XI LA MACINA

Scambiastorie si svegliò di colpo. Qualcuno lo stava scrollando. Fuori era ancora buio pesto, ma era l’ora di muoversi. Si tirò a sedere, si piegò leggermente in avanti e provò un certo piacere nel sentire quanto fossero diminuiti in quei giorni, dormendo su un letto morbido, dolori e doloretti. Potrei anche abituarmici, pensò. Sì, potrei anche prender gusto a questa vita.

La pancetta che friggeva in cucina era così grassa che poteva udirla sfrigolare. Stava per infilarsi gli stivali quando Mary bussò alla sua porta. «Sì, più o meno sono presentabile» disse Scambiastorie.

La ragazza entrò con due paia di calzettoni di lana pesante. «Li ho fatti io» disse.

«Nemmeno a Filadelfia avrei potuto trovare calzettoni così spessi».

«Qui nel territorio del Wobbish gli inverni sono particolarmente freddi, e…». Non riuscì a finire. La timidezza ebbe la meglio, e Mary chinò la testa e uscì in tutta fretta dalla stanza.

Scambiastorie s’infilò i calzettoni, quindi gli stivali, e infine sorrise. Non si sentiva in imbarazzo ad accettare qualche piccolo dono. Lavorava duro, come tutti, e aveva fatto più della sua parte per preparare la fattoria all’inverno. Coi tetti ci sapeva fare; gli piaceva arrampicarsi e non soffriva di vertigini. Perciò erano state le sue mani a sistemare la casa; e fienili, stalle e porcili erano tutti perfettamente asciutti.

E, senza che nessuno gliel’avesse chiesto, aveva preparato il mulino ad accogliere la macina. Aveva caricato personalmente sul carro tutto il fieno che si trovava là dentro, cinque carichi abbondanti. I gemelli, che essendosi sposati solo quell’estate non avevano ancora molto da fare sulle loro terre, si erano incaricati di scaricarlo nel fienile grande. Tutto questo senza che Miller avesse dovuto nemmeno toccare il forcone. Scambiastorie si era occupato di tutto, e Miller non aveva insistito.

Altre cose, tuttavia, non andavano altrettanto bene. Ta-Kumsaw e i suoi Shawnee stavano facendo scappare un sacco di gente dalla regione di Carthage City, e tutti avevano i nervi a fior di pelle. Certo, era una bellissima cosa che il Profeta avesse una città sull’altra riva del fiume dove migliaia di Rossi non facevano altro che parlare di come per nessuna ragione al mondo avrebbero mai preso le armi contro l’uomo bianco. Ma c’erano anche un sacco di Rossi che condividevano i sentimenti di Ta-Kumsaw, e pensavano che l’uomo bianco dovesse essere ricacciato fino all’Atlantico e rispedito in Europa, con o senza navi. Spirava vento di guerra, e correva voce che Bill Harrison, giù a Carthage City, fosse sin troppo lieto di soffiare sul fuoco, per non parlare dei francesi di Detroit, i quali da un pezzo sobillavano i Rossi ad attaccare i coloni americani nelle regioni che secondo loro facevano parte del Canada.

Nella cittadina di Vigor Church non si parlava d’altro; ma Scambiastorie sapeva che Miller non la prendeva altrettanto seriamente. Secondo lui i Rossi erano solo dei buffoni, degl’ignoranti la cui massima aspirazione era quella di tracannare tutto il whisky su cui riuscivano a mettere le mani. Scambiastorie aveva già incontrato questo genere di atteggiamento, ma solo nella Nuova Inghilterra. A quanto pareva, gli yankee non riuscivano a rendersi conto che ogni Rosso della Nuova Inghilterra che avesse un minimo di spina dorsale si era trasferito da un pezzo nello stato dell’Irrakwa. E gli yankee avrebbero sicuramente visto le cose in tutt’altra luce se avessero saputo che gli stessi Irrakwa si stavano dando un gran da fare con le macchine a vapore importate direttamente dall’Inghilterra, e che nella regione dei Finger Lakes un bianco di nome Eli Whitney li stava aiutando ad attrezzare una fabbrica che avrebbe prodotto fucili a un ritmo circa venti volte superiore a quello fino allora ritenuto possibile. Un giorno o l’altro gli yankee si sarebbero svegliati per scoprire che i Rossi non erano tutti degli ubriaconi, e qualche bianco avrebbe dovuto mettersi le gambe in spalla per non perdere lo scalpo.

Nel frattempo, tuttavia, Miller non prendeva molto sul serio quei discorsi di guerra. «Lo sappiamo tutti che i boschi sono pieni di Rossi» diceva sempre. «Non possiamo certo impedirgli di giocare a nascondino, ma per adesso di galline non me ne sono sparite, per cui non lo vedo come un problema».

«Ancora pancetta?» chiese Miller. Così dicendo, spinse il vassoio sul tavolo verso Scambiastorie.

«Non sono abituato a mangiare tanto la mattina» si scusò Scambiastorie. «Da quando sono qui, a ogni pasto ho regolarmente mangiato più di quanto fossi solito mangiare in un’intera giornata».

«Bisogna che mettiate un po’ di carne sulle ossa» disse Faith mettendogli davanti senza tanti complimenti due focaccine calde spalmate di miele.

«Non riuscirei a mandare giù un altro boccone» protestò Scambiastorie.

Le focaccine scomparvero istantaneamente dal suo piatto. «Ci penso io» disse Al Junior.

«Non allungare le mani sui piatti altrui» lo rimbrottò Miller. «E poi non puoi mangiartele tutt’e due».

In men che non si dica, Al Junior dimostrò che il padre aveva torto. Quindi gli uomini si lavarono le mani appiccicose di miele, s’infilarono i guanti e uscirono di casa per salire sul carro. Le prime luci dell’alba stavano facendo capolino a oriente, quando giunsero a cavallo David e Calm, che vivevano a metà strada tra la fattoria e il paese. Al Junior si arrampicò sul retro del carro, in mezzo agli attrezzi, alle corde, alle tende e alle provviste. Sarebbero rimasti fuori per qualche giorno.

«Allora… aspettiamo i gemelli e Measure?» chiese Scambiastorie.

Miller salì a cassetta. «Measure è già sul posto, a segare alberi per la treggia. E Wastenot e Wantnot restano qui a fare la spola da una casa all’altra». Sorrise. «Con tutto quello che si dice dei Rossi e delle loro cattive intenzioni, meglio non lasciar sole le donne, non vi pare?»

Scambiastorie ricambiò il sorriso. Gli faceva piacere sapere che, nonostante l’apparente indifferenza, Miller non trascurava le precauzioni.

Per arrivare alla cava c’era da fare un bel po’ di strada. A un certo punto oltrepassarono i resti di un carro sfasciato, in mezzo ai quali giacevano le due metà di una macina. «È stato il nostro primo tentativo» disse Miller. «Ma nel fare la discesa un mozzo ha cominciato a lavorare a secco e si è bloccato, e il carro non ha retto al peso della macina».

Giunti a un corso d’acqua d’una certa larghezza, Miller gli raccontò che per due volte avevano cercato di portare a valle la macina su una zattera, ma ambedue le volte la zattera era affondata. «Siamo stati sfortunati» disse Miller, ma dall’espressione del suo viso sembrava una questione personale, come se qualcuno o qualcosa si fosse messo contro di loro.

«Ecco perché stavolta usiamo treggia e rulli» disse Al Junior, chinandosi sulla spalliera del sedile. «Niente può cadere, niente può rompersi, e anche se qualcosa si rompesse sono soltanto tronchi, e non ci mancherebbero certo i pezzi di ricambio».

«Purché non piova» disse Miller. «O nevichi».

«Il cielo mi sembra pulito» osservò Scambiastorie.

«Il cielo è un gran bugiardo» ribatté Miller. «Ogni volta che voglio fare qualcosa, l’acqua mi mette regolarmente i bastoni fra le ruote».

Quando giunsero alla cava il sole era già alto, ma mancava ancora parecchio a mezzogiorno. Il viaggio di ritorno sarebbe stato molto più lungo, si capisce. Measure aveva già abbattuto sei alberi grossi e sani, e una ventina più piccoli. David e Calm si misero subito al lavoro, ripulendoli dai rami e levigandoli il più possibile. Con grande sorpresa di Scambiastorie, fu Al Junior a raccogliere la sacca con gli utensili da tagliapietre e a incamminarsi tra le rocce.

«Dove vai?» chiese Scambiastorie.

«Oh, devo cercare un buon posto per tagliare» spiegò Al Junior.

«Ha occhio, per la pietra» disse Miller. Ma chiaramente non gli stava dicendo tutto.

«E quando l’hai trovata, la pietra, che cosa fai?» chiese Scambiastorie.

«Be’, la taglio». Alvin si avviò a passo lento sul sentiero in salita con tutta l’arroganza di un ragazzo che sa di svolgere un lavoro da uomo.

«Ha anche una buona mano» aggiunse Miller.

«Ma ha solo dieci anni» disse Scambiastorie.

«Quando ha tagliato la prima macina, ne aveva sei» ribatté Miller.

«Volete dire che è un dono?»

«Non voglio dire nulla».

«Allora vediamo se rispondete a questa domanda, Al Miller. Ditemi, siete per caso un settimo figlio?»

«Perché me lo chiedete?»

«Coloro che sono addentro a queste cose affermano che il settimo figlio d’un settimo figlio nasce con la conoscenza di come le cose appaiono sotto la superficie. Ecco perché riescono così bene come rabdomanti».

«È così che dicono?»

Measure si avvicinò al padre, gli si fermò di fronte, si mise le mani sui fianchi e lo guardò fisso, con evidente esasperazione. «Papà, che male c’è a dirglielo? Da queste parti lo sanno anche i bambini».

