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La camminata gli aveva messo sete, e Jimmy sapeva che, una volta bevuto il contenuto della borraccia, non avrebbe trovato una sola goccia di acqua potabile. Il contenuto della borraccia poteva anche durargli una settimana… ma a cosa serviva razionarlo? I migliori cervelli della Terra si sarebbero messi fra poco al lavoro per risolvere il problema del suo salvataggio, e avrebbero bombardato il Comandante Norton con le loro proposte. Tuttavia Jimmy non riusciva ancora a immaginare come avrebbe potuto superare quel salto di cinquecento metri. Posto che gli fornissero una corda così lunga, dove avrebbe potuto fissarla?

Ma nonostante tutto, era stupido darsi per vinti senza lottare. L'aiuto doveva venirgli dal mare, e mentre si avviava in quella direzione, Jimmy decise di esplorare il territorio come se non avesse altri problemi. Nessun altro avrebbe esaminato e fotografato i terreni che lui stava attraversando, e questo gli avrebbe procurato un'immortalità postuma. Anche se avrebbe preferito un altro tipo di gloria, era pur sempre meglio di niente.

In linea retta distava solo tre chilometri dal mare, ma il terreno presentava ostacoli che lo costringevano a deviazioni. Non era un gran problema perché poteva scegliere fra molte alternative: il terreno si stendeva davanti a lui nitido come una mappa. E non aveva nemmeno problemi di tempo, anzi, decise che se avesse notato qualcosa d'interessante, si sarebbe avvicinato per guardare meglio anche a costo di allungare la strada. A circa un chilometro, sulla destra, c'era un riquadro che scintillava come cristallo sfaccettato, o come una distesa di gemme. Fu quest'ultima ipotesi a fargli prendere una decisione. Anche un uomo nelle sue condizioni non poteva non sentirsi attirato da qualche migliaio di metri quadrati di gemme.

Non rimase tuttavia deluso quando scoprì che erano cristalli di quarzo, milioni e milioni di cristalli, posti su un letto di sabbia. La casella della scacchiera più vicina era la più interessante. Era coperta da un insieme di colonne metalliche, ravvicinate, disposte a caso (così gli sembrava), e alte da uno a cinque metri. Era impossibile attraversarle: ci sarebbe riuscito solo un carro armato. Camminando fra i cristalli e le colonne, Jimmy arrivò al primo incrocio. Il riquadro sulla destra era un enorme tappeto o stuoino fatto di fili metallici intrecciati. Ne tirò uno, ma senza riuscire a romperlo. Quello a sinistra era un mosaico di piastrelle esagonali così ben sistemate che non si vedevano le linee di congiunzione. Sarebbe sembrata una superficie continua se le piastrelle non fossero state di colore diverso. Jimmy rimase a fissarle a lungo senza trovarne due vicine della stessa tinta.

Si portò al centro dell'incrocio, e chiese al Controllo: — Cosa ve ne pare? Io ho la sensazione di essere intrappolato in un gigantesco puzzle. E se fosse una galleria d'arte ramana?

— Proprio non sapremmo, Jimmy. Però finora non abbiamo trovato indizi di attività artistiche ramane. Aspettiamo di saperne di più prima di trarre conclusioni.

Ma i due esempi che trovò al prossimo incrocio non gli furono di grande aiuto: uno era un appezzamento liscio, grigio, resistente ma scivoloso, l'altro sembrava una morbida spugna forata da miliardi e miliardi di piccolissimi buchi. Vi appoggiò il piede, e tutta la superficie cedette sotto di lui come un mucchio di sabbia.

Più avanti si imbatté in un riquadro che aveva una straordinaria rassomiglianza con un campo arato, salvo che i solchi erano profondi un metro e il materiale di cui erano fatti aveva l'aspetto di una lima o di una raspa. Ma ci badò appena, perché il riquadro adiacente attirò subito la sua attenzione. Almeno lì c'era qualcosa che poteva capire, anche se forse proprio per questo lo preoccupava maggiormente.

Il riquadro era completamente circondato da una palizzata, talmente comune che sulla Terra non sarebbe stato a guardarla due volte. C'erano paletti (parevano di metallo) disposti a cinque metri l'uno dall'altro e uniti da sei fili di metallo ben tesi.

Dietro la prima palizzata ce n'era una seconda, e poi una terza, altro esempio che i ramani facevano tutto in triplice copia. Qualunque cosa fosse custodita al centro del riquadro, non era possibile raggiungerla mediante cancelli o altre aperture. Al centro s'intravedeva l'orlo di un pozzo, una versione più piccola di Copernico.

Jimmy non stette a pensarci due volte. Scalati rapidamente i tre recinti si avvicinò al foro e vi guardò dentro. Era profondo una cinquantina di metri e sul fondo c'erano gli sbocchi di tre gallerie così grandi che ci sarebbe potuto passare un elefante. E niente altro.

Dopo averlo osservato a lungo, Jimmy pensò che probabilmente il fondo era mobile e funzionava come un montacarichi. Ma a che cosa servisse, non lo avrebbe mai saputo, anche se immaginava che dovesse trasportare oggetti molto grossi e forse pericolosi.

Camminò per qualche ora percorrendo più di dieci chilometri verso il mare, e i riquadri dell'enorme scacchiera cominciavano a confonderglisi nella mente. Gli pareva che non ne sarebbe mai uscito. Alcuni erano completamente chiusi da intrecci di filo metallico, come enormi gabbie, altri parevano stagni di liquido congelato, ma al tatto risultarono solidi. Ce n'era anche uno così nero che pareva un enorme foro: dovette tastarlo per convincersi che aveva la superficie consistente. Più avanti scoprì che i riquadri somigliavano a campi, pronti a dare un raccolto che non era mai stato seminato: erano infatti appezzamenti di terreno smosso e ben livellato, il primo terriccio che vedeva da quando era su Rama. Eppure gli sembrava impossibile che quegli appezzamenti fossero destinati a uso agricolo, perché creature così progredite come i ramani non potevano certo dedicarsi a un'agricoltura di tipo primitivo. Anche sulla Terra la coltivazione del terreno era un hobby di moda che serviva alla produzione di cibi rari ed esotici. Eppure quelli sembravano proprio campi. Provò a prendere un campione del terriccio, ma era talmente compatto che riuscì solo a scrostarne qualche briciola.

