XIV LA PUNIZIONE

Non appena Elly lo vide, si mostrò affettuosa come non mai, spazzolandogli la neve dagli abiti e aiutandolo a togliersi il mantello, senza nemmeno accennare una domanda a proposito di ciò che era accaduto.

Ma quella sua gentilezza non faceva nessuna differenza. Prima o poi uno dei fratelli le avrebbe raccontato com’era andata, e Armor avrebbe perso la faccia di fronte a sua moglie. Ben presto la storia sarebbe corsa di bocca in bocca nell’intera vallata del Wobbish. Corazza-di-Dio Weaver, fornitore dei territori occidentali, futuro governatore, sbattuto fuori di casa nella neve dal vecchio suocero. Tutti gli avrebbero riso dietro le spalle. Ne avrebbero dette di cotte e di crude. Mai in faccia, si capisce, poiché in pratica non c’era nessuno tra il lago Canada e il fiume Noisy che non gli dovesse del denaro o non avesse bisogno delle sue mappe per comprovare qualche diritto di proprietà. Ma il giorno in cui nel territorio del Wobbish si sarebbero svolte delle elezioni, avrebbero raccontato quella storia intorno a ogni seggio. L’uomo del quale sì ride può ispirare simpatia, ma non rispetto, e nessuno avrebbe votato per lui.

Armor si trovava ad affrontare il crollo di tutti i suoi progetti, e la moglie aveva un po’ troppo dei Miller perché lui riuscisse a sopportarlo. Certo, per quelle regioni di frontiera era carina, ma in quel momento non gliene importava. Le dolci notti e gli affettuosi risvegli non avevano più importanza. Né l’aveva che lei avesse sempre lavorato al suo fianco. In quel momento gl’importava soltanto della vergogna e della rabbia che provava.

«Lascia perdere».

«Devi pur toglierti quella camicia bagnata. Com’è possibile che la neve ti sia finita anche lì dentro?»

«Ho detto di togliermi le mani di dosso!»

Eleanor fece un passo indietro, interdetta. «Stavo solo…».

«Lo so che cosa ‘stavi solo’. Povero piccolo Armor, basta fargli una carezza sulla testa, come a un bambino, e lui starà subito meglio».

«Potresti ammalarti…».

«Va’ a dirlo a tuo padre! Se mi prendo una polmonite, glielo spiegherai tu che cosa significa buttare un uomo nella neve!»

«Oh, no!» esclamò Eleanor. «Non posso credere che papà…».

«Hai visto? Nemmeno mi credi!»

«Sì che ti credo, solo che papà non mi sembra tipo…».

«Nossignora, è proprio come il diavolo in persona, ecco com’è! Ecco che cosa si aggira in casa vostra! Lo Spirito del Male! E quando qualcuno cerca di portare in quella casa la parola di Dio, lo buttano fuori nella neve!»

«Che cosa stavi facendo lassù?»

«Stavo cercando di salvare la vita a tuo fratello. A quest’ora sarà sicuramente morto».

«E come pensavi di salvarlo, tu

Forse non era intenzione di Eleanor parlare in tono così sprezzante. Ma non importava. Armor capiva fin troppo bene che cosa aveva voluto dire. Che siccome lui non possedeva alcun potere occulto, non era in grado di aiutare chicchessia. Dopo anni e anni di matrimonio, Eleanor prestava ancora fede alla stregoneria, proprio come i suoi familiari. Armor si era illuso di averla cambiata, ma non c’era affatto riuscito. «Sei proprio come loro» scattò. «Il male è talmente radicato in te che non riesco a scacciarlo con le preghiere, non riesco a scacciarlo con le prediche, non riesco a scacciarlo con l’amore, e nemmeno riesco a scacciarlo con le urla!». Dicendo ‘preghiere’, l’aveva scossa un po’, come a sottolineare le proprie parole. Dicendo ‘prediche’ l’aveva scossa un po’ più forte, facendola incespicare all’indietro. Dicendo ‘amore’ l’aveva agguantata per le spalle e le aveva dato un tale scrollone da scioglierle la crocchia e farle svolazzare i capelli. Dicendo ‘urla’ le aveva dato un tale spintone da farla cadere sul pavimento.

