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Era prigioniero del freddo. Perfettamente immobile, avvertiva su di sé la morsa del gelo. Le sue mani erano legate ai fianchi, le gambe incatenate l’una all’altra. E tutt’attorno, il gelo che gli mordeva la carne, gli ottenebrava il cervello, gli distruggeva il corpo.

Non tentò di muoversi, non cercò nemmeno di pensare. Gli bastava giacere nel buio e aspettare. Credeva di trovarsi sull’astronave, di tornare a Corwin.

Si sbagliava. Il suono di voci lontane penetrò nella sua coscienza, e allora lui si mosse, confuso, perché sapeva che sulla sua nave non potevano esserci altre voci. Era una nave per un solo passeggero. Non c’era posto per nessun altro.

Le voci non scomparvero: mormorii bassi, strani, che raggiungevano le sue orecchie senza mai trasformarsi in sequenze di parole comprensibili. Ewing si agitò a lungo. Dove poteva essere? Chi produceva quei suoni smorzati, privi di logica?

Si mise a lottare per riprendere conoscenza, per aprire gli occhi. Una nube buia gli oscurava la vista. Si mise a sedere, costringendo i muscoli indolenziti a uno sforzo dolorosissimo. Aprì gli occhi, li chiuse immediatamente a un’enorme esplosione di luce, li riaprì lentamente. La testa gli si schiarì. La luce non gli diede più troppo fastidio.

In bocca aveva un sapore orribile, e la lingua sembrava ricoperta da una patina amara. Gli dolevano gli occhi, gli faceva male la testa, e lo stomaco sembrava assolutamente vuoto.

«Sono più di due giorni che aspettiamo il tuo risveglio, Ewing», disse una voce familiare. «La roba che ti ha dato Byra doveva essere davvero potente».

Scacciò la nebbia che gli intorpidiva il cervello, si guardò attorno. Si trovava in una grande stanza con finestre triangolari, opacizzate. Attorno a lui, che era seduto su una specie di lettino di fortuna, quattro persone: Rollun Firnik, Byra Clork, e due siriani dalla carnagione scura che non conosceva.

«Dove sono?», chiese.

Gli rispose Firnik. «Ti trovi al piano più basso del consolato siriano. Ti abbiamo portato qui il mattino di sestodì. Oggi è primodì. Hai dormito parecchio».

«È più esatto dire che ero sotto droga», ribatté debolmente Ewing. Si tirò su, appoggiò le gambe sull’orlo del letto. Immediatamente, uno dei siriani sconosciuti si fece avanti, gli mise una mano sul petto, gli afferrò le caviglie con l’altra, e lo rimise sdraiato. Ewing tentò ancora di alzarsi. Questa volta gli arrivò un rovescio fortissimo che gli tagliò il labbro inferiore. Un rivolo di sangue gli scese sul mento.

Si massaggiò delicatamente il punto colpito, poi si mise a sedere sul letto. «Che diritto avete di tenermi chiuso qui? Sono un cittadino di Corwin. State commettendo un’azione illegale».

Firnik sogghignò. «Corwin è lontano cinquanta anni luce. Per adesso ti trovi sulla Terra. Gli unici diritti che hai sono quelli che stabilisco io».

Rabbioso, Ewing cercò di balzare in piedi. «Esigo che mi liberiate! Non…».

Il siriano avanzò di nuovo in silenzio e lo colpì con un altro manrovescio, nello stesso punto. Ewing sentì allargarsi la ferita, e questa volta un canino gli lacerò la delicata superficie interna del labbro inferiore. Rinunciò a ulteriori tentativi di alzarsi.

«Bene bene», disse Firnik, col tono di chi stia per iniziare una conversazione amichevole. «Se siamo sicuri che non ci darai altri guai, possiamo cominciare. Se non sbaglio conosci già la signorina Clork».

Ewing annuì.

«E questi signori…» Firnik indicò gli altri due siriani. «… Sono il sergente Drayl e il tenente Thirsk della polizia della città di Valloin. Voglio che tu capisca subito che non c’è nessun bisogno di chiamare la polizia, visto che qui con noi ci sono due dei suoi migliori rappresentanti».

«Polizia? Ma non sono di Sirio IV?».

«Naturalmente». Firnik socchiuse gli occhi. «I siriani sono ottimi poliziotti. Più della metà delle forze di polizia locali provengono dal mio pianeta».

Ewing meditò in silenzio sull’informazione. Gli hotel, la polizia… Che altro? Ai siriani non serviva certo un colpo di stato sanguinoso per assumere ufficialmente il potere; poco per volta, si erano già impadroniti della Terra, grazie all’inerzia, se non al pieno consenso, dei terrestri. Quando fosse giunto il momento, ai siriani sarebbe bastato comunicare formalmente al governatore generale Mellis che era sollevato dal suo incarico, e la Terra sarebbe diventata un possedimento di Sirio IV.

Il suo sguardo vagò, inquieto, nella stanza. Negli angoli c’erano macchine del tutto sconosciute. Gli ultimi ritrovati nel campo della tortura, pensò. Guardò Firnik.

«Cosa volete da me?».

Il siriano intrecciò le sue braccia robuste e rispose: «Informazioni. Ti sei dimostrato molto testardo, Ewing».