La distesa dei campi si susseguiva sempre uguale pur nella sua continua varietà. Alcuni erano coperti da un inesplicabile intrico di filo spinato, altri erano tetri e desolati, e da alcuni spuntavano pali simili a tronchi nudi, forse supporti per qualche rampicante.

Jimmy non seppe mai cosa l'avesse indotto a fermarsi ad osservare meglio un riquadro più a sud. Forse, senza che lui se ne rendesse conto, la sua mente aveva registrato tutti i particolari del paesaggio, notando un'anomalia. Al centro di un graticcio di fili e paletti, sul fondo grigio scuro del terreno, in un riquadro distante duecento metri, spiccava una macchia di colore. Era così piccola che si notava appena, e sulla Terra nessuno l'avrebbe guardata due volte. Eppure uno dei motivi per cui l'aveva notata era perché gli ricordava proprio la Terra.

Non trasmise la scoperta al Controllo finché non fu sicuro di non sbagliarsi. L'intuito non lo aveva ingannato. Quando fu a pochi metri dal riquadro poté avere la certezza che la vita, come lui la conosceva, si era infiltrata nell'ambiente sterile e asettico di Rama. In mezzo al campo, al limite del continente meridionale, era sbocciato un fiore.

Avvicinandosi, Jimmy notò che il graticcio era coperto da un telo di sostanza trasparente che probabilmente serviva a proteggere il terreno dalla contaminazione di forme organiche nocive. Ma in un punto la copertura era forata, e attraverso lo strappo si ergeva uno stelo verde, grosso quanto un mignolo. A un metro da terra lo stelo si apriva in un'inflorescenza di foglie azzurrastre e piumose e, sopra, si schiudevano tre fiori così ravvicinati che in un primo momento li aveva scambiati per uno solo.

I petali avevano una forma tubolare ed erano lunghi cinque centimetri. Ogni fiore ne aveva una cinquantina, e splendevano di sfumature azzurre, viola e verdi tanto da sembrare ali di una farfalla piuttosto che un prodotto del regno vegetale. Jimmy era totalmente a digiuno di botanica, ma lo colpì l'assenza di stami e pistilli. Pensò che forse la somiglianza coi fiori terrestri lo aveva tratto in inganno, e quello era piuttosto affine a un polipo corallino. Comunque, la sua esistenza richiedeva l'apporto di creature alate che servissero da fecondatrici o da cibo.

Ma non era il momento di porsi quei problemi. Qualunque cosa fosse, per Jimmy continuò a essere un fiore. Lo strano miracolo, il caso, così poco ramano, che l'aveva fatto nascere gli ricordava il mondo che forse non avrebbe visto mai più, e sentì la disperata necessità di coglierlo.

Ma non era un'impresa facile. Il fiore distava dieci metri, coperti da un graticcio molto fitto composto da paletti che formavano un'intelaiatura cubica di circa mezzo metro di lato. Non gli restava che insinuarsi fra un cubo e l'altro. E poiché non erano disposti in linea retta, il ritorno sarebbe stato ancora più arduo in quanto avrebbe dovuto farlo a ritroso.

Il Controllo fu entusiasta quando riferì la scoperta ed ebbe trasmesso le immagini del fiore, riprendendolo da tutte le angolature. Quando disse: — Vado a coglierlo — non ci furono obiezioni, e del resto non se ne era aspettate. La vita era sua e poteva disporne come voleva.

Si spogliò completamente e, facendo leva sui paletti di metallo, cominciò a insinuarsi nel labirinto. Gli pareva di essere un prigioniero che cerca di evadere passando attraverso le sbarre della cella tanto il passaggio era angusto.

Jimmy era un uomo d'azione, non di pensiero. Mentre strisciava con difficoltà nell'intrico dei paletti, non perse tempo a chiedersi perché stesse compiendo un'impresa così balorda. I fiori non l'avevano mai interessato, eppure adesso non badava a sprecare energie per coglierne uno. Va bene che era unico e di valore scientifico enorme, ma in realtà lo voleva perché era l'unico legame rimastogli col mondo della vita, con il pianeta dove era nato.

Eppure quando l'ebbe a portata di mano, esitò: forse era l'unico fiore di Rama. Che diritto aveva di coglierlo?

Se cercava una scusa, poteva consolarsi pensando che era nato per caso, che non rientrava nei progetti dei ramani. Era ovviamente un anomalo, nato troppo presto o troppo tardi. Ma in realtà non aveva bisogno di giustificazioni e la sua esitazione durò solo un attimo. Protese la mano, strinse lo stelo e diede un forte strattone.

Lo stelo si spezzò senza difficoltà. Dopo aver raccolto anche qualche foglia, Jimmy cominciò a strisciare lentamente a ritroso. Avendo una sola mano libera faceva molta fatica, e dovette fermarsi spesso per riprendere fiato. Fu durante una delle soste che notò come le foglie superstiti si chiudevano e lo stelo spezzato, girando lentamente su se stesso, rientrava nel terreno, come un serpente ferito che si nasconde nella tana.

Ho ucciso una creatura così bella, pensò rammaricato. Ma Rama non aveva ucciso lui? Cogliere un fiore era nel suo pieno diritto.

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