Non appena la vide cadere, prima ancora che lei toccasse terra, Armor si sentì invadere da una vergogna ancora più bruciante di quando il suocero l’aveva scaraventato nella neve. Un uomo più forte di me mi fa sentire debole, allora torno a casa e strapazzo mia moglie: proprio un grand’uomo, mi sto dimostrando. Eccomi qui, un cristiano che non ha mai torto un capello a nessuno, uomo o donna che fosse, e adesso sbatto per terra mia moglie, carne della mia carne.

Questo pensò, e stava per gettarsi in ginocchio sul pavimento per mettersi a frignare come un bambino e implorare il suo perdono. E l’avrebbe fatto, sicuro, solo che quando lei gli vide quell’espressione sul viso contorto di rabbia e di vergogna, non capì ch’era adirato con se stesso, capì soltanto che le stava facendo del male, e di conseguenza fece la cosa che veniva più naturale a una donna cresciuta come lei. Mosse le dita in un gesto di difesa, e sussurrò una parola per tenerlo a distanza.

Armor non riuscì a gettarsi in ginocchio davanti a lei. Né riuscì a fare un solo passo nella sua direzione. Non riuscì nemmeno a pensare di fare un passo nella sua direzione. L’incantesimo difensivo era così potente che Armor barcollò all’indietro, si precipitò alla porta, la spalancò e, in maniche di camicia com’era, uscì correndo di casa. Tutto quello che più temeva al mondo, oggi si era realizzato. Il suo futuro in politica era probabilmente segnato, ma questo era niente in confronto al resto: sua moglie praticava le arti magiche in casa sua, e lo faceva contro di lui, e lui non aveva modo di difendersi. Sua moglie era una strega. Una strega. E la sua casa era contaminata.

Faceva freddo. Armor non aveva addosso niente di pesante, nemmeno il panciotto. La camicia, già bagnata, gli aderiva alla pelle facendolo gelare fino alle ossa. Doveva trovare riparo, ma non avrebbe mai sopportato di bussare alla porta di qualcuno. C’era solo un posto dove andare. In cima alla collina, alla chiesa. Thrower vi teneva una riserva di legna, e lui avrebbe potuto accendere la stufa per scaldarsi. E in chiesa avrebbe potuto pregare, per cercare di capire perché il Signore non lo avesse aiutato. Non ti ho forse servito fedelmente, o Signore?


Il reverendo Thrower aprì la porta della chiesa e ne varcò cautamente la soglia, attanagliato dalla paura. Ora che sapeva di aver fallito, non riusciva a sopportare l’idea di affrontare il Messo. Perché il fallimento era stato soltanto suo, ora se ne rendeva conto. Come, altrimenti, Satana aveva potuto avere il sopravvento su di lui, scacciandolo da quella casa? Un ministro del culto, che agisce come emissario del Signore seguendo le istruzioni di un angelo… com’era possibile che Satana avesse potuto allontanarlo da quella casa prima ancora ch’egli si rendesse conto di ciò che stava accadendo?

Si tolse il soprabito. In chiesa faceva caldo. La legna nella stufa doveva essere durata più a lungo del solito. Oppure quello che avvertiva era il bruciore della vergogna.

Satana non poteva essere più forte del Signore. L’unica spiegazione possibile era che Thrower si fosse dimostrato troppo debole. Era stata la sua fede a vacillare.

S’inginocchiò di fronte all’altare e implorò ad alta voce il Signore. «Perdona la mia poca fede!» esclamò. «Il coltello era nella mia mano, ma Satana si è levato contro di me, e ho smarrito la mia forza!» Recitò una litania di autoflagellazione, passando in rassegna tutte le mancanze della giornata, fino a scoprirsi svuotato d’ogni energia.

Solo allora, con gli occhi brucianti di pianto, la voce fioca e arrochita, si rese conto del momento in cui la sua fede aveva vacillato. Era stato in camera di Alvin, quando aveva chiesto al ragazzo di pronunziare un atto di fede, e il ragazzo si era beffato del mistero della divinità. «Come fa a stare seduto su qualcosa che non ha vetta?». Sebbene Thrower avesse respinto quella domanda come frutto d’ignoranza e malvagità, essa gli aveva trapassato il cuore, penetrando nel nucleo stesso della sua fede. Le certezze che lo avevano sostenuto per la maggior parte della sua esistenza erano state improvvisamente mandate in frantumi dalle domande di un ragazzetto ignorante. «Mi ha carpito la fede» gemette Thrower. «Sono entrato nella sua stanza da uomo di Dio, e ne sono uscito colmo di dubbi».