«Forse mi sono fatto l’idea che il signor Scambiastorie sappia già più di quanto io non abbia voglia di dirgli».

«Questo mi sembra veramente ingiusto, papà, nei confronti d’un uomo che si è già dimostrato più che un amico».

«Se c’è qualcosa che non vuole farmi sapere, non è certo obbligato a dirmelo» interloquì Scambiastorie.

«E allora ve lo dirò io» disse Measure. «Certo. Papà è un settimo figlio».

«E anche Al Junior» disse Scambiastorie. «Vero? Non me ne avete mai parlato, ma quando un uomo dà il proprio nome a un figlio che non sia il suo primogenito, non ci vuole molto a capire che è il settimo».

«Vigor, nostro fratello maggiore, è morto nel fiume Hatrack solo pochi minuti dopo la nascita di Al Junior» spiegò Measure.

«Il fiume Hatrack» disse Scambiastorie.

«Conoscete quel posto?» chiese Measure.

«Conosco tutti i posti. Ma, per qualche motivo, quel nome mi fa pensare che avrei dovuto ricordarmene prima, e non riesco a capire perché. Il settimo figlio d’un settimo figlio. Allora le macine da mulino le estrae dalla roccia con qualche incantesimo?»

«Noi non ne parliamo in questi termini» lo corresse Measure.

«La roccia lui la taglia» disse Miller. «Esattamente come ogni altro tagliapietre».

«Be’, grande e grosso com’è, è pur sempre solo un ragazzo» disse Scambiastorie.

«Diciamo semplicemente» precisò Measure, «che quando lui taglia la pietra, questa è un po’ più morbida di quando la taglio io».

«Vi sarei grato» disse Miller, «se rimaneste qui con noi e ci aiutaste a ripulire i tronchi. Ci servono una treggia bella robusta, e una serie di rulli lisci e perfettamente rotondi». Ciò che non disse, ma per Scambiastorie suonò chiaro come il sole, fu: resta qui e non fare troppe domande a proposito di Al Junior.

Perciò Scambiastorie lavorò con David, Measure e Calm per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, e per tutto quel tempo udirono il tintinnio regolare del. ferro sul granito. Lavorando la pietra, Alvin Junior dava il tempo al lavoro degli altri, anche se nessuno vi accennò.

Scambiastorie tuttavia non era tipo da lavorare in silenzio. Visto che sulle prime gli altri si mostravano piuttosto taciturni, si mise a raccontare. E siccome gli altri non erano bambini ma uomini adulti, raccontò storie che non erano fatte soltanto di avventure, eroismo e tragiche morti.

La maggior parte del pomeriggio, a dire il vero, la dedicò alla saga di John Adams. Raccontò di come la sua abitazione fosse stata incendiata da una folla di bostoniani dopo ch’egli aveva ottenuto l’assoluzione di dieci donne accusate di stregoneria. Come Alex Hamilton l’avesse invitato sull’isola di Manhattan, dove avevano fondato uno studio legale. Come nel giro di dieci anni fossero riusciti a convincere il governo olandese a dare libero accesso all’immigrazione dei non olandesi, finché inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi non erano divenuti la maggioranza degli abitanti della Nuova Amsterdam e Nuovo Orange, e una forte minoranza in Nuova Olanda. Come fossero riusciti a ottenere che l’inglese diventasse seconda lingua ufficiale, nel 1780, appena in tempo perché le tre colonie olandesi figurassero tra i sette stati che per primi avevano firmato il Patto Americano.

«Scommetto che alla fine gli olandesi non li sopportavano più» disse David.

«Erano politici troppo abili per correre questo rischio» spiegò Scambiastorie. «Pensate che tutt’e due avevano imparato a parlare olandese meglio della maggior parte degli olandesi, e avevano mandato i loro figli in scuole olandesi perché crescessero parlando olandese. Erano diventati così dannatamente olandesi, ragazzi, che quando Alex Hamilton si presentò alle elezioni per il governatorato dello stato di Nuova Amsterdam, e John Adams si presentò alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti, ambedue ottennero più voti nelle parti olandesi della Nuova Olanda che in quelle dove c’era una maggioranza scozzese o irlandese».

«Che ne dite, se mi presentassi candidato alla nomina di sindaco, riuscirei a farmi votare dagli svedesi e dagli olandesi che vivono giù a valle?» disse David.

«Io per te non voterei di sicuro» disse Calm.

«Io sì» affermò Measure. «E spero che un giorno lo farai davvero».

«Non può partecipare alle elezioni per la carica di sindaco» lo rimbeccò Calm. «Per avere un sindaco bisogna che ci sia una città».

«L’avrete» disse Scambiastorie. «L’ho visto succedere altre volte. Una volta che avrete messo in funzione il mulino, non passerà molto tempo prima che tra il vostro mulino e Vigor Church vengano ad abitare trecento persone».

«Credete davvero?»

«Per adesso la gente viene alla bottega di Armor forse tre o quattro volte l’anno» disse Scambiastorie. «Ma quando ci sarà anche la farina, cominceranno a venire molto più spesso. E per un po’ preferiranno il vostro mulino a qualsiasi altro venga costruito nelle vicinanze, perché avete una buona strada e solidi ponti».

«Se il mulino comincia a fruttare qualcosa» disse Measure, «papà si farà sicuramente mandare una macina Buhr dalla Francia. Nell’Hampshire Occidentale ne avevamo una, prima che l’alluvione distruggesse il mulino. E una macina Buhr vuol dire farina bianca e fine».

«E la farina bianca vuol dire buoni affari» sottolineò David. «Noi più grandi ce ne ricordiamo». Sorrise tristemente. «Eravamo quasi ricchi, una volta».

«Vedete?» disse Scambiastorie. «Con tutto questo andirivieni, non ci saranno più soltanto una bottega, una chiesa e un mulino. Giù verso il Wobbish c’è una buona argilla bianca. Prima o poi qualcuno metterà su una fornace, e comincerà a fabbricare vasellame per tutta la regione».

«Sarebbe proprio un dono del cielo» disse Calm. «Mia moglie dice che non ne può più di servire la cena sui piatti di stagno».

«È così che crescono le città» disse Scambiastorie. «Una bottega ben fornita, una chiesa, poi un mulino, poi una fornace. Che tra l’altro potrebbe produrre anche mattoni. E quando ci sarà una città…».

«David potrà diventare sindaco» disse Measure.

«Non ci penso nemmeno» disse David. «La politica non fa per me. È Armor che vuole diventare sindaco, non io».

«Armor vuole diventare re» precisò Calm.

«Questo non è affatto gentile da parte tua» lo rimproverò David.

«Ma è vero» disse Calm. «Se pensasse che il posto fosse vacante, proverebbe a diventare Dio».

Measure si rivolse a Scambiastorie. «Calm e Armor non vanno molto d’accordo» gli spiegò.

«Uno che dà della strega a sua moglie non mi sembra un gran marito» disse Calm.

«E perché si comporta così?» chiese Scambiastorie.

«Di sicuro adesso ha smesso» disse Measure. «Lei gli ha promesso di non usarlo più. Il suo dono per la cucina, voglio dire. È una vergogna che una donna sia costretta a mandare avanti la casa col solo lavoro delle sue mani».

«Basta così» disse David. Scambiastorie colse solo di sfuggita la sua occhiata ammonitrice.

Evidentemente non si fidavano abbastanza di lui per metterlo a parte della verità. Perciò Scambiastorie fece loro capire che il segreto era già in suo possesso. «A me sembra che lei vi faccia ancora ricorso, almeno più di quanto Armor non immagini. Nella veranda davanti a casa c’è un potente talismano fatto di cesti. E il giorno che sono arrivato in paese, l’ha calmato con un incantesimo proprio davanti ai miei occhi».

Gli altri smisero per un istante di lavorare. Nessuno lo guardò, ma per un secondo tutti restarono immobili, limitandosi a prendere atto che Scambiastorie conosceva il segreto di Eleanor e fino a quel momento non ne aveva parlato con nessuno. Nemmeno con Corazza-di-Dio Weaver. Che lui lo sapesse, tuttavia, era una cosa; tutt’altra cosa sarebbe stata una loro conferma. Perciò nessuno aprì bocca, e subito ricominciarono a sagomare gl’incastri e a unire i pezzi della treggia.

Scambiastorie ruppe il silenzio tornando all’argomento di partenza. «È solo una questione di tempo prima che le regioni occidentali abbiano un numero sufficiente di abitanti da consentir loro di costituirsi in stati e presentare richiesta di adesione al Patto Americano. E quando questo succederà, ci sarà bisogno di uomini onesti che sappiano rivestire degnamente le cariche pubbliche».

«In queste foreste non troverete certo gente come Hamilton, Adams o Jefferson» disse David.

«Forse no» disse Scambiastorie. «Ma se voi ragazzi del posto non prendete in mano la situazione, potete scommettere che non mancheranno certo i cittadini disposti a farlo al posto vostro. Fu così che Aaron Burr divenne governatore di Suskwahenny, prima che Daniel Boone lo facesse secco nel ’99».

«Ne parlate come se fosse stato un assassinio» disse Measure. «Fu un duello leale».

«Per come la vedo io» disse Scambiastorie, «un duello è solo un incontro fra due assassini che si mettono d’accordo per fare a turno nel cercare di ammazzarsi a vicenda».

«Non quando uno dei due è un veterano della frontiera vestito di pelle di cervo, e l’altro è un cittadino subdolo e bugiardo» disse Measure.

«Non mi piacerebbe affatto che un Aaron Burr cercasse di diventare governatore dello stato del Wobbish» mormorò David. «E Bill Harrison, giù a Carthage City, è proprio un tipo del genere. Prima di votare per lui, voterei per Armor».

«E io prima di votare per Armor voterei per te» ribatté Scambiastorie.

