicurarsi pensando che l'accelerazione sarebbe stata leggera. I calcoli fatti dal dottor Perera erano molto convincenti. Rama non poteva accelerare a più di un quinto di gravità, altrimenti il Mare Cilindrico avrebbe superato la scarpata meridionale allagando tutto il continente. Ma Perera aveva fatto i suoi calcoli stando comodamente seduto nel suo studio sulla Terra, non aggrappato a una muraglia di metallo che dava l'impressione di cascargli da un momento all'altro sulla testa. E chissà che nella progettazione di Rama non fossero state previste inondazioni periodiche.
Ma no, era ridicolo, assurdo, immaginare che quei trilioni di tonnellate potessero improvvisamente accelerare a una velocità capace di strapparlo dalla scala e scagliarlo nel vuoto. Nonostante tutto, però, Norton continuò a salire.
Finalmente, dopo un'eternità, la scala finì. Mancavano solo poche centinaia di metri della scala a pioli verticale. Ma non era più necessario salirla, perché, calando una corda dal mozzo, un uomo poteva sollevarne con facilità un altro in quell'ambiente quasi privo di gravità. Ai piedi della scala, un uomo pesava cinque chili, in cima neanche un grammo.
Norton si legò la corda alla cintura, e si lasciò sollevare, badando solo a contrastare il leggero effetto di Coriolis che tendeva a spostarlo di lato. Dimentico dei muscoli indolenziti, ora che si sentiva più tranquillo, si voltò a guardare per l'ultima volta Rama.
Si vedeva come in una notte di luna piena sulla Terra. Gli oggetti erano distinti, ma non si potevano notare i particolari. Il Polo Sud era parzialmente oscurato da una foschia luminosa da cui sporgeva solo la punta aguzza del Big Horn, ridotta a un puntino nero dalla distanza.
Il continente accuratamente rilevato, ma ancora sconosciuto che si stendeva al di là del mare, era sempre la solita scacchiera indistinta. Norton girò lo sguardo sulla fascia del mare e notò che l'acqua era smossa a tratti, come se le onde si rompessero sui frangiflutti sommersi posti a distanza regolare l'uno dall'altro. L'effetto delle manovre di Rama si notava anche sull'acqua, ma non era spettacolare. New York, Parigi, Mosca, Londra, Roma… Norton disse addio a tutte le città dell'Emisfero Settentrionale, augurandosi che i ramani lo perdonassero per i danni che aveva causato. Forse avrebbero compreso che aveva agito così in nome della scienza.
Poi, finalmente, arrivò al mozzo, e un paio di mani lo afferrarono per aiutarlo a issarsi. Aveva i muscoli delle gambe scossi da un tremito continuo per la stanchezza, e fu lieto che lo aiutassero ad arrivare ai compartimenti stagni. Quando il portello si chiuse alle sue spalle, si ritrovò a pensare: Com'è strano che su Rama cada la notte proprio adesso che è così vicino al Sole!