CAPITOLO OTTAVO

Galeni strinse gli occhi e guardò Miles. «Che mi venga un colpo» disse con voce piatta.

«Idem» rispose Miles con voce gracchiante.

Galeni raddrizzò la schiena e gli lanciò un’occhiata sospettosa. «O… non è lei?»

«Non so» Miles rifletté. «Quale me stava aspettando?» Si diresse con passo malfermo all’altra panca, prima che gli cedessero le gambe, e si sedette con la schiena appoggiata alla parete e i piedi che non toccavano il pavimento. Rimasero entrambi in silenzio per alcuni minuti, osservandosi.

«Non avrebbe senso metterci tutti e due nella stessa stanza se non fossimo spiati» disse poi Miles.

Per tutta risposta Galeni sollevò l’indice indicando la lampada di sicurezza sul soffitto.

«Ah. Anche telecamera?»

«Sì.»

Miles digrignò i denti e sorrise verso il soffitto.

Galeni continuava ad osservarlo con cauta, quasi dolorosa incertezza.

Miles si schiarì la gola e sentì un gusto amaro in bocca. «Immagino che abbia incontrato il mio alter-ego.»

«Ieri… immagino che fosse ieri» Galeni guardò la lampada.

I rapitori avevano tolto l’orologio anche a Miles. «Adesso è circa l’una di notte del quinto giorno dalla sua scomparsa dall’ambasciata» lo informò rispondendo alla muta domanda. «Le lasciano sempre accese, le luci?»

«Sì.»

«Ah.» Miles lottò contro uno sgradevole fremito di ricordi: l’illuminazione continua era una delle tecniche carcerarie cetagandane per far perdere la nozione del tempo e l’ammiraglio Naismith la conosceva molto bene.

«L’ho visto per pochi secondi quando hanno fatto lo scambio» proseguì Miles e sfiorò con la mano il punto che in cui avrebbe dovuto trovarsi il pugnale e poi si massaggiò la nuca. «Sono… sono davvero così?»

«Ho creduto che fosse lei, fino alla fine. Poi mi ha detto che stava esercitandosi, facendo una prova.»

«E l’ha passata?»

«È rimasto qui per quattro o cinque ore.»

Miles trasalì. «Un brutto affare… è davvero un brutto affare.»

«Lo pensavo.»

«Capisco.» Un silenzio pesante calò sulla stanza. «Bene, storico, e come si fa a distinguere un falso dal vero?»

Galeni scosse il capo poi si portò una mano alla tempia: a quanto pareva la cosa gli creava un gran mal di testa. Anche a Miles. «Credo di non saperlo più» rispose Galeni dopo un attimo. «Mi ha fatto il saluto.»

Miles piegò un angolo della bocca in un sorriso acre. «Naturalmente di me potrebbe essercene uno solo, e tutto questo potrebbe essere un complotto per farla impazzire…»

«La smetta!» esclamò Galeni, ma al tempo stesso il fantasma di un sorriso gli illuminò il volto per un istante.

Miles gettò uno sguardo alla lampada. «Be’, chiunque io sia, lei dovrebbe essere almeno in grado di dirmi chi sono loro. Spero… che non siano i cetagandani; sarebbe molto poco confortante, dal punto di vista del mio… duplicato. È un costrutto chirurgico, spero.» Non un clone… per favore, fai che non sia un mio clone…

«Lui ha detto di essere un clone» rispose Galeni. «Naturalmente, chiunque fosse, almeno la metà delle cose che ha detto erano menzogne.»

«Oh.» Esclamazioni più colorite sembravano del tutto inadeguate.

«Sì. E questo mi ha fatto riflettere parecchio su di lei. Il lei originale, intendo.»

«Ah… ehm! Sì. Credo di sapere perché ho tirato fuori quella… quella storia quando la giornalista mi ha messo alle strette. Lo avevo visto una volta, in metropolitana, otto o dieci giorni fa, mentre ero in giro con il comandante Quinn. È probabile che stessero cercando già allora di fare lo scambio. Io ho creduto di vedere me stesso riflesso in uno specchio; ma siccome indossava l’uniforme sbagliata, hanno sospeso l’operazione.»