«Davvero?» chiese una voce alle sue spalle. Una voce che Thrower conosceva bene.

Una voce che in quel luogo, in quel momento, il pastore temeva e bramava allo stesso tempo. Oh, perdonami, confortami, Messo, amico mio! Ma non mancare al tempo stesso di punirmi con l’ira terribile d’un Dio vendicatore!

«Punirti?» chiese il Messo. «E come potrei punire un simile glorioso esemplare di umanità?»

«Non sono affatto glorioso» balbettò Thrower.

«Se è per questo, a malapena ti si può dire umano» disse il Messo. «A immagine di Chi sei stato creato? Ti avevo inviato in quella casa a portare la mia parola, e quelli hanno quasi convertito te. Come posso definirti adesso? Eretico? O semplicemente scettico?»

«Cristiano!» gridò Thrower. «Perdonami, e chiamami di nuovo cristiano!»

«Il coltello era nella tua mano, e tu l’hai deposto».

«Non volevo!»

«Debole, debole, debole, debole…». Ogni volta che il Messo ripeteva la parola, la modulava più a lungo, finché ogni ripetizione divenne una sorta di cantilena. E, sempre cantilenando, il Messo cominciò a fare il giro della chiesa. Pur non correndo, camminava in fretta, molto più in fretta di quanto potesse fare un uomo. «Debole, debole…». Si muoveva così in fretta che Thrower doveva ruotare in continuazione su se stesso solo per seguirlo con lo sguardo. Il Messo ora non camminava più sul pavimento, ma scivolava lungo i muri, coi movimenti fluidi e rapidissimi di uno scarafaggio, poi accelerò ancora, finché non fu che una macchia indistinta e Thrower non riuscì a stargli dietro nemmeno girando come una trottola. Allora il pastore si accasciò sull’altare, rivolto alle panche vuote, guardando il Messo sfrecciargli davanti un giro dopo l’altro.

Gradualmente si accorse che il Messo aveva cambiato forma, che adesso aveva assunto la sagoma allungata di un animale, una lucertola, un alligatore dalle squame colorate e scintillanti, che si allungava sempre più, finché il suo corpo fu talmente lungo da fare l’intero giro della sala, un verme immenso che si stringeva la coda tra le zanne.

E in cuor suo Thrower capì di essere minuscolo e insignificante in confronto a quell’essere glorioso che scintillava di mille colori diversi, che risplendeva di fuoco interiore, che respirava l’oscurità per esalare luce. Io Ti adoro! gridò dentro di sé. Tu sei tutto ciò che desidero! Baciami col Tuo amore, affinché io possa gustare la Tua gloria!

All’improvviso il Messo si arrestò, e le immense fauci si avvicinarono a lui. Non per divorarlo, perché Thrower sapeva di esserne indegno. Il pastore scorgeva adesso la terribile condizione dell’uomo: capì di trovarsi sospeso sull’abisso infernale come un ragno aggrappato a un filo sottilissimo, e l’unico motivo per cui Dio non lo faceva cadere era perché non lo riteneva degno nemmeno della distruzione. Dio non lo odiava, ma lo disprezzava per la sua viltà.

Thrower guardò il Messo negli occhi e perse ogni speranza. Perché non vi scorse né amore né perdono né ira né disprezzo. Quegli occhi erano completamente vuoti. Le squame rifrangevano il bagliore accecante d’un fuoco interiore. Ma, negli occhi, non v’era traccia di quel fuoco. E neanche erano neri. Semplicemente non c’erano, c’era soltanto un vuoto spaventoso che vibrava, che non voleva restare immobile, e Thrower capì che quello era il suo riflesso, capì di non essere nulla, che continuare a esistere sarebbe stato un ignobile spreco di spazio prezioso, che l’unica possibilità rimastagli era l’annullamento, la completa distruzione, così da restituire al mondo quella gloria che avrebbe posseduto se Philadelphia Thrower non avesse mai visto la luce.


