11

Al consolato, dovette farsi strada tra una folla piuttosto fitta. Erano tutti siriani, impegnati in chissà quali occupazioni. Nonostante ciò che già sapeva, era sorprendente vedere quanti siriani si trovassero a Valloin.

Il consolato era un edificio di dimensioni imponenti. Doveva essere stato eretto di recente, perché la sua architettura era in netto contrasto con tutto ciò che lo circondava. Piani inclinati e facciate che s’intersecavano lo rendevano uno spettacolo insolito, bizzarro.

Traversò l’enorme atrio, svoltò a sinistra, verso una scala che scendeva in basso. Non stette a riflettere su come raggiungere la prigione sotterranea dove, in quel momento, un’altra versione di se stesso stava subendo l’interrogatorio. Sapeva di essere già stato salvato una volta, quindi era possibile ripetere l’impresa.

Continuò a scendere finché un sergente, di guardia sull’ultimo pianerottolo, non gli chiese: «Dove va?».

«Devo scendere ancora. Ho bisogno di vedere il vice console Firnik per una questione urgente».

«Firnik è in riunione. Ha lasciato ordine di non essere disturbato».

«Tutto a posto. Ho un permesso speciale. So che sta interrogando un prigioniero con Byra Clork, il sergente Drayl e il tenente Thirsk. Devo portargli informazioni di importanza vitale, e se lei mi blocca qui, se non mi permette di parlargli, le giuro che le faccio fare una brutta fine».

Il sergente era dubbioso. «Insomma…».

«Senta, perché non scende a conferire col suo superiore immediato, se non vuole prendersi lei la responsabilità? Io l’aspetto qui».

Il sergente sorrise, lieto di veder sollevare dalle proprie spalle, per quanto robuste, l’onere di una decisione. «Non se ne vada», gli disse. «Torno subito».

«Non tema».

Il sergente si voltò, s’incamminò. Ewing gli lasciò fare tre passi, poi tolse di tasca lo storditore e lo regolò sull’intensità minima. L’arma era grande quanto il suo palmo, fatta di una plastica blu trasparente. All’interno si potevano scorgere i complicati meccanismi che conteneva. Ewing mirò e sparò. Il sergente si immobilizzò.

Ewing corse giù, lo afferrò alle ascelle, lo riportò nel punto in cui si trovava, lo sistemò in modo che sembrasse a guardia della scala. Poi ricominciò a scendere, diretto al piano successivo.

Incontrò un’altra guardia, coi gradi di tenente. Gli disse in fretta: «Mi manda il sergente. Ha detto che qui avrei trovato il vice console. Ho un messaggio urgente per lui».

«Segua il corridoio. La seconda porta a sinistra», gli rispose l’altro.

Ewing lo ringraziò, riprese a camminare. Si fermò un attimo davanti alla porta per indossare la maschera, e udì voci provenire dall’interno della stanza: «Bene. Ti offro l’ultima possibilità. Come mai il mondo libero di Corwin ha deciso di mandarti sulla Terra?».

«A causa dei Klodni», rispose una voce stanca. L’accento era familiare, l’accento di Corwin, ma il tono era più stridulo di quanto lui non si aspettasse. Era la sua voce. L’idea lo fece tremare. «Sono giunti da Andromeda e…».

«Basta!», latrò la voce roca di Firnik. «Byra, pronta a registrare. Metto in funzione la sonda».

Ewing, davanti alla porta, provò una seconda ondata di confusione. La sonda? Sì, era proprio quello il momento in cui lo avevano liberato, due giorni prima nel suo continuum temporale. In questo caso, aveva preceduto se stesso lungo il continuum, e… Scosse la testa. Inutile mettersi a riflettere sui paradossi proprio ora. Occorreva azione, non meditazione filosofica.

Appoggiò la mano sulla porta e la spalancò. La porta cedette subito. Balzò nella stanza, storditore in pugno.

La scena era impressionante. Firnik, Byra, Drayl e Thirsk erano radunati attorno a un quinto individuo, che senza più opporre la minima resistenza giaceva sotto un cono di metallo. E quel quinto individuo…

Me!

Firnik alzò gli occhi, sorpreso. «Chi sei? Come hai fatto a entrare qui?».