Galeni si osservò una manica. «E lei non se n’è accorto?»

«Avevo un mucchio di cose per la testa.»

«Non ha mai fatto rapporto!»

«Avevo preso degli analgesici, e ho creduto che si trattasse di una specie di allucinazione. Ero abbastanza sfinito e quando sono tornato all’ambasciata, mi ero già dimenticato dell’incidente. E poi» aggiunse con un debole sorriso, «ho pensato che non sarebbe stato produttivo per il nostro rapporto di lavoro se avessi cominciato a farle sorgere dei dubbi sulla mia sanità mentale.»

Galeni strinse le labbra esasperato, poi le distese in un sorriso disperato. «Forse no.»

La disperazione dipinta sul volto di Galeni allarmò Miles, che si affrettò a proseguire: «Comunque ho provato un senso di sollievo rendendomi conto di non essere diventato improvvisamente un chiaroveggente. Temo che il mio subcosciente sia più in gamba del resto del mio cervello. È solo che io non colgo i suoi messaggi.» Di nuovo indicò il soffitto. «Non i cetagandani?»

«No.» Galeni si appoggiò con la schiena alla parete, un’espressione imperscrutabile sul volto. «Komarrani.»

«Ah.» Miles quasi soffocò. «Un intrigo komarrano. Molto… oscuro.»

«Troppo» rispose Galeni storcendo la bocca.

«Be’» proseguì Miles «fino ad ora non ci hanno ammazzato. Devono avere una ragione per tenerci in vita.»

«Assolutamente nessuna» rispose Galeni socchiudendo gli occhi e stirando le labbra in un sorriso torvo, che diede alle parole il tono di una risatina, subito interrotta. Doveva essere uno scherzo privato tra lui e la luce sul soffitto. «Lui immagina di avere delle ragioni» spiegò, «ma si sbaglia di grosso.» Anche il tono amaro di quella frase era diretto verso l’alto.

«Be’, non lo dica a loro» rispose Miles a denti stretti. «Avanti, Galeni, sputi il rospo. Cosa è successo il mattino che è scomparso dall’ambasciata?»

Galeni sospirò e cercò di ricomporsi. «Quella mattina ho ricevuto una telefonata, da una vecchia… conoscenza komarrana, che mi chiedeva di incontrarlo.»

«Non c’era nessuna registrazione di quella chiamata; Ivan ha controllato la sua consolle delle comunicazioni.»

«L’ho cancellata. È stato un errore, anche se in quel momento non me ne sono reso conto. Ma un accenno fatto da questa persona mi ha indotto a credere di avere un indizio sul mistero rappresentato dagli strani ordini arrivati per lei.»

«Quindi ero riuscito a convincerla che c’era qualcosa che non aveva senso in quegli ordini.»

«Oh, certo. Ma era chiaro che, se le cose stavano così, qualcuno doveva essere riuscito a penetrare la mia rete di sicurezza all’ambasciata, compromettendola dall’interno, probabilmente tramite il corriere. Ma non ho osato fare un’accusa del genere senza prima avere delle prove convincenti.»

«Già, il corriere» disse Miles. «Quella era la mia seconda possibilità.»

«E qual era la prima?» chiese Galeni sollevando un sopracciglio.

«Lei, purtroppo.»

Il sorriso acido di Galeni diceva tutto.

Miles scrollò le spalle, imbarazzato. «Ho pensato che si fosse intascato i miei diciotto milioni di marchi. Però, se fosse stato lei, perché non era scomparso? E a quel punto lei è scomparso davvero.»

«Oh.» Fu la volta di Galeni a limitarsi a quel commento.

«E così tutto quadrava» spiegò Miles. «L’ho classificata come un ladro, un disertore, un concussore e un maledetto komarrano figlio di puttana.»

«E che cosa l’ha trattenuta dal formalizzare l’accusa?»

«Niente, sfortunatamente» rispose Miles, schiarendosi la voce. «Mi spiace.»