Fu la preghiera di Thrower a svegliare Armor, accoccolato accanto alla stufa Franklin. Forse l’aveva caricata un po’ troppo, ma gli era sembrata l’unica soluzione per vincere il freddo. Quando era entrato in chiesa, la sua camicia era ormai un unico blocco di ghiaccio. Avrebbe portato al pastore un po’ di carbone per sdebitarsi.

Armor stava per annunciare la propria presenza, ma quando udì le parole che il pastore stava pronunciando restò ammutolito. Thrower andava parlando di coltelli e di arterie e di come avrebbe dovuto fare a pezzi i nemici di Dio.

Qualche momento dopo tutto divenne chiaro. Thrower non era andato dai Miller per salvare il ragazzo, ma per ucciderlo! Ci dev’essere qualcosa di sbagliato, pensò Armor, se un marito cristiano batte la moglie, e una moglie cristiana getta un incantesimo sul marito, e un pastore cristiano architetta un omicidio e invoca il perdono divino perché non è riuscito a commettere il crimine!

A un tratto, tuttavia, Thrower smise di pregare. La sua voce si era fatta così roca e il viso così rosso che Armor temette che stesse per venirgli un colpo apoplettico. Ma no. Thrower alzò la testa come se stesse ascoltando qualcuno. Anche Armor si mise in ascolto, ed effettivamente udì qualcosa, come un’eco confusa di voci in un temporale, senza tuttavia riuscire a distinguere le parole.

Adesso capisco, pensò Armor. Il reverendo Thrower ha una visione.

A conferma della sua intuizione, Thrower disse qualcosa, e la voce lontana rispose, e poco dopo il pastore cominciò a ruotare su se stesso, sempre più in fretta, come per guardare qualcosa che faceva il giro delle pareti. Armor aguzzò lo sguardo, ma per quanto si sforzasse non riuscì a distinguere di che si trattasse. Era come un’ombra davanti al sole, qualcosa che non si vedeva arrivare e non si vedeva andar via, ma per un istante tutto si faceva più buio e più freddo. Ecco ciò che vide Armor.

Poi smise. Armor scorse un luccichio nell’aria, un riflesso vago, come quando una lastra di vetro coglie la luce del sole. Thrower stava forse scorgendo la gloria di Dio, come Mosè? A giudicare dall’espressione del pastore, era improbabile. Armor non aveva mai visto un’espressione del genere. Come quella di un uomo costretto ad assistere all’uccisione del figlioletto in fasce.

Il luccichio e i riflessi scomparvero. La chiesa era immersa nel silenzio. Armor avrebbe voluto correre da Thrower e chiedergli: Che cos’avete visto? Qual era la vostra visione? Era forse una profezia?

Ma Thrower non aveva l’aria di uno disposto a rispondere a nessuna domanda. A giudicare dall’espressione, in quel momento avrebbe preferito morire. Il pastore si allontanò lentamente dall’altare. Si aggirò tra le panche, talvolta urtandone una, senza guardare e senza curarsi di dove il suo corpo lo portasse. Alla fine si trovò di fronte alla finestra, lo sguardo rivolto al vetro, ma Armor si rese conto che non vedeva nulla; se ne stava semplicemente lì, con gli occhi spalancati, la morte dipinta sul viso.

Il reverendo Thrower sollevò la mano destra aperta e posò il palmo sul vetro. E cominciò a premere. A premere e a spingere tanto forte che Armor poté vedere il vetro flettersi verso l’esterno. «Basta!» gridò Armor. «Vi farete male!»

Thrower non diede segno di aver sentito, ma continuò a premere. Armor si alzò. Bisognava fermarlo prima che il vetro si rompesse e lui si tagliasse.

Con uno schianto il vetro andò in frantumi. Il braccio di Thrower vi s’infilò fino alla spalla. Il pastore sorrideva. Quindi ritrasse parzialmente il braccio e cominciò a farlo scorrere lungo la cornice, premendolo contro i frammenti di vetro ancora incastrati nello stucco.