David grugnì, continuando ad avvolgere la corda intorno agl’incastri praticati nei tronchi della treggia in modo da unirli a croce. Scambiastorie era intento alla stessa operazione dalla parte opposta. Quando arrivò alla tacca appositamente praticata, Scambiastorie fece per annodare i due capi della corda.

«Aspettate ad annodare» lo fermò Measure. «Vado a chiamare Al Junior». E si avviò di corsa per la salita che conduceva alla cava.

Scambiastorie lasciò i capi della corda. «È Alvin Junior a fare i nodi? Avrei creduto che degli uomini fatti come voi potessero stringerli meglio di lui».

David sorrise. «Lui ha il dono».

«E voi non ne avete, di doni?» chiese Scambiastorie.

«Qualcuno».

«David ha un dono con le signore» spiegò Calm.

«Calm è un ballerino nato» disse David. «E anche col violino, non c’è nessuno che lo batta. Non sarà sempre intonato, ma fa viaggiare quell’archetto che è un piacere».

«E Measure è un gran tiratore» aggiunse Calm. «Riesce a centrare bersagli che gli altri non riescono neanche a vedere».

«Ciascuno ha il suo» disse David. «I gemelli hanno il dono di sapere dov’è che si preparano guai, e arrivarci giusto in tempo».

«Papà invece sa mettere insieme le cose. Quando vogliamo fabbricare qualche mobile, gl’incastri li facciamo fare tutti a lui».

«Le femmine hanno doni da femmine».

«Ma come Al Junior non c’è nessuno» concluse Calm.

David annuì gravemente. «Il fatto è, Scambiastorie, che lui non sembra rendersene conto. Voglio dire che resta sempre un po’ sorpreso quando vede che le cose gli riescono bene. Ogni volta che gli diamo da fare qualche lavoro, lui è tutto orgoglioso. Non l’ho mai visto fare lo sbruffone con gli altri perché il suo dono era più potente del loro».

«È un bravo ragazzo» disse Calm.

«Un po’ maldestro» aggiunse David.

«Non proprio maldestro» lo corresse Calm. «Il più delle volte non è colpa sua».

«Diciamo che intorno a lui gl’incidenti capitano più spesso del normale».

«Io però non parlerei di malocchio o roba del genere» si affrettò a precisare Calm.

«No, non parlerei di malocchio».

Scambiastorie notò che in realtà entrambi ne avevano parlato. Ma non fece commenti sulla loro indiscrezione. Dopo tutto, era la terza voce ad attirare la malasorte. Il suo silenzio era il miglior rimedio per la loro sbadataggine. E gli altri due se ne accorsero immediatamente. Anche loro restarono in silenzio.

Poco dopo, Measure e Alvin Junior comparvero sul sentiero. Scambiastorie non osò aprire bocca, giacché aveva preso parte alla precedente conversazione. Peggio ancora se il prossimo a parlare fosse stato Alvin, in quanto era appunto il suo nome a essere stato collegato col malocchio. Perciò Scambiastorie guardò fisso Measure alzando le sopracciglia, per fargli capire che doveva dire qualcosa.

Measure rispose alla domanda che immaginava Scambiastorie gli avesse rivolto. «Oh, papà è restato su. Di guardia».

Scambiastorie udì David e Calm tirare un sospiro di sollievo. La terza voce non aveva accennato al malocchio. Per adesso, Alvin Junior era al sicuro.

Adesso Scambiastorie era libero di chiedersi perché Miller aveva ritenuto opportuno restare di guardia alla cava. «Che cosa potrebbe succedere alla macina? Sarebbe una novità che i Rossi si mettessero a rubare pietre».

Measure gli strizzò l’occhio. «A volte succedono cose molto strane, specialmente quando si ha a che fare con le macine da mulino».

Stringendo i nodi, Alvin si era messo a scherzare con David e Calm. Evidentemente si sforzava di stringerli il più possibile, ma Scambiastorie vide che non era nel nodo che il suo dono si rivelava. Mentre Al Junior tirava i capi della corda, questa sembrava contorcersi e affondare nelle tacche praticate nel legno, rendendo ancora più solida la struttura della treggia. Era una cosa quasi impercettibile, e se Scambiastorie non fosse stato preavvertito non ci avrebbe fatto neanche caso. Ma era vero. Ciò che Al Junior legava, restava legato.

«Praticamente a tenuta stagna» disse Al Junior facendo un passo indietro per ammirare la propria opera. «Quasi quasi potremmo usarla come zattera».

«Be’, stavolta galleggerà sulla terraferma» disse Measure. «Papà dice che nell’acqua non ci vuole nemmeno più pisciare».

Poiché il sole era ormai basso a occidente, cominciarono a preparare il fuoco. Durante la giornata si erano scaldati lavorando, ma di notte avrebbero avuto bisogno di un bel fuoco per tener lontani gli animali e scacciare il freddo autunnale.

Miller non si fece vedere neanche per cena, e quando Calm si alzò per andare a portargli da mangiare, Scambiastorie si offrì d’accompagnarlo.

«Non so se è il caso» disse Calm. «Francamente non ce n’è bisogno».

«Ma sono io che te lo chiedo».

«Papà… preferisce non avere troppa gente su alla cava, in un momento come questo». Calm sembrava imbarazzato. «È un mugnaio, e quella che stiamo tagliando lassù è la sua macina».

«Io non mi definirei ‘troppa gente’» ribatté Scambiastorie. E poiché Calm non fece più obiezioni, Scambiastorie lo seguì in mezzo alle rocce.

Strada facendo oltrepassarono i punti dai quali in precedenza erano state tagliate altre due macine. In entrambi i casi le schegge di pietra erano state usate per costruire una rampa inclinata che andava dalla parete di roccia al livello del terreno. I buchi erano quasi perfettamente rotondi. Scambiastorie aveva visto molte cave di pietra prima d’allora, ma non aveva mai visto un taglio così… perfettamente rotondo, già nella parete di roccia. In genere si tagliava dalla parete un grande lastrone, che poi veniva adagiato sul terreno e arrotondato. C’erano diversi buoni motivi per agire così, ma quello principale era che senza prendere un intero lastrone non c’era modo di arrivare alla parte posteriore della macina. Calm non rallentò il passo, e Scambiastorie non ebbe la possibilità di guardare da vicino, ma per quanto aveva potuto vedere, non c’era modo in cui il tagliapietre, in quella cava, avesse potuto tagliare la faccia posteriore della macina.

Anche nel nuovo posto era esattamente lo stesso. Miller stava rastrellando le schegge di pietra in modo da creare una rampa orizzontale di fronte alla macina. Scambiastorie indietreggiò per studiare la parete rocciosa negli ultimi riflessi di luce diurna. In un pomeriggio, lavorando da solo, Al Junior aveva lisciate la parte anteriore della macina e, con lo scalpello, ne aveva tagliata l’intera circonferenza. La superficie della pietra, ancora attaccata alla parete rocciosa, era stata praticamente lucidata. Non solo, ma era stato già praticato il foro centrale in cui sarebbe stato inserito l’asse principale del meccanismo del mulino. Il foro giungeva fino in fondo. E nessuno al mondo avrebbe potuto infilarsi là dietro con lo scalpello per iniziare a tagliare la faccia posteriore.

«Ci sa fare con la pietra, il ragazzo» disse Scambiastorie.

Miller emise un grugnito di assenso.

«Ho sentito che pensate di trascorrere la notte quassù».

«Avete sentito bene».

«Vi spiace se resto a tenervi compagnia?» chiese Scambiastorie.

Calm roteò gli occhi.

Dopo un po’, Miller alzò le spalle. «Accomodatevi».

Calm guardò Scambiastorie sgranando gli occhi e inarcando le sopracciglia, come a dire: non si finisce mai di stupirsi.

Deposta su una roccia la cena di Miller, Calm se ne andò. Miller mise da parte il rastrello. «Avete già mangiato?»

«Vado a cercar legna per il fuoco» disse Scambiastorie. «Finché c’è ancora luce. Voi intanto mangiate».

«Attento ai serpenti» disse Miller. «La maggior parte si è già rintanata per l’inverno, ma non si sa mai».

Scambiastorie stette attento ai serpenti, ma non ne vide neanche uno. E ben presto aveva acceso un bel fuoco di rami, sul quale depose un grosso ceppo che avrebbe bruciato per tutta la notte.

Avvolti nelle coperte, si distesero alla luce del fuoco. Scambiastorie notò che allontanandosi dalla cava di qualche passo Miller avrebbe potuto trovare terreno più morbido, ma evidentemente per lui era più importante restare bene in vista della macina da mulino.

Scambiastorie cominciò a parlare. Tranquillamente, ma senza mai interrompersi, parlò di come doveva essere difficile per un padre veder crescere i propri figli, quei figli maschi nei quali aveva riposto tante speranze, senza però essere mai certo che la morte non venisse a rapirgliene qualcuno. Era l’argomento giusto per attaccare discorso, perché ben presto era Alvin Miller a parlare. Raccontò la storia di come il suo maggiore, Vigor, fosse annegato nel fiume Hatrack pochi minuti dopo la nascita di Alvin Junior. Dopo di che, parlò delle decine di occasioni in cui Al Junior era stato sul punto di morire. «Sempre l’acqua» disse Miller alla fine. «Nessuno vuole credermi, ma è così. Sempre l’acqua».

«Il punto è questo: l’acqua è malvagia, e per questo cerca di uccidere un bravo ragazzo?» disse Scambiastorie. «Oppure è buona, e cerca di distruggere un’entità malvagia?»