Il volto di Galeni assunse una colorazione verdastra e il suo scoramento fu tale che non riuscì neppure a lanciargli un’occhiataccia, anche se ci provò.

«Ha perfettamente ragione» disse Miles. «Se non riusciamo ad uscire di qui, il suo nome verrà trascinato nel fango.»

«Tutto per niente…» Galeni appoggiò la testa alla parete, come per sostenersi, e chiuse gli occhi.

Miles rifletté sulle probabili ripercussioni politiche create dalla simultanea scomparsa sua e di Galeni senza lasciare tracce. Gli inquirenti avrebbero trovato ancor più eccitante la sua teoria dell’appropriazione indebita, a cui si aggiungeva ora anche rapimento, assassinio, fuga con un’amante e Dio solo sapeva che altro. Quello scandalo avrebbe scosso dalle fondamenta il processo di integrazione komarrana, anzi avrebbe potuto vanificarlo completamente. Miles guardò l’uomo sul quale suo padre aveva scelto di rischiare. Una sorta di redenzione…

Poteva bastare solo quella ragione alla resistenza komarrana per ucciderli entrambi. Ma l’esistenza del sosia di Miles indicava che dal punto di vista komarrano, l’accusa ingiuriosa sul conto di Galeni, fornita da Miles, non era altro che una felice coincidenza. Chissà se si sarebbero dimostrati abbastanza riconoscenti.

«Così è uscito per incontrare quell’uomo» riprese Miles. «Senza portarsi dietro un cercapersone e neppure una scorta.»

«Sì.»

«E si è fatto immediatamente rapire. E poi ha avuto il coraggio di criticare i miei metodi di sicurezza!»

«Esatto.» Galeni spalancò gli occhi. «Cioè, no. Prima siamo andati a pranzo.»

«È andato a pranzo con questo tizio? Ma, oh… era carina?» In quel momento a Miles venne in mente il pronome che Galeni aveva usato indirizzando i suoi commenti alla lampada. No, non era una lei.

«Tutt’altro. Ma ha cercato di corrompermi.»

«E c’è riuscito?»

All’occhiata feroce di Galeni, Miles si affrettò a spiegare: «Vede, tutta questa conversazione potrebbe essere una commedia a mio beneficio.»

Galeni fece una smorfia, a metà tra l’irritazione e l’assenso. Originali e contraffazioni, menzogne e verità, come si poteva metterle alla prova, lì?

«Gli ho detto di andare al diavolo.» Galeni lo disse a voce alta, per essere sicuro che la lampada sentisse. «Avrei dovuto capire, durante la nostra conversazione, che ormai mi aveva detto troppo su tutta la faccenda per potermi lasciare andare. Ma ci scambiammo delle garanzie, io gli ho voltato le spalle… ho lasciato che il sentimento offuscasse la ragione. E così sono finito qui.» Gettò un’occhiata alla piccola cella. «Ancora per poco, fino a quando non gli sarà passata l’ondata di sentimentalismo, che gli passerà di sicuro.» E gettò un’occhiata di sfida alla lampada.

Miles trasse un respiro, che gli gelò i denti. «Doveva essere una vecchia conoscenza molto, molto stimolante.»

«Oh, sì.» Galeni chiuse di nuovo gli occhi, come se stesse contemplando l’idea di sfuggire a Miles e a tutta quell’intricata faccenda, rifugiandosi nel sonno.

I suoi movimenti rigidi, esitanti, facevano pensare che fosse stato torturato. «L’hanno incitata a cambiare idea… o l’hanno interrogata alla vecchia maniera?»

Le palpebre di Galeni si alzarono di un millimetro e lui si toccò la macchia rossa sotto l’occhio sinistro. «No, hanno il penta-rapido per gli interrogatori, non hanno bisogno di ricorrere alla violenza. Me l’hanno fatto prendere tre o quattro volte. A questo punto sono molto poche le cose che non sanno della Sicurezza dell’ambasciata.»

«E quelle contusioni, allora?»

«Ho cercato di reagire… ieri, immagino. I tre che mi hanno immobilizzato sono conciati molto peggio, glielo garantisco. Probabilmente sperano ancora che cambi idea.»