Armor cercò di allontanarlo dalla finestra, ma il pastore pareva avere acquistato una forza sovrumana. Alla fine Armor dovette saltargli addosso in modo da trascinarlo sul pavimento. Il sangue era schizzato dappertutto. Armor afferrò il braccio insanguinato di Thrower, che cercò di sottrarsi alla presa rotolando su se stesso. Armor non aveva scelta. Per la prima volta nella sua vita di cristiano, chiuse il pugno e sferrò un cazzotto al mento di Thrower. La testa del pastore andò a sbattere contro il pavimento, e l’uomo perse i sensi all’istante.

Debbo fermare il sangue, pensò Armor. Ma prima di tutto bisognava togliere i pezzi di vetro. Alcuni dei frammenti più grossi erano entrati solo parzialmente, ed estrarli era facile. Ma altri frammenti, i più piccoli, erano penetrati in profondità nella carne, così che solo la punta restava visibile, e in più questa era resa viscida dal sangue ed era difficile far presa. Alla fine, comunque, Armor aveva estratto tutti i frammenti di vetro ch’era riuscito a trovare. Fortunatamente non c’era una sola ferita da cui il sangue sgorgasse a fiotti, perciò non doveva esser stato reciso nessun vaso sanguigno importante. Armor si tolse la camicia, restando a torso nudo nella corrente gelida che entrava dalla finestra. Ma non se ne curò. Strappò la camicia in modo da ricavarne delle bende. Fasciò le ferite e arrestò il sangue. Quindi si mise a sedere e attese che Thrower riprendesse i sensi.


Con sua grande sorpresa, Thrower scoprì di non essere morto. Era supino su un duro pavimento di legno, ed era coperto da qualcosa di pesante. Gli faceva male la testa, e soprattutto il braccio. Ricordò che aveva cercato di tagliarsi le vene, e pensò che avrebbe dovuto riprovarci, ma non riusciva a ritrovare in sé la stessa volontà di morire. Ricordava il Messo sotto forma di gigantesco rettile, ne ricordava i terribili occhi vuoti, però non riusciva più a ricordare ciò che aveva provato. Sapeva soltanto che era la sensazione peggiore che un essere umano potesse provare.

Il braccio era fasciato strettamente. Chi era stato?

Udì uno sciabordio d’acqua. Poi il rumore di uno straccio bagnato sbattuto contro il legno. Nella luce crepuscolare che entrava dalla finestra, riuscì a distinguere la sagoma di qualcuno che lavava la parete. Uno dei riquadri della finestra era chiuso da una tavola.

«Chi è?» chiese Thrower. «Chi siete?»

«Sono io».

«Corazza-di-Dio».

«Sto lavando le pareti. Questa è una chiesa, non un mattatoio».

Naturale che ci fosse sangue dappertutto. «Mi spiace» mormorò Thrower.

«Lo faccio volentieri» disse Armor. «Penso di avervi tolto dal braccio tutti i pezzi di vetro».

«Siete nudo» disse Thrower.

«La mia camicia ce l’avete voi, attorno al braccio».

«Dovete avere freddo».

«Forse prima, ma ora ho sistemato la finestra e ho caricato ben bene la stufa. Voi, piuttosto, siete così pallido che sembrate morto da una settimana».

Thrower cercò di mettersi a sedere, ma non ci riuscì. Era troppo debole; il braccio gli faceva troppo male.

Armor lo costrinse a restare disteso. «Cercate di stare giù, reverendo Thrower. Giù. Ve la siete vista brutta».

«Sì».

«Spero che non ve la prendiate, ma quando siete entrato ero già qui. Mi ero addormentato accanto alla stufa… mia moglie mi ha buttato fuori di casa. Oggi mi hanno buttato fuori due volte». Rise, ma senza allegria. «Così vi ho visto».

«Visto?»

«Era una visione, vero?»

«L’avete visto?»

«Non molto. Più che altro ho visto voi. Qualche barlume, se capite quel che voglio dire. Qualcosa che correva lungo le pareti».

«L’avete visto» disse Thrower. «Oh, Armor, è stato terribile, è stato meraviglioso».

«Avete visto Dio?»