Era una domanda di fronte alla quale certuni si sarebbero infuriati, ma Scambiastorie aveva rinunciato a capire che cosa potesse suscitare la collera di Alvin Miller. Questa volta non s’infuriò. «Me lo sono chiesto anch’io» disse Miller. «L’ho osservato da vicino, Scambiastorie. Ovviamente ha il dono di farsi voler bene dagli altri. Perfino dalle sue sorelle. Le ha tormentate senza pietà fin da quando è diventato abbastanza alto da sputar loro nel piatto. Eppure non c’è una che non s’ingegni continuamente di fargli qualche cosa di speciale, e non solo per Natale. Sì, può capitare che gli cuciano insieme i calzini, o gli tingano di fuliggine l’asse del gabinetto, o gli riempiano di spilli la camicia da notte, ma non ce n’è una che non darebbe la vita per lui».

«Ho scoperto» disse Scambiastorie, «che certuni hanno il dono di farsi amare senza meritarselo».

«Anch’io ho temuto la stessa cosa» disse Miller. «Ma il ragazzo non sa di avere questo dono. Non ricorre a nessun espediente per indurre gli altri a fare ciò che vuole. Quando si comporta male mi permette di punirlo, anche se volendo potrebbe impedirmelo».

«E come?»

«Perché sa che qualche volta, quando lo guardo, scorgo in lui il mio Vigor, il mio primogenito, e allora non potrei toccarlo nemmeno con un dito, anche se fosse per il suo bene».

Scambiastorie pensò che probabilmente era vero. Ma sicuramente non era l’intera verità.

Un po’ più tardi, dopo che Scambiastorie ebbe smosso le braci per accertarsi che il tronco avesse preso bene, Miller si decise a raccontare la storia per la quale Scambiastorie era salito fin lassù.

«Ho una storia che potrebbe andar bene per il vostro libro» disse.

«Sentiamola» disse Scambiastorie.

«Non è successa a me, però».

«Dev’essere qualcosa che avete visto con i vostri occhi» disse Scambiastorie. «Certuni mi hanno raccontato le cose più inverosimili a proposito di amici di amici».

«No, no, l’ho visto accadere con i miei occhi. È una storia che risale a qualche anno fa. Ho avuto anche occasione di parlarne con l’interessato, uno degli svedesi che abitano a valle, che parla l’inglese quasi meglio di me. Lo abbiamo aiutato a costruire casa e fienile quando arrivò qui, l’anno dopo di noi. E anche allora ho avuto occasione di osservarlo. Insomma, questo tale ha un figlio, un ragazzino biondo, sapete come sono questi svedesi da piccoli».

«Coi capelli così biondi da sembrare bianchi?»

«I suoi ricordano la brina ai primi raggi del sole mattutino, bianchi così, e lucenti. Un bellissimo ragazzo».

«Mi sembra di vederlo» disse Scambiastorie.

«E suo padre gli voleva un bene dell’anima. Lo amava più di se stesso. Conoscete quella storia della Bibbia, di quel padre che donò al figlio una tunica variopinta?»

«L’ho sentita raccontare».

«Ecco, era così che lo amava. Ma un giorno li vedo camminare fianco a fianco lungo il fiume, e il padre all’improvviso fa come per buttarsi in avanti, urta il ragazzo, e lo spedisce a capofitto nel Wobbish. Per fortuna il ragazzo riesce ad aggrapparsi a un tronco, e il padre e io lo aiutiamo a tornare a riva. Ma quello che mi ha fatto paura è stato vedere come il padre avrebbe potuto uccidere il figlio che più amava. Non l’avrebbe fatto apposta, capite, ma questo non avrebbe reso il figlio meno morto, o il padre meno colpevole».

«Il padre avrebbe potuto non riprendersi mai più da un colpo del genere».

«Certo che no. Eppure, non molto tempo dopo, l’ho visto accadere di nuovo, e in più di un’occasione. Una volta il padre stava spaccando la legna, e la scure gli è sfuggita di mano, e se in quel preciso momento il ragazzo non fosse scivolato, quella scure l’avrebbe preso in pieno nella testa, e non ho mai visto nessuno sopravvivere dopo una cosa del genere».

«Nemmeno io».

«Allora ho cercato di capire che cosa stava succedendo. Che cosa poteva avere in testa quel padre. Così un giorno sono andato da lui e gli ho detto: ‘Nels, faresti meglio a stare più attento con quel ragazzo attorno. Se continui a maneggiare la scure con tanta disinvoltura, un giorno o l’altro gli staccherai la testa’.

«E Nels mi fa: ‘Signor Miller, non è stato un incidente’. Be’, il rutto di un lattante sarebbe bastato a mandarmi lungo disteso. Che significa, non è stato un incidente? E lui mi fa: ‘Non sapete quant’è brutta. Ormai sono convinto che una strega mi abbia lanciato una maledizione, o il demonio si sia impadronito di me, perché insomma io me ne sto tranquillo a lavorare pensando a quanto voglio bene a quel ragazzo, e all’improvviso mi prende una gran voglia di ucciderlo. La prima volta mi è successo quand’era piccolissimo, e mi trovavo in cima alle scale con lui in braccio, e ho sentito come una voce nella testa che mi diceva: Buttalo giù e io volevo farlo, anche se al tempo stesso sapevo che sarebbe stata la cosa più tremenda del mondo. Avevo una voglia spaventosa di buttarlo giù, come un ragazzo quando gli viene voglia di spiaccicare un insetto con un sasso. Volevo vedere la sua testa sfracellata sul pavimento.

«’Be’, quella volta sono riuscito a vincere il desiderio, a ricacciarlo indietro, e intanto stringevo il bambino così forte che quasi lo soffocavo. Alla fine, quando l’ho rimesso nella culla, sapevo che da quel momento in poi non mi sarei più azzardato a portarlo su per le scale.

«’Ma non potevo semplicemente far finta che non esistesse, no? Era mio figlio, e crescendo si è fatto così intelligente, bello e bravo che era giocoforza volergli bene. Se gli stavo lontano, piangeva perché suo padre non giocava con lui. Ma, se stavo con lui, quell’impulso omicida tornava a impadronirsi di me. Non tutti i giorni, ma di frequente, e qualche volta così in fretta che lo facevo prima ancora di rendermi conto di quel che stava avvenendo. Come il giorno che l’ho buttato nel fiume, è successo semplicemente che ho fatto un passo falso e sono inciampato, ma nel fare quel passo sapevo già che era un passo falso e sarei inciampato, e che gli sarei andato addosso, lo sapevo, ma non ho avuto il tempo di fermarmi. E un giorno o l’altro so che non riuscirò a fermarmi… non lo farò apposta, ma un giorno o l’altro quando mi troverò quel ragazzo sottomano, lo ucciderò’».

Scambiastorie vide la mano di Miller sollevarsi, come per asciugare una lacrima dalla guancia.

«Non è una cosa stranissima?» chiese Miller. «Un uomo che prova per suo figlio un sentimento del genere».

«Quel tale ha altri figli?»

«Qualcuno. Perché?»

«Mi chiedevo se ha mai provato il desiderio di uccidere anche loro».

«Mai, nemmeno di sfuggita. A dire il vero, gliel’ho chiesto. Gliel’ho chiesto, e lui mi ha risposto che non gli era mai capitato, nemmeno una volta».

«Be’, signor Miller, e voi che cosa gli avete detto?»

Miller respirò a fondo alcune volte. «Non sapevo che cosa dirgli. Certe cose sono semplicemente troppo grosse perché una persona come me possa capirle. Per esempio, il motivo per cui l’acqua cerca di uccidere mio figlio Alvin. E poi quello svedese con suo figlio. Forse alcuni bambini non sono destinati a diventare grandi. Non credete, Scambiastorie?»

«Credo che alcuni bambini siano così importanti da far sì che qualcuno — qualche forza al mondo — li voglia morti. Ma esistono sempre altre forze, magari più potenti, che li vogliono vivi».

«E allora come mai queste forze non si manifestano, Scambiastorie? Perché non arriva qualche potenza celeste e non mi… perché non va da quel povero svedese, e non gli dice: ‘Non temere più, tuo figlio è al sicuro, anche da te!’».

«Forse queste forze non si esprimono a parole. Forse queste forze si limitano a mostrarci ciò che sono capaci di fare».

«L’unica forza che si manifesti apertamente è quella che lo vuole uccidere».

«Non so per quel ragazzo svedese» disse Scambiastorie, «ma direi che vostro figlio qualcuno o qualcosa che lo protegge ce l’ha di sicuro. Da quanto mi avete raccontato, è un miracolo che non sia già morto dieci volte».

«È la verità».

«Sono convinto che qualcuno lo protegga».

«Non abbastanza».

«L’acqua non è mai riuscita a prenderselo, non è vero?»

«Ci è arrivata così vicina, Scambiastorie».

«E per quanto riguarda quel ragazzo svedese, so che ha qualcuno che lo protegge».

«E chi?»

«Ma suo padre, naturalmente».

«Suo padre gli è nemico».

«Non credo proprio» disse Scambiastorie. «Lo sapete a quanti padri capita di uccidere un figlio? Vanno a caccia, e per sbaglio parte un colpo. Oppure il ragazzo finisce schiacciato da un carro, o cade. Succede in continuazione. Forse quei padri semplicemente non vedono che cosa gli sta succedendo. Ma lo svedese è un uomo intelligente, capisce che cosa gli sta succedendo, e si tiene sotto controllo: ogni volta si coglie sul fatto in tempo».

Miller sembrava un po’ più speranzoso. «Secondo voi, allora, come padre non è poi così male».

«Se così non fosse, signor Miller, il ragazzo sarebbe morto e sepolto da un pezzo».

«Forse. Forse».

Miller ci meditò su a lungo. Tanto a lungo, anzi, che Scambiastorie si assopì, svegliandosi di soprassalto quando Miller ricominciò a parlare.