«Ma non poteva fingere di collaborare almeno quanto bastava per evitare il penta-rapido?» chiese Miles esasperato.

Galeni spalancò gli occhi, di colpo. «Mai» sibilò. Ma quell’impeto di rabbia svanì in un sospiro stanco. «Sì, credo che avrei dovuto farlo. Adesso è troppo tardi.»

Gli avevano per caso mandato in tilt il cervello con quelle droghe? Se un tipo freddo come Galeni aveva permesso che le emozioni offuscassero fino a questo punto la ragione… be’, doveva essersi trattato di un’emozione a dir poco sconvolgente. E di fronte all’emotività profonda e nascosta, il QG non poteva fare proprio nulla.

«Immagino che non la berrebbero, se mi offrissi di collaborare» disse cupo Miles.

«Proprio no» rispose Galeni, nel suo vecchio tono strascicato.

Qualche minuto dopo, Miles commentò: «Non può essere un clone, sa.»

«E perché no?»

«Qualunque clone cresciuto dalle cellule del mio corpo, dovrebbe assomigliare… be’, ad Ivan, direi, un metro e ottanta di altezza, o giù di lì e non… storpio e con questa faccia, con ossa resistenti, non questi gessetti friabili. A meno che» Orrendo pensiero! «i medici non mi abbiano sempre mentito a proposito dei miei geni.»

«Devono averlo storpiato, per assomigliarle» disse Galeni, riflettendo, «chimicamente, chirurgicamente o in entrambi i modi. E usare un processo simile su un suo clone, non dovrebbe essere più difficile che su qualunque altro costrutto. Anzi, forse sarebbe più facile.»

«Ma quello che è successo a me è stato un incidente così casuale… persino i tentativi di riparazione erano sperimentali… nemmeno i miei dottori sapevano cosa sarebbe venuto fuori finché non l’hanno visto.»

«Ottenere un duplicato perfetto non deve essere stato facile, ma è ovvio che non era impossibile. Forse il… l’individuo che abbiamo visto è l’ultimo di una lunga serie di tentativi.»

«Ma in questo caso cosa ne hanno fatto di quelli venuti male?» chiese Miles sconvolto. Nella sua mente passò una sfilata di cloni, come un diagramma evolutivo al contrario, dal Cro-magnon eretto Ivan, all’indietro, attraverso gli anelli mancanti fino allo scimpanzé Miles.

«Immagino che se ne siano liberati» rispose Galeni e il tono chiaro e pacato non voleva negare l’orrore di quel pensiero, quanto sfidarlo.

«Mostruoso» commentò Miles, con un brivido.

«Oh, sì» convenne Galeni sempre con tono pacato.

Ancora una volta, Miles cercò la logica. «In questo caso, lui… il clone…» Il mio fratello gemello, ecco, per la prima volta aveva espresso chiaramente a se stesso quel pensiero, «deve essere di parecchio più giovane di me.»

«Parecchi anni» confermò Galeni. «Direi sei.»

«E perché sei?»

«È una questione aritmetica. Lei aveva circa sei anni quando finì la rivolta komarrana e a quel punto i ribelli devono aver preso in considerazione qualche altro piano meno diretto per attaccare Barrayar. Prima di allora, l’idea non li avrebbe interessati, ma dopo quella data il clone sarebbe stato ancora troppo giovane per sostituirsi a lei, anche con una crescita accelerata. Troppo giovane per recitare in modo verosimile la parte. Deve agire come lei, e non solo assomigliarle.»

«Ma perché proprio un clone?»

«Credo che intendano usarlo per qualche azione di sabotaggio in concomitanza con una sollevazione su Komarr.»

«Barrayar non lascerà mai andare Komarr, mai. Voi siete la nostra porta principale.»

«Lo so» rispose Galeni in tono stanco. «Ma c’è gente che preferirebbe annegare il nostro pianeta nel sangue piuttosto che trarre insegnamento dalla storia. O imparare qualcosa in generale.» Terminò gettando un’occhiata involontaria alla lampada.