«Non stare a pensarci, Firnik», ribatté secco. Tutto si svolgeva con la chiarezza allucinante di un sogno, e ogni frase gli era già familiare. Sono già stato qui, pensò, fissando il corpo distrutto, torturato, di un se stesso più giovane di due giorni sotto il casco della sonda cerebrale. «Via da quella macchina, Firnik», urlò. «Ho uno storditore, e non vedo l’ora di usarlo su di te. Forza, contro il muro. Anche tu, Byra. Drayl, togligli le manette e levagli quel casco».

La macchina venne allontanata. Apparve il viso distrutto, non rasato, dell’altro Ewing, che fissò, senza capire nulla, la figura mascherata apparsa sulla porta. Ewing provò una meraviglia infinita vedendo il se stesso di secondodì, ma si costrinse a restare calmo. Traversò la stanza, tenendo l’arma puntata sui siriani, e tirò in piedi l’altro Ewing.

Poi ordinò seccamente a Firnik di chiamare il corpo di guardia e dare istruzioni per la loro fuga. Restò ad ascoltare ciò che diceva il siriano; poi alzò lo storditore. «Dovreste restare fuori dai piedi per un paio d’ore, come minimo», disse. Sparò ai quattro siriani, trascinò il secondo se stesso lungo il corridoio, lo infilò in ascensore.

Solo quando arrivò a pianterreno si concesse il lusso di una reazione emotiva. Un tremito improvviso lo bloccò per un istante mentre usciva dall’atrio affollato del consolato. Aveva ancora addosso la maschera, stava spingendo un Ewing semi-svenuto sulla strada. I muscoli delle sue gambe erano intorpiditi, e aveva la gola secca. Però ce l’aveva fatta. Aveva salvato se stesso dai torturatori, e la successione di eventi aveva seguito nei minimi particolari tutto ciò che a lui sembrava fosse accaduto «prima», ma che in realtà stava accadendo ora.

Però adesso, rifletté amaramente, ciò che stava per succedere doveva essere diverso da quello che era successo «prima». Comunque preferiva non pensare al terribile compito che lo attendeva finché non fosse giunto il momento.

Vide un taxi, uno dei pochi che non erano guidati da un robot, e lo fermò. Spinse dentro l’altro se stesso e disse: «Ci porti al Grand Valloin Hotel, per favore».

«Ehi, il suo amico è proprio fritto», disse l’autista. «È un sacco di tempo che non vedo qualcuno ridotto in quello stato».

«Se l’è vista brutta», rispose Ewing, con un’occhiata al se stesso che perdeva completamente conoscenza.

Il tragitto dal consolato all’hotel gli costò cinque dei diciotto crediti che gli restavano. Senza perdere tempo, salì in ascensore alla stanza 4113. L’altro (aveva deciso di chiamarlo Ewing-sub-due) precipitò subito a faccia in giù sul letto. Ewing fissò, incuriosito, Ewing-sub-due, studiò il viso pesto, gli occhi gonfi dell’uomo che lui era due giorni prima. Adesso bisognava spogliarlo, sbarbarlo, ripulirlo. Lo trascinò in bagno, lo infilò sotto il raggio a ioni; poi, soddisfatto, lo mise a letto. L’altro si addormentò nel giro di pochi secondi.

Respirò di sollievo. Sino ad allora la sequenza di eventi era stata rispettata; ma ormai occorreva cambiarla.

Gli si presentavano diverse possibilità. Poteva semplicemente andarsene e abbandonare Ewing-sub-due a se stesso, nel qual caso, secondo il normale flusso degli avvenimenti, Ewing-sub-due si sarebbe svegliato, sarebbe andato all’università di Myreck, avrebbe chiesto di vedere la macchina del tempo, e in seguito sarebbe tornato a quel giorno, diventando un altro Ewing-sub-uno che avrebbe salvato un altro Ewing-sub-due. Ma una soluzione del genere lasciava irrisolti e irresolubili troppi interrogativi. Cosa sarebbe accaduto degli Ewing-sub-uno moltiplicati all’infinito? Ogni viaggio all’indietro nel tempo ne avrebbe creato un altro: quale destino lo aspettava? Il paradosso appariva senza via d’uscita.