«Vi ho raccontato la verità. Cosa volete che faccia? Che inventi una bugia per soddisfare le vostre idee assurde?».

«Ormai sai che il governo di Sirio IV sta per fare della Terra un suo protettorato», disse Firnik. «Però non riesci a capire che questo passo viene compiuto nell’interesse del pianeta madre, per proteggerlo da ogni possibile attacco dei mondi di questo sistema ora che la sua forza è al tramonto. E non sto parlando di ipotetici invasori provenienti da altre galassie».

«Ipotetici? Ma…».

«Calma. Lasciami finire. Tu, come rappresentante di Corwin e forse di altre colonie esterne, sei venuto sulla Terra per controllare se le voci sulla creazione di questo protettorato sono vere. I mondi che tu rappresenti sono giunti a una conclusione assolutamente falsa, e cioè che ci sia qualcosa di malvagio nel nostro atteggiamento nei confronti della Terra, che noi abbiamo quelli che comunemente si chiamano "disegni imperialistici". Non capite i motivi altruistici che stanno dietro la nostra decisione di sollevare i terrestri dal noioso peso dell’autogoverno. E così il tuo pianeta ti ha mandato qui in veste di spia, per vedere quali siano in realtà i rapporti fra Sirio IV e la Terra e per prendere contatto con i terrestri nell’intento di difendere la Terra da noi. A questo scopo hai già parlato col governatore generale Mellis e hai fissato un appuntamento con un certo Myreck, un pericoloso radicale, un rivoluzionario potenziale. Perché insisti a negare?».

«Perché stai dicendo un mucchio di idiozie! Io non sono una spia! Sono…».

Il taglio della mano del sergente Drayl scese su Ewing, nel punto in cui il collo si unisce alle spalle. Lui vacillò, ma non perse il controllo di sé. La sua clavicola cominciò a pulsare.

«A me e alla signorina Clork», riprese Firnik, «hai raccontato che lo scopo del tuo viaggio è chiedere aiuto ai terrestri contro la fantomatica invasione di creature non umane provenienti da oltre i confini della galassia. È una storia così palesemente falsa che tu e il tuo pianeta fate una figura pietosa».

«Si dà il caso che sia vera», disse Ewing, debolmente.

Firnik fece una smorfia. «Vera? Quest’invasione non esiste!».

«Ho visto foto di Barnholt…».

La tempesta di pugni che seguì lo fece quasi svenire. Si costrinse a restare in stato di conoscenza, ma il dolore gli offuscava la mente. Una nube rossa volteggiava attorno alla sua testa.

«Tu costituisci una minaccia gravissima per la sicurezza di Sirio IV e della Terra», tuonò Firnik. «Dobbiamo strapparti la verità, per prepararci ad agire di conseguenza».

Vi ho già detto la verità, rispose mentalmente Ewing, ma non lo disse. Sarebbe stato un invito per i pugni del sergente.

«Non ci mancano certo i mezzi per condurre un interrogatorio», proseguì Firnik. «Sfortunatamente, molti dei nostri metodi richiedono la demolizione quasi completa della personalità. E noi non siamo ansiosi di distruggerti. Ci saresti più utile nel pieno possesso delle tue facoltà mentali».

Ewing lo fissò con aria assente; poi guardò Byra, immobile e silenziosa a fianco di Firnik.

«Cosa volete che vi dica?», chiese.

«Vogliamo i particolari dei piani di Corwin. Informazioni esatte sulla sostanza del tuo incontro col governatore generale Mellis. Informazioni sulle possibili intenzioni ostili di altre colonie».

«Vi ho già detto tutto ciò che posso dire», ribatté Ewing. «Se mi spingessi oltre, racconterei solo bugie».

Firnik scrollò le spalle. «Abbiamo tempo. L’interrogatorio procederà in questo modo finché non ci darai qualche risposta, o finché non ci accorgeremo che le tue difese sono troppo forti. Dopo di che…» Indicò le macchine ammassate negli angoli della stanza. «… Si renderanno necessari altri metodi».

Ewing uscì in un sorriso, nonostante il dolore e l’intorpidimento delle labbra. Per un attimo pensò a sua moglie Laira, a suo figlio Blade, a tutta la gente di Corwin che aspettava fiduciosa il suo ritorno, le buone notizie che avrebbe portato. Ma non lo attendeva un ritorno trionfale con la scorta degli aiuti terrestri; ora aveva davanti violenza, tortura, forse morte per mano dei siriani che rifiutavano di credere la verità.

Be’, scopriranno in fretta qual è la verità, pensò amaramente. Quando i normali metodi si saranno dimostrati inutili, quando cominceranno a usare la sonda cerebrale e il bruciacervello e tutte le altre macchine meravigliose che mi attendono. Rivolteranno la mia mente, metteranno allo scoperto le cose sepolte più in fondo, e scopriranno che ho detto la verità.

Allora, forse, avrebbero cominciato a preoccuparsi dei Klodni. A Ewing non importava. Che lui tornasse o no, Corwin sarebbe stato spazzato via dagli alieni, e forse era meglio morire subito anziché vivere per vedere la distruzione del suo pianeta.

Scrutò il viso freddo, robusto del siriano con qualcosa che era compassione. «Forza», gli disse dolcemente. «Cominciate l’interrogatorio. Vi aspetta una sorpresa».

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