Miles deglutì, si fece forza e ruppe il silenzio. «Da quanto tempo sa che suo padre non è saltato in aria con quella bomba?.»

Galeni lo fissò, stordito, con il corpo teso come una corda di violino. Poi si rilassò, anche se quel gesto gli costò parecchio, ma rispose con semplicità: «Da cinque giorni.» E dopo un istante aggiunse: «Come lo sapeva?»

«Abbiamo aperto il suo file personale e lui era il suo unico parente stretto di cui non esistesse una certificazione certa di morte.»

«Noi lo credevamo morto.» La voce di Galeni era distante, piatta. «Mio fratello lo era senza ombra di dubbio. La Sicurezza Barrayarana era venuta a prendere me e mia madre perché identificassimo i resti del suo corpo. Non era rimasto molto. E non facemmo fatica a credere che si trattasse di lui, dato che si sapeva che era al centro dell’esplosione.»

Quell’uomo era a pezzi, e stava perdendo il controllo sotto i suoi occhi. Miles scoprì che non lo rallegrava affatto il pensiero di vedere Galeni crollare. Dal punto di vista politico sarebbe stato uno spreco perdere un ufficiale della sua levatura.

«Mio padre non faceva che parlare della libertà di Komarr» proseguì Galeni con voce pacata… come se parlasse a se stesso. «Dei sacrifici che tutti dovevamo fare per la libertà di Komarr. Era molto prodigo di sacrifici, umani e non, ma non gli è mai importato un accidente della libertà degli individui di Komarr. Fu il giorno in cui morì la rivolta su Komarr che divenni un uomo libero, il giorno in cui lui morì. Libero di guardare con i miei occhi, di formarmi dei giudizi miei, di scegliere la mia vita. O così pensavo. La vita è piena di sorprese» terminò con una sfumatura di infinito sarcasmo e un sorriso astuto.

Miles chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei propri pensieri. Ma non era facile, con Galeni seduto a due metri di distanza, che emanava una tensione omicida già pericolosamente vicina al sovraccarico. Miles aveva la spiacevole sensazione che il suo superiore, ormai solo di nome, avesse perso di vista il quadro complessivo strategico, imprigionato in una sua lotta privata con i fantasmi del passato. O forse non erano fantasmi. Toccava a Miles.

Toccava a Miles fare cosa? Si alzò e percorse la stanza con passo malfermo mentre Galeni lo osservava attraverso le palpebre socchiuse, senza fare commenti. Doveva trovare una via d’uscita. Tastò la consistenza delle pareti, incidendole con le unghie… niente da fare. Controllò le giunture del pavimento e del soffitto ma non offrivano alcuna possibilità. Entrò nel piccolo bagno, si lavò le mani, la faccia e si sciacquò la bocca; poi, in mancanza di un bicchiere, bevve dalle mani a coppa. L’acqua sciacquettò nel suo stomaco. Le mani gli tremavano per i postumi dello storditore. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse chiuso lo scarico del lavello lasciando scorrere l’acqua. Quella era la massima forma di vandalismo possibile lì dentro. Ritornò alla panca, asciugandosi le mani nei pantaloni e si sedette, prima di cadere.

«Le danno da mangiare?» chiese.

«Due o tre volte al giorno» rispose Galeni. «Quello che preparano per loro. Sembra che vivano in parecchi in questa casa.»

«Allora quello sarebbe l’unico momento in cui tentare la fuga.»

«Lo è stato.»

È stato, già. E dopo il tentativo di Galeni le guardie erano state certamente raddoppiate. E comunque Miles non poteva neanche pensare di imitarlo: una lezione come quella che si era presa Galeni lo avrebbe messo fuori combattimento per sempre.

Il capitano fissò la porta. «Tutto sommato è anche una specie di passatempo. Quando la porta si apre non sai mai se dietro c’è il pranzo o la morte.»

Miles ebbe l’impressione che Galeni sperasse nella morte. Maledetto kamikaze. Lui conosceva bene quello stato d’animo distruttivo: era facile innamorarsi della scelta della morte… e quello era il nemico del pensiero strategico creativo. Anzi, era il nemico e basta.