«… e la cosa non migliora, anzi peggiora. Vincere quegli impulsi gli diventa sempre più difficile. Non molto tempo fa, era in piedi su un soppalco nel… nel suo fienile, a inforcare il fieno. E lì, sotto di lui, c’era il suo ragazzo, e lui non avrebbe dovuto far altro che scagliare il forcone; sarebbe stata la cosa più facile al mondo, avrebbe potuto dire che il forcone gli era scivolato e nessuno l’avrebbe mai saputo. Scagliare il forcone, e infilzare il ragazzo da parte a parte. E stava per farlo. Mi capite? Respingere quell’impulso era difficile, molto più difficile di quanto gli fosse mai accaduto, e lui semplicemente si è dato per vinto. Ha deciso di cedere, di farla finita. Ma proprio in quel momento uno straniero è comparso sull’ingresso e ha gridato: ‘No!’, e io ho messo giù il forcone… è così che me l’ha raccontata: ‘Ho messo giù il forcone, ma tremavo in maniera tale che non riuscivo nemmeno a camminare, sapendo che quello straniero aveva letto nel mio cuore l’impulso di uccidere, sicuramente avrà pensato che sono l’uomo più crudele del mondo, per desiderare di uccidere il mio stesso figlio, non può neanche immaginare quanto io abbia lottato per tutti questi anni…’».

«Forse quello straniero sapeva qualcosa sulle forze che possono agitarsi nel cuore di un uomo» disse Scambiastorie.

«Dite davvero?»

«Oh, non posso esserne certo, ma forse quello straniero ha visto anche quanto il padre amasse quel ragazzo. Forse lo straniero è rimasto a lungo perplesso, ma alla fine ha cominciato a capire che il ragazzo era dotato di poteri straordinari, e che aveva nemici altrettanto potenti. E poi forse è arrivato a capire che per quanti nemici avesse il ragazzo, il padre non era uno di loro. Non era un nemico. E a quel padre avrebbe voluto dire qualcosa».

«Che cosa avrebbe voluto dirgli?» Miller si strofinò di nuovo la manica sugli occhi. «Secondo voi, che cosa avrebbe voluto dirgli, quello straniero?»

«Forse avrebbe voluto dirgli: ‘Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere, e adesso le tue forze non ti bastano più. Adesso faresti meglio a mandare via il ragazzo. Da qualche parente rimasto all’est, magari, oppure come apprendista in una città’. Per il padre potrebbe essere una decisione molto difficile, perché grande è il suo amore per il ragazzo, ma lo farà, perché sa che vero amore è tenere il ragazzo lontano dai pericoli».

«Sì» disse Miller.

«Già che ne parliamo» disse Scambiastorie, «forse dovreste fare qualcosa del genere anche con vostro figlio Alvin».

«Può darsi» disse Miller.

«Non vi sembra che corra un po’ troppi rischi, con tutta l’acqua che c’è da queste parti? Qualcuno o qualcosa lo sta proteggendo. Ma forse se Alvin non vivesse più qui…».

«Almeno certi pericoli non li correrebbe più» disse Miller.

«Pensateci su» disse Scambiastorie.

«Mandare un figlio a vivere con degli estranei è una cosa terribile» disse Miller.

«Ma più terribile ancora è vederlo finire sotto terra».

«Sì» disse Miller. «È la cosa peggiore del mondo. Veder finire un figlio sotto terra».

Tacquero entrambi, e poco dopo si addormentarono.

Il mattino dopo faceva freddo e il terreno era ricoperto di brina. Miller non volle che Al Junior si avvicinasse alla roccia finché il sole non l’avesse fatta completamente evaporare. Trascorsero così la mattina a preparare il terreno dalla parete di roccia alla treggia, in modo da far rotolare la macina giù per la discesa.

Scambiastorie era ormai certo che per staccare la macina dalla parete rocciosa Al Junior avrebbe usato qualche potere occulto, del quale lui stesso non si rendeva conto. Scambiastorie era curioso. Voleva capire esattamente quale fosse la portata di quel potere, in modo da comprenderne più a fondo la natura. E siccome Al Junior non si rendeva conto di ciò che faceva, anche Scambiastorie avrebbe dovuto effettuare il proprio esperimento di nascosto. «E come volete rifinirla, la vostra macina?» s’informò Scambiastorie.

Miller alzò le spalle. «Fino a ora ho sempre usato macine Buhr. E hanno tutte una finitura a falcetto».

«Potreste farmela vedere?» chiese Scambiastorie.

Con il lato del rastrello, Miller tracciò un cerchio nella brina. Quindi disegnò una serie di archi che dal centro del cerchio giungevano alla circonferenza. In mezzo a ogni coppia di archi, tracciò un arco più breve, che partiva dalla circonferenza esterna ma non giungeva a più di due terzi della distanza dal centro. «Più o meno così» disse Miller.

«La maggior parte delle macine da mulino usate in Pennsylvania e Suskwahenny hanno una finitura ad angolo. Sapete com’è?»

«Fatemi vedere».

Così Scambiastorie tracciò un altro cerchio. Siccome la brina si stava sciogliendo, non si vedeva bene come prima, ma era sufficiente allo scopo. Dal centro alla circonferenza tracciò una serie di linee che invece di essere curve erano diritte, mentre le linee più corte si dipartivano perpendicolarmente dal centro di quelle più lunghe fino a toccare la circonferenza.

«Alcuni mugnai le preferiscono così, perché mantengono il filo più a lungo. Siccome le linee sono tutte diritte, quando si lavora la pietra è più facile tracciare un disegno regolare».

«Me ne rendo conto» disse Miller. «Ma non saprei. Ormai ho fatto l’occhio a quelle linee curve».

«Be’, fate come volete» disse Scambiastorie. «Non ho mai fatto il mugnaio, perciò non voglio mettere bocca. Io mi limito a raccontare quello che ho visto».

«Oh, non mi dispiace affatto» disse Miller. «Fa sempre piacere imparare qualcosa di nuovo».

Al Junior, in piedi accanto a loro, studiava i due disegni.

«Quando saremo a casa con la macina» disse Miller, «penso proprio che proverò questa finitura ad angolo. Mi rende l’idea che il grano venga macinato in modo più uniforme».

Finalmente il terreno era asciutto, e Al Junior poté avvicinarsi alla parete rocciosa. I suoi fratelli erano tutti più in basso a smontare il campo o a condurre i cavalli verso la cava. Solo Miller e Scambiastorie erano presenti quando finalmente Al Junior si accostò col mazzuolo alla parete. Gli restava da tagliare ancora un piccolo tratto di circonferenza, in modo che la scanalatura giungesse ovunque alla stessa profondità.

Con grande sorpresa di Scambiastorie, quando Al Junior appoggiò lo scalpello e lo colpì col mazzuolo, un’intera fetta di roccia lunga una ventina di centimetri si staccò dalla parete per sbriciolarsi a terra.

«Ehi, ma quella pietra è morbida come il carbone» disse Scambiastorie. «Che razza di macina se ne potrà ricavare, se è così debole?»

Miller sorrise scuotendo la testa.

Al Junior fece un passo indietro dalla parete. «Mano, Scambiastorie, come pietra è dura, a meno che non si sappia esattamente dove tagliare. Provateci voi, e ve ne accorgerete».

Così dicendo, gli offrì mazzuolo e scalpello. Scambiastorie prese gli attrezzi e si avvicinò a sua volta alla roccia. Facendo molta attenzione, appoggiò lo scalpello alla pietra, leggermente inclinato rispetto alla perpendicolare. Quindi, dopo alcuni colpetti d’assaggio, abbassò con forza il mazzuolo.

Lo scalpello praticamente gli balzò via dalla sinistra, e il contraccolpo fu tale che il mazzuolo gli sfuggì dalle dita. «Mi dispiace» disse. «L’ho già fatto altre volte, ma devo avere un po’ perso la mano…».

«Oh, è semplicemente la pietra» disse Al Junior. «È un po’ bizzosa. Le piace cedere solo in certe direzioni».

Scambiastorie ispezionò il punto che aveva cercato di incidere, ma non riuscì a trovare il segno dello scalpello. Quel colpo sferrato con tutta la sua forza non aveva lasciato la minima traccia.

Al Junior raccolse gli attrezzi e appoggiò lo scalpello alla parete. A Scambiastorie parve che l’avesse collocato nello stesso identico punto. Ma Al si comportò come se l’avesse collocato in maniera completamente diversa. «Vedete, è tutta questione di trovare la giusta angolazione. Così».

Diede un colpo di mazzuolo, il ferro risuonò, si udì la roccia sgretolarsi, e di nuovo i frammenti di pietra tambureggiarono al suolo.

«Adesso capisco perché fate fare tutto il lavoro a lui» disse Scambiastorie.

«Ci è sembrata la soluzione migliore» disse Miller.

Nel giro di qualche minuto, la circonferenza era terminata. Scambiastorie non fece commenti. Era curioso di vedere che cosa sarebbe accaduto adesso.

Il ragazzo depose gli attrezzi, si avvicinò alla macina e l’abbracciò. Le dita della mano destra si contrassero intorno al bordo. La mano sinistra esplorò la scanalatura dalla parte opposta. Alvin premeva la guancia contro la pietra, con gli occhi chiusi. Stando a tutte le apparenze, era intento ad ascoltare la pietra.

A bocca chiusa, cominciò a canticchiare una melodia improvvisata. Mosse le mani. Cambiò posizione. Ascoltò con l’altro orecchio.

«Be’» disse Alvin «non riesco proprio a crederci».

«Credere a che?» chiese suo padre.

«Gli ultimi colpi debbono aver fatto vibrare la roccia fino a schiantarla. La parte posteriore è già staccata dalla parete».

«Vuoi dire che la macina adesso è libera?» chiese Scambiastorie.

«Penso che adesso si possa farla dondolare in avanti» disse Alvin. «Bisognerà lavorare di corda, ma probabilmente riusciremo a tirarla fuori senza troppa fatica».