Però esisteva un modo per evitare il paradosso, pensò. Un modo per spezzare la catena ciclica che minacciava di far girare su una ruota eterna un numero infinito di Ewing. Certo, occorreva un uomo molto coraggioso per prendere quella decisione.

Si fissò nello specchio. Avrò il coraggio?, si chiese.

Pensò a sua moglie e a suo figlio, a tutto ciò per cui aveva lottato da che era giunto sulla Terra. Sono superfluo, si disse. Era nelle mani dell’uomo sdraiato sul letto che riposava il destino di tutti. Ewing-sub-uno, il suo salvatore, era solo una creatura in più, un uomo in eccesso, un raggio fuori posto nella ruota del tempo.

Non ho nessun diritto di restare in vita, ammise Ewing-sub-uno. Il suo viso, nello specchio, era calmo, non tremava. Annuì; poi sorrise.

Il cammino era chiaro. Doveva tirarsi in disparte. Ma si sarebbe tirato in disparte solo per lasciare posto a se stesso, e forse non si sarebbe creato nessun senso d’interruzione. Annuì di nuovo, ormai deciso.

Sul tavolo della stanza c’era una vocescrivente. L’accese, riordinò un attimo i pensieri, poi si mise a dettare.

«Secondodì pomeriggio. Da me stesso a un me stesso più giovane. Da Ewing-sub-uno all’uomo che io chiamo Ewing-sub-due. Leggi questo messaggio con la massima attenzione, imparalo a memoria, e distruggilo.

«Quello che ti è parso un intervento miracoloso ti ha appena sottratto alle mani dei torturatori. Ti chiedo di credere che chi ti ha liberato era solo un altro te stesso, tornato indietro nel continuum temporale da due giorni nel futuro. Dato che io ho già vissuto le ore che ti aspettano, voglio dirti quello che sta per accaderti. Ti imploro, inoltre, di seguire al millimetro le mie istruzioni, per salvare entrambe le nostre esistenze.

«Oggi è secondodì. Il tuo corpo affaticato dormirà a lungo. Ti sveglierai quartodì. Subito dopo il risveglio, si metterà in contatto con te l’Accademico Myreck che ti ricorderà l’impegno preso e si accorderà con te per il viaggio fino alla sede della sua università. Devi andare. Una volta giunto, i terrestri ti riveleranno di essere in grado di spostare oggetti nel tempo. Anzi, l’edificio stesso in cui ha sede l’università è fuori fase di tre microsecondi, per sfuggire ai siriani.

«A questo punto, nel mio continuum io li ho costretti a rimandarmi da quartodì a secondodì, e non appena arrivato nel passato sono venuto a salvarti. Lo scopo di questo viaggio è stato solo fornirti questa informazione, che l’uomo che ha salvato me non mi ha dato. Per nessun motivo, nel modo più assoluto, devi fare un altro balzo all’indietro nel tempo! Il ciclo deve chiudersi con te.

«Quando Myreck ti farà vedere la macchina, dimostrati pure interessato, ma non chiedere una dimostrazione pratica. Il tuo comportamento creerà immediatamente un nuovo passato in cui Ewing-sub-tre è morto sotto le torture di Firnik, mentre tu, Ewing-sub-due, continuerai a esistere e sarai libero di procedere nella tua missione. Se questa fase non ti è chiara, rilèggi l’ultimo paragrafo con tutta la tua attenzione.

«In quanto a me, non sono più necessario in questa successione di eventi, quindi intendo eliminarmi dal tuo continuum subito dopo aver finito di dettare il messaggio. Per tua informazione, lo farò mandando in corto circuito la cabina dell’energitron che si trova nell’atrio dell’hotel dopo esservi entrato, fatto che al tuo risveglio potrai controllare consultando i notiziari relativi a secondodì undici, cioè oggi. Questa mia azione, unita al tuo rifiuto di usare la macchina di Myreck, porrà termine al moltiplicarsi all’infinito di Ewing e ti lascerà unico padrone della scena. Sfrutta al massimo le tue possibilità. So che saprai essere perfettamente all’altezza del compito.

«Buona fortuna. Ne avrai bisogno.

«Il tuo, credimi, amico fraterno, Ewing-sub-uno».