Ma la sua determinazione non riuscì a trovare uno sbocco nei fatti, anche se non faceva che rimuginare. Senza dubbio Ivan avrebbe riconosciuto immediatamente la sua copia. Oppure invece avrebbe attribuito gli eventuali errori del clone ad una sua giornata negativa? Non sarebbe stata la prima volta che succedeva. E poi, se i komarrani in quattro giorni avevano avuto da Galeni tutte le informazioni sulle procedure dell’ambasciata, era possibile che il clone fosse in grado di svolgere senza errori tutti i compiti di Miles. Dopo tutto, se quella creatura era davvero un clone, doveva essere in gamba come Miles.

O altrettanto stupido… Miles si aggrappò a quel pensiero confortante. Se Miles, nel disperato ballo della vita, commetteva degli errori, il clone poteva commetterne altrettanti. Il guaio era: qualcuno sarebbe stato in grado di distinguerli?

E i dendarii? I suoi dendarii, caduti nelle grinfie di un… un cosa? Che piani avevano i komarrani? E come diavolo avrebbe fatto il clone ad imitare sia Lord Vorkosigan che l’ammiraglio Naismith, quando lo stesso Miles doveva suonare ad orecchio di volta in volta?

E Elli… se Elli non era stata in grado di distinguere le differenze nella casa abbandonata, sarebbe riuscita a farlo a letto? Quel piccolo e sordido impostore avrebbe avuto il coraggio di fare l’amore con lei? Ma quale essere umano sarebbe riuscito a resistere all’invito di rotolarsi tra le lenzuola con la bellissima, brillante…? Nella mente di Miles sfilarono tutti i particolari del clone, che là fuori, Faceva-Delle-Cose-alla-Sua-Quinn, molte delle quali Miles non aveva neppure avuto il tempo di provare. Strinse con tanta forza il bordo della panca, che rischiò di fratturarsi tutte le dita.

Allentò la presa. Di certo il clone avrebbe evitato le situazioni di intimità con Elli, che conosceva bene Miles, perché era proprio lì che rischiava di smascherarsi. A meno che non fosse uno stronzettino con irrefrenabili tendenze sperimentatrici, come quello che Miles salutava ogni mattina nello specchio. Lui ed Elli avevano appena iniziato la loro relazione… lei sarebbe stata in grado di accorgersi della differenza… o no? Miles deglutì e cercò di riportare i propri pensieri al più ampio scenario politico.

Il clone non era stato creato con l’unico scopo di farlo impazzire, quello era solo un beneficio aggiunto; il clone era stato forgiato come arma contro Barrayar. Contro Barrayar attraverso il primo ministro Conte Aral Vorkosigan, come se fossero una cosa sola. Miles non si faceva illusioni; tutta quella messinscena non era stata architettata a suo esclusivo beneficio. Gli vennero in mente almeno una dozzina di modi dove il falso Miles poteva essere usato contro suo padre: da quelli relativamente cattivi ad altri orribilmente crudeli. Gettò un’occhiata a Galeni, sdraiato dall’altra parte della cella, che aspettava, senza emozione, di essere ucciso dal suo stesso padre. O forse, con la sua freddezza, voleva spingere il padre ad ucciderlo per provare… cosa? Miles depennò gli scenari idilliaci dalla sua lista mentale di possibilità.

Alla fine, la stanchezza lo sopraffece e si addormentò sulla scomoda panca.


Dormì male, emergendo di tanto in tanto da sogni sgradevoli, solo per ritrovarsi in una realtà ancor più sgradevole su quella panca fredda, e con i muscoli intorpiditi.

Galeni sdraiato davanti al lui che si rigirava alla ricerca di una posizione confortevole, con gli occhi che lampeggiavano a tratti da sotto le ciglia, senza rivelare se fosse sveglio o stesse sonnecchiando… per poi sprofondare ancora nel mondo dei sogni.