Arrivarono i suoi fratelli, con corde e cavalli. Alvin fece passare una corda dietro la macina. Anche se sulla faccia posteriore non era stato dato neanche un colpo di scalpello, la corda passò senza difficoltà. Poi un’altra corda, e un’altra, e ben presto si misero tutti a tirare, prima a sinistra, poi a destra, facendo avanzare lentamente la pesante macina fuori dal suo letto nella parete rocciosa.

«Se non l’avessi visto con i miei occhi…» mormorò Scambiastorie.

«Ma l’avete visto» disse Miller.

La macina era avanzata solo di qualche palmo quando cambiarono le corde, passandone quattro attraverso il foro centrale e attaccandole a un tiro di cavalli a monte della pietra. «Giù per la discesa rotolerà da sola» spiegò Miller, rivolgendosi a Scambiastorie. «I cavalli servono solo a trattenerla, tirando nella direzione opposta».

«Sembra pesante».

«Basta che non vi ci mettiate davanti» disse Miller.

Cominciarono a farla rotolare, pian piano. Miller aveva preso Alvin per una spalla e lo teneva a rispettosa distanza dalla macina… e sempre a monte. Scambiastorie era andato a dare una mano con i cavalli, perciò non ebbe occasione di osservare da vicino la faccia posteriore della macina finché questa non fu giunta in fondo alla discesa, dove l’attendeva la treggia.

Era liscia come il culetto di un neonato. Liscia come il ghiaccio in una tinozza. E la superficie era rifinita ad angolo, con una serie di linee perfettamente diritte che s’irradiavano dal foro centrale alla circonferenza.

Alvin gli si avvicinò. «Ho capito bene come doveva essere?» chiese.

«Sì» disse Scambiastorie.

«È stato un autentico colpo di fortuna» disse il ragazzo. «Non so come, ho sentito che la pietra era pronta a spaccarsi lungo quelle linee. Chiedeva solo di spaccarsi così. È stato facilissimo».

Scambiastorie allungò la mano e passò delicatamente il dito lungo il bordo di una delle scanalature. Sentì male. Si portò le dita alla bocca, e quando succhiò sentì il sapore del sangue.

«Un bel filo, eh?» disse Measure. Da come lo diceva, sembrava che cose del genere accadessero tutti i giorni. Ma Scambiastorie scorse il timore reverenziale nei suoi occhi.

«Ottimo taglio» disse Calm.

«Il migliore fino a oggi» disse David.

Poi, coi cavalli sempre in tiro onde evitare una caduta improvvisa, calarono pian piano la macina fino ad adagiarla sulla treggia, con il lato scanalato in alto.

«Mi fareste un favore, Scambiastorie?»

«Se posso».

«Riportate Alvin a casa. Il suo compito è finito».

«No, papà!» gridò Alvin. Corse da suo padre. «Non puoi mandarmi a casa adesso!»

«Non ho nessun bisogno di avere marmocchi tra i piedi mentre manovriamo una pietra di queste dimensioni» disse suo padre.

«Ma debbo tener d’occhio la pietra, per essere sicuro che non si scheggi o si spezzi, papà!»

I fratelli più grandi guardarono il padre, attendendo la sua risposta. Scambiastorie si chiese che cosa sperassero. Di sicuro erano ormai troppo grandi per essere gelosi dell’affetto particolare che Miller provava per il suo settimo figlio. E certamente tutti quanti si auguravano che il ragazzo restasse lontano da ogni pericolo. Eppure per tutti loro era essenziale che la macina arrivasse sana e salva al mulino. E non potevano esserci dubbi sul fatto che il giovane Alvin disponesse dei poteri necessari a conservarla intatta.

«Puoi restare con noi fino al tramonto» disse Miller alla fine. «A quel punto saremo abbastanza vicini a casa perché tu e Scambiastorie possiate andare avanti e trascorrere la notte sotto un tetto».

«A me va bene» disse Scambiastorie.

Alvin Junior non sembrava particolarmente entusiasta, ma non protestò.

Prima di mezzogiorno la treggia era in movimento. Due cavalli davanti e due di dietro per trattenerla, attaccati direttamente alla macina appoggiata sul pianale della treggia, che avanzava su sei o sette rulli di legno. Ogni volta che un rullo emergeva dalla parte posteriore, uno dei ragazzi lo sfilava da sotto le funi attaccate alla pariglia di coda, correva avanti e lo collocava immediatamente alle spalle della pariglia di testa. Questo significava che per ogni miglio coperto dalla treggia, ciascuno di loro correva per circa cinque miglia.

Scambiastorie si offrì di dare il proprio contributo, ma siccome David, Calm e Measure non vollero sentire ragioni, finì con l’occuparsi della pariglia di coda, con Alvin appollaiato in sella a uno dei cavalli. Miller invece guidava la pariglia di testa, camminando all’indietro per metà del tempo per accertarsi di non andare troppo in fretta e che i ragazzi riuscissero a tenere il passo.

Proseguirono così, un’ora dopo l’altra. Miller propose ai ragazzi di fermarsi a riposare, ma loro sembravano non conoscere stanchezza, e Scambiastorie notò con meraviglia la resistenza dei rulli. Nemmeno uno si spaccò contro una pietra o sotto il peso della macina. A parte qualche ammaccatura o qualche scheggia saltata via, non diedero segni di cedimento.

E quando il sole era ormai a non più di due dita sopra l’orizzonte, avvolto nelle nubi rossastre del cielo a occidente, Scambiastorie riconobbe il prato che si spalancava di fronte a loro. Avevano fatto l’intero tragitto in un solo pomeriggio.

«Penso di avere i fratelli più forti del mondo» mormorò Alvin.

Non ne ho il minimo dubbio, disse silenziosamente Scambiastorie. Tu che puoi staccare una macina dalla montagna senza nemmeno usare le mani, solo perché «trovi» nella roccia le fratture giuste, non c’è da stupirsi se i tuoi fratelli scoprono in sé esattamente la forza che tu hai loro attribuito. Di nuovo, come molte altre volte in precedenza, Scambiastorie cercò di comprendere la vera natura dei poteri occulti. Sicuramente il loro uso era governato da qualche legge naturale; il vecchio Ben lo diceva sempre. Eppure ecco un ragazzo che con la sola forza della convinzione riusciva a tagliare la roccia come il burro e a dare forza ai suoi fratelli. Sì, c’era una teoria secondo cui ogni potere occulto nasceva dall’affinità con un particolare elemento; ma quale elemento poteva dare ad Alvin i suoi poteri? La terra? L’aria? Il fuoco? Sicuramente non l’acqua, perché Scambiastorie sapeva che le storie di Miller erano tutte vere. Com’era possibile che ad Alvin Junior bastasse desiderare qualcosa, e la terra stessa si piegasse alla sua volontà, mentre altri potevano bramare qualcosa con tutte le loro forze senza far spirare neanche un alito di vento?

Quando giunsero al mulino e venne il momento di far rotolare la macina oltre la soglia, dovettero farlo al lume della lanterna. «Già che ci siamo, meglio sistemarla stanotte» disse Miller. Scambiastorie immaginò le paure che si agitavano nella mente di Miller. Se avesse lasciato la macina in posizione verticale, la mattina dopo sarebbe sicuramente rotolata giù per la discesa schiacciando un certo bambino che in tutta innocenza stava riportando due secchi d’acqua verso casa. Visto che la pietra era miracolosamente scesa dalla montagna nel giro di una sola giornata, sarebbe stata follia lasciarla da qualsiasi altra parte se non nel luogo che le era destinato, ossia sulla base di pietrisco e di terra battuta all’interno dell’edificio.

Così portarono dentro una pariglia e l’attaccarono alla macina, come avevano fatto alla cava per calarla sulla treggia. La pariglia avrebbe tirato in modo da guidare la discesa della macina verso la base.

Per il momento, tuttavia, la macina riposava contro un terrapieno eretto di fianco alla base. Measure e Calm stavano infilando sotto il bordo esterno i pali con cui avrebbero fatto leva, per sollevarla e farla cadere al suo posto. Mentre lavoravano, la pietra dondolava leggermente. David tratteneva i cavalli; sarebbe stato un disastro se avessero tirato troppo presto facendo cadere la pietra dalla parte sbagliata, fuori dalla base e con la faccia scanalata in basso.

Scambiastorie si era fatto da parte e guardava Miller dirigere i figli con inutili grida di: «Attento laggiù!» e «Piano adesso!». Alvin era rimasto a fianco del vecchio sin da quando avevano portato la macina all’interno della costruzione. Uno dei cavalli diede segni di nervosismo. Miller reagì immediatamente. «Calm, va’ ad aiutare tuo fratello coi cavalli!» esclamò, avanzando d’un passo nella stessa direzione.

In quel preciso istante, Scambiastorie si rese conto che Alvin, dopotutto, non si trovava affatto al suo fianco. Con una scopa in mano, camminava speditamente verso la macina. Forse aveva visto del pietrisco sulla base: meglio spazzarlo via, no? I cavalli indietreggiarono; le funi si allentarono. Proprio mentre Alvin spariva dietro la macina, Scambiastorie si rese conto che con le corde così lente, se per caso la macina avesse deciso di cadere proprio in quel momento niente avrebbe potuto impedirle di piombare sulla base.

In un mondo ragionevole non sarebbe certamente caduta. Ma ormai Scambiastorie sapeva che quello non era affatto un mondo ragionevole. Alvin Junior aveva un nemico invisibile e potentissimo che non si sarebbe certamente lasciato sfuggire un’occasione del genere.

Scambiastorie balzò avanti. Non era ancora arrivato alla macina che avvertì un movimento improvviso nel terreno sotto i suoi piedi, un cedimento del pavimento in terra battuta. Non di molto, solo di qualche pollice, ma sufficiente a far abbassare il bordo interno della macina e a farne oscillare la parte superiore di più di due piedi, così bruscamente che arrestarla sarebbe stato impossibile. La macina sarebbe caduta di schianto sulla base, là dove si trovava Alvin Junior, stritolandolo come un pugnetto di grano.