Quando ebbe terminato di dettare, Ewing tolse il messaggio dalla macchina e lo rilesse tre volte, lentamente. Ormai non c’era più fretta. Piegò il foglio, si tolse di tasca dieci crediti (una cosa che il suo predecessore si era scordato di fare), chiuse il messaggio e il denaro in una busta che appoggiò sulla sedia, accanto alla testa dell’uomo che dormiva.

Soddisfatto, uscì in punta di piedi dalla stanza, chiuse la porta, scese nell’atrio dell’hotel. Non aveva più nessun bisogno della maschera, per cui la buttò via. Aveva lasciato lo storditore in camera, nel caso potesse occorrere a Ewing-sub-due.

Raggiunse un telefono, fece il numero della centrale comunicazioni, e disse: «Vorrei mandare un messaggio all’Accademico Myreck, presso Università di Scienze Astratte, fermo posta, ufficio postale 86 della città di Valloin». Era l’indirizzo che gli aveva lasciato Myreck. «Il messaggio è il seguente, apro: Baird Ewing è stato interrogato e sottoposto a sevizie da parte dei nostri nemici. Al momento dorme nella sua stanza. Lo chiami oggi pomeriggio e gli fornisca tutto l’aiuto possibile. Chiudo. Il messaggio dev’essere trasmesso non prima di quartodì, non più tardi di mezzogiorno. È chiaro?».

Il robot della centrale comunicazioni rilesse il messaggio, comprese le istruzioni per la consegna, e terminò con: «Un credito, prego».

Ewing infilò monete nell’apparecchio finché non ebbe raggiunto la cifra di un credito. Poi annuì, soddisfatto. Ormai le cose si erano messe in moto, e lui poteva sparire di scena.

Traversò l’atrio, raggiunse un terrestre che si stava guardando attorno. «Mi scusi. Le spiacerebbe farmi la moneta di un biglietto da un credito? Vorrei usare l’energitron e non ho spiccioli».

L’altro fu ben lieto di accontentarlo. Si scambiarono qualche frase di cortesia, poi Ewing si diresse verso la cabina, sicuro di essersi fatto notare. Dopo l’esplosione, ci sarebbe stato almeno un testimone in grado di affermare che nella cabina era entrato un uomo alto, robusto.

Infilò mezzo credito nella fessura sul fianco dell’energitron. Lo schermo d’energia che fungeva da porta diventò rosa, dandogli tutto il tempo d’entrare, e immediatamente dopo riacquistò la solita opacità. Ewing si trovò davanti un raggio di luce rossa, calda.

L’energitron era semplicemente un adattamento commerciale della doccia a raggi ionici. Stando all’insegna appesa all’esterno, si trattava di uno spray molecolare che rinvigoriva il corpo e rinfrescava l’anima. Ewing sapeva che era anche uno strumento efficacissimo per commettere suicidio. Un cartello a grandi caratteri rossi diceva:

«ATTENZIONE! I signori clienti sono diffidati dal raggiungere i limiti contrassegnati all’interno della cabina e dal manomettere i congegni dell’energitron. Si tratta di apparecchi estremamente delicati, pericolosi nelle mani di un inesperto».

Ewing sorrise, tranquillo. Era giunta l’ora della sua scomparsa; ma il corpo e la personalità di Baird Ewing di Corwin non sarebbero svaniti nel nulla. Sarebbe morta semplicemente una loro estensione superflua. Senza tremare, sfiorò la scatola di controllo sigillata, l’aprì con un pugno, e spinse in alto il reostato che si trovava all’interno. L’aspetto del raggio molecolare cambiò. Divenne più tremolante e cominciò a crepitare.

Sapeva che al limite delle linee tracciate sul pavimento i piani di forza presenti si trovavano in un equilibrio delicatissimo. Inserire un braccio o una gamba in quell’area poteva provocare una violenta esplosione. Si spinse avanti, tastò con le mani la zona di pericolo.

Lo colpì un pensiero improvviso: e l’uomo che ha salvato me? Nei suoi piani, se n’era completamente dimenticato; ma era esistito un altro Ewing-sub-uno, un Ewing che non gli aveva lasciato né messaggi né soldi né storditori, e che forse non si era suicidato. Per un attimo si chiese cosa fosse stato di lui; poi non ebbe più tempo per riflettere, perché si accese una luce accecante e un’ondata mostruosa di forza si sprigionò dalla cabina, stritolandolo nella sua morsa implacabile.

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