Perse completamente la nozione del tempo, ma quando si svegliò e si mise a sedere con i muscoli indolenziti, si rese conto che doveva aver dormito parecchio. Andò nella minuscola stanza da bagno, si lavò il viso sul quale era cominciata a spuntare la barba, bevve un po’ d’acqua e a quel punto il suo cervello aveva ripreso a lavorare a pieno ritmo, ed era quindi impensabile rimettersi a dormire. Gli sarebbe piaciuto molto avere il suo gatto-coperta.

La serratura della porta ticchettò. Galeni si scosse dal suo sonno apparente e scattò a sedere, teneva i piedi ben piantati a terra e il volto imperscrutabile. Ma questa volta era il pranzo… o la colazione, a giudicare dal contenuto del vassoio: uova strapazzate tiepide, pane dolce, un meraviglioso caffè in due bicchieri di carta con due cucchiaini. La colazione fu portata da uno dei due giovanotti che Miles aveva visto la sera prima; l’altro rimase sulla porta, con lo storditore pronto. L’uomo appoggiò il vassoio sul bordo della panca e si affrettò ad uscire.

Miles osservò il cibo con circospezione, ma Galeni prese la sua parte e la mangiò senza esitazione. Era sicuro che non fosse né drogato né avvelenato, o semplicemente non gliene importava più un accidente? Con una scrollata di spalle, anche Miles mangiò.

Inghiottendo l’ultima goccia di caffè, chiese: «Ha potuto cogliere qualche accenno sullo scopo di tutta questa messinscena? Devono essersi dati una gran pena per produrre questo… mio duplicato. Non può trattarsi solo di un complotto di piccole dimensioni.»

Galeni, un po’ meno pallido in volto grazie al cibo, fece roteare il caffè nella tazzina e rispose: «So quello che mi hanno detto loro, ma non so se è la verità.»

«Va bene, racconti.»

«C’è una cosa che deve capire: il gruppo di mio padre è soltanto una frangia radicale della resistenza komarrana. I due gruppi non si parlano da anni, ed è questa una della ragioni per cui noi, la Sicurezza Barrayarana…» un sorriso ironico gli comparve per un istante sulle labbra, «… non ne sapevamo niente. Negli ultimi dieci anni, la resistenza vera e propria ha perso gran parte del suo impeto. I figli degli espatriati, che non ricordano Komarr, sono cresciuti come cittadini di altri pianeti. E i più vecchi sono… be’, sono invecchiati. Alcuni sono morti. E dal momento che in patria le cose non vanno poi così male, non fanno più nuovi adepti. È una base di potere che si sta riducendo, si sta riducendo al punto critico.»

«Capisco benissimo come questo possa spingere la frangia radicale a fare qualche mossa, finché ne hanno ancora il tempo.»

«Sì, sono alle corde.» Galeni stritolò tra le mani il bicchiere di carta. «Si sono ridotti ad azioni azzardate.»

«Mi sembra non solo azzardato, ma anche stravagante, impegnare diciassette, diciotto anni in una cosa come questa. Come diavolo hanno fatto a trovare la tecnologia e l’attrezzatura scientifica per fare un clone? Suo padre era un dottore?»

«Niente affatto» sbuffò Galeni. «Ma la parte scientifica è stata la più facile, una volta che sono entrati in possesso del campione di tessuto rubato su Barrayar. Per quanto, non capisco come siano riusciti ad averlo…»

«Ho passato i miei primi sei anni di vita tra esami, cure, radiografie, biopsie, prelievi e quant’altro… devono esserci chili di me che galleggiano in più di un laboratorio medico, non c’era che l’imbarazzo della scelta. Non deve essere stato difficile. Ma la clonazione…»

«L’hanno commissionata, a qualche laboratorio illegale sul pianeta del Gruppo Jackson, mi è sembrato di capire, che per denaro farebbero qualunque cosa.»

Miles lo fissò a bocca aperta per qualche istante. «Oh. Quelli.»

«Conosce quelli del Gruppo Jackson?»