Con un grido, Scambiastorie afferrò il braccio del ragazzo dandogli un violento strattone all’indietro, lontano dalla macina. Soltanto allora Alvin vide l’immensa mole che gli precipitava addosso. Lo strattone di Scambiastorie fu sufficiente a spostare il ragazzo di qualche passo, ma non bastava. Le gambe si trovavano ancora sotto la macina. Adesso questa cadeva in fretta, troppo in fretta perché Scambiastorie potesse reagire, fare qualsiasi cosa che non fosse guardarla schiacciare le gambe di Alvin. Scambiastorie sapeva che una ferita del genere avrebbe significato morire, tranne che ci avrebbe messo tempo. Aveva fallito.

Ma in quel preciso momento, mentre guardava la macina abbattersi su Alvin con violenza omicida, vide una crepa aprirsi nella pietra, e in meno d’un istante diventare una lunga fenditura che attraversava la macina da parte a parte. Le due metà si separarono di colpo, ciascuna con un movimento tale da andare a cadere accanto alla gamba di Alvin, senza toccarlo…

E nello stesso momento in cui Scambiastorie scorse la luce della lanterna brillare nella fenditura, udì la voce di Alvin gridare: «No!».

Chiunque altro avrebbe pensato che il ragazzo avesse gridato per la caduta della macina, di fronte alla propria morte imminente. Ma per Scambiastorie, disteso a terra accanto a lui, mentre la luce della lanterna lo abbagliava attraverso la fenditura nella macina, quel grido assunse un significato completamente diverso. Incurante del pericolo, come spesso accade ai bambini, Alvin gridava nel vedere la macina spaccarsi. Dopo averci tanto lavorato, e dopo tante fatiche per portarla a casa, non sopportava l’idea che potesse rompersi.

E siccome non riusciva a sopportarlo, non accadde. Le due metà della pietra si riunirono di colpo, quasi fossero calamitate, e la macina piombò a terra in un unico blocco.

L’ombra della pietra ne aveva ingigantite le reali dimensioni. Non schiacciò ambedue le gambe di Alvin. La gamba sinistra, anzi, piegata sotto il corpo com’era, non fu nemmeno toccata. La gamba destra però era messa in modo che la caviglia restava di tre o quattro dita sotto il bordo della macina. Poiché Alvin stava ancora tirando indietro le gambe, l’impatto con la pietra spinse la caviglia verso l’esterno. Il bordo della macina strappò la pelle e il muscolo fino all’osso, ma non prese in pieno la gamba. Addirittura questa avrebbe potuto non rompersi, se sotto non ci fosse stato il manico della scopa messo di traverso. La macina spinse la gamba di Alvin contro il manico di quel tanto che bastò a spezzare in due tibia e perone. I bordi taglienti dell’osso ruppero la pelle e si fermarono contro il manico della scopa, serrandolo come le ganasce di una morsa. Ma la gamba non era più sotto la macina, e la frattura era netta, l’osso non era andato in frantumi.

Poi nel locale si unirono lo schianto assordante della pietra sulla pietra, le urla disperate degli uomini annichiliti dall’orrore, e soprattutto lo straziante grido di dolore di un ragazzo che non era mai sembrato così piccolo e fragile come adesso.

Quando gli altri lo raggiunsero, Scambiastorie si era già accertato che le gambe di Alvin non fossero rimaste sotto la macina. Alvin cercò di tirarsi a sedere per guardarsi la gamba. Ma la vista o il dolore della frattura furono troppo per lui, e svenne. Suo padre gli giunse accanto proprio in quel momento; non era stato il più vicino, ma si era mosso più in fretta degli altri. Scambiastorie cercò di rassicurarlo; con i tronconi d’osso appoggiati sul manico di scopa, la gamba non sembrava rotta. Miller cercò di sollevarlo, ma la gamba non cedeva, e sebbene il ragazzo fosse già svenuto il dolore gli strappò un gemito. Fu Measure a farsi forza e a tirare la gamba fino a liberarla dal manico di scopa.

David aveva già una lanterna in mano, e mentre Miller camminava verso casa col figlio tra le braccia, David gli correva accanto per illuminargli la via. Measure e Calm avrebbero voluto seguirli, ma Scambiastorie li richiamò. «Lassù ci sono già le donne, e David, e vostro padre» disse. «E qualcuno deve pur occuparsi di tutto questo».

«Avete ragione» disse Calm. «Non credo che papà vorrà tornare qui tanto presto».

Facendo leva coi pali, i due giovani sollevarono la macina di quel tanto che permise a Scambiastorie di sfilare il manico di scopa e le corde alle quali erano ancora attaccati i cavalli. Insieme, portarono tutta l’attrezzatura fuori dall’edificio, quindi condussero i cavalli nella stalla e misero via attrezzi e provviste. Solo allora Scambiastorie fece ritorno a casa, dove scoprì che Alvin Junior era stato messo a dormire nel suo letto.

«Spero che non vi disturbi» si scusò Anne.

«Certo che no» disse Scambiastorie.

Le sorelle e Cally stavano sparecchiando. Nella camera che fino a quel momento era stata di Scambiastorie, Faith e Miller, ambedue pallidissimi e tirati in viso, sedevano ai lati del letto in cui Alvin giaceva con la gamba steccata e fasciata.

David era in piedi accanto alla porta. «Era una frattura netta» sussurrò a Scambiastorie. «Ma la ferita… abbiamo paura che gli venga un’infezione. Non ha più pelle, sul davanti della caviglia. Non so nemmeno se con l’osso messo a nudo in quel modo sia possibile guarire».

«Avete rimesso a posto la pelle?» chiese Scambiastorie.

«Quella rimasta l’abbiamo tirata sull’osso, e mamma ce l’ha cucita sopra».

«Ben fatto» disse Scambiastorie.

Faith sollevò la testa. «V’intendete anche di medicina, Scambiastorie?»

«Quella che un uomo può avere imparato dopo anni trascorsi a cercare di fare ciò che poteva in mezzo a gente che ne sapeva quanto lui».

«Com’è potuto accadere?» disse Miller. «Perché proprio adesso, dopo tante volte in cui se l’è cavata senza un graffio?» Alzò lo sguardo verso Scambiastorie. «Avevo finito col convincermi che il ragazzo avesse un protettore».

«Ce l’ha, infatti».

«Allora questo protettore stavolta ha fallito».

«Non ha fallito» lo contraddisse Scambiastorie. «Per un istante, mentre la macina veniva giù, l’ho vista spaccarsi in due, e le due metà sarebbero sicuramente cadute in modo da non fargli alcun male».

«Come la trave» mormorò Faith.

«Anche a me per un attimo è parso così, papà» disse David. «Ma quando è caduta tutta in un pezzo ho pensato di aver visto ciò che desideravo accadesse, e non ciò che stava veramente accadendo».

«Ma nella pietra non si vede traccia di rottura» disse Miller.

«No» disse Scambiastorie. «Perché Alvin Junior si è rifiutato di lasciarla spaccare».

«Volete dire che ha rimesso insieme i due pezzi? In modo che gli schiacciasse la gamba, sfracellandogliela?»

«Voglio dire che in quel momento non ha minimamente pensato alla gamba» disse Scambiastorie. «Solo alla macina».

«Oh, bambino mio, povero bambino mio tanto generoso» mormorò sua madre, carezzando dolcemente il braccio del ragazzo. Quando arrivò alle dita, queste si distesero; quando gliele lasciò andare, tornarono di scatto nella posizione primitiva.

«È possibile?» chiese David. «Che la macina si sia spaccata e subito dopo sia tornata intera?»

«Dev’essere possibile per forza» disse Scambiastorie, «visto che è successo».

Faith sfiorò di nuovo le dita del figlio. Stavolta queste non ripresero la posizione primitiva, ma si estesero ancora, quindi si strinsero a pugno, poi si aprirono di nuovo.

«È sveglio» disse suo padre.

«Vado a prendergli un po’ di rum» disse David. «Per alleviare il dolore. Armor ne avrà certamente, nel suo magazzino».

«No» mormorò Alvin.

«Il ragazzo dice di no» disse Scambiastorie.

«Cosa volete che capisca, col dolore che deve provare?»

«Deve mantenersi lucido, se può» disse Scambiastorie. S’inginocchiò accanto al letto, alla destra di Faith, così da avvicinarsi il più possibile al viso del ragazzo. «Alvin, mi senti?»

Alvin emise un gemito che probabilmente voleva dire ‘sì’.

«Allora ascoltami. Ti sei fatto molto male alla gamba. Le ossa sono rotte, ma sono state rimesse a posto e dovrebbero saldarsi senza difficoltà. Ma la pelle si è lacerata, e anche se tua madre l’ha ricucita è possibile che muoia e venga attaccata dalla cancrena, uccidendoti. La maggior parte dei chirurghi, per salvarti la vita, ti amputerebbe la gamba».

Alvin scosse violentemente la testa, nell’evidente tentativo di urlare. Ne venne fuori solo un lamento: «No, no, no».

«Lo fate soffrire ancora di più!» disse Faith irosamente.

Scambiastorie guardò il padre, come a chiedere il suo permesso per continuare.

«Non dovete tormentarlo» disse Miller.

«C’è un proverbio» disse Scambiastorie. «Il melo non chiede consiglio al faggio per crescere, né il leone al cavallo per catturare la sua preda».

«E che cosa significa?» chiese Faith.

«Significa che non spetta a me insegnare a lui come usare poteri della cui natura non so assolutamente nulla. Ma poiché nemmeno lui sa come fare, debbo almeno provarci, non vi sembra?»

Miller meditò per un momento. «Continuate, Scambiastorie. Che riesca o meno a guarire se stesso, è meglio che sappia come stanno le cose».