«Dio? Dio non ha corpo e non può apparire a occhi umani, Armor. No, ho visto un angelo, un angelo vendicatore. Sicuramente lo stesso che vide anche il Faraone; l’angelo della morte che attraversò le città d’Egitto uccidendo tutti i primogeniti».

«Oh» fece Armor, perplesso. «Volete dire che avrei dovuto lasciarvi morire?»

«Se fosse stato scritto che dovevo morire, non avreste potuto salvarmi» replicò Thrower. «Il fatto che mi abbiate salvato, che vi trovaste qui nel momento della mia disperazione, è segno certo che debbo vivere. Sono stato punito, ma non annientato, Corazza-di-Dio. Mi è concessa un’altra possibilità».

Armor annuì, ma Thrower vedeva ch’era turbato da qualcosa. «Che cosa c’è? Che cosa vorreste chiedermi?»

Armor sgranò gli occhi. «Riuscite a udire ciò che penso?»

«Se potessi, non avrei bisogno di chiedervelo».

Armor sorrise. «Credo di no».

«Chiedete pure, e vi dirò tutto ciò che posso».

«Vi ho udito pregare» disse Armor. Quindi tacque, come se quella fosse stata la sua domanda.

Non sapendo dove l’altro volesse andare a parare, Thrower non sapeva bene che cosa rispondere. «Ero disperato, perché ero venuto meno alla volontà del Signore. Mi era stata affidata una missione, ma nel momento supremo il mio cuore era stato assalito dal dubbio». Così dicendo tese la mano sana per afferrare Armor inginocchiato accanto a lui, riuscendo solo a sfiorare la stoffa dei pantaloni. «Corazza-di-Dio» balbettò, «non permettete mai al dubbio di fare ingresso nel vostro cuore. Non dubitate mai della verità di ciò in cui credete. In questo modo spalanchiamo la porta a Satana perché s’impadronisca di noi».

Ma non era la risposta che Armor si aspettava.

«Chiedetemi quel che volete» insisté Thrower. «Se posso, vi dirò la verità».

«La vostra preghiera parlava di uccidere qualcuno» disse Armor.

Thrower non aveva pensato di dover rivelare a nessuno quale fardello il Signore gli avesse assegnato. D’altra parte, se il Signore avesse voluto tenere Armor all’oscuro del suo segreto, non gli avrebbe permesso di entrare in chiesa e udire le sue parole. «Sono fermamente convinto che sia stato il Signore Iddio a portarvi da me» disse finalmente. «Io sono un debole, Armor, e sono venuto meno a ciò che il Signore mi aveva chiesto. Ma adesso so che Egli ha voluto inviarmi voi, uomo di fede, per sostenermi e aiutarmi».

«Cos’è che vi aveva chiesto, il Signore?»

«Non certo di commettere un assassinio, fratello mio. Il Signore non mi avrebbe certamente chiesto di uccidere un essere umano. È un diavolo che sono stato mandato a uccidere. Un diavolo che vive in forma umana in quella casa».

Armor strinse le labbra, immerso nei suoi pensieri. «Volete dire che quel ragazzo non è semplicemente posseduto? Che non si tratta di qualcosa che si possa scacciare con un esorcismo?»

«Ho tentato, ma si è preso beffe del Libro e ha deriso le mie parole. Non è posseduto, Corazza-di-Dio. È la progenie stessa del demonio».

Armor scosse la testa. «Mia moglie non è un demonio, eppure è sua sorella».

«Vostra moglie ha rinunciato alla stregoneria, e per questo è stata purificata».

Armor rise amaramente. «Lo pensavo anch’io».

Thrower adesso capì perché Armor fosse venuto a rifugiarsi in chiesa, nella dimora di Dio: la sua stessa casa era stata contaminata.

«Corazza-di-Dio, vuoi aiutarmi a purificare questa terra, questa città, quella casa, quella famiglia, dall’influenza malefica da cui sono state corrotte?»

«Questo potrà salvare mia moglie?» chiese Armor. «Potrà porre fine alla sua insana passione per la stregoneria?»

«È possibile» rispose Thrower. «Forse il Signore ha voluto che c’incontrassimo proprio per purificare ambedue le nostre case».

«Per tutto ciò che è in mio potere» disse Armor, «sono insieme a voi, contro il demonio».

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