«Ho… avuto modo di imbattermi nel loro lavoro in un altro contesto. E che mi venga un colpo se non sono in grado di farle anche il nome del laboratorio che può averlo fatto! Sono degli esperti nel campo. Tra le altre cose, compiono le operazioni illegali di trasferimento del cervello, illegali dappertutto tranne che nel Gruppo Jackson intendo: sviluppano il clone in una vasca di crescita e poi vi trasferiscono il cervello del vecchio (del vecchio ricco, naturalmente)… e hanno fatto anche dei lavori di bioingegneria di cui però non posso parlare… E per tutto questo tempo hanno avuto una copia di me nel retrobottega… quei figli di puttana, questa volta scopriranno che non sono poi intoccabili come credono!» Miles controllò un’attacco incipiente di iperventilazione: la vendetta personale contro il gruppo Jackson doveva essere rimandata ad un momento più propizio. «Dunque, per i primi dieci o quindici anni, la resistenza komarrana ha investito denaro solo nel progetto. Non mi stupisce quindi che non se ne sia mai saputo niente.»

«Esatto» disse Galeni. «Poi, qualche anno fa, hanno deciso di tirar fuori quell’asso dalla manica. Hanno ritirato il clone, che ormai era un adolescente completo e hanno cominciato ad addestrarlo perché diventasse lei.»

«Per quale ragione?»

«Sembra che vogliano impadronirsi dell’Imperium.»

«Che cosa!?» gridò Miles. «No! Non con me…»

«Quel… quell’individuo… era in piedi proprio là» disse Galeni indicando un punto accanto alla porta, «due giorni fa e mi ha detto che avevo di fronte il futuro Imperatore di Barrayar.»

«Dovrebbero uccidere sia l’Imperatore Gregor che mio padre per riuscire ad attuare questo progetto» esclamò Miles frenetico.

«Immagino che sia proprio quello che non vedono l’ora di fare» disse Galeni secco. Poi si sdraiò sulla panca, con gli occhi socchiusi e le mani dietro la testa a mo’ di cuscino e ronfò: «Sul mio cadavere, naturalmente.»

«Sui cadaveri di tutti e due. Non oseranno lasciarci vivi.»

«Mi sembrava di averlo accennato ieri.»

«Però, se qualcosa va storto» lo sguardo di Miles si posò sulla lampada, «potrebbe fargli comodo avere degli ostaggi.» Pronunciò quell’affermazione in tono chiaro, sottolineando il plurale, anche se temeva che, dal punto di vista di Barrayar, solo uno di loro due potesse avere valore come ostaggio. E Galeni non era uno sciocco, sapeva anche lui chi era il capro espiatorio.

Maledizione, maledizione, maledizione. Miles si era cacciato in quella trappola, ben sapendo che fosse una trappola, con la speranza di guadagnare proprio il genere di informazioni che erano adesso in suo possesso… ma non era nelle sue intenzioni restarci in quella trappola. Si massaggiò il collo, frustrato… che gioia sarebbe stato poter chiamare una pattuglia d’attacco dendarii, a ripulire quel nido di ribelli… in quel momento…

La serratura della porta scattò. Era troppo presto per il pranzo. Miles si girò di scatto, con la folle speranza di vedere il comandante Quinn alla testa di una pattuglia venuta a liberarlo… no. Erano di nuovo i due scagnozzi, più un terzo armato di storditore.

Uno di loro fece un gesto verso Miles: «Tu, vieni con noi.»

«Dove?» chiese Miles sospettoso. Che fosse già la fine… stavano per riportarlo nel garage e sparargli un colpo alla nuca o spezzargli il collo? Non aveva nessuna voglia di incamminarsi volontariamente verso la morte.

Un’idea simile doveva essere passata anche per la mente di Galeni, perché mentre i due afferravano Miles senza tanti complimenti, il capitano si avventò su di loro. Quello con lo storditore lo atterrò prima che arrivasse a metà strada. Galeni si contorse, stringendo i denti in un disperato tentativo di resistere, ma poi crollò a terra, immobile.

Stordito, Miles si lasciò trascinare fuori dalla porta. Se era alla morte che andava incontro, voleva almeno affrontarla da sveglio, per sputarle negli occhi un’ultima volta, prima che il buio si richiudesse su di lui.

Загрузка...