Scambiastorie prese con delicatezza la mano del ragazzo. «Alvin, tu vuoi che la tua gamba si salvi, vero? Allora devi pensare alla gamba nello stesso modo in cui hai pensato alla pietra. Devi pensare alla pelle della gamba che ricresce, attaccandosi all’osso. Devi studiarla a fondo. Di tempo ne hai in abbondanza, disteso a letto come sei. Non pensare al dolore, pensa alla gamba come dovrebbe essere, integra e forte come prima».

Alvin restò immobile nel letto, serrando le palpebre per il dolore.

«Lo stai facendo, Alvin? Puoi provarci, almeno?»

«No» disse Alvin.

«Devi combattere contro il dolore, in modo da poter usare il tuo talento neh” aggiustare le cose».

«Non lo farò mai».

«E perché no?» esclamò Faith.

«L’Uomo Luminoso» disse Alvin. «Gliel’ho promesso».

Scambiastorie ricordò il giuramento che Alvin aveva fatto all’Uomo Luminoso, e si sentì invadere dallo scoramento.

«Chi sarebbe quest’Uomo Luminoso?» chiese Miller.

«Una… un’apparizione che ha avuto quand’era piccolo» spiegò Scambiastorie.

«E come mai non ne abbiamo mai sentito parlare?»

«È successo la notte dopo l’incidente della trave» disse Scambiastorie. «Alvin ha promesso all’Uomo Luminoso che non avrebbe mai usato i suoi poteri a proprio vantaggio».

«Ma Alvin» disse Faith. «Stavolta non sarebbe per diventare ricco o cose del genere, stavolta sarebbe per salvarti la vita».

Il ragazzo si limitò a scuotere la testa con una smorfia di dolore.

«Potrei restare solo con lui?» chiese Scambiastorie. «Solo per qualche minuto, in modo da potergli parlare?»

Scambiastorie non aveva ancora finito di dirlo che Miller stava spingendo Faith fuori dalla porta.

«Alvin» disse Scambiastorie. «Devi ascoltarmi attentamente. Sai che non ti direi mai una bugia. Un giuramento è una cosa terribile, e non consiglierei mai a nessuno di infrangere la parola data, nemmeno per salvarsi la vita. Perciò non ti chiederò di usare i tuoi poteri per te stesso. Mi senti?»

Alvin annuì.

«Allora pensa a questo. Pensa al Distruttore che se ne va in giro per il mondo. Nessuno lo vede compiere la sua opera, nessuno lo vede demolire e distruggere. Nessuno, tranne un ragazzo, uno solo. E chi è quel ragazzo, Alvin?»

Le labbra di Alvin formarono la parola, anche se non ne uscì alcun suono. Io.

«E quel ragazzo ha ricevuto un potere della cui natura non ha ancora la benché minima idea. Il potere di costruire, mentre il nemico demolisce. E ancora più importante, Alvin, il desiderio di costruire. Un ragazzo che reagisce a ogni fuggevole comparsa del Distruttore costruendo qualche piccola cosa. E adesso dimmi, Alvin, coloro che aiutano il Distruttore sono amici o nemici dell’umanità?»

Nemici, dissero le labbra di Alvin.

«Se perciò aiuti il Distruttore a distruggere il suo nemico più temibile, anche tu diventi nemico dell’umanità, non è vero?»

L’angoscia costrinse il ragazzo a parlare. «State distorcendo la verità» balbettò.

«La sto raddrizzando» lo corresse Scambiastorie. «Hai giurato di non usare mai il tuo potere per te stesso. Ma se muori, sarà solo il Distruttore a trarne vantaggio, e se vivi, se quella gamba guarisce, sarà per il bene di tutta l’umanità. No, Alvin, è per il bene del mondo e di tutto ciò che esso contiene».

Alvin gemette, più per la sofferenza dello spirito che per quella del corpo.

«Ma il giuramento era chiaro, no? Mai a tuo vantaggio. E allora perché non completare il primo giuramento con un secondo, Alvin? Giura che dedicherai tutta la tua esistenza a costruire contro il Distruttore. Se mantieni questo giuramento — e lo farai, Alvin, sei un ragazzo che sa mantenere la parola data -, se mantieni questo giuramento, allora la tua salvezza sarà veramente a vantaggio degli altri, e non solo tuo».

Scambiastorie attese a lungo, finché Alvin mosse la testa in un lieve cenno di assenso.

«Vuoi tu giurare, Alvin Junior, che dedicherai la tua esistenza a sconfiggere il Distruttore, rendendo tutto completo, buono e giusto?»

«Sì» sussurrò il ragazzo.

«E allora affermo che, secondo i termini della tua promessa, tu devi guarire te stesso».

Alvin afferrò Scambiastorie per il braccio. «Come?» sussurrò.

«Questo non lo so, ragazzo» disse Scambiastorie. «Come usare il tuo potere, questo devi scoprirlo da solo. Posso dirti soltanto che devi provarci, o il nemico avrà ottenuto la sua vittoria, e io dovrò concludere la storia della tua vita con il tuo corpo che viene calato nella tomba».

Con grande sorpresa di Scambiastorie, Alvin sorrise. Poi Scambiastorie ne capì il perché. Qualsiasi cosa Alvin decidesse di fare, la storia della sua vita si sarebbe comunque conclusa con la tomba. «È giusto, ragazzo» disse Scambiastorie. «Ma preferirei scrivere su di te qualche altra pagina, prima di mettere la parola fine al Libro di Alvin».

«Ci proverò» mormorò Alvin.

Se ci avesse provato, sicuramente ci sarebbe riuscito. Il protettore di Alvin non lo aveva condotto fin lì solo per lasciarlo morire. Scambiastorie non dubitava che Alvin avesse il potere di guarire se stesso, se solo fosse riuscito a capire in che modo. Il suo corpo era molto più complicato della pietra. Ma se doveva vivere, avrebbe dovuto imparare le vie segrete del proprio corpo.

A Scambiastorie venne preparato un letto nella sala grande. Quando sì offrì di dormire sul pavimento accanto al letto di Alvin, Miller scosse la testa: «Quel posto tocca a me».

Ma quella sera Scambiastorie non riusciva a prender sonno. Era ormai mezzanotte passata quando finalmente rinunciò, accese una lanterna con uno stecco preso dal focolare, s’infilò la giubba e uscì all’aperto.

Tirava un vento tagliente. Stava arrivando il cattivo tempo, e l’odore nell’aria prometteva neve. Le bestie si agitavano nella stalla. A Scambiastorie venne da pensare che forse lì fuori, quella notte, non era solo. Potevano esserci dei Rossi che si nascondevano nell’ombra, o addirittura si aggiravano di soppiatto tra gli edifici della fattoria, osservando ogni suo movimento. Rabbrividì, poi si sbarazzò della paura con un’alzata di spalle. Faceva troppo freddo. Persino i più sanguinari tagliagole Choc-Taw o Cree-Ek venuti a spiare dal sud erano troppo furbi per andarsene in giro in una nottata del genere, con una tempesta di neve in arrivo.

Ben presto sarebbe caduta la neve, la prima della stagione, ma non sarebbe stata solo una spolverata. Avrebbe nevicato per tutto l’indomani, Scambiastorie se lo sentiva nelle ossa, e l’aria che sarebbe seguita alla nevicata sarebbe stata ancora più fredda, così fredda che la neve sarebbe rimasta polverosa e asciutta, quel genere di neve che continua ad accumularsi un’ora dopo l’altra. Se Alvin non li avesse spronati ad arrivare a casa con la macina in un solo giorno, si sarebbero trovati a spingere la treggia sotto la neve. Il terreno si sarebbe fatto sdrucciolevole. Sarebbe potuta capitare una disgrazia ancora più grave.

Quasi senza accorgersene, Scambiastorie si ritrovò dentro il mulino a guardare la macina. Aveva un aspetto così imponente, sembrava impossibile che qualcuno avesse potuto spostarla. Ne toccò la superficie, facendo attenzione a non tagliarsi di nuovo. Le sue dita sfiorarono le scanalature poco profonde in cui la farina si sarebbe raccolta quando gl’ingranaggi della grande ruota a pale avrebbero fatto rotare in continuazione la mola sulla macina, con la stessa regolarità con cui la terra girava intorno al sole, un anno dopo l’altro, trasformando il tempo in polvere con la stessa implacabile determinazione con cui il mulino avrebbe trasformato il grano in farina.

Abbassò lo sguardo verso il punto in cui la terra aveva leggermente ceduto sotto il peso della macina, facendola inclinare e quasi ammazzando il ragazzo. Il fondo della depressione brillava alla luce della lanterna. Scambiastorie s’inginocchiò e intinse le dita in un mezzo pollice d’acqua. Doveva essersi raccolta proprio in quel punto, indebolendo il pavimento, portando via la terra. Non era tanta da rendere evidente la presenza di umidità, ma sufficiente a far sì che sotto quel peso immane il terreno cedesse.

Ah, Distruttore, pensò Scambiastorie, fatti vedere e ti costruirò una prigione tale da ingabbiarti e tenerti prigioniero per l’eternità. Ma per quanto si sforzasse, i suoi occhi non riuscirono a cogliere quel leggero tremolio nell’aria che si era manifestato al settimo figlio di Alvin Miller. Alla fine Scambiastorie raccolse da terra la lanterna e uscì dal mulino. Stavano cadendo i primi fiocchi di neve. Il vento era quasi cessato. La neve sfarfallò sempre più fitta, danzando alla luce della lanterna. Quando finalmente giunse a casa, il suolo era ricoperto di neve, la foresta invisibile in lontananza. Scambiastorie si chiuse la porta alle spalle, si stese sul pagliericcio senza nemmeno togliersi gli stivali, e cadde addormentato.

Загрузка...